(di Marisa
Uberti)
Abbiamo
intitolato questo nostro reportage 'Parco dei Mostri' poichè in questo modo
è noto in tutto il mondo: bizzarre sculture, spesso gigantesche e mostruose,
si incontrano infatti lungo il percorso. Abbiamo aggiunto, però, una
domanda: si tratta di una 'dimora filosofale'? Fulcanelli, anonimo
alchimistra del XX secolo, appellava così quei luoghi che nascondevano dei
messaggi ermetici o esoterici, sotto il loro aspetto esteriore. Non si
occupò di questo nello specifico poichè, al tempo in cui egli visse, il
Parco doveva ancora versare in condizioni pietose, ma oggi sicuramente lo
prenderebbe seriamente in considerazione. I 'mostri' del parco -a ben vedere
-sono invece coloro che permisero a questo 'giardino delle meraviglie' di
venire progressivamente abbandonato e, peggio, stravolto nella sua primitiva
disposizione simbolica.
Fino a quando...
Il
committente: Pier Francesco Orsini, detto Vicino
Era il 1542
quando la signoria di Bomarzo passò da Gian Corrado Orsini al figlio
Pier Francesco (1523-1585), detto Vicino. Tale famiglia era molto
ammanicata con i Farnese, tanto che in questo passaggio di consegne
pare abbia svolto un ruolo chiave il papa Alessandro; il giovane Vicino
sposò poi Giulia Farnese. Ma chi era costui? Per capire la sua 'opera', cioè
il Giardino ermetico che ha lasciato ai posteri, si dovrebbe fare luce sulla
sua vita, che rimane per molti versi enigmatica. Fu un condottiero, al
seguito delle truppe papali, ma anche un letterato, che amava circondarsi di
umanisti e filosofi, forse anche di alchimisti. A quel tempo l'Ars Regia
dilagava nelle corti europee; il Rinascimento aveva permesso di tradurre le
migliori opere alchemiche che si stavano diffondendo grazie all'invenzione
della stampa. Il 'Ritorno ad Ermete' era una questione assai sentita e
ricercata. Una cosa l'abbiamo capita, visitando il Parco: Vicino Orsini
conosceva i boschi di Bomarzo e del suo territorio; aveva visto
probabilmente diverse sculture che gli antichi abitatori - Etruschi in
primis- avevano realizzato in essi, trasformando gli enormi massi
erratici caduti dalle rupi di peperino in altari, abitazioni, tombe,
santuari, templi... di cui abbiamo parlato in articoli precedenti. Vicino
aveva capito che quello spirito instillato nella pietra è immortale. Quando
acquisì, dunque, il governo sul territorio, pensò di adattare una parte di
quei boschi sacri al proprio uso personale.
Fece costruire
un magnifico palazzo (ancor oggi svettante sulla rupe di Bomarzo e sede del
Comune) dal quale poter raggiungere un favoloso e immenso Giardino,
realizzato con un'idea geniale: trasformare i giganteschi blocchi di
peperino che giacevano inerti sul terreno, in figure parlanti agli eletti,
affidandovi messaggi criptici, che per molti sarebbero state semplici
bizzarrie, decorazioni capricciose della solita annoiata nobiltà, ma per chi
sapeva discernere rappresentavano un percorso iniziatico dell'evoluzione
umana. Che lo abbia realizzato per farne dono all'amata moglie, che morì
prima di lui (e alla quale avrebbe dedicato il Tempio, posto sopra una
modesta altura, all'interno del parco stesso), o che lo abbiano voluto
insieme, non cambia molto le cose. Forse fu proprio lui a disegnare statua
per statua, ad indirizzarne la disposizione, affidandone la parte logistica
ed esecutiva ad un artista non certo di bassa lega: Pirro Ligorio,
niente meno che allievo di Michelangelo Buonarroti. Da più parti si dice che
fu proprio Ligorio a portare a termine la Cappella Sistina...Nella regia del
Sacro Bosco di Bomarzo pare, inoltre, vi sia da includere proprio
Michelangelo, oltre che il Vignola. Ma non solo: al cantiere del palazzo
Orsini prestarono la propria valente opera altri ex allievi di Michelangelo
e Sangallo, come Raffaello da Montelupo, e scultori del calibro di Simone
Moschino, nipote di Simone Mosca (1). Vicino Orsini si ritirò nella sua
dimora bomarzese -realizzata a partire dal 1552- infastidito e disgustato
dagli affari politici e militari di una società che doveva sembrargli molto
lontana dalla propria sensibilità artistica; non amava andare da una
residenza all'altra, come usavano fare molti nobili del suo tempo,
preferendo stabilirsi a Bomarzo, tra le sue creature di pietra che pare
amasse come esseri viventi, preoccupandosi del loro benessere fisico.
Follia? No di certo. "L'intima connessione tra il profilo singolare del
committente, la sua passione letteraria e la sua sensibilità artistica è
senz'altro una chiave della comprensione di questo singolarissimo
dispositivo architettonico", asserisce Sabine Frommel (op. cit. n.1).
Gli studiosi concordano sul fatto che questo parco è un 'unicum', nel suo
genere, discostandosi nettamente dalla tipologia dei Giardini all'italiana
del tempo. Qui tutto è sorpresa, non c'è una vera e propria regolarità
geometrica, non vi sono lunghi viali abbelliti da fontane, i diversi
elementi sono tra loro svincolati da qualsiasi rapporto prospettico e non
sono accomunati da alcuna coerenza di proporzioni.
