1)Inquadramento storico
-geografico
Dopo aver intrapreso una
recente ricerca in merito ad alcune zone della
Val Brembana, tra cui
Averara e Santa Brigida, ritorniamo su quest'ultima, essendoci ripromessi di
fare una pagina apposita dedicata ad un'antichissima chiesa, quella
intitolata a S.
Brigida appunto, attualmente nota con la denominazione di santuario della
Beata Vergine Addolorata, nome che le diede nel XVI sec. Carlo Borromeo. E'
probabile che egli intendesse togliere del tutto quelle radici 'pagane' che
affondavano nella notte dei tempi e che in Valle tardavano a recidersi,
nonostante gli ammonimenti e la dottrina cristiana.
Prima di leggere questo
articolo consiglio, a quanti sono interessati alla comprensione
dell'argomento, di leggere il lavoro del prof. A. Gaspani, pubblicato in
questo sito. Ciò consente di inquadrare anzitutto le vicende che stanno
dietro all'intitolazione della chiesa alla santa irlandese Brigitta o
Brigida, a sua volta retaggio del culto celtico della dea Brigit, dea
della conoscenza, della poesia, delle arti manuali e spirituali, della
fertilità e del fuoco. L'analisi archeoastronomica eseguita dallo studioso
Gaspani dimostra come la chiesa abbia un'orientazione astronomica precisa
fin dal suo nascere, come primitivo oratorio ad opera, verosimilmente, dei
monaci irlandesi. Nell'articolo, il professore rivela anche un particolare
che è rimasto misterioso e che riguarda la parte sinistra dell'antico
altare, oggi ritornato al suo posto e visibile.
Scrive A. Gaspani:
"Il lato
meridionale dell’altare riporta un’iscrizione incisa con lettere greche, ma
possibilmente anche mesogotiche, l’interpretazione è tutt’altro che agevole
considerato lo stato di conservazione, la quale non è ancora stata decifrata con
sicurezza, mentre la sorpresa è stata la scoperta nell’Agosto del 1998 (da parte
di A.Gaspani) della presenza sul lato settentrionale di una serie di incisioni
graffite nell’intonaco e rappresentanti una configurazione di 7 stelle
accompagnate da alcune iscrizioni latine, alcuni simboli raggruppati a forma di
“S”, una figura antropomorfa e più in basso da un graffito pisciforme la cui
forma è simile alla lettera greca Gamma oppure all’antico simbolo cristiano del
pesce, posto però in posizione verticale, leggermente inclinata a sinistra. È
stato facile riconoscere che i graffiti riproducevano una vera e propria mappa
del cielo, tracciata da qualcuno che sapeva leggere e scrivere, che aveva
accesso all’altare cioè al luogo più sacro della chiesa e che aveva familiarità
con il cielo stellato".
2)L'affresco
Lasciandovi il
piacere di scoprire ulteriori tasselli della scoperta, contenuti
nell'articolo integrale del Gaspani, portiamo la
nostra attenzione, invece, su un affresco conservato all'interno, nel
presbiterio, nella parte sinistra. Qui troviamo una scena in cui è presente
Cristo che sorge dal sepolcro, centralmente; alla sua sinistra c'è San
Lorenzo con un libro chiuso stretto al petto e, alla sua destra, S. Onofrio
(fig. 5).
Nella parte inferiore del sepolcro
si legge la data 1478 ed un cartiglio con un'invocazione latina, affinchè
sia allontanato un metaforico 'angelo percutiente'.
