Eccomi pronta per una nuova
avventura nei boschi circostanti Bomarzo, con la mia infaticabile guida
Salvatore Fosci, l'Homus selvaticus, cone l' ho simpaticamente
rinominato l'anno scorso, facendogli
l'intervista.
Il suo amore e dedizione per i monumenti che si celano nell'intrico di
queste selve, abitate anticamente dagli Etruschi, cui ritiene di discendere,
è nel suo codice genetico. Si muove nei sentieri e sulle alture boschive con
l'agilità di un animale nativo. Se andrete insieme a lui per sentieri ed
itinerari come quelli illustrati da me in questo sito, vi sentirete ben
presto contagiati dal fascino del mistero che da ogni masso e ad ogni passo
vengono emanati. Salvatore, come abbiamo già avuto modo di dire, nei mesi in
cui si trova a Bomarzo effettua un'operazione di ripulitura di sentieri e
boschi che conosce bene. Quello cui siamo diretti oggi non lo ha mai
ripulito, in quanto dista un po' dalle 'sue zone' praticate quotidianamente.
Ribadisco lo spirito con cui facciamo queste ricerche: non ci muove nè il
'curiosare' nè tanto meno la smania di sbandierare ciò che svolgiamo. Sono
due passi nella Memoria, di coloro che sono venuti prima di noi, e che
cerchiamo di capire attraverso ciò che ci hanno lasciato. A nostra
volta, documentando il possibile, offriamo ad altri un motivo di confronto,
di stimolo, perchè fra un certo numero di anni, i contesti potrebbero non
essere più quelli di oggi.
Ci troviamo ad occidente del
territorio di Bomarzo, in un ambiente boschivo particolare, denominato "Serraglio",
sulla cui etimologia non v'è molta chiarezza. Potrebbe indicare un luogo
difensivo, serrato o serrante qualcosa, un riparo per animali. E' un bosco
fitto di querce, che d'inverno assume colori bigi, paesaggisticamente
diversi da quelli incontrati ieri sulle
tracce di Pasolini. Ma anche qui la natura ha scavato un Fosso,
nella forra, tributario del torrente Vezza, e che chiaramente è denominato
Fosso del Serraglio. Alla sua destra idrografica si trova appunto il
bosco omonimo, in cui sono disseminati gli ormai familiari massi erratici di
peperino, che furono modellati dagli antichi abitatori in base a precise
funzioni: sacre o quotidiane.
Per raggiungerlo si deve
costeggiare la muraglia del celebre
Parco dei Mostri (o Bosco Sacro) e prendere
una strada sterrata. L'avevamo già percorsa lo
scorso anno per dirigerci alla Riserva Naturale di Monte Casoli,
con le caratteristiche tombe rupestri (e abitazioni) che hanno perforato
una grande quantità di rocce laviche. Questa volta ci portiamo nella parte
più meridionale. Il torrente Vezza divide tutto questo complesso
territorio da Malano, dove si trova la cosidetta "Selva", che
visiteremo in un successivo sopralluogo, magari con la stagione primaverile.
C'è da rilevare che alcuni manufatti presenti nel bosco del Serraglio sono
stati ritrovati anche nelle contigue zone sorianesi (Valle di San Nicolao
e, appunto, nella Selva di Malano). Questo può indicarci come una
stessa cultura, che utilizzava le medesime tecniche 'costruttive', era
insediata in tutta l'area. Recenti scoperte ad opera del prof. Lidio
Gasperini ha messo in evidenza delle iscrizioni latine, su certi manufatti,
che nessuno aveva mai individuato nè studiato prima. E ancora c'è molto da
investigare.