Secondo
alcuni, il Giardino delle meraviglie potrebbe essere stato ispirato da un
testo molto in voga al tempo del principe Orsini, l'enigmatico
Hypnerotomachia Polyphilii di Francesco Colonna, conosciuto anche
come Sogno di Polifilo, narrazione - in chiave allegorico/ermetica-
di un sogno lunghissimo, durante il quale Polifilo deve lenire le proprie
pene d'amore per Polia, la sua defunta amata. Egli intraprende così un
viaggio iniziatico nel tentativo di sfidare la morte e ricongiungersi con
lei.
Nulla è eterno,
forse solo la pietra e così... alla morte di Vicino, i discendenti
abbandonarono il Parco, che cadde nell'oblio. La stessa sorte che era
toccata a tutti gli altri boschi sacri del territorio. Chissà se lui lo
aveva preventivato. Pare che i contadini vi coltivassero, che gli animali vi
pascolassero, e nessuno sembrava più interessato a capire il significato
delle statue, spostate dalla loro originaria collocazione o ricoperte di
terra. I visitatori dotti, però, non mancavano di rilevare e descrivere i
simboli di cui era grondante il fantastico giardino; Goethe, Lorrin, Dalì...
sono solo alcuni dei nomi celebri che lo hanno visitato, attirando la
curiosità di altri ed ispirando numerosi artisti.
Nelle foto
sotto, gentilmente passatemi da Giovanni Lamoratta (e con il suo permesso
qui pubblicate), vediamo il famoso 'Orco' (testa antropomorfa) utilizzato
come ovile...
E, nella
seguente, il dio Nettuno, stravolto; mentre vasi e cocci giacevano sparsi
sul terreno...:
La proprietà
passò di mano in mano, fino a che nel XX secolo, venne messa all'asta. Il
Comune di Bomarzo -ritenendo che il palazzo fosse più importante del
faticente parco- acquistò la dimora, adibendola a sede del Municipio. Il
Giardino venne così acquistato dalla famiglia Bettini (1954) la quale,
riconoscendone il valore, iniziò i lavori di recupero, cercando tra gli
anziani del posto la memoria di coloro che ricordavano ancora l'esatta
disposizione delle sculture che erano state spostate. Fu un lavoro
estenuante, ma alla fine i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
All'interno del Tempio, già citato, troviamo una targa che ricorda i Bettini
quali artefici del ritrovato splendore del Parco delle meraviglie. Negli
ultimi decenni, l'analisi dei simbolismi presenti in esso ha favorito la
produzione di testi incentrati sul significato alchemico delle sculture
ospitate nel Parco, cercando così di svelare il mistero che per secoli le ha
avvolte. Forse, in qualche pietra nascosta, lo spirito di Vicino si è
annidato per sempre e guarda compiaciuto- tra il serio e il faceto- lo
sforzo dei posteri. A proposito, dov'è stato sepolto, il principe?
Il percorso
Acquistiamo il
biglietto e usciamo all'aperto. La splendida giornata estiva, mitigata da
una leggera brezza, ci consente di prenderci tutto il tempo necessario per
osservare ogni angolo di questo decantato Giardino. Ne abbiamo sentite
tante, di storie, da coloro che già ci sono venuti, tutte entusiastiche. Ma
venirci di persona è completamente diverso: soltanto così si può capire -e
ciascuno per sè- il senso di tante e tali 'follie pietrificate', che
assumono subito -grazie ai sibillini versi dell'Orsini - un carattere
enigmatico di sfida.
L'itinerario
prevede di spostarsi secondo una numerazione data dalla mappa che viene
fornita all'ingresso ma il viale dove si trovano le sfingi è ambiguo: si
potrebbe imboccare la destra oppure la sinistra (e il Parco qui finirebbe),
oppure ancora- dopo pochi metri- si potrebbe scendere. Bisognerebbe capire
veramente a fondo come lo aveva previsto in origine l'Orsini e se tutto è
ancora rimasto secondo il suo volere. L'ingresso originario, tra l'altro, si
sa che non era quello attuale, ma dalla Casa Pendente. E le sfingi
erano davanti ad essa? Decifrare i simboli è una delle cose più difficili,
specialmente volendoli raccordare all'intero contesto, rischiando di
attribuirvi ad ogni costo un senso, costringendoli ad assumere valenze
talvolta solo probabilistiche. Se questo del Parco fu un itinerario dove il
neofita deve trovare la propria realizzazione, dovremmo rintracciare le
'fasi' dell' Opus alchemico, mascherate sotto mentite spoglie, ovvero
sia, le allegorie, i personaggi mitologici, perfino fiabeschi, ma dato che
l'alchimia usa un linguaggio estremamente variegato, il problema è
riconoscerlo e poi decifrarlo correttamente. Noi ci siamo già occupati di
questo, in un'altra sezione; non ripeteremo -pertanto -i concetti
fondamentali alchemici, ma ci limiteremo ad osservare quegli elementi che
potrebbero sottendere un duplice significato, esoterico (per pochi), ed
essoterico (per tutti). Senza la pretesa di risolvere gli arcani che l'Orsini
ci ha lasciato in eredità...!