L'opera pittorica è stata
attribuita ad Angelo Baschenis, della celebre famiglia di artisti originaria
di questa Valle (abbiamo infatti già detto in un lavoro precedente che essa
era nativa della frazione Colla di Santa Brigida). Non è escluso che
il pieno significato dell'opera si ottenga prendendo in considerazione tutta
la scena rappresentata; purtroppo essa è mutila in diverse parti e questo
non consente di poterla 'leggere' nell'intero. Dietro il capo di S. Onofrio,
per esempio, sbuca non si sa da dove una mano che versa un liquido da una
brocca, verosimilmente in un recipiente, ma perchè? Che nesso assume nella
scena? L'altro santo, ben vestito, identitficato con Lorenzo, tiene un libro
chiuso con la mano destra, sul quale appoggia degli oggetti (dei frutti?)che
sembrano sporgere dall'interno della sua veste e sulla identità dei quali
non è possibile, al momento, pronunciarsi (fig. 7).
L'arch.
Riccardo Scotti, che
ha lavorato a lungo su questo affresco per tentare di decifrarne le
motivazioni e il significato recondito, scrive in un suo articolo (1) una
chiara descrizione, rispondente a quanto ciascuno di noi ha potuto osservare
andando in loco: "Tra
quelle citate, l'unica rimasta fortuitamente integra, è l'immagine di sant'Onofrio.
Il santo, che in altezza misura circa cm 110, si presenta in piedi, barbuto
e con i capelli lunghi ed ondulati che si confondono con il vello grigio che
ricopre quasi completamente il corpo. Restano scoperti, oltre al viso, le
mani, le ginocchia ed i grandi piedi scalzi. L'atteggiamento è molto
tranquillo e lo sguardo quieto si volge al cartiglio con la preghiera.
Dietro al capo è visibile un'aureola, attorno alla vita indossa una cintura
di foglie, probabilmente di quercia, con la mano destra, spostata
lateralmente all’altezza dell’inguine, si appoggia ad un bastone nodoso e
culminante in forma di Tau, mentre la mano sinistra, sollevata
dinanzi allo stomaco, sorregge e mostra una singolare corona formata da
cupole di ghiande o, più verosimilmente, da funghi".
La prima cosa che ci si può domandare è se
l'iconografia classica di Onofrio sia quella che vediamo, quella cioè di un
individuo vestito di pelle e pelo, come un uomo primitivo o
selvaggio.
Effettivamente è così:
ricoperto dai suoi capelli, dalla barba, dal vello e da un perizoma di
foglie. Spesso è ritratto in aspetto spaventoso e selvaggio e, a volte, il
vecchio anacoreta è rappresentato accovacciato a quattro zampe in
atteggiamento animalesco o con lo sguardo terribile.
L'agiografia che ci è stata tramandata(Vita
di Onofrio, del monaco Pafnuzio) ci informa che egli condusse vita eremitica
nel deserto della Tebaide (Egitto) per oltre settant'anni; il suo aspetto
era 'terrificante': il corpo interamente ricoperto dai lunghi capelli e
adorno di qualche foglia. La sua volontà era di conformarsi alle figure di
Elia e di San Giovanni Battista; viveva in una grotta e veniva alimentato
spiritualmente da un angelo, che gli portava periodicamente il Corpo e il
Sangue di Cristo. Una volta al mese traeva cibo dai palmizi e da un poco di
erbe. Alla sua morte, Onofrio venne sepolto dal discepolo Pafnuzio in una
cavità della roccia. Non si conosce l'epoca in cui questi fatti avvennero
(la vita di Onofrio si svolse tra I e II sec. d.C.) ma già nei primi secoli
dell'era cristiana il culto di Onofrio si diffuse. La sua festa cade il 12
giugno.
Innegabile che questa figura
eremitica ci ricordi quella di Maria Maddalena, così come l'abbiamo
trovata descritta nella
Grotta della Sainte Baume, nella Francia
meridionale, dov'ella- secondo la tradizione- sarebbe arrivata dalla
Galilea. Ritiratasi in una grotta del massiccio, a strapiombo, viveva come
un'anacoreta ricevendo il cibo spirituale dagli angeli. Anche lei viene
raffigurata tradizionalmente vestita dei suoi lunghi capelli. E anch'ella è
associata alla Conoscenza. Ci informa
R. Scotti che "è impressionante l' elenco di personaggi che sono
stati associati all'Uomo Selvaggio, di matrice cristiana e no. Tra questi si
possono elencare, oltre a sant'Onofrio, Nabucodonosor, il profeta Elia, san
Giovanni Battista, san Cristoforo, san Sebastiano, san Martino, san Giovanni
Crisostomo e tutti gli eremiti, ma anche Merlino (la più importante
personificazione medievale del mito), Giovanni senza paura (personaggio dei
racconti per bambini), oltre allo stesso Arlecchino (nella sua essenza più
antica di conduttore della Caccia Selvaggia)".
