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4)– La nascita di Esculapio e l'enigma del Sole dei Saggi (di Fabrizio Tonna)

Presso il Museo Boymans van Beuningen di Rotterdam è conservato uno stupendo piatto realizzato nella bottega dell’Andreoli e dipinto dall’abile Francesco Urbini intorno al 1534; sul retro, circondato da quattro girali, il titolo dell’opera, ricca di seducenti analogie con l’Opera al forno:

 

"DEL PARLAMETO DEL CORVO E DI LA

CORNACCHIA & COMO NAQUE ESQULAPIO

NEL – ii – LIBRO ƀ OVIDIO

T GUBIO"

 

La scena si presenta qui in perfetta conformità con quando Ovidio dona nelle sue alchemiche Metamorfosi, benché alcuni particolari siano stati elaborati per rimarcare il senso ermetico del mito che si situa perfettamente al livello della seconda Opera e rappresenta un punto di capitale importanza attorno al quale i più sapienti adepti hanno taciuto o comunque "sussurrato" dietro la più complessa allegoria. Ma passiamo alla descrizione del nostro insieme: su un lato riccamente decorato, una donna, probabilmente la Ninfa Coronis, riposa seminuda ormai priva di vita. Ella porta i capelli dorati raccolti parzialmente dietro la nuca e abbandonati sull’abbondante cuscino, mentre al collo vi è una collana di rosso corallo che sembra a tutta prima essere una semplice soluzione decorativa.

Il parto pare ancora più interessante, che vede Mercurio, vestito di una corona blu alle cui spalle sono situate due teste di leone rosse e frange verdi che completano il tutto, intento ad estrarre un infante dal ventre squarciato della fanciulla defunta: alla scena assiste sbalordito un putto dalle ali rossastre, portante una spada nera indubbiamente evocatrice dell’agente igneo e penetrante di tutte le metamorfosi alchimiche. La scena si completa poi con un albero simile ad una quercia sui rami della quale sono appollaiati un corvo e una cornacchia che paiono intenti a dialogare animatamente; un lussuoso palazzo dalla porta del quale sbuca una torcia infuocata, l’arco e la faretra appoggiati in X contro il muretto che delimita lo spazio della vicenda dal resto dell’insieme e infine il paesaggio marino evocatore dell’umidità mercuriale.

Ma prima di passare all’interpretazione propria del simbolismo e del mito, vediamo cosa pensa a questo proposito il sapiente benedettino Dom Antoine – Joseph Pernety che nel suo indispensabile Dizionario – DICTIONNAIRE, si esprime con queste parole:

 

"ESCULAPE. Fil d’Apollon et de la Nymphe Coronis, fille du Roi Phlegyas, fut tiré par Nerame du ventre de sa Mere aprés qu’elle eut été duée par Diane, et consumée sur le bûcher où elle avit été mise. Il fut nourri par Trigone, et élevé par le Cantaure Chiron, qui lui apprit la Médicine dans una perfection si grande, qui par son moyen la Table dit qu’il resuscite Hyppolite dévoré par se propres chevaux (…). C’est purquai les Alchymistes prétendent che toute son histoire fabuleye n’est qu’un allégorie des operations et de la Matiere de la Médicine universelle. Sa naussance  seule suffirait pour le pouver; car il est dit qu’il fut tiré des ceudres de sa mère par Mercure, et que la Pere de Coronis s’appellait Phlegie, du grec Phlegein, en français Brûler". (1)

 

 

Caritatevolmente l’autore del Dizionario Ermetico segnala il fenomeno straordinario che si verifica con l’aiuto del fuoco, tanto esterno quanto interno, al termine della seconda Opera secca : ovvero la lenta coagulazione della nostra Remora o Sole dei Saggi tanto ricercato quanto straordinariamente ricco di tesori illuminanti.

Del resto, nel pieno rispetto della Lingua Solare, il lettore potrà osservare quanto il nome della Ninfa Coronis sia vicino a κορώνη che indica una cornacchia come l’anello della porta e ancora l’estremità ricurva dell’arco. Ora, secondo Ovidio il corvo di Apollo, inizialmente una cornacchia bianco-argentea, diventa nera come punizione per aver riferito al dio l’infedeltà della Ninfa. Nella nostra decorazione l’analogia è ancora più sbalorditiva poiché la cornacchia situata sulla destra rispetto al corvo è di colore azzurro e non manca di evocare il Mercurio dei Saggi di cui la vecchia quercia è abbondante dispensatrice. Il loro dialogo inoltre, indica senza ambagi la necessità della perfetta conoscenza della Lingua degli Uccelli, l’unica capace di farci comprendere l’intricato simbolismo dei filosofi ermetici.