L'Alchimia si
compone di quattro fasi principali, corrispondenti a dei colori
tradizionali, ma anche alle fasi della vita, agli umori, alle stagioni, etc.:
Nigredo, Albedo, Citrinitas, Rubedo (spesso ridotte a tre, Opera al Nero(Nigredo),
al Bianco (Albedo)e al Rosso, Rubedo). Non c'è vita senza morte e dunque per
nascere 'nuovi' bisogna morire a se stessi. La prima fase è quella della
notte dell'Anima, della mortificazione della Materia grezza, dell'Uomo vile
e comune. Il suo viaggio negli inferi è quello che compie dentro di sè,
superando gli ostacoli e le prove più dure, come Ercole, che infatti
troveremo quasi all'inizio di questo cammino.
"Tu ch’entri
qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per
inganno o pur per arte". Primo avvertimento: fai attenzione,
tu che ti avventuri in questa 'impresa', parte a parte (separando e
raffinando, come esige la pratica alchemica), se le meraviglie che incontri
sono fatte per ingannare (illusione) o per arte (così è anche appellata, dai sui
discepoli, l'Alchimia).
Chi non si
sentirebbe sfidato, leggendo quanto è scritto sotto una delle due sfingi che
incontriamo appena varcato l'arco merlato d'accesso, a guardare con altri
occhi? Noi di 'due passi' sicuramente si. Sfidati perchè da un lato
rischiamo di vedere ciò che non c'è, ciò che Vicino potrebbe aver messo per
burla e noi lo scambiamo per messaggio ermetico ad ogni costo, dall'altro
può accadere il contrario. L'abilità di Vicino e dei suoi
architetti-scultori è stata orchestrata ad arte!
Sotto l'altra
sfinge è scritto: "Chi con cigli inarcate et labbra strette non va per
questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette".
Come non
scorgere, nell' "avvertimento" del principe, l'invito al rigore e al
silenzio (labbra strette) iniziatico?
I versi sono
stati incisi e ripassati di colore rosso. Perchè affidare a delle sfingi i
primi messaggi? Non era questo, però, il mostro famelico che mise alla prova
Edipo? Ed egli, risoltolo,
potè entrare a Tebe come un eroe... Già, dovremmo cominciare a riflettere su
questi 'indovinelli' apposti dall'Orsini... Il riferimento al 7, che qui allude letteralmente alle Sette
Meraviglie del Mondo Antico, potrebbe in realtà rifarsi alle 7 operazioni
del magistero alchemico, ai 7 colori dell'Iride e alle 7 note musicali,
tutti elementi collegati all'Arte...
Prendiamo
la destra e incontriamo quello che è definito 'il Mausoleo',
perchè sul frontone sono scolpite delle figure analoghe a quelle situate su
una tomba etrusca -la cosiddetta 'tomba della Sirena' -a Sovana, località a
pochi chilometri da Viterbo. Si presenta come un masso dimezzato e divelto
sul terreno, in modo alquanto caotico: potrebbe proprio alludere al 'caos'
primordiale che nasconde già la sua Forma perfetta ma deve essere estratta. Sul frontone vi sono delle sculture ad altorilievo che
rappresentano una sirena che stringe tra le sue due code due fanciulli; sul
manufatto è inoltre scolpita una ninfa marina che tiene in mano una
melagrana. Ecco, questi sono dettagli illuminanti, a nostro avviso: la
sirena- metà terrestre e metà acquatica -allude al mercurio iniziale. La
Pietra dei Filosofi è prodotta dall'unione delle due Nature. La melagrana è
sinonimo di abbondanza e messa qui potrebbe appunto indicare che la Materia
grezza fruttificherà e trasmuterà se si seguirà la Via giusta... Il
premio finale per il Saggio.
Poco
oltre, c'è una panchina che ha un curioso cuscino di pietra, sul lato
destro. Sullo schienale, sono invece presenti degli stemmi nobiliari (c'è
posto per tre ma se ne vedono due, forse il terzo è stato cancellato o non è
mai esistito?), e tra i due vi è inciso un piccolo cartiglio, nel quale non
si riesce a distinguere scritta.
Ancora si
potrebbe scegliere quale direzione prendere, ma la 'mappa' consiglia di
scendere le scale, fiancheggiate da una bella cascatella d'acqua, e qui ci
attende davvero una sorpresa... colossale!
Una
muraglia sulla destra reca due versi dell'Orsini, uno all'inizio della
scalinata e l'altro proprio nei pressi del gruppo statuario gigantesco. La
prima recita: “Se Rodi altier fu già del suo colosso pur di questo il mio
bosco anco si gloria ed per più non poter fo quanto posso". La seconda,
sfortunatamente, è troppo rovinata per poterne fare una lettura. Chi
vediamo? Un uomo gigantesco,
Ercole, forzuto e possente, tiene per
gli arti inferiori, dominandolo, un altro essere (non chiaro se donna o
uomo, veramente!) titanico. Possiamo
considerare che Ercole, così come tutti gli eroi mitologici (Ares -Marte,
Cadmo, Perseo...(ma anche alcuni santi guerrieri, come Longino, S. Michele o
S.Giorgio), rappresentano il principio maschile o zolfo che affronta,
armato di spada, il drago mercuriale (le due Nature che si devono
scontrare per unirsi).
