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                                                                                                 (di Marisa Uberti)
          

Eccoci in Tessaglia, una regione posta nell'area nord-occidentale della Grecia. Un luogo unico nel suo genere, caratterizzato da vertiginosi torrioni naturali di conglomerati e arenarie a strapiombo; rocce nude, dalle pareti erose e levigate, la cui origine è ancora oggi un mistero per i geologi ma, ancora più affascinante, è il fatto che sulla cima spianata di queste alture si sono insediati, da epoche antiche, numerosi monasteri ortodossi, nel più completo isolamento. Sono oggi molto visitati e nei paesi adagiati ai piedi delle 'Meteore' (Calambaca(1) e Castraki) sono sorte strutture ricettive di diverso tipo per accogliere i turisti e i pellegrini. Il concentrato di conventi ortodossi in un'area naturale così particolare e incontaminata è unico in tutto il mondo e fà sì che questa località sia stata inserita nell'elenco del Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco. Si pensi che Meteore è il secondo più importante raggruppamento di monasteri greci, preceduto solo dal complesso del Monte Athos (che non accetta ancora la visita di donne).

Il toponimo 'Meteora' signfica "sospeso in aria" ed effettivamente il visitatore che si trova a percorrere questo territorio, ha l'impressione che quelle quasi invisibli costruzioni lassù in alto, siano più vicine al cielo che alla terra. Pare che sia stato il monaco Atanasio (proveniente dal monte Athos nel XIV secolo d.C.) a dare il nome 'Meteoro' all'enorme roccia che faceva da base al monastero che qui egli fondò, la Gran Meteora, oggi noto come convento della Trasfigurazione o Metamorfosis.

Certamente i primi abitatori delle rocce sono da far risalire a prima del X secolo d.C. Furono degli asceti in cerca di un contatto con il divino, nella pace e nella solitudine. Negazione del mondo, meditazione spirituale e preghiera doveva essere il loro unico obiettivo esistenziale. Essi si annidarono probabilmente nelle numerose cavità che ancora si possono vedere lungo le pareti delle rocce meteoriche, creando accanto a loro dei piccoli spazi chiamati "Prossefchadia" (posti di preghiera), accompagnati soltanto da antichi testi religiosi ortodossi. Chiaramente, rimandiamo il lettore ad aventuali approfondimenti in merito alla formazione del culto greco- ortodosso, uno dei più importanti dell'area cristiana ma affrancatosi da questa nel 1054, in seguito allo Scisma d'Oriente (2).

In seguito ad un progressivo aggregarsi degli eremiti in comunità, per esigenze cultuali, nacque il primo Eremitaggio a Dupiani(attorno al Mille) che visse un periodo di tranquillità per due- tre secoli fino a che venne sconvolto da continue incursioni belliche da parte di Franchi, Serbi, Catalani, Albanesi e Turchi, con l'intento di conquistare la fertile pianura della Tessaglia. E' a questo punto (1334) che Atanasio, perseguitato dai corsari sul Monte Athos, giunse alle Meteore, con il padre spirituale Gregorio, svolgendo vita eremitica per dieci anni; nel 1344, con 14 monaci, arrivò alla "Platis Lithos" (Pietra Larga), a 613 metri di altitudine, iniziando la creazione di un convento organizzato sul rigoroso modello di Aghion Oros (Monte Santo o Athos, appunto). A questa figura ascetica esemplare, si deve l'organizzazione della regole e delle condizioni di vita che tutti i monaci dovevano seguire; nacque uno Stato Teocratico. Sorsero molti monasteri, tutti sulla sommità delle rocce, per essere al riparo da ogni incursione. L'accessibilità dei siti era infatti interdetta a chiunque; i monaci usavano sistemi del tutto particolari e rischiosi per calarsi e issarsi nei loro conventi (reti di corde movimentate da argani o sistemi di scale di corda removibili). Tutto cià è rimasto in uso fino a tempi recenti ma oggi è agevole raggiungere gli edifici 'sospesi' attraverso scale intagliate nella roccia e ponti di collegamento che bypassano gli strapiombi.