Procedendo nella nostra interpretazione notiamo che κορώνη ha la stessa radice di κορακϊνοϚ che oltre a un giovane corvo, indica un piccolo pesce di tipo particolare.

ΚορακϊνοϚ fu fatto da κόραξ, il corvo, per l’appunto, il quale si avvicina molto a κόρη, una vergine, una fanciulla, ma anche la pupilla dell’occhio. Ma κόραξ sembra meglio espresso nella sua quasi-omofonia con κόρυϚ , elmo che richiama l’analogia con il casco di Naste, ben conosciuto dai filosofi e su cui l’Adepto Fulcanelli dissertò copiosamente lungo tutte e due le sue opere (2). ΚόρυϚ è poi perfettamente associabile a κορυϕή, il sommo del capo, ma anche il capo, la testa, nonché il vertice, la cima e metamorficamente la cosa principale. Se vogliamo andare oltre nella rivelazione, nel momento in cui prendiamo κόρη e trasponiamo ο in η otteniamo κηρό , una radice che indica affinità con la cera (κηρόϚ ). Ora, κηρός è omofono dell’attico contratto κέρως che, come κέρας indica un corno e specificamente questo materiale applicato per la fabbricazione degli archi, ma anche una cima, una punta, una vetta; a sua volta κέρως è omofono con κήρος, contrazione di κέαρ, animo, cuore. Eccoci quindi, dunque, ad identificare l’esatta collocazione della Ninfa Coronis: raccogliendo quanto stabilito possiamo asserire che se il corvo (κόραξ) è spesso simbolo della putrefazione e si ritrova sempre associato al coloro nero, allora l’analogia con il CAPUT MORTUUM è assolutamente certa. La testa di morto degli alchimisti, in effetti, è realmente la cosa principale (κορυϕή), in quanto in essa dimora un duplice dono d’importanza capitale. Del resto questo caos polverulento e nero, la cui struttura appare compatta ma estremamente fissa, nasce già dall’incontro della vergine universale con l’agente igneo e penetrante che gli alchimisti hanno sempre velato con il loro Marte, guerriero favoloso contrassegnato dall’elmo omonimo (κόρυϚ). Egli, armato della sua spada dirompente penetra nell’interno della struttura intima della materia, la apre e le comunica tutta la sua forza magnetica e spirituale, permette alla fontana di acqua viva di zampillare il Mercurio dei Saggi (raffigurato da Francesco Urbini per mezzo della κορώνη azzurrina posta sulla destra della quercia), pronto a tingere in futuro la propria volatilità della ignea virtù dello zolfo. Ora, affinché si comprenda la portata di questo fenomeno è bene sapere che tale spada, in latino ENSIS, è la stessa che appone il Sigillo di Ermete – SIGILLUM HERMETIS, e che esprime nel simbolismo, la potenza d’azione del sale, spesso associata alla bilancia con la reale analogia ai pesi dell’arte e ai pesi di natura.

Ricordiamo tuttavia che un segno preannunciatore dell’accordo di perfetto equilibrio tra queste due entità è una certa striatura violetta che appare sulla massa del CAPUT ormai staccato dal lingotto mercuriale ; questa è la stessa prefigurata dal mondo che copre le gambe alla madre di Esculapio, che risulta appunto di un rosa violaceo e segnala che il risultato è secondo i canoni filosofici, dimorando in esso la cenere preziosa nel quale è racchiuso il solfo dei Saggi.. Inoltre, il nostro putto dalle ali rosse, soggetto già incontrato nel contesto diverso del Bagno di Diana e prefigurante il proprio volatile divenuto fisso, porta al proprio fianco una spada nera in perfetta analogia con quanto detto finora. Egli appare sbalordito per la nascita del Dio della Medicina, la Medicina Universale s’intende, poiché è ben conscia di cosa si nasconde nell’arma ch’egli porta al fianco. La Lingua Dolore può ancora aiutarci segnalando che ENSIS, ferro di spada, gladio, combattimento è vicino a ENS che è la sua stessa radice e che indica l’essere, l’oggetto, l’ente chimico-fisico responsabile delle infinite trasformazioni alchimiche ; ora, gladio è in francese GLAIVE quasi omofono con il vecchio francese GLAIE, fango, la cui etimologia è decisamente ellenica, γλοιός, con il significato di umore viscoso – fango, tutto in analogia con il caput, la feccia della prima Opera. Benché vile e disprezzabile, questa materia fuligginosa e nera contiene in sé un tesoro dal valore inestimabile che viene annunciato già molto bene dalla decorazione del letto di Coronis : i pesci dorati su fondo nero sono il geroglifico parlante del Solfo dei Filosofi, la preziosissima pastina di ritorno originata dalle sublimazioni alchemiche, vera anima del metallo che il mascherone centrale dai lineamenti umani, indica essere la parte più pura del metallo, almeno in questo stato strutturale. Se dunque per lo choc chimico-fisico del ferro, il Dragone mercuriale vomita le sue fiamme, alo stesso modo le Sublimazioni ben diverse dalle omonime della chimica classica, cederanno il piccolo pesce particolare (κορακίνοϚ), vero cuore e motore della Grande Opera (κέαρ – κήρος) nel quale dimora il fuoco segreto responsabile della segreta metamorfosi che l’Urbini ha voluto fissare nella torcia ardente che sbuca dall’edificio.

