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La Cappella Funebre Gambarini, Cagnola, Abbiati a Verdello (BG) (di
Riccardo Scotti) Oltre
alle estese proprietà rurali, che furono acquistate da Carlo Maria Gambarini,
ed ai vari edifici da lui fatti costruire, particolare menzione merita la bella
Cappella Funebre della famiglia, tuttora esistente nel cimitero di Verdello. Questo
Mausoleo, costruito nel 1823 su disegno dell’architetto Capitanio, alla
morte di questo fu ultimato da Giuseppe Cattò. La costruzione, realizzata
servendosi del locale e durissimo “Ceppo di Brembate”, è dotata di una
spaziosa gradinata che s’introduce nell’arcone centrale e porta alla cella.
Sopra l’arcone è posta una civetta, opera dello scultore comasco Leone Bussi,
mentre sulla sommità del timpano è semisdraiata la grande statua del Gelpi,
rappresentante il Tempo. Dello stesso scultore, sono i due Geni scolpiti in
bassorilievo sulle basi dei due avancorpi dell’edificio, dalla forma di stele,
ed altre decorazioni (AA. VV., 1850). Sulla
facciata, ai lati dell’arcone, contenuti da due corone d’alloro e posti su
scudi sannitici, vi sono scolpiti due stemmi dei Gambarini, da me descritti
quando mi occupai dello “Stemmario
Verdellesco” (Scotti & Scotti, 1984). Per evidenziare gli elementi che
li compongono, riporto la blasonatura: interzato in fascia; nel primo
d’azzurro alla luna crescente volta e figurata; nel secondo d’argento alla
banda di rosso e caricato di due gamberi montanti posti in banda; nel terzo di
porpora a due cinquefoglie poste in fascia. Il colore delle figure naturali
parrebbe bianco (argento), ma può anche darsi che siano da intendersi al
naturale. All’interno
della cappella, la cella di forma ottagonale occupa tutto l’edificio e
contiene le sepolture della famiglia Gambarini, decorate con busti e lapidi
funebri degli scultori Cocchi e Comolli, mentre sull’altare era collocata una
tavola del Quattrocento rappresentante il Giudizio Universale. Nel sotterraneo
della cappella, con accesso nella parte retrostante del Mausoleo, sono sepolti
anche i Cagnola, che ereditarono tutte le proprietà Gambarini per matrimonio
(Chiodi, s. d.). Vanni
Zanella (1968), che per altro cita l’erronea attribuzione dell’Angelini del
1963, secondo la quale il Mausoleo e la Villa sarebbero opera dell’architetto
Cagnola, informa che dal 1931 questo edificio è sottoposto a vincolo, che egli
definisce “ufficiale”, vale a dire stabilito con Decreto Ministeriale. La
tavola del Giudizio Universale, verso la metà del secolo scorso, con
l’intento di proteggerla dal degrado e da eventuale furto, fu tolta dalla
cappella e custodita presso la Villa di Emilio Abbiati, padre dell’illustre
critico musicale Franco ed amministratore dei Cagnola, la cui famiglia è pure
seppellita nel sotterraneo del Mausoleo. In quel periodo, l’opera subì un
restauro non molto felice, poi, qualche anno fa, quando la Villa fu venduta
dagli ultimi eredi, su suggerimento di alcuni appassionati di storia locale, la
tavola fu donata al Comune di Verdello, ed ora si trova impropriamente esposta
sulla parete di un ufficio comunale. A questo punto, sebbene non sia questa la sede per soffermarmi su quest’edificio, non posso tralasciare dal fare una breve considerazione sulla bellezza e l’eleganza dell’architettura e delle sue parti decorative. Elemento saliente ed assai curioso nel Mausoleo Gambarini, nonostante la sua sistemazione in un cimitero cattolico, è senza dubbio alcuno la mancanza di un qualsiasi simbolo cristiano al suo esterno, eccezion fatta per la poco visibile scritta posta sulla porta d’accesso alla cella mortuaria. Questa scrittura in bronzo, piuttosto “laica”, è costituita da una lettera “P”, la cui parte bassa s’interseca con una “x”, formando il monogramma che sta ad indicare la parola latina “Pax”, posta tra le due lettere dell’alfabeto greco “Α” ed “Ω”, che stanno ad indicare l’inizio e la fine.