Grazie ad aiuti e donazioni, questo Stato Teocratico visse momenti di splendore, che si posono ravvisare nelle magnifiche decorazioni ad affresco delle chiese dei monasteri e nelle loro suppellettili (visibili in alcuni musei di cui i conventi più grandi sono dotati). Con il tempo, la situazione cambiò e arrivò un periodo di decadenza. Dei 24 monasteri originari, ne rimangono soltanto sei (Convento Varlaam, Convento Megalo Meteoro o Metamorfosis, noto come Trasfigurazione, Convento di Santo Stefanos,  Convento di Nicolaos Anapafsas (San Nicola del Riposo), Convento Russanu, Convento della Santa Trinità), ed uno è chiuso (Convento Ipapantis o della Purificazione). Gli altri giacciono in rovina o sono addirittura scomparsi.

Si può immaginare quale centro di cultura fosse questo concentrato di conventi isolatissimi. E' cosa nota che nelle teche e nelle biblioteche dei conventi delle Meteore esista una delle riserve spirituali e artistiche più preziose della cultura greco-ortodossa; reperti salvati dai saccheggi e dalle distruzioni e recuperati dai conventi scomparsi. Si conservano 1124 Codici. Durante la dominazione Turca, nei monasteri delle Meteore si è salvato l'ellenismo, grazie a scuole nascoste per la conservazione della lingua greca; ma qui vi si rifugiarono anche i greci perseguitati e venne dato supporto ai rivoluzionari per l'indipendenza. A tal motivo diversi conventi vennero incendiati e distrutti e molti monaci vennero uccisi.

I monasteri sono sottoposti ad un Frate Priore e, in quelli femminili, alla Sorella Priore, che esercitano la sorveglianza spirituale. I crucifonti sono sottoposti al Patriarcato di Costantinopoli mentre quelli parrocchili alla giurisdizione del vescovo della zona in cui sono situati. I monaci eseguono molteplici attività artigianali ancora oggi; gli introiti del lavoro e delle visite vengono elargiti in opere di beneficenza perchè non agiscono a scopo di lucro.

Salendo per la strada dei conventi, di fronte a Castraki, si trovano alcune terrificanti cavità nelle rocce, che recano ancora dei residui di pali: si tratta -secondo una tradizione - di prigioni di monaci, che stavano in una sorta di 'esilio' dopo aver trasgredito alle severe regole del monachesimo ortodosso. Moltissimi misteri si annidano nel silenzio delle gigantesche torri che la natura ha creato su questa terra, chissà quanti 'due passi' bisognerebbe fare per scoprirli! Dalle guide sappiamo tuttavia che esistono chiese talmente ben nascoste che per un visitatore comune è impossibile arrivarvi. E' il caso della piccola chiesa di San Giorgio Mandilas, a Dupiani, nei pressi del vecchio 'Kiriacò' (Eremitaggio di Staghì), dove esiste anche un'altra chiesa un po' più grandina. L'edificio è incassato in alto, in una piccola grotta ed è assai pericoloso raggiungerla, se non si è uno scalatore. Il toponimo 'Mandilas' proviene dall'usanza che hanno i locali di andarvi a stendere dei fazzoletti colorati di svariate forme, che spiccano sulle rocce grigie. Questo singolare 'rito' si svolge annualmente nella festa di San Giorgio: alcuni abitanti coraggiosi salgono alla caverna (rischiando la vita) per accendere una candela sotto l'icona del santo, lo pregano e, prima di ridiscendere, lasciano un fazzoletto colorato come segno di riconoscenza di essere riusciti anzitutto nell'impresa (!) e poi come offerta votiva. E' probabile che le popolazioni locali si sentano anche protette dai loro colossi di pietra, che vigilano imperituramente sulle loro case e sulle loro vite.

