Come in un film. Il ritorno a
Bomarzo, proprio all'inizio del 2011, è la continuazione di una meravigliosa
avventura iniziata nell'agosto 2010 quando, per la prima volta, mi sono
addentrata in questi 'sacri boschi'. Dalla presistoria ad almeno tutto il
medioevo e anche oltre, questi luoghi sono stati teatro di molti avvenimenti
storici, di vite quotidiane che ancora ignoriamo nel loro complesso. Venire
qui è veramente compiere due passi nel mistero di un passato da
riscoprire perche è stato dimenticato. I percorsi, le pietre, le rovine di
questo ennesimo itinerario li ho calcati con la mia affidabile guida locale,
Salvatore Fosci, e ripartiamo esattamente
dove ci eravamo
fermati lo scorso anno, dalla tomba
antropomorfa, di cui conserviamo il nitido ricordo estivo, quand'era
attorniata dall'erba ingiallita dal sole e oggi la ritroviamo ammantata di
umido muschio. Salvatore mi aveva detto che i boschi sacri, in inverno,
sanno regalare atmosfere uniche, stupende, magiche, specialmente quando
dalla nebbia sembrano emergere -dal nulla- avanzi di torri sulle rupi di
peperino, materiale che caratterizza questo territorio della Tuscia
viterbese. Gli alberi più spogli, poi, consentono di indivduare paesaggi
lontani, oltre che i massi nascosti tra la selva,
che risulta ancora praticamente intatta. Oggi 'sconfineremo' oltre Bomarzo,
nel territorio di Soriano.
Come in un
film, dicevamo. E sulle tracce di un reale regista siamo oggi incappati, in
una meravigliosa giornata di sole. Il compianto Pier Paolo Pasolini,
morto prematuramente assassinato nel 1975, si era innamorato di questi
luoghi quando, girando le prime sequenze del Battesimo di Gesù nel film "Il
Vangelo secondo Matteo" (1964), li aveva scoperti. E visitandoli non
si fa fatica a capire il motivo. Al di là di ogni immaginazione, bisogna
venirci e basta, per saperlo! Lo spirito con cui facciamo queste ricerche è
ben lungi dal 'curiosare' nè tanto meno la smania di sbandierare ciò che
svolgiamo. Sono due passi nella Memoria storica e culturale di coloro
che sono venuti prima di noi, e che cerchiamo di capire attraverso ciò che
ci hanno lasciato. A nostra volta, documentando il possibile, offriamo ad
altri un motivo di confronto, di stimolo, perchè fra un certo numero di
anni, i contesti potrebbero non essere più quelli di oggi.
Salvatore
consiglia di iniziare il percorso dalla già citata 'Tomba antropomorfa',
poco distante dalla ormai nota Via Cupa, che condurrebbe alla già
visitata necropoli di Santa Cecilia (v. nostro
report
dell'agosto 2010); ci sarebbe una strada più corta, è vero, ma si
perderebbe tutta la magia e il mistero della scoperta.
Prima
ancora di addentrarci nel fitto del bosco, notiamo - in lontananza- la
sagoma dei ruderi del Castello di Colle Casale, meglio noto come di
Chia (XIII sec.), la cui unica torre rimasta- pentagonale- svetta
sulla rupe. Il paese di Chia - frazione di Soriano nel Cimino- è
accoccolato invece sul versante opposto alla fortezza, che era- un tempo-
una delle più importanti possedute dai papi nel territorio ad oriente di
Viterbo. Quella, tra alcuni chilometri, sarà la meta cui approderemo.
Mentre
camminiamo di buon mattino sul sentiero boschivo, godiamo di impareggiabili
mutamenti paesaggistici; dagli affacci, che si faranno sempre più radi,
rimiriamo la rupe di peperino che strapiomba nella forra, il cielo
limpidissimo di gennaio, e Giove, un borgo sul versante opposto,
adagiato al sole. La mulattiera si restringe e ci spinge a penetrare il
folto del bosco; qui, tra massi caduti (forse alcuni dei quali scolpiti e
utilizzati come ricettacoli sacri), a sinistra, e pareti vertiginose, a
destra, non si sente alcuna inquietudine; il sole filtrante tra i rami degli
alberi fa luccicare d'oro ogni passo, perchè è meglio del prezioso metallo,
quello che stiamo vivendo e accarezzando con i sensi. E' possibile che sotto
il muschio che ricopre molti massi di peperino, o sotto le sterpaglie che li
avvolgono, si possano celare altari, iscrizioni, perfino tombe, o abitazioni
rupestri. Chi può dirlo? C'è ancora molto da scoprire. Su un grosso macigno,
troviamo una croce cristiana, segno di riconsacrazione di un luogo già
'paganizzato'.