Appena lasciata la macchina,
si prosegue a piedi. Alzando lo sguardo, sulla sinistra Salvatore indica una
struttura litica chiamata 'Castelluzza', mentre una straordinaria
abitazione rupestre fa bella mostra di sè, attaccata alla rupe. Si nota che
questo bosco non è stato pulito e liberato dalle sterpaglie: il percorso è
reso più difficile da un tronco caduto sul sentiero, dai rovi che si
attaccano addosso, ed è -per un certo tratto- obbligato su un viottolo
fiancheggiato a destra da un filo spinato e, a sinistra, da una
lunghissima muraglia, totalmente invasa dalla vegetazione. La sua
fattura potrebbe essere etrusca, ne avevamo viste già l'anno scorso, poco
dopo Via Cupa, ma questa è poco indagabile in quanto non se ne vedono che
minimi tratti (necessiterebbe di essere ripulita e rimessa in luce). Dopo
una buona ventina di minuti di cammino, ci immergiamo nel bosco del
Serraglio, in cui orientarsi - se non fosse che c'è la mia guida- sarebbe
arduo. Unica compagnia, oltre la vegetazione, i massi giacenti al suolo
(che non è male!). Ma ecco che essi cominciano a trasformarsi in qualcosa di
più che semplici macigni, a fornire degli indizi e a parlarci della vita che
vi ha dimorato. Sicuramente per sempre.
In
un' atmosfera assai suggestiva, come un'officina del fantastico (questo bosco è più
'severo' di quello del Fosso Castello, a parere di chi scrive), compare un
agglomerato di alti macigni, addossati l'un l'altro, che -avvicinandosi-
rivela una lavorazione accurata: due nicchie sono state ricavate nella
roccia, due tombe e, vista la loro dimensione, appartenevano a dei
bambini. A rinforzo di tale considerazione, nel masso limitrofo, sulla
destra, è incisa un'epigrafe latina che dice: PVUERI HIC CO/NDITI (Qui sono
sepolti dei bambini). La gente del posto ha sempre chiamato questo manufatto
il Sasso delle Madonnelle, ritenendole edicole di culto mariano.
Attualmente sono vuote, ma è possibile che in alcune epoche qualcuno vi
avesse collocato delle icone della Madonna? Risalgono comunque ad un tempo
remoto, forse etrusco- romano. Chi scrisse l'epigrafe che è incisa sul masso accanto? Forse le
sepolture avevano qualche riferimento nella loro parte anteriore, che oggi
non esiste più (sembra strano fossero state lasciate completamente aperte).
Infatti,
la tomba di sinistra, presenta un riquadro dove doveva trovarsi un cartiglio
con una probabile epigrafe, a ricordo del defunto.
La
prima nicchietta è conformata ad arco a tutto sesto e si trova ad un'altezza
leggermente inferiore dell'altra; grazie ad un provvideziale masso situato
per terra, è possibile avvicinarsi un po' e vedere la conca in cui,
probabilmente, era statao adagiato un corpicino (molto piccolo, doveva
essere).
La
tomba vicina, che presenta una lavorazione più elaborata esternamente, è più
difficile da vedere: solo allontanandosi ad una certa distanza e con
l'ausilio dello 'zoom' della fotocamera, è stato possibile intravedere la
base interna, che pare conformata a quadrati concentrici, come vi fosse
stata deposta un'urna e non un corpo, per quanto piccolo. Forse le due tombe
non appartengono allo stesso periodo? Certo è che chi affidò questi defunti
alla madre-roccia, idealmente riteneva di renderne immortale l'Anima, perchè
nella concezione dell'umanità, la pietra è sempre stata equiparata
all'eternità, a qualcosa che sopravvive quando tutto intorno decade e muore.
Inserita in una selva come questa, nell'assoluto silenzio, si donava la cosa
più preziosa, la pace.
Che si tratti di un bosco
sacro, il Serraglio, comincio effettivamente a capirlo bene. E quando, una
cinquantina di metri più in basso, individuiamo la sagoma di un "Sasso
Quadro', ne ho la conferma. Con questo nome lo appellano i bomarzesi,
definendolo anche Altarone. Si tratta di un'ara pagana conformata
a dado, perfettamente squadrata, che si erge su una piccola altura e ha
un basamento lavorato finemente. L'altezza e la lunghezza superano il metro
e mezzo (dal piano di calpestio si elevano per oltre due metri).