Caratteristiche di una chiesa ortodossa

Prima di addentrarci nella visita di questi splendidi luoghi dello spirito e dell'arte, vale la pena ricordare che un edificio di culto ortodosso rispecchia alcune regole; generalmente la pianta è a croce greca (cioè tutti i lati dei bracci sono uguali), divisa in tre sezioni:

-nartece, una sorta di vestibolo dove, anticamente, sostavano i catecumeni e, in certi momenti della funzione religiosa, i penitenti;

- navata (chiesa vera e propria), che accoglie i fedeli. In essa è presente sempre un trono riservato al ministro del culto (vescovo) che rappresenta Cristo tra il suo popolo. A sinistra della navata è collocato il pulpito dal quale è proclamato il Vangelo e l'omelia. Il coro e i cantori occupano le zone laterali della navata.

-Santuario (vima), che è la zona più sacra, in cui si trova l'altare, che per tradizione non può mai essere visto (se le porte sono aperte, è sempre nascosto da una tenda). E' una zona interdetta al popolo e riservata soltanto al clero e ai suoi assistenti. Da qui viene celebrata la liturgia (anche se nell'epoca moderna, in alcune chiese essa può svolgersi nella navata).

Tra il Santuario e la Navata si trova l'Iconostasi, un pannello di icone simboliche disposte secondo criteri precisi e che può presentarsi molto elaborata (varia in base alle dimensioni della chiesa). Nella parte destra dell'iconostasi si trovano sempre le icone di Cristo e di San Giovanni Battista. Nella parte sinistra vi sono sempre le icone della Teotoco (Genitrice di Dio, la Madonna) e del santo patrono o dell'evento sacro al quale la chiesa e’ dedicata(3). L'Iconostasi è munita di tre Porte, due laterali per i diaconi e una, centrale, detta Porta Reale, riservata al celebrante. Per l'Eucaristia, il celebrante si pone sui gradini semicircolari (a forma di seno materno) della Porta Reale.

               
 

Convento di Varlaam

 

  E' uno dei due che abbiamo avuto la possibilità di visitare. Vi si accede tramite una scala di circa duecento scalini, intagliata nella roccia, circondati da un paesaggio di estatica bellezza. Il nome gli deriva dall'eremita Varlaam che, a metà del 1400, salì sulla roccia costruendovi alcune celle e una piccola chiesetta, dedicata ai Tre Gerarchi. Il suo stile di vita solitario e povero, fatto di preghiera, lo accompagnò fino alla morte, dopo la quale i fabbricati rimasero abbandonati per decenni fino a quando, ai primi del 1500, i due fratelli monaci Nectarios e Theofanis (appartenenti alla nobile famiglia Apsarades da Giannina o Gianina, nell'Epiro), si presero l'impegno di restaurarli. Dal loro Testamento, sappiamo che correva l'anno 1518; in seguito arrivarono altri monaci, e con l'aiuto di tutti si costruì una seconda chiesa con altare maggiore più spazioso e due cupole, con l'intitolazione a Tuttisanti (Aghios Pantes), nell'anno 1542. Molte furono le donazioni di terreni e di aiuti economici, che permisero al complesso monastico di accrescersi anche dopo la morte dei due fratelli. La vita comunitaria prevedeva l'uso comune di ogni bene (vestiario, calzature, stoviglie, ma anche la volontà...). Sappiamo che nel 1779 nessuna donna era mai salita al monastero; ciò proviene da una relazione di J.J. Bjornstahl, visitatore dei luoghi a fine XVIII secolo, dalla quale si evince che il monastero aveva un Frate Priore, che aveva il compito di conservatore degli oggetti e della biblioteca.

Arrivando alla ...vetta, si entra da una piccola porta e si salgono altri gradini fino ad incontrare un secondo accesso, che conduce in una sorta di atrio coperto che sta prima della chiesa vera e propria, dove fotografare non è permesso, ma è talmente tanta la bellezza che vi è racchiusa, che qualche scatto scappa da solo...