L'iconografia
che normalmente viene ravvisata nel monumentale gruppo statuario è quella di
Ercole che ha la meglio su Caco(dal latino Cãcus), sulla cui identità c'è
incertezza. Era forse un 'nume' tutelare del luogo nell'antica Roma o un dio
legato al fuoco? I suoi capelli sono volutamente sparsi a raggiera (paiono
fiamme), e questa rappresentazione potrebbe alludere agli elementi
alchemici: il fisso e il volatile. Intorno ai due soggetti principali, si
intravedono un elefante che fa capolino, un guerriero con una corazza...
Questo emblema è uno dei più noti in Alchimia. I capelli del soggetto che
Ercole tiene per gli arti inferiori, a testa in giù, sembrano fiamme e
potrebbero indicare il 'Fuoco segreto' degli Alchimisti senza il quale
nessuna operazione darebbe risultati. Fulcanelli scrive che questo è il
segreto più alto dell'Opera, che lo costrinse a rimanere fermo per oltre
vent'anni dalla sua realizzazione. "E' un mistero che dipende dal Padre
della Luce e, ancora, la scintilla vitale comunicata dal Creatore alla
materia inerte". E' chiamato con vari nomi (Fuoco Sacro, Spirito, Raggio
Igneo, eccetera).
Scendendo
altre scale, in un paesaggio bucolico, si vede- purtroppo da lontano per
l'impossibilità ad avvicinarsi causa recinzione- una gigantesca tartaruga
collocata su un masso che- verso il torrente- assume la forma di prua di una
nave. Allusione alla Via da seguire? Umida o Secca? L'erudito J. Fabricius
ci informa che l'aspetto esterno di una tartaruga ricorda molto uno
strumento usato in alchimia, la bacinella materna (2). L'animale reca sul dorso una statua femminile, la quale- a sua volta-
si erge su una sfera (viene identificata con la vittoria alata greca,
Nike,
figlia di Pallante e di Stige). La tartaruga sta fissando in eterno un animale con le fauci aperte
che emerge dall'acqua... I pericoli che l'Alchimista corre (la bestia
alchemica conduce alla perfezione, quella infernale alla distruzione).
Nel
centro di una fontana senz'acqua, vicino al gruppo della tartaruga, è
collocato il cavallo alato, secondo la mitologia
Pegaso, il
cui nome greco significa 'sorgente', poichè si credeva originato alle fonti
dell'Oceano, nell'estremo Occidente. Il manufatto poggia su una pila di
pietre, che alla base sembrano formare un arcaico altare. Pegaso uscì dal
collo della Gorgone, quando Perseo riuscì a decapitarla e in
quel luogo sgorgò una sorgente..Il Cavaliere deve liberare la bianca
principessa che si annida nel drago ermetico.
Si incontrano
altre sculture lungo il percorso, che prosegue obbligatoriamente a sinistra.
Ma nemmeno la mappa ne dà segnalazione, forse devono ancora trovare una vera
e propria interpretazione e denominazione. C'è inoltre da dire che alcuni
manufatti devono ancora essere resi fruibili al pubblico... Probabilmente
nuovi scavi e ricerche regaleranno altre sorprese.
Proseguendo nel Cammino, si
trova un ampio spiazzo, dove si trovano dei ninfei, alimentati
originariamente da fonti d'acqua. Le sculture in pietra potrebbero
raffigurare le tre Grazie nude, simbolo della Bellezza; qui le
troviamo abbracciate e, cosa particolare, una è di spalle e mostra il
posteriore, le altre due sono di faccia. Potrebbe essere un'allusione
all'unione dei tre Principi (Zolfo, Mercurio e Sale), oppure alla
ripetizione per tre volte del processo. Ai lati vi sono delle nicchie
(una a destra e una a sinistra,vuote). A destra, poco discosto dal
precedente, si presenta quello che poteva essere un secondo ninfeo, con ai
piedi due tritoni. Due leoncini sono collocati dirimpetto, con una zampa su
una sfera. Nei pressi c'è una grande vasca, in cui un tempo vi arrivava
l'acqua dalla bocca di due delfini in pietra. Sul ninfeo c'è il cartiglio
con i versi enigmatici lasciati dall'Orsini, ma se ne legge solo uno
stralcio:" L'ANTRO, LA FONTE E IL LIETO CIELO. LIBERO L'ANIMO DI OGNI OSCUR
PENSIERO...". Bella meditazione filosofica.
Una grande statua della dea
Afrodite
(Venere per i Romani) occupa una nicchia a sinistra. La
dea, incarnazione della Bellezza e dell'Amore per antonomasia, è raffigurata
nella sua classica posizione sopra una conchiglia. Venere è anche un pianeta
e solitamente viene associato al rame ma in Alchimia la Venere metallica non
si identifica con questo metallo: "[...]il nostro 'mercurio' è bianco
come le vesti della dea e dalle capacità attrattive nei confronti delle
energie spirituali"(4). La conchiglia è il geroglifico della Mente
nobilitata, della Sapienza e della Via Umida. E' un soggetto di grande
rilevanza. Infatti, con le tre ripetizioni della prima fusione, se tutto è
andato bene, si vedrà apparire, sul 'compost' alchemico, un segno, chiamato
'stella del mattino', cioè Venere: è un segno detto 'artiglio del grifone',
che graficamente si esprime con una Stella di Davide. Ancora Fulcanelli
scrive:"Dal combattimento che il cavaliere, o zolfo segreto, ingaggia con
lo zolfo arsenicale del vecchio drago, nasce la pietra astrale bianca,
pesante, brillante come puro argento e che appare segnata, infatti porta
l'insegna della sua nobiltà, l' 'artiglio', tradotto esotericamente col 'grifone',
sicuro inizio di unione e di pace tra il fuoco e l'acqua, tra l'aria e la
terra".