L'entusiasmo è tanto, ne avevo sentito parlare ma non ne avevo mai visto una
così bella e interessante! Tanto interessante che, aiutata da una sorta di
pedana di pietra situata nella parte 'posteriore' (secondo me), sono salita
sopra. Sulla faccia superiore, l'ara presenta dei rilievi e delle concavità,
in parte naturali ma in parte forse artificialmente create. Come delle
coppelle, di varia dimensione. C'è anche una sorta di 'scolo'.
Sulla sua faccia
'anteriore', che dovrebbe corrispondere al Nord, abbiamo notato alcune
lettere, purtroppo ricoperte in gran parte dal muschio. Effettivamente
questa epigrafe, verosimilmente redatta su due righe, è stata anche decifrata e recita: L.ARN.S.STRAB.L Poi
mancano delle lettere e termina con V S (1).
Potrebbe riferirsi al nome
Lucius, della tribù Arnense, forse un Liberto (L finale); il Liberto era,
nell'antica Roma, uno schiavo liberato, riscattato, che poteva anche
arricchirsi; la S starebbe per Servius, altro nome, e 'STRAB' per
Strabone, tipico cognomen (forse il liberto apparteneva a questo
proprietario, prima di divenire libero). Il liberto, da schiavo, si chiamava
normalmente Faustus, ma una volta riscattato aveva diritto a
chiamarsi con il prenome del vecchio padrone. La V S finale potrebbe essere
il termine di una parola, come Tribvnus o Magistratvs, o altro titolo, ma
non è possibile dirlo con certezza.
A questo punto, ci si chiede
come mai quest'ara rechi detta epigrafe. Forse quel Lvcivs l'aveva eretta
per commemorare qualcosa? A cosa serviva in questo punto un altare del
genere? Sacrifcale? E se scavando scavando, saltasse fuori che è una tomba?
Riutilizzata in un secondo momento come ara commemorativa o altare
sacrificale?
Come Masso del
Predicatore sarebbe alquanto stato scomodo, sebbene vi siano labili tracce di
'pedarole' per salire, nella parte che io ho considerato 'posteriore'. L'ara
e la sepoltura dei due ipotetici bambini, erano in qualche modo collegate
simbolicamente? Salvatore dice che quest'ara si troverebbe in corrispondenza
di un'altra ara, assai simile, posta sull'opposto versante, che sta di fronte a
noi, nella Selva di Malano. Un caso?
Poco più avanti, troviamo il
cosiddetto 'Sasso Cavo ' o Sasso Bucato', per via di un grosso
foro di origine naturale che lo contraddistingue. Forse fu un riparo per
asceti o comunque considerato un dono della natura.
Un'altra cavità, più
spaziosa e rialzata, me la indica Salvatore, a diversi metri di distanza.
Per raggiungere l' ingresso della 'grotta', ci sono delle scalette
intagliate nella roccia, volutamente. Era dunque un luogo abitato, sfruttato
abitualmente, forse -anche in questo caso- da asceti o sciamani. Qui si era
completamente al sicuro: davanti vi è un enorme macigno di peperino che la
oscura alla vista dal basso e dietro c'è la collina. Non si sa se fosse
chiusa da qualcosa ma la presenza di alcune buche di palo lo farebbero
ritenere quanto meno ipotizzabile. La sua conformazione naturale è
straordinaria.
Proseguendo 30 metri oltre
il 'Sasso Bucato', si incontra quella che è stata classificata come 'tomba
a vasca' in quanto è stata riscontrata un'incisione, sul lato
est, che recita (in latino): L.ROSCIVS.M.F.ARN. (Lucio Roscio, figlio di
Marco, della Tribù Arnense). Tale iscrizione fu notata per la prima volta
dal re di Svezia, Gustavo, in occasione di uno dei suoi viaggi di studio
(era un intenditore!). Si ritiene dunque che qui vi fosse sepolto questo
personaggio, romano probabilmente, appartenente alla Tribù Arnense, che era
effettivamente del luogo (ne sono state trovate altre con lo stesso
riferimento). La tomba - piena d'acqua piovana, di foglie e ricoperta sui
lati da muschio- affiora appena dal terreno, delimitando un grande
rettangolo. Scoperchiata, appare a mio avviso eccessivamente grande come
tomba di una sola persona. Nell'angolo nord-ovest mi sembra pure che vi sia
uno 'scolo', e questo mi fa ripensare a quando visitammo le tombe nella
necropoli di S. Cecilia, in cui alcuni sostengono che i liquami
dei defunti venissero lasciati 'scolare' per entrare nel Grande Ciclo
Naturale. Penso anche che generalmente i romani mettevano D.M. nei contesti
funerari (Agli Dei Mani), mentre qui manca qualsiasi riferimento religioso.
