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2)– Del monogramma alchimico di M° Giorgio Andreoli (di Fabrizio Tonna) Più che di un monogramma sarebbe lecito parlare di una marca distintiva, un segno ricognitivo che non sempre indica il solo nome dell’Artista cinquecentesco. Non ci dilungheremo sulla storia e l’origine delle Marche degli artigiani ceramisti. Orafi, tipografi o vetrai ma non mancheremo di affermare quanto esse si pongano, nel loro simbolismo complessivo, in analogia con i segni che la vecchia spagiria ereditò dall’antica Alchimia. Il segno distintivo, τό έπίσημον, ha sempre significato presso i greci, sia come sostantivo sia nella funzione verbale corrispondente. L’atto proprio di suggellare per dare, insignire, una certa importanza. Intransitivamente il verbo έπισημαίνω è mostrarsi, manifestarsi ovvero svelarsi da una situazione di nascondimento. Ora έπίσημον gioca foneticamente con έπισιμόω, muovere in direzione di, penetrare, tutte azioni e caratteristiche del Mercurio dei filosofi, il vero Artigiano dell’Opera filosofale che appare sempre suggellato dalla caratteristica stella, marca distintiva originale della cristallizzazione lenta e raggiata operata dallo spirito fin dalle profondità della materia. Sicuramente questo processo, e i materiali canonici messi in opera per la sua positiva realizzazione, ha voluto raffigurare, M° Giorgio Andreoli, in uno dei piatti del servizio famoso, datato tra il 1524 e il 1525, conservato al British Museum di Londra e che Carola Fiocco e Gabriella Gherardi ci restituiscono in una bella fotografia, ahimè! priva dei colori meravigliosi dei Lustri d’iride:
Benché esso sia stato interpretato dal Bonini come iniziale di Salimbene, fratello di Giorgio, e dalle autrici Fiocco e Gherardi come una committenza della famiglia Saracinelli di Orvieto, noi vi vediamo qualcosa di decisamente superiore; un simbolo che sintetizza in sé profondi significati e analogie tutt’altro che casuali. Come il lettore potrà osservare dall’immagine del piatto esemplare che le autrici ci hanno trasmesso, il simbolo distintivo non appare unicamente sul retro, ma altresì troneggia, sul fondo bordato d’oro, al di sopra di un’ara, o meglio di una pietra cubica, il tutto formante una specie di stele in ricordo di un evento particolare; davanti all’ara, un putto dalle ali bianche, probabilmente in atto di adorazione sembra tenere fisso lo sguardo verso il motivo esaraggiato formato dall’asta verticale e dalla croce di St. Andrea. Un particolare interessante è che questo simbolo è variato sul retro degli altri piatti del servizio, mancando delle due linee orizzontali, la maggiore e la minore, sormontanti la sfera; in più il putto è in piedi, sulla terra arida del paesaggio sotto i raggi cocenti dell’astro diurno che sembra fare capolino dall’estremità sinistra del fondo dorato. Ma passiamo a spezzettare il simbolo, identificando innanzitutto l’ara con il geroglifico della Materia prima degli Alchimisti; se tra i nostri lettori vi è qualche neofita o ancora qualche filosofo sperimentato, non mancherà di ricordare, dal Fulcanelli, la capitale differenza tra l’una e l’altra materia dell’opera a seconda che l’aggettivo segua o preceda il sostantivo (2). Effettivamente entrambe sono qui rappresentate, prima e dopo l’opera di purificazione, come stadi diversi di un unico universale apparentemente insignificante ma ricco di inestimabili tesori. Stilizzando il simbolo e osservandolo da vicino non si può non rimanere sbalorditi:
Partiamo dal fondo e constatiamo che la prima materia, il minerale bruto scartato dai costruttori come vile ed inutile, e qui rappresentato dal cerchio sormontato dalla croce minore è stata opportunamente squadrata attraverso una vera e propria
purgazione dalla ganga silicea impregnante. Essa tuttavia è ancora disturbata dalla zolfo minerale coagulante che non devesi confondere con lo zolfo dei filosofi o anima del metallo di cui questa sarà il ricettacolo e la matrice successiva. L’operazione delicata, che va sotto il nome di separazione è tributaria del preziosissimo mercurio dei filosofi materia sottile, umida e volatile,