 

                            

 

Il nartece poggia su 4 pilastri quadrati ed è dotato di una cupola; ad est è dipinto il Giorno del Giudizio (chiamato la Seconda Presenza); nella lunetta sopa la porta colpisce un affresco 'filosofico' di San Sissois che medita sullo scheletro di Carlo Magno...Così dicono le guide. Sul pilasto sinistro è raffigurato l'eremita Varlaam. Gli affreschi del nartece (1566) sono opera del sacerdote Giorgio Sakellarios di Tebe e di suo fratello Franco. Sono talmente tanti gli elementi che ci rapiscono, che si vorrebbe sostare lunghe ore per poter osservare il generale e il particolare, come è nostra norma. Ma le visite sono guidate e i gruppi sono moltissimi: a ciascuno un tempo limitato. Questo toglie un po' la possibilità di assaporare lo spirito che ha animato la nascita dei monasteri, quella beata pace fatta di silenzio, di quiete, di distacco dalla frenesia del mondo.

"Collage" di alcuni dettagli del Nartece e degli arredi interni della Navata (o chiesa vera e propria)

 

                          

L'interno della navata è a pianta greca con tre colonne ed una cupola sovrastante (una -come detto- è sopra il nartece). La chiesa ha due appendici semicircolari, i cori, situate a destra e a sinistra. Interessante il trono vescovile. Presenta tutte le pareti e le cupole affrescate da stupendi dipinti. Troviamo quelli che ritraggono i fondatori, Nectarios e Theofanis, che sono anche sepolti qui (nell'angolo meridionale del nartece), ma anche numerosi altri santi ed asceti, come Efraim da Siria, uno tra i più rinomati e tra i Padri della Chiesa ortodossa, autore di numerosi scritti. Spicca la 'Psicostasia' o Pesatura dell'Anima. La magnifica Iconostasi che divide la zona della navata da quella sacra (chiusa al pubblico) termina con un crocifisso dorato. Il dosaggio della luminosità rende l'ambiente denso di fascino, di spiritualità frammista al gusto per l'arte: ovunque l'occhio si posi, si viene inebriati dai sapienti colori, dalle aureole che sembrano luccicare nella penombra degli archi e delle volte, venendo quasi disorientati dal mistero del divino ed estraniati al bruso del profano.

                                

             

 

Nell'abside si trova la Madonna Platitera (vestita d'oro), una importante pittura sacra. Vi sono alcune sculture lignee dorate, e un Cristo Crocifisso. I temi degli affreschi ricalcano quelli delle chiese occidentali, come la Passione di Gesù, ad esempio, ma anche alcuni presenti solo negli Apocrifi, come la Kimisi della Madonna (Dormizione). Non si conosce il nome degli artisti ma vengono attribuiti a Franco Catelano, grande pittore della Scuola Cretese (che ha lavorato molto sul Monte Athos). Detta Scuola costituisce il grado superiore della pittura sacra bizantina, le cui origini non sono cretesi ma costantinopolitane e datate al XIV secolo d.C. Da Costantinopoli si irradiarono i suoi principi generali in Serbia, Macedonia, nella Grecia meridionale e a Mistras, per approdare dopo due secoli a Creta, dove assunse la sua forma definitiva. I migliori esempi di ques'arte sacra si trovano nel complesso monastico del Monte Athos.

Un inequivocabile Esagramma è inciso anche su una mattonella del pavimento della chiesa, inscritto in un cerchio, e con un foro al centro. In questo luogo, che significato assume? Perchè si trova lì?

Nel 'Trapeza' (Refettorio) del monastero è allestito il Museo, in cui si ammirano cimeli preziosi, come il Vangelo dell'imperatore Costantino Porfirogenito, abiti sacri, croci in legno scolpito e intarsiato, l'Epitafio sepolcrale (ossia una sorta di 'Sindone' usata nelle celebrazioni del Venerdì Santo) in velluto verde con uncinetto dorato (1609), un trono vescovile con inserti in madreperla (e chiari simboli ebraici, come la Stella a sei punte). La visita si completa nei sottotetti, dov'è possibile vedere gli argani che venivano impiegati per issare e calare monaci e visitatori prima della realizzazione delle scale. Da ammirare la gigantesca botte della capacità di 13.000 litri, risalente al XVI secolo. Attualmente i monaci rimasti sono sette.