Chiaramente nel
bosco trova spazio un habitat floro-faunistico di notevole varietà. E' anche
possibile che l'Orsini avesse voluto, accanto alle piante spontanee già
presenti, quelle di essenze o legate alla mitologia, piante simboliche, per
capirci. Non siamo a conoscenza di tali aspetti, e nemmeno di eventuali
animali espressamente da lui voluti all'interno del Parco. "Afrodite era
la dea greca dell'Amore, nel senso più ampio del termine, poichè impersonava
l'attrazione delle singole parti dell'Universo tra loro[...]Secondo una
leggenda era figlia della schiuma del mare, fecondata dai genitali di Urano,
che suo figlio Crono aveva tagliato e gettato dal Cielo[...]L'aspetto più
diffuso e popolare del suo culto fu quello in rapporto alla vita sulla
Terra, dove assunse il ruolo di divinità di tutto ciò che fiorisce e
fruttifica, di ciò che rinasce e rallegra, e perciò le sono sacri i fiori e
i giardini, la Primavera e i suoi impulsi di giovinezza e di vita. A lei fu
consacrato il mese di Aprile[...]" (3)
Arriviamo
quindi a quello che è definito 'il Teatro', dove l'Orsini fece
incidere una frase che purtroppo è monca. Si riesce a leggere ":PER SIMILI
VANITA' MI SONO AC...TO ON...PARMI...COR...". Che cosa voleva
dire? Qual'era la frase completa? Allude al fatto che inseguiva l'Alchimia
con intenti di gloria (vanità), che gli costarono care? Su un altro
pilastrino è invece scritto "VICINO ORSINO NEL MDLII".
Restiamo
sbalorditi per l'edificio che giganteggia, completamente inclinato, davanti
a noi: non subì alcun spostamento ad opera di terremoti o smottamenti, ma
venne realizzato utilizzando un masso erratico che si trovava già in quella
posizione. Un prodigio del Ligorio?
Fuori
dall'edificio troviamo il cartiglio con i versi del suo committente:"
QUEISCENDO ANIMUS FIT PRUDENTIOR ERGO" ("Con il riposo lo spirito diventa
più saggio").
Assai misteriosa come epigrafe, sebbene condivisibile! La materia alchemica,
il 'compost', ha necessità di quiescenza -la lenta cozione- per divenire
perfetta. Questa casa doveva impersonificare un 'athanor'? E ricordiamo che
doveva essere l'inizio del cammino...un po' strana come combinazione ma non
pretendiamo l'impossibile; infatti sono decenni che i più valenti studiosi
cercando di penetrare il segreto ermetico delle 'spigolature' del principe
Orsini.
Vi è anche
un'altra epigrafe, una dedica- si dice- al cardinale Madruzzo -principe di Trento
-che venne in visita qui.
La
casa pendente procura stranissimi effetti, dovuti al fatto che -all'interno-
il proprio baricentro viene alterato e si provano vertigini, difficoltà a
mantenersi eretti e stabili, ma che prova per chi resiste! Questa doveva tra
l'altro essere la prima struttura che i visitatori incontravano, entrando
nel Giardino, in quanto sembra accertato che il primitivo ingresso dovesse
essere qui.
Proseguiamo
l'itinerario; il tempo scorre senza che ce ne rendiamo conto. Siamo immersi
nel fantastico mondo di Vicino Orsini, e anche se quattro secoli ci separano
da lui e dal suo tempo, c'è qualcosa che è rimasto nella pietra e che ha
portato con sè il suo messaggio: la ricerca dell'immmortalità?
Troviamo
un bellissimo terrazzamento contornato su entrambi i lati da filari di
eleganti vasi anforiformi: forse in antico ciascuno recava impresso un
verso del principe Orsini, ma attualmente se ne distinguono un paio, di cui uno
chiaramente, l'altro assai meno. Il 'vaso' è simbolo
dell'anima e metafora di vita: è
assimilabile a molti 'soggetti' dell'Opera (il grembo, il cuore, la grotta,
il calice, il Graal, è il recipiente dove la materia si trasmuta e rinasce a
nuova vita, come il 'calderone celtico', se ben si fa mente locale). Ma
quale vaso l'Orsini ha eletto metaforicamente quale vaso dell'Opera?
Il
verso più leggibile sembra fare riferimento alla fonte, che in effetti è
situata di fronte: al centro vi campeggia un gigantesco Poseidone, o
Nettuno per i Romani, dio del mare. E' ritratto in una posa inconsueta,
seduto, con le gambe piegate e portate all'indietro, come riposasse dopo un
lungo lavoro (l'alchimista che sta badando alla 'cozione' del 'compost' nel
suo bagno mercuriale?); la sua mano destra è posata sopra un piccolo delfino
(il pesce è allegoria della Pietra Filosofale). Non è un caso che nel
trattato alchemico 'Mutus Liber' , un' iconografia mostri dei pescatori in
barca che cercano di prendere -con ami e lenze- proprio un delfino (o
pesce regale; così il Delfino è anche il figlio maggiore del Re,
che cingerà la corona...). Il braccio sinistro è spezzato ad altezza
del gomito, pertanto è impossibile sapere se avesse il classico tridente.