primo solvente della Grande Opera e vero artigiano capace di rendere affilato il ferro, ovvero di estrarre e coagulare l’anima dei metalli nutrendola della propria virtù umida e carica di vibrazioni superiori. Vera e propria acqua secca che non bagna le mani, questa materia d’aspetto metallico, sconosciuta alla chimica empirica e orgogliosamente parallela, è altresì la Madre e il Mare (nella lingua francese l’assonanza fonetica è più evidente) dei filosofi, dea matrice nella quale o nel quale (a seconda che si scelga l’una o l’altra analogia) dimora l’embrione sulfureo e igneo, il piccolo pesce solubile dell’opera alchimica. In perfetta sintesi solfo-mercuriale, igneo-umida, non ancora stabilizzata nel Mercurio filosofale esaltato e perfezionato nella sua essenza è rappresentata da quella parte del simbolo che qui raffiguriamo e che non manca di avvicinarsi e rivelare il duplice risultato sovrapposto nella via secca e precipitato nella via umida, al termine della Prima Opera:
Non entreremo in questo particolare segreto della Grande Opera, tuttavia segnaliamo che questa commistione perfetta e la relativa gestazione appartengono al dominio della IIa Opera, così come le Aquile o Sublimazioni, necessarie affinché lo zolfo dei filosofi sia estratto, esaltato, coagulato dalla terra Adamica opportunamente estratte dal caput mortuum. Affinché questo si compia è necessario l’apporto di un sale preziosissimo, impregnati di spirito universale e dalla vibrazione idrotellurica dispensata, attraverso l’attività magnetica del magma sotterraneo dell’ahimè! malato pianeta. Questo sale, di segreta composizione e rispondente al nome di Vetriolo filosofico è (il lettore lo ha già visto nella nostra prefazione) un vetro, uno smalto verde su cui ritorneremo forse con l’interpretazione dei miti e delle allegorie trasmesseci dall’Andreoli nei suoi mirabili piatti. Ergo non è da confondersi con il vetriolo spagirico o solfato di ferro o, ancora, copparosa del commercio: non solo il simbolo è di suo diverso,
ma altresì la struttura e la composizione chimica, della quale tuttavia non parleremo per rispetto alla Tradizione. Accenneremo però che sulla prima Opera sono due i sali che entrano in gioco, o meglio un sale doppio come risultato dell’aggiunta ana di sali differenti che M° Giorgio ha voluto indicare caritatevolmente con i punti situati da ambo i lati dell’emisfero superiore:
Benché il simbolo appaia indecifrabile nella sua totalità, abbiamo visto invece quanto è chiaro e abbondante di indicazioni pratiche; come ad esempio la struttura esaraggiata che sormonta il tutto e che ci segnala tanto il sale (o meglio uno dei due sali), tanto la marca distintiva, il sigillo, la stella esagrammica che appare alla superficie del lingotto mercuriale e di cui abbiamo accennato all’inizio di questa interpretazione: Geroglifico del sale d’armonia esso può essere associato a parte della sfera rivelando altresì la caratteristica della matrice salina, materiale, strutturale che porta in sé la vibrazione spirituale e celeste pronta per essere comunicata alla massa mercuriale e apparire come tessitura stellata alla suddetta superficie. Questo è il tornio, come abbiamo accennato nella prefazione alla superficie del quale è formato il vaso dei filosofi costituito dalla sua materia fisico-chimica dal prezioso smalto verde. Ricordiamo altresì che quest’ultimo è il solo capace di stimolare l’attrazione tra il solfo sottostante e dimorante nella terra Adamica e la massa mercuriale che ne diverrà matrice, e inoltre è la sola rete capace di contenere il piccolo pesce sulfureo e solubile. Questa potenza d’attrazione è già in parte espressa dal putto adorante le cui ali bianche indicano non solo la virtù volatile del mercurio dei filosofi (così come i piedi in terra arida ne indicano la capacità di acquisire virtù ignea e fissa) a anche e soprattutto la capacità di tingere e cedere la propria quintessenza, nonché rivestirsi di molteplici colori proprij della cottura finale. E’ un vero peccato non aver avuto un’immagine a viva tinta di questo stupendo piatto, sicuramente la descrizione sarebbe stata più copiosa. Tuttavia terminiamo con un ultimo particolare e ricordando, cioè, che finché la perfetta liquazione delle materie canoniche si realizzi e i sali possano penetrare in modo armonico e fluido è necessario che la massa impiegata sia finemente triturata e ridotta in una polvere impalpabile
che subirà un ritorno alla condizione vitale della miniera attraverso un’oculata assazione il cui scopo principale è quello di risvegliare l’assopita attività del fuoco interno e segreto, che la brusca separazione dall’habitat naturale ha causato. Questa non è la sola marca di M° Giorgio Andreoli che racchiude un senso alchemico, altre che qui non abbiamo il tempo di descrivere sono altrettanto significative e ricche di tesori. Se Dio lo vorrà ritorneremo su questo aspetto non solo integrante dal punto di vista alchimico, ma anche misterioso dal lato eminentemente artistico.
Note al Paragrafo 2
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