All'esterno della cosiddetta
Casa di Arlecchino, abbiamo di recente trovato l'iconografia dell'Uomo
Selvaggio, che riproponiamo.
3) L'interpretazione dell'
Homo Selvadego
Si può star certi che la figura
dell'Uomo selvaggio non è un'invenzione o una prerogativa cristiana ma
appartiene alla sfera del mito, dell'allegoria e riporta ad uno dei concetti
supremi della Scienza Alchemica. Ad esso
Fulcanelli dedica un intero
capitolo, l'ultimo del primo volume de "Le dimore filosofali". Riferendosi
all' Uomo dei Boschi scolpito su una casa di Thiers (Puy- de- Dome,
Francia), l'Adepto scrive: "Quest'uomo semplice, dai capelli lunghi e
spettinati, dalla barba incolta, quest'uomo che segue la natura, le cui
conoscenze tradizionali lo portano a disprezzare la vanitosa frivolezza dei
poveri pazzi che si credono saggi, domina dall'alto degli altri uomini, come
domina il mucchio di pietre che calpesta ai piedi. Egli è l'illuminato,
perchè ha ricevuto la luce, l'illuminazione spirituale. Dietro una maschera
d'indifferente serenità, egli conserva il suo mutismo e mette il suo segreto
al riparo dalle vane curiosità, dall'attività sterile degli istrioni della
commedia umana. Questo silenzioso rappresenta per noi l'antico Myste (dal
greco Mύστής, capo degli iniziati), incarnazione greca della
scienza mistica o misteriosa" ("Le Dimore Filosofali", I vol.,p. 248,
Ed. Mediterranee).
Nel caso di Thiers la
scultura lignea dell' Uomo selvaggio è munita di un bastone nodoso che
termina nella parte superiore con il volto di una vecchia stretto in un
cappuccio che, secondo Fulcanelli, è la Madre Pazza (2), altro nome
della Scienza ermetica. Colui che l'abbraccia e la coltiva, l'integrale
saggezza, è in realtà un saggio perchè s'appoggia su di essa. Questo Uomo
selvaggio è dunque l'allegoria dell'Alchimista, un sapiente dallo spirito
semplice, attento scrutatore della natura che cercherà di imitare, come la
scimmia imita l'uomo.
Un'altra considerazione
necessaria da farsi riguarda il bastone nodoso che il sant' Onofrio
dell'antica chiesa di S. Brigida tiene nella mano
destra e che termina a forma di T (tau) e le sette nodosità,
che potrebbero alludere alle sette fasi dell'Opera. R. Scotti (op. cit. in
nota 1)scrive che: "Nei suoi sette nodi, evoca le incisioni effettuate
dagli sciamani siberiani sul tronco dell’Albero Sacro durante il rito
d’iniziazione per raggiungere il cielo, i quali corrispondono ai diversi
livelli dell’iniziazione sciamanica". Il Tau è una croce, che è simbolo
del crogiolo alchemico, in cui la materia si trasforma e divine spirito. E'
anche un simbolo adottato dai
Cavalieri del Tau di Altopascio,
oltre che dai
Templari
e da alcune comunità monastiche
(Antoniniani e Frncescani),
per le
quali rappresentava sia la fedeltà a Cristo sia un potente
amuleto per difendersi dalle piaghe e da altre malattie della pelle.