Non è strano? Forse, ripulendo bene il contesto, emergerebbero degli
elementi che potrebbero fornire maggiori informazioni.
Infatti, il problema qui è
ripulire i massi! Ne abbiamo trovato uno che, apparentemente, non mostrava
niente di particolare ma quando abbiamo iniziato a togliere un po' di
sterpaglie, siamo rimasti increduli perchè abbiamo messo
in luce delle nicchiette lavorate dall'uomo, cavità e forse anche delle
scalette, come se quello possa essere un ennesimo altare (o tomba?).
Bisognerebbe approfondire con gli strumenti idonei e da persone competenti.
Nelle foto seguenti, si noti come il masso, apparentemente informe, ad una
prima e sommaria ripulitura, abbia rivelato nicchie scolpite, incavi e
sedili:
Non c'è comunque da
meravigliarsi in quanto l'area pullula di macigni con piccoli gradini,
spianate manufatte, solchi di scolo per acque piovane ed altre tracce di
lavorazione (2). Ritornando sui nostri passi, ne incontriamo diversi.
Ripresa l'automobile, ci portiamo nel centro abitato ma da un lato che non
avevo mai visto prima, località "Madonna della Valle", detta anche Porto
Rio. Quando la strada asfaltata si interrompe, si è
obbligati a fermarsi perchè inizia la campagna e si delinea un elegante
edificio, parzialmente invaso dalla vegetazione. E' una chiesa
cinquecentesca, dall'aspetto, ed è appartenuta agli Orsini; oggi è di
proprietà della famiglia Bettini, che sono anche i possessori del
Parco dei Mostri. L'edificio si presenta con la facciata modellata
sull'esempio di un tempio greco-romano ed aggirandolo, ci si accorge che
sorge sulla viva roccia. Grazie al prolifico studioso di storia locale,
Giovanni Lamoratta (che cogliamo occasione di ringraziare) veniamo a
sapere che venne infatti edificata su una presistente sepoltura
antropomorfa, quindi il masso su cui insiste probabilmente aveva anche
funzioni di altare funerario. E' asimmetrica, in quanto ricalca la
forma del masso sottostante. Attualmente è ancora consacrata.
Imboccando
il sentiero a sinistra del monumento, sfociamo in una piccola radura,
protetta dalla rupe, nella quale si vedono 'finestre'
(possibili utilizzi arcaici come abitazioni o tombe sospese). Per la gente
del posto tutto questo è normale. Il paesaggio è questo, il passato è lì che
occhieggia da ogni angolo, e se qualcuno lo ha dimenticato, esso si insinua
nel tessuto urbano, accontentandosi di rimanere muto testimone del tempo, ma
quel silenzio di pietra ha la forza di attirare l'attenzione su di sè come
una calamita. In quest'area sono presenti importanti vestigia del passato,
tra cui un acquedotto ad archi di stile romano; numerosi
altari votivi di epoca antecedente al periodo etrusco, tra cui
l'altare del sole raggiato; mura ciclopiche...Noi continuiamo a
guardare stupefatti la rupe, che qualcuno un giorno ha scolpito e mentre
camminiamo verso la spianata, dove si trova un curioso forno costituito da
blocchi di tufo, la cui volta è stata accuratamente eseguita, meditiamo su
quanti misteri devono ancora essere approfonditi e svelati.