C'è anche tenerezza nella bellissima
posa della cosiddetta 'Ninfa dormiente', una scultura gigantesca
situata lungo il vialetto attiguo. La giovane donna sembra essere
addormentata (o morta?), e accanto veglia il suo cagnolino, a cui fu mozzata
la testa dopo l'abbandono del Giardino. Il nome della ninfa è Nife; queste
creature presidiano luoghi sacri come le acque, i boschi e le campagne, e
conferiscono fecondità e grazia. All'occorrenza diventano però assai
temibili.
Ritornando
indietro, si prosegue il percorso incontrando la statua della dea
Demetra (Cerere
per i Romani), popolarissima divinità derivante dalla egizia Iside, alla
quale erano riservati i Culti Misterici dell'antichità, rigorosamente tenuti
sotto silenzio. Ai santuari della dea, era vietato l'ingresso a tutti coloro
che non avevano ricevuto l'iniziazione. Fulcanelli scrive: "A Roma, le
Cerealies si celebravano il 12 aprile e duravano otto giorni; in quell'
occasione veniva portato in processione un uovo, simbolo del mondo, e ad
esso venivano sacrificati dei maiali". La dea è rappresentata con un
canestro sul capo, ricolmo di grano (era la dea dei campi e
dell'agricoltura) e di frutta, che normalmente sono i suoi attributi. Un
piccolo fanciullino gioca sulla spalla sinistra della dea, mentre da dietro
un altro personaggio è trattenuto, da due tritoni, a testa in giù.
Nei pressi,
incontriamo un mastodontico elefante, sormontato da una torre
(l'iconografia ricorda parecchio quella del frontespizio del manoscritto
corsiniano 34K19), che stringe nella proboscide un Legionario agghindato
alla foggia romana; di lì a poca distanza un enorme drago alato
(dall'espressione anche simpatica!) è attaccato in eterno da tre animali:
leone, cane e lupo. Sulle ali aperte, nella parte interna, si osservano
delle 'mezzelune' (simbolo del mondo arabo?). Secondo Plinio, nella sua 'Naturalis Historia', drago ed
elefante sono accerrimi nemici: il primo d'estate va alla ricerca del
secondo per nutrirsi del suo sangue 'freddo'; lo trova e lo aggredisce,
azzandolo con i denti aguzzi ma nello stramazzare, il pachiderma lo
travolge. Muoiono così entrambi. Il drago, in Alchimia, è ben noto e ne
Il linguaggio
dell'Alchimia ne
abbiamo trattato a lungo. Figura principalmente nella prima fase o
Nigredo; Un discepolo di Dom Pernety, Kerdanec de Pornic, nel suo Libro
dei 22 fogli ermetici, scrive "La materia prima è un drago nero coperto
di scaglie". Altri nomi che gli alchimisti gli affibiano sono: libro,
fontana, terra, acqua, antimonio, piombo (notasi la varietà e
perfino la contraddizione degli epiteti, che serviva a sviare gli avventori
e i presuntuosi). La collocazione in questo punto del Parco rivela come
l'itinerario sia stato alterato da come doveva presentarsi in origine, non
consentendo più una lettura organica del contesto globale.
Anche la
'caverna' che si spalanca dietro le fauci della statua forse più famosa del
Parco, quella detta dell' Orco, potrebbe appartenere ad una
delle fasi iniziali del percorso, chissà... E' così enigmatica e
straordinaria da farci dimenticare i significati ermetici che stiamo
cercando di individuare e di riordinare! Ma guardatela un po': come può
essere venuta al principe Orsini e all'architetto Ligorio, questa idea? E'
fantastica! Sul labbro superiore, a semicerchio, è inciso il verso: OGNI
PENSIERO VOLA.
All'interno si trovano un
tavolo, al centro, e una lunga panca addossata alla parete. Ricordiamoci che
queste sculture furono realizzate da enormi blocchi di peperino:non si
poteva sbagliare, altrimenti un altro masso uguale, dove si trovava? E,
soprattutto, come si sarebbe portato nel punto voluto? Molta perizia,
dunque, fu riposta nell'esecuzione delle statue di questo parco. Guardando
dall'interno, i due supposti denti (come appaiono da fuori) diventano un
palato, e i due occhi (come appaiono all'esterno) sono fari illuminanti.
Forse c'è anche un orientamento astronomico da valutare. Alla bocca
dell'Orco si arriva salendo nove scalini. L'ambiente interno -senza sapere
esattamente perchè- ci ha ricordato qualcosa legato alla meditazione, che
qui poteva essere svolta dai proprietari o, forse, anche qualche rituale
iniziatico? Probabilmente non lo sapremo mai.
Siamo anche
andati a vedere sul retro cosa celi la gigantesca testa antropomorfa e in
cima, e questa è la foto:
Il Grande Vaso, retto da un treppiede, si innalza nel bel mezzo del
prato antistante, dove il bosco lascia il posto ad una piccola radura. le
facce del vaso recano scolpite delle figure, tra le quali una Testa di
Medusa. Su una faccia c'è un'apertura, o meglio un foro, come in un'urna
cineraria,,, Incontriamo poi un solitario Ariete (che ci ricorda
l'oggetto dell'Opera, il Vello d'Oro, sinonimo della Pietra
Filosofale) e, nei pressi, un bellissimo triclinio, o panchina. sormontato
da un'arcata, sotto la quale è inciso un altro dei versi del principe:
"Voi
che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte e stupende,
venite qua, dove son faccie horrende elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi".
