Affrontare una simile ricerca non è semplicissimo, soprattutto quando si tratta di formulare ipotesi particolarmente delicate circa l’appartenenza di un noto artista come Mastro Giorgio Andreoli all’ambito dell’Alchimia tradizionale ovvero di quella scienza, poiché tale è aristotelicamente parlando, il cui oggetto principale non è la fabbricazione dell’oro, ma l’indagine intorno alla Causa Prima delle infinite metamorfosi del Creato, nei suoi tre regni suddiviso, e di cui quello minerale resta indubbiamente il più ricco d’infinito Mistero, che il Nostro Vasaio conosceva al fondo di un’esperienza diretta e sicuramente fruttuosa.
Non siamo storici e quindi non sarà attraverso l’indagine della critica letteraria o dell’esegesi razionalista che ci muoveremo; del resto già nella prima parte di questa "Ipotesi" il lettore avrà avuto occasione di incontrare quali abissali differenze caratterizzano l’Alchimia tradizionale dalla varie "scienze" occulte o pseudo-alchimie impregnate di teorie psicanalitiche o strutturalistiche. Il nostro interesse gravita intorno a questa figura di Mastro Vasaio e Decoratore eugubino del XVI secolo dal punto di vista dell’interpretazione di soggetti da lui scelti e più volte ricorrenti, nonché della tecnica propria che pone seducenti analogie tra l’Arte di Lustrare e l’Opera positiva al fuoco. Inevitabilmente il parallelo è più che evidente, come del resto no manca di ricordare la tavola XV dell’opera sapiente di Michael Maier (1) ove un abile vasaio confeziona sul tradizionale tornio, il proprio Vaso:
OPUS FIGULI, CONSISTENS IN SICCO & HUMIDO,
TE DOCEAT
"Che l’opera del Vasaio, composta di secco e umido,
ti insegni"
La frase, posta in esergo all’Epittema XV, non è casuale e racchiude in sé un punto capitale della pratica alchemica al riguardo della quale molti Adepti hanno taciuto, per dovere tradizionale, e che consiste nella metodologia di confezionamento del prezioso ricettacolo, adatto a ricevere il seme dei metalli, lo Zolfo segreto, pronto a sviluppare e manifestare tutta la propria virtù spirituale, in un caleidoscopico susseguirsi di colori e suoni di cui solo la Via Secca, via regale per eccellenza, è fedele dispensatrice. In accordo perfetto con la Cabala fonetica di cui già abbiamo più volte sperimentato la universale versatilità, e che basata sulle assonanze e le trasposizioni semantiche assume il carattere di una vera Lingua che supera le metodiche della semplice crittografia, possiamo osservare quanto il tornio del Vasaio, in francese tour, sia all’unisono con la tour, la TORRE, geroglifico del Mercurio dei Filosofi, materia reale, vero artigiano dell’Opera e potenzialmente pronto a compiere la rotazione ignea necessaria affinché si formi, alla superficie in perfetta fusione, la massa vetrosa del Vaso alchimico.
In effetti, non si tratta della conciliazione degli opposti di Junghiana memoria, né l’equilibrio tantrico delle tradizioni indù, ma di una vera materia, sicuramente ponderabile ed empiricamente osservabile che cade nell’ordine dei 5 sensi, ma che si proietta ben oltre nel suo contenuto sostanziale.
E’ certo che, tornando al nostro amato M° Giorgio Andreoli, dobbiamo molto al sapiente biografo Gian Girolamo Carli l’aver comunicato sintetiche notizie intorno all’opera del sapiente vasaio eugubino, in due lettere datate da Gubbio il 28 maggio e 14 giugno 1756 e indirizzate al Cardinale G. Stoppani (2).
Questi documenti essenziali rimasti fino a poco tempo fa nella forma manoscritta ci sono stati abilmente restituiti alle stampe dall’eccellente Ettore A. Sannipoli, per l’opera, sapientemente curata da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi, Ceramiche Umbre dal Medioevo allo Storicismo… (3), alla quale rimandiamo il lettore certi che vi trovi materiale sufficiente per ogni approfondimento eventuale.
Per parte nostra aggiungeremo che l’aver scelto il Carli come punto di partenza non è poco pertinente, in quanto le sue conoscenze di retorica, teologia, morale, lettere greche, scienze fisiche e metafisica, nonché gli stretti rapporti d’amicizia con il Legato apostolico di Urbino e Ravenna (grande conoscitore dell’opera del Vasaio-alchimista Cipriano Piccolpassi – ne possedeva una copia manoscritta (4) ), sono a noi sufficienti e alquanto rivelativi per procedere su base sicura.