Nella Bibbia il Tau (Taw in ebraico) assume
un valore fondamentale poichè è proprio per mezzo di questo segno impresso
sulla fronte che Dio riconoscerà il suo popolo eletto; essendo l'ultima
lettera dell'alfabeto ebraico, il Taw condensa in sè l' intera opera
rivelata di Dio.
4) Etnomicologia dell'arte
cristiana?
Consideriamo ora la presenza della
strano rosario pendente dalla mano, che pare essere un unicum, almeno
allo stato attuale delle ricerche effettuate. Non è chiaro il significato:
potrebbe essere solo un invito alla preghiera, vista come pratica risolutrice di
molti o tutti i mali, ma la forma inusuale ed elaborata dei grani
pare sottendere qualcosa di più. Anzitutto se rosario dev'essere(3), è
mancante della croce e non rispetta le divisioni dei rosari classici (cosa
questa che non è comunque insolita nelle raffigurazioni dell'arte cristiana
di santi o Madonne). Se fosse stato un semplice elemento di corredo
all'iconografia religiosa contestuale, che bisogno c'era di dare al rosario-
ammesso lo sia- una forma simile? Di cosa è composta in realtà la corona o,
meglio, la collana che Onofrio mostra?
E' noto che gli eremiti si
cibavano di vegetali per sopravvivere ai lunghi periodi di digiuno. Potrebbe
trattarsi di un caso del genere? Ma quali vegetali? E' possibile che si
possa trattare di sostanze che inducevano anche uno stato alterato di
coscienza, in modo che alla resistenza fisica si unisse anche una forma di
allucinazione sensoriale? In natura esistono diverse sostanze che possono
fungere allo scopo. Molti tipi di funghi, ad esempio(4).
Scrive R. Scotti
che "le descrizioni dello stesso sant'Onofrio che riceve la visita
quotidiana degli angeli divini che lo alimentano e che settimanalmente gli
portano il corpo e il sangue del Signore, possono essere associate
all'ingestione di vegetali psicoattivi[...]
Nel mondo occidentale moderno, la conoscenza del ruolo che i funghi
allucinogeni ha avuto nella formazione dei riti e dei culti religiosi,
influenzandoli fortemente, risale a una cinquantina d’anni fa. Nell’ambito
degli studi di Etnomicologia, disciplina che si occupa di analizzare
il rapporto più che millenario tra la specie umana ed i funghi, recentemente
è andata delineandosi una nuova sezione, denominata “Etnomicologia
dell'Arte Cristiana”, che analizza le rappresentazioni fungine nel
contesto della cultura religiosa antica ed il significato che queste
assumono, come messaggi più o meno comprensibili.".
Diversi
studiosi stanno inventariando e analizzando le figure fungine
nell'iconografia cristiana, la quale ha adottato un sincretismo con culture
ad essa precedenti. Non potendo sradicarle, ne ha trasposto figure e
concetti adattandoli alla nuova dottrina.
Uno di questi
studiosi di etnomicologia è
Gianluca Toro che,
nel suo ultimo libro "Alberi-fungo e funghi nell'arte cristiana",
analizza la curiosa 'corona' che il sant' Onofrio sorregge con la sua mano
sinistra. Discutibile è la possibilità che si tratti di ghiande, visto che
la cintura di foglie in vita all'eremita appartiene ad una quercia, di cui
la ghianda è il prodotto. Questi frutti sono duri e dunque ben maneggiabili;
contengono una sostanza, il tannino, che viene usato in farmacologia come
rimedio per avvelenamento da alcalodi, per coagulare il sangue, per malattie
della cute e come astringente. Ma il colore (che di norma è grigiastro) non
corrisponde al reale, essendo qui marrone, inoltre anche la cordicella su
cui sono infilate le cupole si interrompe alla base di ciascuna di esse,
evidenziando la consistenza di questi elementi e la mancanza di concavità
nella parte inferiore, caratteristica delle cupole delle ghiande. Se fossero
funghi, invece, non si riesce a stabilire di quale specie si tratti. In ogni
caso, la loro presenza potrebbe alludere a pratiche magico- rituali che
affondano la loro origine in culti precristiani. Ma perchè il santo li
tiene in quella posizione e in bella vista? Cosa vuole dirci? Con lo sguardo
punta dritto al cartiglio dove è riportata l'invocazione contro le
pestilenze; inoltre altri santi raffigurati in questa chiesa, e coevi
all'affresco di sant'Onofrio, sono invocati contro le epidemie, i contagi,
le malattie cutanee, le pestilenze. C'è un nesso?