Lasciamo il convento pensando a come dev'essere l'alba, qui, a come si svolgano i giorni, e come siano i tramonti. Il rintocco della curiosa campana fatta di tre fasce di ferro curvate  dà ai monaci la sveglia, insieme al canto degli uccelli. Vivono in questo angolo sospeso tra terra e cielo, punto di congiunzione estatica e impenetrabile al comune visitatore e, forse, anche al più umile pellegrino. Per un ulteriore approfondimento si consiglia il sito (in inglese) http://www.kalampaka.com/en/meteora/f_varlaam.asp

                                                                 

 

 

Convento di Santo Stefano

 

Le sue origini sono molto remote. Un'antica epigrafe, oggi scomparsa (ma ancora visibile nel 1927), indicava San Jeremias e indicava l'anno 6770 dalla creazione del mondo (ovvero il 1192), segno che vi doveva risiedere un eremita con quel nome in quell'anno. Vi doveva essere già una piccola chiesa dedicata a S. Stefano, una cisterna per l'acqua e alcune celle per gli eremiti. Il primo nucleo di monaci ben attestati risale al XIV secolo; essi avevano a capo Antonio Catacusinos e Filoteo da Siatena, considerati i fondatori e, come tali, rafigurati all'interno. Grazie alle donazioni dell'Imperatore bizantino Andronico Paleologo(1328-1341), il monastero prosperò e godette di un periodo di grande splendore. Risulta infatti il più ricco tra quelli delle Meteore. Alla dedicazione a S. Stefano venne aggiunta quella a San Caralambo.

Eretto proprio sopra una gigantesca roccia che sovrasta il paese di Calambaca, nella parte meridionale del territorio meteorico, lo si raggiunge agevolmente con i mezzi di trasporto. Dopo di che si attraversa un ponte di otto metri che lo collega alla collina di Cuculà, che sta di fronte. I visitatori sostano nell' "Estia" (focolaio), nella parte meridionale. L'ambiente, coperto, ricorda una porzione dei chiostri monastici cui siamo abituati, con muretti su cui poggiano delle colonne.

                    

 

 L'ingresso al luogo di culto presenta un portale riccamente decorato esternamente. Nel centro, la data 1798.

Prodigo di elargizioni per opere di beneficenza (come la costruzione del Ginnasio a Triccala o la Scuola Constantinos a Calambaca), il convento decadde definitivamente nel 1960 (non c'erano più frati) e nell'anno seguente venne trasformato in monastero femminile, che gli consentì di mantenersi vitale e prospero fino ai giorni nostri. Le suore sono ancora più severe dei monaci in fatto di fotografie, per questo scattare all'interno è davvero difficile, purtroppo. In compenso, sappiamo che sono molto attive culturalmente e insegnano musica bizantina e pittura sacra, oltre ad insegnare i testi religiosi.

La pianta della chiesa, situata nella parte orientale del monastero, è a croce greca, con cupola centrale e due più piccole e reca la data del 1798, risultando tra le più recenti delle Meteore. Ha dimensioni notevoli (raggiunge i 20 m). Il nartece presenta 4 colonne che sorreggono la copertura; tre entrate fanno accedere alla chiesa vera e propria (navata), dove - sul pavimento- è possibile scorgere un cerchio in cui è inscritta l'Aquila a due teste (segno di protezione del convento da parte degli Imperatori bizantini), ma anche un cerchio più piccolo che contiene (anche qui) l'esagramma o Stella di Davide. Perchè?