Il pezzo che subito ci ha colpiti, nella succinta descrizione inventariale del Carli, è il piatto osservato in casa Piccini:
"davanti sono da capo un bel Tempio all’antica, e più in distanza la veduta di una Città; in mezzo della verdura, e di tre vaghe donne in piedi, sotto alle quali è scritto: ARTEMISIA. CHAMILLA. LIVIA; da destra è in distanza un bel pastorello, che pasce il gregge, da sinistra un Fiume, che ne’ fiori del Cornucopia tra i colori di rosso e oro; da piedi son sassi, e l’acqua del Fiume che
scorre…" (5)
ARTEMISIA. CHAMILLA. LIVIA! E’ certo che lo studioso neofita della Scienza alchimica non mancherà di anagrammare i tre nomi, esattamente in linea con il contesto simbolico nel quale le tre fanciulle sono inserite, per ottenere ALCHIMIA MISTERIA VILLA, ovvero La misteriosa città è l’Alchimia. Del resto queste tre creature immerse nella verzura della campagna – simbolo della forza vegetativa dello Spirito – non mancano di rappresentare i 3 stadi di una stessa materia, tutta pronta a tingersi del purpureo tesoro, dispensatrice dell’oro spirituale ed etereo, contenuto nella Cornucopia; questo fenomeno così ricco nel suo dinamismo interiore necessita del duplice apporto mercuriale e igneo delle Acque, siano esse superiori che inferiori, rappresentate dal Fiume che solca il territorio. Questi tre stadi, chimicamente stabili e il cui risultato è un corpo sconosciuto all’empirismo moderno, sono chimicamente espressi dai nomi stessi delle fanciulle, la cui derivazione ellenica non lascia dubbi, ma nella cui esplicitazione non ci immergiamo se non accennando il simbolismo di potenza e rimandando alla lettura dei due Fulcanelli (6) per ulteriori approfondimenti.
La prima, ARTEMISIA, deriva dal greco άρτέμων, l’artimone o vela maggiore che si inalbera sulla poppa; essa gioca cabalisticamente con άρτεμήϚ, vegeto, sano, forte e arthos (c.g.), amicizia, accordo, congiunzione.
La seconda è CHAMILLA che, così scritta, è scomponibile in Χα, che al dire di Fulcanelli ci riporta allo Spirito, e μέλλω, stare per, ma anche volere; ricordiamo che μέλλω, è omofono di μέλω, stare a cuore, essere in pregio, essere oggetto di cura, che gioca cabalisticamente con μήλον, indicante una mela ma anche la mammella.
La terza, LIVIA, proviene da λύω, sciogliere, allentare, dissolvere.
Ancora il dotto biografo non manca di segnalare al Cardinale Stoppani un Piatto singolarmente grande, al mezzo del quale troneggia "un Grifo, in giro poi alcune lettere Gotiche in cifra…" che non sono altro "che il principio dell’Evangelo di Giovanni"; l’opera è segnalata tra le "Pitture di Autori a me incogniti", insieme ad altri soggetti mitologici di indubbia origine alchimica che qui raggruppiamo fedelmente:
"Il Signor Marchese Carlo Zeccadori ha 2. Piatti compagni, ed altro più piccolo, tutti e tre della stessa mano, di una maniera assai grandiosa, e di ottimo disegno. Nel 1° è la nascita di Adone raccolto da 7. Ninfe, e di dietro è scritto in turchino: Mirra in Albero. 1533. Nel secondo sono le Baccanti, che hanno gettato la testa di Orfeo nel fiume Ebro. Nel terzo è Latona, che fa convertire gli uomini in rane, e dietro è in turchino: La Dea Latona". (7)
E’ poi ancora descritto il soggetto di "Ascolapio che resuscita i Morti, e sotto l’iscrizione è la seguente cifra ",
nonché un altro piattello di M° Giorgio nel quale si legge: 1519. – S.P.Q.R. – COL TEMPO SPESO PENSA. EL. FINE, con chiara allusione alla Pietra filosofale, risultato faticoso i cui meriti non si situano sul piano umano bensì nel Dono di Dio.
Accompagneremo il lettore attraverso questo Pellegrinaggio alchemico per mezzo di alcune opere ricche di seducenti analogie, cercando per quanto ci è permesso di trasmettere chiarezza circa il significato e la giusta collocazione del simbolo; pertanto chiediamo fin d’ora scusa al lettore che si troverà d’innanzi ad un linguaggio particolarmente complesso, ma l’Alchimia non è scienza d’Accademia e quindi è retta da categorie che trascendono l’umano. In questa nostra esegesi ci limiteremo alla ermeneutica dei simboli e dei miti rappresentati in riferimento diretto con l’Arte del crogiolo nella speranza di donare una lettura di il più possibile sintetica, completa e accessibile.
(Continua- vedi
sommario)
Note all'Introduzione:
1-M. Maier, Atalanta Fugies, hoc est Emblemata nova de Secretis Naturae chymica…, Oppenheimij, ex Typographia Hieronjmi Galleri, Sculptibus Joh. Theodori de Buy, MDCXVIII
2-G.G. Carli, "Sulle pitture in Majolica del Ducato d’Urbino e specialmente di Gubbio". (1756) collocazione C. VII. 1, G.G. Carli, Miscellanea, fasc. 6.
3-Litografie Artistiche Faentine, Faenza 1959, vol. 5 p. II. Trattasi del catalogo generale delle raccolte voluto dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza.
4-op. cit.
5-G.G. Carli, op. cit.
6-Fulcanelli, Les Demeures Philosophales et le symbolisme hermetique dans ses rapports avec l’Art sacré et l’esoterisme du Grand Oeuvre, 2 voll., J.J. Pauvert ed., Paris 1979.
7-Fulcanelli, Le Mystére des Cathédrales et l’interpretation ésotérique des Symboles Hermétiques du Grand Oeuvre, J.J. Pauvert, Paris 1979.
*Il
dr.Fabrizio Tonna è direttore del Comitato Scientifico di The Ars Regia
Society, Fondazione Internazionale per la Ricerca Scientifica in Alchimia e
Spagyria.