Forse il santo era anche un
guaritore, quel che si potrebbe definire uno sciamano? "Se l'artista
avesse voluto rappresentare intenzionalmente dei funghi, la loro presenza
non farebbe necessariamente propendere verso un'interpretazione enteogenica,
il che non esclude però che sia possibile riconoscervi un messaggio
nascosto, che appare probabile. essi definirebbero la figura di Sant'Onofrio
come quella di un Santo -sciamano"- scrive G. Toro (op. cit. p.156).
5) Una presenza diffusa
Nei paesi di montagna come S.
Brigida, la figura di un uomo selvaggio non è estranea al popolo che anzi, a
seconda delle regioni, ha attribuito ad esso diversi appellativi:
Salvanèl, Om Pelòs, Salvàn, der Wild Mann,
Sambinello, Om Selvadech, Òm da l bòsch, e via discorrendo, tutti
ricollegabili ad una figura mitica legata al mondo agreste, come poteva
essere la divinità romana di Silvano, o quella celtica di
Kernunnos o del dio Lug. A volte è un essere buono altre
volte malvagio (come la natura, del resto). Si tratta sempre di un
personaggio portatore di conoscenze, in particolare nelle solitarie valli
montane egli detiene il segreto dell’abilità casearia, l’arte della
conservazione dei principi nutritivi del latte mediante la sua
trasformazione in formaggio. E' probabile che nel corso del tempo, ad
una figura mitica si sia sovrapposta la necessaria trasposizione di un
personaggio autentico, che ha abitato in zone rimaste nella memoria
collettiva e che per le sue caratteristiche è rimasto impresso nel toponimo
con cui quei luoghi sono ancora oggi conosciuti. E' il caso di toponimi
trentini come Capitèl de l’Òm selvadech a Faver, il Bus del
Salvanèl a Cagnò, a Daone e anche altrove, il Bus del Barbaza a
Mori... Un nostro collaboratore, G.Pavat, ci ha segnalato una interessante
iconografia, in Val di Fiemme (Trentino), di una intera famiglia di 'Selvaggi'
(leggi l'articolo). Noi stessi bbiamo documentato un
Homo Selvadego (Wilde-Mann) a Bressanone
(BZ), dotato di ben tre teste!
In un
paese non distantissimo dalla valle Averara, Sacco (nella bassa Valtellina),
c'è la Casa dell'Uomo Selvatico(5). Si tratta di un edificio a due
piani usato come stalla e deposito per il fieno nei tempi andati, cosa che
rendeva difficile vedere i begli affreschi quattrocenteschi con cui sono
decorate le pareti interne. Tra di essi spicca un uomo peloso e barbuto che
tiene tra le mani un bastone nodoso (una sorta di clava), accanto al quale
una frase lo qualifica precisamente: ""Ego sonto un homo salvadego per
natura, chi me ofende ge fo pagura" (Io sono un uomo selvaggio per natura,
chi mi offende gli faccio paura). Guarda caso, gli autori sono
componenti della famiglia Baschenis che hanno realizzato il Sant'Onofrio
nella chiesa di S. Brigida in Valle Averara (là era un Angelo Baschenis e
qui abbiamo le firme di Simone e Battistino). La data per questi dipinti è
certa: 18 maggio 1464 (quattordici anni prima dell'affresco di S. Brigida,
che è dunque da considerarsi posteriore). In questo anno, si sa dai
documenti che il rettore della chiesa di San Lorenzo a Sacco era un certo
don Cristoforo di Averara (località a due passi da S. Brigida).