(1) La
figura preponderante che domina la facciata, con le sembianze di un vecchio
barbuto dotato di ali e con la falce nella mano destra, invece, è quella di
Cronos/Saturno, padre di Zeus/Giove, che a sua volta è considerato il padre di
tutti gli Dei dell’Olimpo, il quale aveva la pessima abitudine di divorare i
propri figli neonati. Con le sue grandi ali, derivate dal “Trionfo
del Tempo” di Petrarca, e con la falce, uno degli attributi originari
siccome antica divinità agricola, questa figura rappresentata da Saturno, dà
perfettamente l’idea del Tempo che vola e che miete e divora tutte le vite. Le
due figure di “angeli”, o meglio Geni, seduti e posti sulle basi degli
avancorpi del Mausoleo, a loro volta si appoggiano a due grandi torce accese ma
rivolte verso il basso, con il chiaro intento di spegnerle. Queste figure sono
caratteristiche rappresentazioni della Morte, mentre i loro atteggiamenti tristi
e pensosi non lasciano dubbi a speranze di resurrezione. Un dettaglio che mi
pare appropriato ricordare qui è che, quando sui monumenti funebri compaiono
due fiaccole spente e rivolte verso il basso, frequentemente stanno a
commemorare due amanti morti, e forse in questo caso si riferiscono a Carlo e
alla moglie Teresa. Più sopra i due Geni, ancora sugli avancorpi, vi sono due
teste femminili dalle belle acconciature ma dalle espressioni piuttosto
“dure”, e attorno ad esse sono scolpiti due serpenti che si mordono la coda,
in posizione perfettamente circolare. I
serpenti sono rappresentazioni di Ouroboros (Uroboros, Uroburo), che è un
simbolo usato in Alchimia e in Massoneria, il quale appare soprattutto fra gli
gnostici. Nel significato più generale simboleggia il Tempo e la continuità
della Vita, ed è stato interpretato anche come l’unione tra il principio
ctonico del serpente e quello celeste del cerchio, ma rappresenta pure la
dissoluzione dei corpi e nello stesso tempo l’auto-fecondazione e, in
sostanza, si riferisce all’idea di una Natura capace di rinnovarsi da sola,
ciclicamente e costantemente (Cirlot, 1985). Quale
commento fare, poi, a proposito della civetta che dall’alto dell’arcone
riceve tutti i vivi ed i morti che entrano nel Mausoleo? E’
risaputo che nel sistema geroglifico egiziano, quest’uccello notturno
simboleggia la morte, l’oscurità e la notte, ma è anche consacrata a
Minerva, Dea della saggezza che, infatti, vede anche nelle tenebre e, nonostante
il buio, non le sfugge nulla. Altra associazione spontanea è quella con
l’arte della caccia, di cui è stata scelta come animale simbolico, inoltre il
suo nome comune, presso gli ateniesi, fu anche sinonimo di denaro (Ronchetti,
1922). Un’ultima
considerazione riguarda le scritte latine, ormai illeggibili in alcune parti,
che si trovano incise sulle quattro facciate, le due frontali e le due esterne,
degli avancorpi del Mausoleo, e che da vari anni mi sono proposto di
trascrivere. Personalmente ritengo che, con tutta probabilità, la loro lettura
e traduzione potrebbe portare nuovi interessanti elementi che aiuterebbero nella
comprensione della simbologia presente sull’edificio. Termino
la nota sul Mausoleo rimarcando ulteriormente la bellezza e l’importanza di
quest’edificio, e segnalando la necessità di cominciare a porsi il problema
dell’acquisizione della proprietà da parte del Comune di Verdello, per non
lasciare che, in ragione del trasferimento o dell’estinzione delle Famiglie
interessate, quest’opera sia inesorabilmente destinata a cadere in rovina.
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