Questa frase sembra pure più aderente ad una fase iniziale del percorso
in questo Giardino. Il manufatto appare leggermente inclinato.
Aggirandosi
per la radura, si noterà una piattaforma: avvicinandosi, si potrà osservare
che vi è scavata una fossa, come se si trattasse di una sepoltura,
forse originale? Intendo dire che l'Orsini avrebbe potuto trovarla in situ
(questo era un bosco sacro come quelli che abbiamo documentato nelle altre
sezioni) e averla inglobata nel suo Giardino. Chissà...
Prendendo
la sinistra, si raggiunge un gruppo di statue di eccezionale suggestione e
colpo d'occhio. Prima di queste, però, vediamo due orsi, a pochi metri di
distanza l'uno dall'altro: sono gli stemmi della famiglia Orsini.
Uno porta il blasone, l'altro la rosa romana. Anche l'orso è un
animale simbolico in alchimia: rappresentava la Nigredo,
la prima fase, ed era assimilabile al 'vaso pericoloso'. La grande rosa, è
un altro simbolo fondamentale nel simbolismo ermetico, paragonabile al vaso
o coppa che raccoglie il sangue di Cristo (Graal); spesso è ricollegata
simbolicamente alla Vergine; è anche l'immagine dell'anima che ascende allo
sposo celeste. In Alchimia la parola rosa, si accosta al latino ros,
e significa pioggia, rugiada, potrebbe alludere a quella rugiada celeste
cara agli alchimisti.
Dietro ai due orsi di pietra occupano un notevole spazio due mostri
mitologici, Echidna (corpo di donna e code di serpente al posto delle
gambe) e Furia(?) (mostro infernale alato, con code da sirena), in mezzo
ai quali stanno due leoni (5). Com'erano originariamente colorati? O
non lo erano affatto? Potrebbe essere molto interessante scoprirlo: se
fossero stati l'uno rosso e l'altro verde, avremmo un indizio
in più che il committente, di alchimia, non fosse digiuno proprio. Comunque
pare di vedere che questi due leoni hanno il capo girato in due direzioni
diverse. Scrive Marcello Fumagalli:
"Nell’iconografia
egiziana il leone era molte volte ritratto in coppia, con lo sguardo di uno
rivolto all’orizzonte, opposto dell’altro. Essi disegnavano l’arco che il
sole compiva nel cielo andando da Est a Ovest, dal suo sorgere al suo
tramontare. Il medesimo significato fu ripreso nel complesso codice dei
filosofi alchemici che affidarono all’immagine del Leone giovane quella
dell’alba e al Leone vecchio e malato quella del tramonto. Questa duplicità
si tradusse nella distinzione alchemica tra Leone verde e rosso che
materializzavano l’uno l’inizio e l’altro la fine dell’opera"(5).
Il leone è la metafora del principio maschile, solforoso e fisso,
penetrante, igneo, (la 'psiche') che deve scontrarsi con l'opposta natura
mercuriale e volatile,
leggera, sottile, femminile, lunare, (l'Intelligenza Universale). Il
'sale'- il mediatore tra le due -si associa volentieri sia al fisso che al
volatile. Il principio maschile (zolfo) dovrà attirare verso di sè la
parte solforosa contenuta nella natura mercuriale, e viceversa. Tale è il
più cruciale dei processi alchemici: l'unione delle due Nature, ad opera del
Fuoco Segreto, cosicchè dal drago ermetico spunti fuori la bianca
principessa o Calamita dei Saggi.
E
prima di salire la scalinata che ci condurrà al Tempietto, incontriamo una
panchina conformata su una statua femminile identificata come
Proserpina.
Anche qui, un
riferimento con l'Alchima c'è. Il Filosofo, infatti, prima di scendere nell'Ade,
metafora dell'inferno in cui Plutone tiene prigioniera l' anima creativa di
Proserpina, deve realizzare l'autocoscienza di sè per poter governare la sua
trasformazione. Poco dietro alla nostra dea, un incontro interessante!
(Foto gentilmente fornitaci da Giovanni Lamoratta e qui pubblicato con il
suo permesso; i riferimenti sono nella didascalia). Il
cerbero
o cane a tre teste, paradigma dell'intera Arte; è il mostro ermetico
composto dai tre protagonisti delle operazioni per via secca: la materia
prima grezza (mercurio), il cavaliere armato (zolfo), il sale mediatore.
Mentre
ci accingiamo a salire la gradinata che ci lascia già intravedere un
bellissimo tempio, notiamo che la stessa è fiancheggiata da una serie di
pigne, simbolo arcaico legato ai gradi iniziatici. E' emblema della
fertilità, perchè ricolma di semi, è indice di abbondanza, di nascita e di
rinascita. La sua forma ricorda un uovo, e in alchimia l'uovo filosofico,
che compare nella terza fase dell'Opus, Deve superare la prova della grande
cozione finale...
Ma
i versi del principe Orsini, dove sono andati a finire? Molti sono
cancellati. Superata la scalinata, ne troviamo uno, molto lungo, addossato
ad una struttura alquanto enigmatica, munita di una scala a spirale.