Su un
arco della porta d'ingresso si possono vedere tre volti in una sola testa e
una frase propiziatoria di benvenuto, scritta in caratteri gotici "Benedictus
sit lochus iste, sit pax intranti, sit in tua gratia quam manenti". Da
alcuni anni si è restituita a questa Casa la giusta attenzione e il decoro,
tanto che è sorto un museo di interesse internazionale per
la presenza, insieme
alle altre raffigurazioni, di una delle più belle immagini, finora
documentate, dell'Uomo Selvatico. "Questo
personaggio - si legge nel sito ufficiale della Comunità Montana di
Morbegno - non è solo un fenomeno locale, ma si può affermare che sia un
vero e proprio simbolo della cultura contadina alpina. Le profonde radici
nella cultura popolare di questo strano essere trovano conferma anche nella
scelta di una delle Tre Leghe Grigie, - alle quali la Valtellina fu
soggetta tra il 1512 e il 1797 - quella delle Dieci Giurisdizioni, di
porre l'uomo selvatico nel proprio stemma, motivando tale scelta col fatto
che esso rimanderebbe "agli albori del carattere nazionale retico, alla
scaturigine dei sentimenti spirituali dell'era precristiana "
Legami forti, dunque, tra
natura e uomo, tra spiritualità e quotidianità nelle vallate alpine dove più
che altrove "lo spazio abitato (il villaggio, la casa, l'alpeggio) è
vissuto come spazio sacro, contrapposto al bosco, all'incolto, ai sentieri
pericolosi, all'alta montagna posta fuori dal controllo dell'uomo, In questo
secondo spazio vivono le anime dei morti, i folletti e l'uomo
selvatico.[...]
Con ogni probabilità in costui si identifica la religiosità precristiana del
mondo alpino che, del resto, trova in Silvano un nume a cui sono dedicate
molte are".
Cosa non trascurabile, anche
questo Uomo Selvaggio di Sacco ha accanto un tipo di vegetale, dalle
dimensioni insolite: è infatti grande quanto lui.
A Bergamo alta, all'interno
della basilica di S.Maria Maggiore, è presente un ciclo pittorico risalente
alla fine del XIII secolo, tra cui spicca la figura di un eremita (fig. 12),
in tutto simile al S. Onofrio di S. Brigida, solo che qui non c'è un rosario
o collana di vegetali che dir si voglia, ma un libro chiuso. Il
santo, che ha un'aureola, è incognito; si appoggia su un bastone che
termina chiaramente in una croce a T(Tau) nella parte superiore. Due
elementi vegetali si stagliano ai suoi lati, e lo superano in altezza. E'
chiara l'evidenza di un contesto naturalistico. Gli studi ufficiali la
ritengono una rappresentazione consueta degli anacoreti della Tebaide ed è
ipotizzata una ripresa di una iconografia di S. Paolo del IV secolo.
Potrebbe però trattarsi di un S. Onofrio, a nostro avviso.
Il
nostro Homo Selvadego potrebbe assumere, alla luce di tutto
quanto sinteticamente illustrato, una valenza di primaria importanza: quella
dell'Adamo primordiale, Uomo e principio universale, cifra e chiave del mondo,
testimone della Creazione e destinato a regnare su di essa. Incarna dunque
le due figure antropologiche del Padre, il 'vivente' dell'Apocalisse,
l'Anziano il cui ruolo è quello di Maestro, e quella del Figlio, attraverso
cui il primo si esprime. "L'Uomo disinteressato, umile di cuore, dall'amore
universale è, al tempo stesso, la chiave del mondo. Tutto il potere gli è
stato dato sul Cielo e sulla Terra, perchè egli è in relazione con il
Padre dall'inizio della creazione -mediante l'espressione Fiat- alla
fine dei tempi, per il fatto di essere anche l'omega della parusia, che
chiude così l'alfabeto del mondo" (Mirabail, 1989).