L'Iconostasi che separa lo spazio dei fedeli da quello sacro, è in legno scolpito dorato e ornato con raffigurazioni fito e zoomorfe e dipinti relativi a vari santi, concludendosi superiormente in una croce dorata. A causa di diverse incursioni, esistono pochi affreschi antichi, e alcuni sono stati sovradipinti. Tuttavia, abbiamo potuto osservare alcune opere notevolmente simboliche e interessanti, eseguite da pittori sacri greci più recenti.

 

     

                                                                         Giudizio Universale (parete destra del nartece)

Un eccellente Ciborio copre la Tavola Santa  mentre, sopra questa, è posto il capo di S. Stefano (purtroppo questi ultimi elementi non è possibile vederli). Nel Refettorio del monastero ha sede una esposizione di preziosi cimeli, come icone post-bizantine, manoscritti rari, abiti sacri, evangeliari, etc. Quando il Metropolita viene in visita, alloggia in una piccola stanza chiamata "Despoticò". Attualmente il numero delle religiose presenti è di 28 unità. Per un ulteriore approfondimento si consiglia il sito (in inglese): http://www.kalampaka.com/en/meteora/f_stefanos.asp

Questo succinto report di viaggio nel profondo universo dei monasteri ortodossi delle Meteore è solo una goccia di ciò che lo costituisce. Ogni passo è stato uno stimolo per ulteriori ricerche, per conoscere meglio la storia, l'arte, la cultura e la tradizione bizantina, così vicine eppure così diverse da quella occidentale. Nell'iconografia simbolica però, tutto sembra riunificarsi e parlare un linguaggio universale che il vivo Intelletto coglie, interiorizza e rielabora.

                                         

                                          Theotocos (Madonna bizantina), dal tipico colorito scuro (Monastero di S. Stefano)

 

Note:

1)- La città dove abbiamo soggiornato in Tessaglia e dove siamo partiti per l'escursione ai monasteri delle Meteore. Calambaca (Kalabaka) si trova nel punto in cui iniziano le prime alture della catena montuosa di Pindos, sulla riva sinistra del fiume Pinios, vicino ai confini dell'Epiro. E' sovrastata dai giganti delle Meteore ed era conosciuta agli antichi con il nome di Eghinion (come la chiamano Tito Livio e Strabone). I Romani la conquistarono nel 167 a.C., apportando distruzioni ma venne riedificata e conobbe un lungo periodo di pace fino all'XI secolo, quando iniziarono incursioni di popoli stranieri. In tal periodo le fonti la nominano come 'Staghì', probabilmente in riferimento al vescovado omonimo che a Staghì aveva sede. Furono i Turchi, più tardi, a chiamarla 'Calambac' (luogo che sta in alto). Il suo edificio di culto più importante è la cattedrale ortodossa della Kimissis di Theotocos (Assunzione della Madonna), le cui origini sono antecedenti il Mille (prima vi era una basilica paleocristiana); conserva un ambone in marmo, unico in tutta la nazione e mirabili affreschi, opera di Kirias il sacerdote e di Neofitos (figlio del grande pittore cretese Theofanis), datati al 1573. E' dotata anche di una cripta (inaccessibile ai visitatori). 

2)-Per un approfondimento dell'argomento Chiesa Ortossa si veda il sito: http://digilander.libero.it/ortodossia/StoriaChiesa.htm (e pagine relative)

3)- http://utenti.multimania.it/Teotoco2/index-2.html

 

 

Bibliografia e webgrafia:

"Meteora. La storia delle sacre rocce" (guida turistica, mappa, incisioni, fotografie a colori), Ente Nazionale per il Turismo (E.O.T.) di Calambaca, via XXVIII Octovrius, 5
http://www.kalampaka.com/en/content/index.asp (sito ufficiale di Calambaca, in inglese)

 

Il nostro video su Youtube: 

 

Sezioni correlate in questo sito:

Tour Grecia
Il santuario di Delfi e l'oracolo di Apollo
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La piccola cattedrale di Atene
Agorà romana
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