Ed ecco il
Tempietto, costruzione che inizialmente non doveva far parte del complesso
ma -sembra- venne realizzato alla morte della prima moglie di Vicino,
l'amatissima Giulia Farnese, che in via teorica dovrebbe essere sepolta
proprio qui. Il tempio è chiuso ma si riescono a scorgere, all'interno, due
targhe, dedicate ai coniugi Bettini. In particolare, la signora Tina
Severi Bettini è elogiata per le cure riposte nella sistemazione del
Giardino, morendo per una contusione procuratasi proprio mentre attendeva
alle attività di ripristino. Triste sorte!
Il monumento è
preceduto da un pronao colonnato, sull'impronta di quello classico. E'
sormontato da una cupola e da una lanterna.
All'interno si vedono anche i segni dello Zodiaco. Un bel manuale(6)
ci informa che essi sono disposti secondo il sistema solare e non come siamo
abituati a conoscerli. " Infatti l’abside corrisponde al mese di Luglio e
del Segno del Leone, governato dal Sole. Poi troviamo il segno del Cancro
(con la Luna). Successivamente troviamo gli altri pianeti: Mercurio (che ha
domicilio sia in Gemelli che in Vergine), Venere (domiciliata in Toro e
Bilancia), Marte (Ariete e Scorpione), Giove (Pesci e Sagittario), Saturno
(Acquario e Capricorno). Si può dedurre quindi che chi realizzò questa
disposizione aveva cognizioni di astrologia e di astronomia. Tra l’altro la
costruzione del Parco delle Meraviglie era iniziata qualche anno dopo la
pubblicazione del “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico, dove
l’astronomo polacco esponeva la sua tesi della teoria eliocentrica".
Nella foto
sotto, per gentile concessione di Giovanni Lamoratta, si vede il disegno
esplicativo (i riferimenti bibliografici sono nella didascalia):
Chiaramente, se
il principe si interessava di Alchimia, sappiamo che a quel tempo la
coniugazione con l'astronomia e l'astrologia era assicurata...
A questo
livello del Parco, c'è un'altro ingresso, chiuso da una bella cancellata.
Forse un accesso realizzato posteriormente alla proprietà degli Orsini?
L'itinerario ci
porta a scoprire ancora alcuni manufatti che, secondo altre varianti, si
potrebbero fare all'inizio. Crediamo però che si possano inserire in
fondo a questo percorso 'iniziatico', fatto un po' a modo nostro.
Siamo ritornati
sul viale delle sfingi (iniziali), ma giriamo a sinistra e facciamo la
conoscenza di alcuni interessanti personaggi mitologici, mai messi a
sproposito. su un blocco di pietra troviamo la scultura del volto di un
vecchio saggio; poi -più avanti- fiancheggianti il viale, in sequenza,
troviamo una serie di teste di straordinaria valenza simbolica: i Fauni, e
poi Giano (l'apritore delle porte, colui che segna il passaggio dal
vecchio al nuovo), con un occhio che guarda dritto ed uno di lato... Recano
dei cesti dell'abbondanza sul capo, indice di raccolti fecondi! Incontriamo
anche la
Triplice Ecate, divinità psicopompa greca che aveva la
prerogativa di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli
Dei ed il regno dei Morti e sovente viene raffigurata con delle torce in
mano. E' raffigurata giovane, matura e vecchia. E' frequente la sua
collocazione negli incroci (trivi) per proteggere i viandanti. Alchemicamente, potrebbe essere utile ricordare che la natura di questa dea
è ibrida, essendo sia maschio che femmina ed è quindi androgina (il Rebis).
Per questo motivo viene definita la fonte della vita e le viene
attribuito il potere vitale su tutti gli elementi. Sembrerebbe che il
principe Orsini abbia voluto instillarci il dubbio che l'adepto ha
realizzato il proprio scopo... O, quanto meno, avesse ben presenti gli scopi dell'Opus!
L'ultimo
soggetto, giù in fondo al giardino, rinchiuso e isolato, cosa rappresenta?
Abbiamo ancora bisogno di un elemento per decretare conclusa quest'Opera?
Forse sì. Andiamo a scoprirlo...
E' definito
Proteo , una divinità marina che
forse venne scelto dall'Orsini per indicare proprio la capacità di
trasmutazione che l'Alchimia conferisce a coloro che hanno seguito la giusta
Via. Proteo - il cui nome significa 'primo nato', ha la bocca spalancata,
vuota, e regge una enorme sfera (a strisce) che potrebbe simboleggiare il
mondo. Su di esso c'è un edificio, una fortezza (athanor?). Bisognerebbe
accertarsi di dove fosse collocata questa scultura inizialmente o meglio, da
dove partisse veramente il percorso iniziatico, come si sviluppasse e
dove terminasse. Soltanto così potremmo, oggi, a distanza di 4 secoli,
tentare di ripercorrere in maniera corretta i passi del principe Orsini nel
suo sogno di immortalità.
Sarà il vento
che si è alzato tra i rami, a rendere per un istante vive queste statue,
come le considerava lui. Ho l'impressione che Vicino- da qualche parte - ci
abbia ascoltato e si sia divertito alle nostre ipotesi. Forse si nasconde
dietro il sorriso sornione di qualche fauno, tenendosi ben stretto il suo
segreto.