Affinché, tuttavia, questa estrazione lenta e delicata si verifichi positivamente e il delizioso risultato non vada perso, è necessario l’apporto costante delle onde, insieme all’indispensabile magnete e l’altrettanto insostituibile vaglio.

È qui infatti un punto segretissimo della pratica al forno che implica non solamente il possesso e la conoscenza dei materiali appropriati, ma altresì la destrezza di mano richiesta.

Se nel caput il tesoro è duplice è perché un prezioso dono è utile all’estrazione dell’altro: l’alchimista giunto a questo punto trae dinanzi a sé la calamita necessaria all’attrazione della minuscola remora e la massa mercuriale, vera levatrice dell’Opera capace ad un tempo di formare in sé e dare alla luce l’embrione universale; a questo insieme non manca la preziosissima terra adamica, la bionda Coronis dalla quale presto Mercurio estrarrà l’Esculapio igneo e permeato della virtù metamorfizzante dello Spirito.

In lei, in Coronis, in questa terra preziosa, cenere umilissima e ormai arrossata dalla calcinazione filosofica dimora il solfo fisso e perfetto, ma ancora immaturo nella sua struttura fisica. Per questo motivo ella porta la collana di corallo rosso, simbolo ambivalente del Sole Filosofico e della Pietra al Rosso. Mercurio, con la corazza blu attributo della sua caratteristica umida e volatile, impregna in perfetta liquazione la terra sottostante rappresentata dalla ninfa Coronis e lo spirito in esso contenuto inizia a operare una reale attrazione della massa. Le particelle ignee del solfo segreto cominciamo a muoversi, avvicinandosi e allontanandosi, agglutinandosi e rendendo il reticolo sempre più compatto.

Il vetriolo prezioso, vera calamita della Grande Opera, contribuisce nell’attrazione del minuscolo corpo refrattario e una reale tensione si sviluppa tra gli atomi costitutivi del Mercurio e quelli dello Zolfo, questa realtà singolare e quantomai affascinante è stata fissata dall’Urbini nell’arco e la faretra, il primo recante la corda tesa, simbolo della tensione dello spirito nei confronti della massa, e la seconda raffigurata chiusa e tinta in rosso a significare l’impaccamento e la concentrazione della virtù ignea in via di realizzazione. L’elevato carattere di refrattarietà della struttura del sale permette una risonanza assolutamente indispensabile che gli antichi conoscevano bene nella confezione dei loro archi, in quanto la resistenza alla flessione delle estremità (κορώνη) è tanto più compromessa quanto più la forza di trazione impressa alle corde rischia di superare i limiti consentiti. Così come Ulisse scelse di fabbricare il proprio arco con corna di cervo (κέρας – κέϱοϚ), così la struttura del nostro sale spiritualizzato (rappresentato nel complesso dalla COLONNA che troneggia a destra dell’intera composizione e contro la quale la madre di Esculapio sembra appoggiata) deve dimostrarsi armonica e appropriata a contenere l’embrione metallico tanto atteso.

Concluderemo affermando che non a caso l’arco e la faretra sono stati disposti in X. L’intenzione è tutt’altro che arbitraria e vuole ben evidenziare come lo spirito presiede a questa complessa metamorfosi, a questo lento agglutinarsi delle terre sulfuree (forse proprio dette le punte che i vocaboli κέραϚ e κορυϕή esprimono così bene), ovvero del reale Leone rosso raffigurato spiritualizzato con le frange verdi, sulle spalle del Messaggero degli dei.

 

Note al Paragrafo 4

  • Dom J.A. Pernety, Dicyionnaire Mytho – hermétique dans on trouve les allégories fabuleuses des poëtes, les métamorphoses, les énigmes et les termes barbares des philosophes hermétiques expliqués, à Paris chez Dealadain l’aîmé, libraire rue St. Jacques, n° 240, 1787.

  • Fulcanelli, Les Demeures…; Les Mysteres…; op. cit.

 

Parte I

Parte II

Parte III

Parte IV

Parte V

Parte VI