Ad
un certo punto, l'udito si concentra su un rumore familiare, acqua che
scorre. Infatti ci stiamo abbassando al livello del greto del Fosso
Castello, e insieme a noi sta calando un'altra atmosfera, assolutamente
surreale. Nell'acqua sono piombati, in epoche remote, grossi macigni di
peperino, che creano vortici d'cqua spumeggiante; alcuni sembrano stati
modellati dall'uomo e forse lo sono, come quello mostrato nella seguente
immagine, che presenta una larga apertura -come una grossa cavità- sulla
superficie superiore:
E' verosimile che gli antichi
abitatori di questo territorio, Etruschi o chi per essi, abbiano affidato a
particolari pietre i loro credo: forse nella cavità albergava un loro nume
tutelare del luogo, o lo spirito dell'Antenato, o vi racchiudevano le forze
impetuose della Natura selvaggia, o -forse- qualche altra Cosa che non
sappiamo. E' curioso anche soffermarsi ad osservare le varie forme che
l'acqua ha dato alle pietre, levigandole, insieme al tempo e al modo in cui
caddero dalla rupe sovrastante. Quella che vediamo sotto, ad esempio, non
ricorda un brontosauro che si abbevera? Ti aspetti da un momento all'altro
che alzi il lungo collo tutto inzuppato e ti guardi stupito, forse quanto
noi...
Mentre cammino, non mi avvedo
di stare attraversando un ponte sul torrente Castello, che tra
l'altro è un tributario del fiume Tevere, ma non è un ponte
qualsiasi: probabilmente risale all'epoca romana, poi riutilizzato
nel Medioevo. Per vederlo appieno è necessario scendere sul greto, sì da
ammirarne la bellezza ma anche avendo la possibilità di contemplare tutto lo
scenario da favola che gli sta dietro. La sua architettura è a tutto sesto
ed è costituito da piccoli blocchi tufacei mentre la parte inferiore poggia
sulla roccia. A vederlo ora, in questo contesto abbandonato, ricoperto di
vegetazione e invaso dall'oblìo, ci si chiede a cosa servisse in questo
punto un ponte, eppure qui la vita era un tempo pulsante. Poco distante,
come vedremo, sorgevano i mulini del grano e dell'olio e per trasportare
queste merci era necessario guadare il torrente. Sicuramente sarà anche
servito per spostamento di animali e truppe.
In questo punto il Fosso si
allarga, spumeggia l'acqua nel suo alveo, tintinnando tra i macigni ma a
pochi passi ci attende -sulla destra - una piccola scoperta: un modesto
complesso scavato nella roccia, costituito da una tomba a colombaio,
di epoca imprecisata, il cui interno è molto
interessante: vi trovano posto una dozzina di 'nicchie' ricavate dalla viva
roccia, disposte sul lato destro dell'ambiente. Le prime quattro sono divise
in un modo che risulti una evidente croce con un foro centrale. Pareti e
soffitto mostrano segni di scalpellatura; nell'angolo destro
dell'ingresso si trova una sorta di piccolo pilastro, mentre all'ingresso
dei fori denotano che l'ambiente venne riutilizzato come ricovero di animali
o di pastori (e quindi chiuso con una sorta di porta o cancelletto);
l'immediata vicinanza, all'esterno, di due mangiatoie
(una terza è completamente
ricoperta da rovi). avvalla l'ipotesi. Sopra una delle mangiatoie c'è una
nicchia sormontata da una vistosa croce potenziata. Un foro situato a
sinistra dell'ingresso, nella parete, è invece piuttosto curioso:a cosa
serviva?
Ed eccole, le rovine
abbandonate e desolate dei Mulini. In una scenografia tra il poetico e il
patetico, ecco palesarsi le sagome sempre più nitide di blocchi, di mura, di
edifici fatiscenti che paiono fantasmi di pietra ricoperti di foglie, di
muschio, e forse di vergogna. Sappiamo che è in progetto un recupero
dell'area, per valorizzarla al meglio(1); fino a non molto tempo fa, questi
Mulini erano operativi, almeno fino al 1950, poi è venuto il buio.
I
Mulini sono di origine medievale. Servivano per la produzione di cereali e
di olio. Aggirarsi tra i ruderi suscita sensazioni profonde, perchè inducono
a riflettere come la mano dell'uomo possa creare ma anche distruggere senza
pietà ogni cosa. E anche l'indifferenza uccide. Macine in frantumi giacciono
sul fondo dei mulini stessi, che venivano alimentati con la forza dell'acqua
del torrente.
Sulle esigue pareti interne
rimaste in piedi e visitabili, si notano dei graffiti, alcuni eseguiti a
compasso, di probabile matrice
moderna.
In un punto particolarmente
suggestivo, sotto l'alta rupe dove sorgono le rovine del Castello medievale
di Chia, il Fosso Castello compie un piccolo salto, presso il rudere di una
diga medievale, che doveva servire a deviare una certa
quantità di acqua necessaria per azionare i mulini.
Nelle
sue vicinanze, infatti, prende inizio un poderoso e lungo muraglione,
al di sopra del quale sono ancora visibili tracce di un canale
utilizzato come condotta dell'acqua; tale muraglione termina inserendosi nel
rudere di un mulino il quale, appoggiandosi ad una protuberanza della vicina
parete rocciosa naturale, forma con essa una vera e propria galleria,
al cui interno corre il sentiero, con gradoni scolpiti nel suolo pietroso,
che conduce alla porta di accesso al mulino(2).
Un arco aperto nel muraglione,
verso il greto del torrente, consente di accedere ad un banco di roccia
levigato dalle piene del torrente medesimo, e cosparso di profonde buche,
chiamate 'marmitte dei Giganti', generate dai vortici d'acqua.
Qui, in questo posto sospeso
tra terra e cielo, illuminati anche dal sole di questo mattino di gennaio,
riviviamo le stesse impressioni che devono aver suggestionato chiunque lo
abbia trovato o vi abbia vissuto in epoche remote.
Ed è proprio in questo punto
che vennero girate le prime sequenze del film di Pasolini "Il
Vangelo secondo Matteo", nel 1964. Qui si svolse la scena del
Battesimo di Cristo, come si può vedere nel pannello affisso in loco, ma
anche dai fotogrammi reperibili in internet al link:http://www.youtube.com/watch?v=uJQx2Fr20dg&feature=related
Il
celebre regista amava definire questo luogo come 'Il paesaggio più bello del
mondo', quando nei mesi invernali i colori pastello e le giornate brumose
regalano sensazioni più intense. Scoprì casualmente questi luoghi, mentre
era alla ricerca di scenari ideali per quel suo film. Ma non fu il
solo:altri registi scelsero il castello di Chia e l'affascinante zona
circostante come sfondo per le loro opere cinematografiche, ad esempio
Monicelli per l'indimenticabile 'Armata Brancaleone' e
Stanley Kubric per alcune scene drammatiche del film "Spartacus".
E dall'azzurro si passa
al rosso, individuando come per incanto una sorgente di acqua ferruginosa
(dall'alto contenuto in ferro, che le cofnerisce la classica colorazione
'ruggine'),situata proprio accanto alla cascata e accuratamente inserita nel
muraglione. Come doveva essere stata importante anticamente...
Ma
inerpichiamoci lungo la galleria ricavata dagli antichi, con addosso una
rara suggestione, mentre il fragore dei flutti si allontana gradualmente,
per lasciare il posto al silenzio in cui è avvolta la mole della Torre di
Chia o Torre Pasolini. Egli la acquistò, insieme ai ruderi della
fortezza, per poterci venire quando poteva (abitazione da diporto).
Purtroppo il resto del castello non si vede, ma egli doveva abitare nella
torre più piccola, non in quella che tutti possiamo ammirare. Questa è
infatti alta ben 42 metri ed aveva una merlatura ghibellina; come ogni
maniero, era preceduta da un fossato artificiale (una parte è protetta
naturalmente dalla sua strategica posizione), e nei pressi vi sorgeva un
piccolo castello. Il fortilizio risale a tempi imprecisati ma si sa
esattamente che apparteneva -nel XIII secolo- al signore di Chia, nobile
Capello, che nel 1260 venne spodestato. I figli di questi, Bernardo e
Ranuccio, vendettero il maniero al Comune di Viterbo. Nel 1280 vi risiedette
Orso Orsini, nipote di papa Niccolò III ( Orsini pure lui). Il pontefice
Martino IV riscattò la fortezza, affidandola a diversi castellani. La sua
posizione strategica, che vigilava il ricco e fertile territorio della
Teverina, era su una delle vie di comunicazione più frequentate, logico che
facesse gola. Ma tra il 1300 -1400 versava già in notevole degrado finchè
venne distrutta dalle truppe assoldate dal cardinale di Ginevra, Roberto,
con l'intento di schiacciare quelle terre che non si assoggettavano al
papato(3).
Nella
sua vetusta e arcana bellezza, per certi versi sinistra, isolata,
dall'insolita forma pentagonale (ne abbiamo incontrata una simile in
Dalmazia,a Zara), solletica ad avvicinarsi, a sondare i misteri celati
dietro le sue mura. Attualmente non visitabile (è di proprietà privata), ci
offre comunque uno scenario incantevole, sullo sfondo di un mirabolante
cielo azzurro.
Un piccolo, ma rispettosissimo,
'scoop' per il nostro sito ce lo ha riservato Salvatore, che nelle sue
lunghe ed intense passeggiate tra i boschi, ha notato un passaggio segreto,
ben prima della Torre ma non chiedetemi dove (non saprei dire...!). Una
piccola porticina lassù sembra sia stata quella usata dal regista Pasolini
per usicre dalla sua proprietà e recarsi al Fosso Castello.
Prendendo
la strada che si dirama sulla destra, si può arrivare- dopo circa un
chilometro- sulla Strada Provinciale 151 Ortana. Noi però ripercorriamo a
ritroso il cammino, con qualche deviazione; incontriamo dei pianori, una
discarica di materiale edilizio e godiamo nuovamente di vedute bellissime.
Mantenedo un po' di forze, poichè ci attendono altre scoperte avventurose
domani!
Back-stage di
Salvatore Fosci: