itinerari poco noti tra natura selvaggia e borghi antichi
A pochi
chilometri dalla città di Bergamo, andando verso nord, si imbocca una Valle
che è certamente famosa, ma solo per alcune località di rinomanza
internazionale come San Pellegrino (celebre per le sue terme e il casinò).
Altri paesi restano sconosciuti ai più. Vogliamo cercare di divulgarne
alcuni angoli suggestivi, per un tour diverso e sicuramente pieno di
sorprese, di misteri, di leggende e soprattutto di natura ancora intatta.
Il percorso
proposto è ben visibile nella cartina sottostante(*):
La Valle del Brembo
La Valle
Brembana è scavata dal fiume Brembo, una presenza costante che
seguirà il ricercatore lungo tutto l'itinerario, e che contribuisce a
ritmarne la vita, i paesaggi ora impervi e rocciosi, ora aperti su
magnifiche conche verdeggianti e pascoli dal sapore alpino, o in grotte
oscure che hanno anche fatto da riparo per l'uomo preistorico. Ogni montagna
che corolla questa Valle sembra che riservi una sorpresa:infatti dietro di
essa si apre quasi sempre una valletta collaterale, con il suo ambiente
naturale caratteristico, i suoi borghi, le sue tradizioni millenarie. Perchè
qui molte feste religiose conservano retaggi di culti ancestrali, e molte
chiese sono sorte su precedenti santuari 'pagani', anche se forse la memoria
lo ha dimenticato.
Un tempo
Bergamo, capoluogo della provincia dove la Valle si insinua e si inerpica
fino a quella di Sondrio, era collegata alla Valbrembana da antiche Vie di
passaggio, la più vetusta delle quali fu la
Via Mercatorum.
A causa di tratti impraticabili per la conformazione delle rocce, la Valle
risultava divisa in due, la bassa e l'alta; differenza che seppure oggi è
superata chiaramente dal moderno assetto stradale, si è conservata nella
toponomastica, ravvisando una parte più vicina al capoluogo (che è nota come
Bassa Valbrembana) e una parte più distante, a ridosso della Valtellina,
nota come Alta Valbrembana. I paesaggi mutano e sorprendono continuamente,
unica costante è il fiume e, lasciatecelo dire, la bellezza uniforme. Appena
lasciata la città di Bergamo, si entrerà immediatamente in un'atmosfera
assolutamente nuova, tanto da far pensare di trovarsi in un universo a sè!
Raggiungere la
Valbrembana è piuttosto semplice e da Bergamo ciò è possibile in due maniere
fondamentali: imboccando la Statale da Dalmine (che ad un certo punto ci
potrà portare -con una deviazione a sinistra- nella spettacolare
Valle Imagna)
oppure la superstrada che passa da Ponteranica. Optando per questa
soluzione, una piccola ma doverosa fermata consigliata da noi di 'due passi
nel mistero' è -appena mossi da Bergamo, nei pressi del Parco dei
Colli- la chiesa di S.Vincenzo e Alessandro a
Ponteranica,unica
nel suo genere (in bergamasca): per le dimensioni, infatti, potrebbe essere
divisa in navate e invece è ad aula unica, che risulta quindi molto larga e
'strana'. Molti vi arrivano per ammirare il polittico di Lorenzo
Lotto (a sinistra dell'altare), seguendo un percorso prestabilito che è
segnalato lungo la strada ('Itinerari Lorenzo Lotto'); l'edificio e
il contesto in cui è inserito meritano la visita a prescindere da questo.
A breve
distanza, a Rosciano, sul colle Maresana, da vedere è poi la 'piccola
Lourdes', una grotta
scavata nella roccia in cui è ricreato il suggestivo incontro tra la Vergine
e Bernadette Soubirou, in un'atmosfera di effetto.
1^ tappa: da Sedrina a San Giovanni Bianco
Senza lasciarci
andare troppo in continui apprezzamenti, giungiamo nella prima località
della Valle Brembana:Sedrina.
Prima località ma già dà spettacolo, con i suoi 'ponti' sospesi ad altezze
vertiginose, alla confluenza dell'innesto della Valle Brembilla con la
Brembana. I quattro ponti sono di epoche diverse e costituiscono certo una
delle maggiori attrattive del paese, come la chiesa di S. Giacomo in cui è
custodita un'altra opera di Lorenzo Lotto, una pala d'altare (2).
Proseguendo lungo la strada si incontrerà l'importante centro di
Zogno,
il più popoloso della valle con i suoi 8.000 abitanti. Qui sono necessarie
alcune ore di visita per conoscere il suo centro storico, dominato
dall'alto dalla chiesa parrocchiale, che sorge sul luogo di un distrutto
castello (a cui i corsi di pietre fino ad una certa altezza ancora
appartengono) e per visitare adeguatamente il
Museo della Valle, gioiellino nel suo genere, con
innumerevoli reperti (circa 5.000) che testimoniano l'evoluzione della
civiltà della Val Brembana nel corso dei secoli. Importanti ritrovamenti sono
avvenuti in alcune grotte del territorio, tra le quali la più nota è la
Grotta delle Meraviglie.
Queste
caverne funsero da riparo e da tomba per alcuni abitatori dell'Età del
Bronzo, di cui sono venuti alla luce reperti ossei, denti, piccoli utensili.
Con l'immagine nella mente di come potesse essere il paesaggio centinaia di
migliaia di anni fa, immersi in trasognanti pensieri che vengono alimentati
dal succedersi dei colori che scorrono davanti ai nostri occhi, ci
rimettiamo in auto e raggiungiamo la capitale turistica della Valle:
San Pellegrino Terme.
Luogo
sacro per eccellenza, incastonato tra cime non elevatissime ma imponenti, fu
valorizzato per le sue acque salutari, la cui importanza venne riportata in
modo scritto per la prima volta nel 1452. Nel 1740 un medico, il dr. Alberto
Astori, redasse le 'Dissertazioni sull'acqua di San Pellegrino' e
nell'Ottocento le sue
Terme - che sono
attualmente chiuse- godettero di prestigio assoluto, richiamando perfino la
famiglia reale Savoia. La loro indicazione terapeutica era rivolta a litiasi
renale, iperuricemia, diatesi linfatica, obesità, malattie epatiche e delle
vie biliari, malattie dell'apparato digerente. Risalgono all'inizio del XX
sec. il palazzo del Casinò
-in stile Liberty- e il rinomato Grand Hotel
Terme, che erano un po' il simbolo della
cittadina nel mondo, e sono attualmente chiusi ma il progetto di un loro
recupero è in atto (anche le terme dovrebbero essere riaperte in futuro).
Sostare a pranzare sulle rive
del Brembo è una delizia; sia che si scelga una soluzione 'fai -da-te' con
un semplice panino sulle panchine lungo l'argine terrazzato del fiume o sui
tavolini all'aperto dei tanti locali che vi si affacciano, è ugualmente
affascinante. Diversi i monumenti da visitare, sempre che il limite
implacabile degli orari di chiusura non sia già scoccato (generalmente le
chiese chiudono tra le 12 e le 15.30), ma se si vuole vedere una chicca poco
conosciuta ci si deve recare a
Sussia,
in cui il tempo si è letteralmente fermato poichè gli abitanti hanno dovuto
scendere a valle per sopravvivere. In località
Castello della Regina,
montagna che sovrasta l'abitato, viene ricordata la leggenda che vi
trovasse rifugio la regina longobarda Teodolinda e un tesoro
sarebbe ancora nascosto in un anfratto inaccessibile... Ma dove sarà
mai? Eh, molto più reali sono invece le guerre disputate proprio qui tra
Guelfi e Ghibellini, che da nord a sud della valle devastarono e
destabilizzarono il territorio per diverso tempo, fino al governo di
Venezia. In anni piu' recenti Sussia di San Pellegrino Terme e' stato un
rifugio per i partigiani della Valle Brembana.
La chiesa parrocchiale di S. Pellegrino, che forse pochi
turisti visitano, reca almeno due curiosità che ci hanno fatto tornare col
pensiero al piccolo paese dei Pirenei francesi,
Rennes-le-Chateau,
pur sapendo perfettamente che il significato rientra nella canonicità
ecclesiastica: una frase incisa sulla base di un pilastro fuori
dall'edificio (Ave Spes Unica- S. S. Missioni 1960) e un'altra incisa su uno
stemma sovrastante l'ingresso (Porta Coeli MDCCXXXIX).
La sosta
successiva è
San Giovanni Bianco,
a 450 m s. l. m., che offre subito uno spettacolo di ponti sull'acqua, alla
confluenza del
torrente Enna
con il Brembo e all'incrocio della Brembana con
la
Val Taleggio, incorniciati da uno scenario da fiaba tra montagne, picchi
e prati verdi. Il centro storico, sobrio ma particolare, è caratterizzato da
case in pietra e portali sormontati da incisioni, vicoletti, piazzette, ed è
sostanzialmente impostato nell'area compresa tra la
chiesa parrocchiale
e la cinquecentesca strada porticata che fino al 1882
costituiva la principale via di collegamento della valle. In quell'anno
venne realizzata la nuova strada, a causa della quale fu però sventrata una
porzione del centro storico. Tra la chiesa e la via porticata vi è la piazza
principale, al centro della quale svetta la statua di un personaggio
importante che le ha dato anche il nome:
Vistallo Zignone.
Questi era un soldato distintosi al tempo della guerra contro il francese
Carlo VIII (1495, a Fornovo sul Taro), vinto il quale la Repubblica Veneta
lo ricompensò con la Spina della Corona di Gesù Cristo, che il milite
donò al paese nel 1498 ed è oggi ancora conservata nella sua teca presso la
chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista. Oggetto di fervente devozione
popolare fin da allora, è tutt'oggi portata in solenne processione il 29
marzo. Sembra che in questa festa si mescolino retaggi di culti più antichi
e 'pagani' come la celebrazione dell'Equinozio di Primavera o Risveglio
della Natura di celtica memoria. Per questo, all'evento religioso, si è
mantenuto quello -parallelo- a carattere popolare. Nei quindici giorni
prima della Pasqua, accorrono devoti da ogni parte della Valle, la vigilia
si accende il tradizionale falò e ogni casa accende un lumino al calar della
sera. Pare che un tempo la Spina fosse custodita in una chiesa di
Parigi e, secondo una diversa tradizione, fu lo Zignone a sottrarla ad un
soldato francese e portarla a S. Giovanni Bianco, suo paese di origine.
Attorno alla 'reliquia' sono sorte leggende in odor di miracolo, alcune
delle quali recenti e che invitiamo il lettore a conoscere a questo link
dedicato alla
Sacra Spina.
Per quel carattere del tutto particolare che le
reliquie in generale rivestono in ambito sociologico, antropologico, storico
e scientifico, è interessante capire cosa successe realmente, ma pare sia
ancora un mistero. Fin dalla sua traslazione in loco, infatti, si dice che
dalla Spina uscissero dei fiori miracolosi fino a quando un losco
individuo la rubò, nel 1598; venne poi ritrovata ma smise di 'fiorire'! Il
27 marzo del 1932 ovvero ben quattro secoli più tardi, il miracolo si ripresentò.
C'era molta attesa poichè anche altre Sacre Spine, conservate altrove
(esempio quelle di Napoli e ad Andria), quando il Venerdì Santo cadeva il 25
marzo, producevano eventi prodigiosi, o almeno così si riteneva. Ma ciò che
accadde a quella di S. Giovanni Bianco lasciò tutti ammutoliti. Quel preciso
giorno, la reliquia
venne tolta dalla sua teca ed esaminata da una Commissione che appositamente
si era riunita per osservare eventuali fenomeni; la gente era tutta in
ansia, accalcata e trepidante. aspettando che si manifestasse 'qualcosa'. Ma
niente, la commissione non constatò nulla, al momento e tra una certa
delusione generale la Sacra Spina venne rimessa a posto, mentre comunque la
processione interminabile dei fedeli le rendeva omaggio. Il pomeriggio di
Pasqua, però, il parroco notò una macchia rossa comparire sulla Spina; venne
convocato il medico locale che confermò quella curiosa presenza:"una
macchia rossa sanguigna, viva ed umida che tendeva a dilatarsi visibilmente
in alto, visibile ad occhio nudo ad un metro di distanza".
La chiazza aveva forma di fiamma rovesciata, dalla lunghezza di circa 10 mm
e dalla larghezza di 2 mm. La notizia fece scalpore e si diffusein un batti
baleno in tutta la valle, in provincia e arriva alle orecchie del vescovo Marelli
di Bergamo. Giornali ne diedero eco, i treni che allora percorrevano
la Valbrembana si fecero strapieni, tutti accorsero spasmodicamente per
assistere all'ennesimo miracolo. Si riunisce di nuovo la Commissione
esaminatrice che constata: "una macchia rosso sanguigna, di forma
piramidale con l'apice in basso. Questa macchia non si e' riscontrata nelle
precedenti 2 constatazioni ed oggi appare per la prima volta".
Nel corso di quelle ore e di quei giorni, la macchia di sangue cambiò forma
e tono di colore, mentre la sua presenza perdurò per mesi, seppure sfumata.
Intanto il 'miracolo' aveva scavalcato i confini provinciali e ogni giorno
si avevano visite di pellegrini in ingente numero (circa 15.000!), tanto che
le Ferrovie dello Stato dovettero istituire corse supplementari, mentre in
tanti si mettevano in cammino a piedi in segno di pentimento o di devozione
Mentre a poco a poco l'insolito fenomeno scemava, si tennero infine solenni
feste di ringraziamento, l'ultima delle quali il 5 ottobre di quello stesso
anno, presieduta dal futuro papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli
(nativo bergamasco), di cui è stato eretto un cippo a ricordo dell'evento in
una piazzola poco avanti della parrocchiale.
Questa
parentesi per lo 'spirito' -che ci permette tra l'altro di riflettere sul
mistero delle reliquie già da noi intrapreso in questo portale e sulle
implicazioni di ordine morale e strumentale che in ogni epoca sono
subentrate a proposito di questo fenomeno(ancora attualissimo, specie in
certe zone)- non ci distoglie dal proseguo del viaggio e la nostra meta è
ora decisamente appetibile, in un luogo ove le macchine sono bandite e che
si raggiunge solo a piedi.
2^tappa:
dalla casa dei Tasso a quella di... Arlecchino
**
Una piccola
deviazione dopo S. Giovanni Bianco e si giunge -appunto- all' oasi di
Cornello dei Tasso
(frazione di Camerata Cornello),annoverato tra i
Borghi più belli d'Italia
e paese d'origine della celebre
famiglia che annoverò tra i propri discendenti anche
Torquato Tasso,
autore della 'Gerusalemme Liberata'. Quand'egli nacque, a Sorrento, nel
corso del 1500, la sua famiglia era già da tempo diventata ricca e famosa,
ricercata da molte corti europee e questo per un semplice motivo:nel 1298
avevano inventato il Servizio Postale! A quel tempo il borgo si trovava al
centro dei commerci che si snodavano con la Valtellina lungo la
Via Mercatorum,
che abbiamo imparato a conoscere. A Cornello aveva sede un importante
mercato ma la sua fortuna iniziò a declinare quando venne costruita la
cinquecentesca Via
Priula che, correndo
sul fondovalle, tagliava fuori il borgo, che era situato più in alto.
L'isolamento ne decretò la progressiva 'dimenticanza' e questo, da un lato,
ha permesso la sua conservazione. Raggiungerlo non è un'impresa ma si devono
seguire attentamente i cartelli per non sbagliare. L'auto o altro mezzo
devono essere parcheggiati negli appositi spazi, non numerosi, dunque ci si
regoli di conseguenza onde evitare di arrivare lì e non poterlo visitare. La
prima impressione è di arrivare in un angolo sperduto del mondo: il pontile
di collegamento è a strapiombo sul fondovalle e da qui si vede il corso
sinuoso del Brembo, qualche delizioso ponticello in legno che lo attraversa,
le montagne e tanto verde. Nel silenzio solo la natura regna sovrana.
L'incanto non
si interrompe quando si incontrano le prime costruzioni di pietra, amabili
archi a tutto sesto che lasciano intravedere, come dal buco di una
serratura, quel che ancora è mistero. La pietra, quella che ci piace tanto,
è sovrana:porticine, balconcini, locali abbandonati, porticati
medievali, ma è tutto vero o siamo in un villaggio da sogno? Non si vede
anima viva e il dubbio è legittimo! Tuttavia gli abitanti lo abitano. Cornello è strutturato su tre livelli:
nel primo(cioè il più basso) vi sono le costruzioni a strapiombo sul fiume,
che consentono di apprezzare l'originaria caratteristica di fortificazione
del borgo stesso; sul piano superiore corre il monumentale porticato sotto
il quale passava la
Via Mercatorum,
della quale restano un centinaio di metri. Qui si aprivano le botteghe, le
scuderie, che erano il cuore pulsante del paese. Il terzo livello è dedicato
agli edifici civili, e sopra tutto c'è la chiesa
romanica
dei SS. Cornelio e Cipriano, che simboleggia l'unione
con i piani inferiori. L'edificio è molto interessante: di un romanico 'puro'
(XII sec.) in alcuni tratti e soprattutto nel
campanile a bifore che è tra i
pochi di questo stile rimasti in questa valle. All'esterno, sopra il portale
d'ingresso in facciata, c'è una
croce 'patente':zampino templare?
All'interno è stata rimaneggiata ma si apprezzano notevoli affreschi datati
al 1400-1500, forse della scuola dei
Baschenis, di cui si è parlato a
proposito di S. Brigida, nell'Alta Val Brembana, che era la loro patria
d'origine (3).
Sul lato sud
del borgo, accompagnati dal fragore delle acque del sottostante Brembo, che
qui si fa impetuoso per la presenza di una chiusa, si accede ad un
complesso di ruderi,
che una lapide dice essere appartenuti alla vecchia abitazione della
famiglia Tasso, che evidentemente fungeva anche da posto di guardia verso la
Vallata.
Nel borgo, in
cinque locali diversi, è stato allestito dal 1991 l'interessante
Museo Tasso,
che presenta documenti, immagini, corrispondenza privata, mappe antiche e
tutta la storia della famiglia omonima, il ruolo che svolse nella
fondazione e gestione della
Compagnia dei Corrieri della
Serenissima; ma non
solo, i Tasso lavorarono per le
Poste Pontificie fino al
1539, per gli Asburgo, per Filippo I di Spagna e per l'imperatore Carlo V.
Divennero mastri imperiali e istituirono una fitta rete di collegamenti tra
centinaia di città europee. Si creò insomma una multinazionale, che si
collocò ai vertici del potere finanziario. La famiglia Tasso, originata
nella piccola Cornello, si diffuse in Europa assumendo cognomi leggermente
diversi: il ramo tedesco prese il nome di
Thurn und Taxis
e ottenne il titolo di 'principi'.
Con il passare del tempo, si adeguarono alle scoperte tecnologiche e se
inizialmente i corrieri andavano a cavallo, poi usarono tutti i mezzi che la
'scienza' offriva, per rendere i servizi sempre più celeri. Ma ad un certo
punto fu proprio la tecnologia che, sul finire del XIX secolo, mostrò di
essere pronta per fare a meno di loro. Ai superstiti venne assegnata con
decoro una rendita pensionistica. A Regensburg è nato un prestigioso museo
sui 'mastri di posta', amministrato dai
Thurn und Taxis,
che è il ramo principale della famiglia Tasso e con la quale il Museo di
Cornello -loro paese d'origine- intrattiene proficui rapporti interculturali.
L'insegna dei Corrieri era un
cornetto,
una sorta di tromba avvolta a spirale che veniva apposta ovunque vi
fosse una stazione postale (alcuni alberghi un po' dismessi, ancora oggi, la
recano) mentre nello stemma dei Tasso c'è sempre l'animale omonimo.
Nel Museo si
trovano anche delle mappe, come quella che riproduce una carta schematica
della Valle Brembana realizzata da
Leonardo da Vinci
tra il 1507 e il1510, che è la prima rappresentazione geografica del territorio brembano (originale conservato nella Biblioteca Reale di Windsor). Anche in
essa l'artista toscano usò il suo proverbiale sistema di scrittura ' al
contrario', cioè leggibile soltanto mettendo il documento, capovolto,
davanti allo specchio. Questo nasceva probabilmente dall'esigenza del
geniale Leonardo di mantenere segreto il suo operato, ma per una mappa
geografica? In questa cartina, la città di Bergamo, posta giustamente come punto di
partenza, è identificabile da due cerchietti (città bassa e città
alta), prosegue poi verso Ponte San Pietro perchè nel 1493 era crollato il
ponte romano cosiddetto 'della Regina' ad Almenno (in Valle Imagna) e non ve ne erano altri
per attraversare il Brembo.Vi sono anche una o due località messe nel punto
sbagliato...
Lasciato
Cornello, con un ulteriore piccolo sforzo si può portarsi al Bretto,
dall'altra parte della collina (raggiungibile in automobile), minuscolo
nucleo immerso nel verde, e visitare l'idilliaco santuario di San Ludovico, che
si erge solitario in posizione declive. Aperto solo la domenica pomeriggio,
conserva affreschi cinquecenteschi dai colori vivissimi. All'esterno un
grande dipinto mostra lo stemma della famiglia Tasso, cui la chiesa
appartenne.
A piedi, seguendo il
suggestivo tratto della Via Mercatorum (ma si può optare per la
carrozzabile se non si vuole abbandonare la macchina), si raggiunge
Oneta.
Il percorso da Cornello dei Tasso è lungo circa due chilometri e si snoda su
un'antica mulattiera che permette di rivivere intatto il fascino del
medioevo, in compagnia di prati verdi, boschi e tanta natura silenziosa.
Oneta è un piccolo paese ma carico di storia e di arte. Senza dubbio
l'attrattiva maggiore è costituita dalla cosiddetta Casa di Arlecchino,
la popolarissima maschera carnevalesca di origine veneziana. Già, veneziana,
e dunque come mai qui nel bergamasco si trova casa sua? Il fatto è che
questo edificio non è affatto quello che dice il nome, ma era la residenza
quattrocentesca di un signore locale, forse
Alberto Naselli,
detto il Ganassa,
che fu il primo interprete della maschera di Arlecchino nella commedia
dell'arte. Oggi nell'edificio ha sede il
Museo
e vi si trova la 'camera picta'. Particolare di riguardo all'esterno: la
raffigurazione dipinta di un 'Homo Selvadego', o salvàdec, un
irsuto personaggio, munito di un grosso bastone, posto a guardia
dell'edificio. Una frase dai toni minacciosi è ancora leggibile sopra la
sua testa: Chi non è de chortesia,
non intragi in chasa ma;
se ge venes un poltron,
ce darò col mio baston (chi non è di cortesia, non entri in casa mia; se
venisse un lazzarone, gliele darò col mio bastone).
Di questo curioso personaggio
simbolico di atavica memoria, l'Uomo dei Boschi appunto, abbiamo
parlato in un nostro
lavoro a parte. Nella tradizione popolare valligiana, circola la
leggenda
dell'homo selvadego e della capra sbrègiola
Il resto del borgo è molto pittoresco e si lascia
visitare con piacere e in poco tempo. D'obbligo ammirare gli affreschi
all'esterno della chiesetta del Carmine, oggi in forme miste ma chissà su
quali basi antiche poggia. Nel portico si trovano un San Giovanni Battista e
un grande San Cristoforo, posto a protezione dei viandanti lungo la via
Mercatorum. Che qui ci fossero- a difesa dei pellegrini e delle
merci in transito - anche i Templari?
3^tappa:Lenna, i laghetti
e le 'danze macabre' di Cassiglio
Riprendiamo la Statale che
congiunge San Giovanni Bianco all'Alta Val Brembana e raggiungiamo
Lenna,
a 482 m di quota. Il nostro compagno, il fiume Brembo, è sempre lì accanto a
noi e la scenografia è cambiata perchè, se si sarà prestata attenzione, dopo
San Pellegrino la Valle si restringe, tanto che prende il nome di
Goggia,
che nel dialetto locale significa 'ago'. Il toponimo, come il nome 'Gogis'
degli abitanti dell'Alta Valle, deriverebbe dalla strettoia nella roccia ('Bus
de la gogia') o dalle 'guglie' rocciose sovrastanti (4). Superata la
Goggia, la valle si allarga e si apre in una piccola piana dove sonnecchia
un bel laghetto
artificiale circondato
da una fitta e rigogliosa abetaia. Lenna sorge alla confluenza dei due
rami del Brembo:quello occidentale che scende da Mezzoldo e quello orientale
(da Fondra). Nei pressi del laghetto, bellissimo, è possibile assistere ad
un contrastante movimento delle acque, poichè la presenza di una diga fà sì
che dalla parte a monte della stessa le acque siano tranquillissime e
rilassanti (il laghetto) e a valle precipitino con forza nel letto del
fiume, dando origine a cascatelle fragorose e schiumose. A Lenna è
conservata (in una casa privata) una misteriosa lapide, attualmente
indecifrata, che presenta dei caratteri alfabetici quanto meno 'strani':
paiono gotici ma l'abbreviazione delle parole non ha 'senso'. In pratica,
non si riesce a stabilire cosa vi sia scritto veramente (5). E' possibile
osservarla nell'immagine a sinistra, tra quelle pubblicate. Le ricerche la
attesterebbero al XV secolo e c'è anche un'altra particolarità: un frammento
della lapide medesima si troverebbe ad Almenno San Bartolomeo, ma ignoriamo
perchè si trovi lì e come vi sia finito. Ulteriori indagini speriamo
permettano di dare alcune risposte. Nel frattempo, se qualche lettore
volesse cimentarsi a decifrarla... si può accomodare!
La chiesa parrocchiale di
Lenna è un caso unico in valle, appartenendo infatti a due comuni. Lenna
(700 abitanti circa) appunto, e
Piazza Brembana
(a 536-553 m di altezza, con un migliaio di abitanti)), paese limitrofo
situato ai piedi del monte Torcola (1636 m), una delle vette più
caratteristiche della Val Brembana. Da qui si può raggiungere anche il
Pizzo Badile (2044 m.). Considerato una piccola 'capitale' dei rami
occidentali della Valle, questo borgo in settembre si anima vivacemente per
la rassegna del Formai de Mut, cioè il formaggio del Monte,
pregevole specialità casearia che vi si produce. La denominazione della
chiesa parrocchiale è
San Martino oltre la Goggia
ed ha origini molto antiche
(almeno al VII sec. d.C.). Prima di questa costruzione, si ha conoscenza di
almeno due chiese, una medievale (di cui si conosce pochissimo) e una
cinquecentesca. L'ubicazione lungo un'antica
via di transito, ha
sempre comportato il fatto che questi luoghi rivestissero un'importanza
considerevole, soprattutto per i commerci ma anche come via di
pellegrinaggio. Ai giorni nostri l'edificio si presenta nelle forme
neo-gotiche (ottocentesche), svettante su un alto poggio raggiungibile
tramite una lunga scalinata, che simboleggia la difficoltà dell'autentico
cammino cristiano fatto di distacco dalle cose della terra per entrare nelle
dimensioni celesti (op. cit. nota 4, p. 31). Le forme armoniche
conferiscono all'edificio una bellezza particolare. Conserva lo stile sobrio
delle chiese medioevali e al contempo l'eleganza delle grandi cattedrali
gotiche, con slanciati pilastri e volte a crociera, capitelli scolpiti con
motivi simbolici. Sull'altare l'urna con il teschio e le ossa di San
Vittore; molte le opere lignee dei Fantoni, la famosa famiglia di
intagliatori bergamaschi.. La cripta- cui si accede da due scalinate
laterali antistanti l'altare- non è più tarda del XVII secolo, così dicono
le fonti. Qui cominciamo a trovare alcuni temi 'macabri' che ritroveremo
nelle celebri 'danze
macabre' di
Cassiglio, che tra non molto raggiungeremo (6).
Ora dobbiamo scegliere che
direzione prendere, poichè la valle si dirama: un ramo porterebbe a Branzi (Carona
e Foppolo), l'altro a Valtorta, al Passo San Marco, a Cusio e al Monte
Avaro. Decidiamo per il secondo, perchè vogliamo raggiungere l'ultimo paese
al confine con la Valtellina, come idealmente avrebbero fatto i nostri
antenati nel Medioevo, per quanto non agevolati come noi dall'automobile e
dalle carrozzabili! La voglia di provare come potesse essere, però, ci ha
colto più di una volta durante l'itinerario, perchè godere di tanta natura e
benessere doveva essere -tolti i pericoli- magnifico.
Raggiungiamo
Olmo al Brembo (556
m di quota), che ha poco più di mezzo migliaio di abitanti. Vi confluiscono
la Val Stabina
(con il torrente omonimo) e la
Valle Averara
con il ramo occidentale del
Brembo. Pur essendo piccolino, il paese assume
importanza strategica
perchè vi dipartono tre rami della Valle Brembana che culminano
rispettivamente a Valtorta, ai Piani dell'Avaro (Cusio) e al Passo San Marco
(Mezzoldo), che conduce in Valtellina (SO). E' chiaro che nel passato fosse
luogo obbligato di sosta, oltre che di passaggio. Si è in mezzo a cime
vertiginose e ad acque benefiche. Il ritmo della vita sembra perfino diverso
dalle nostre abitudini, incentrato sul piccolo centro storico, con la chiesa
parrocchiale (ed annesso, immancabile 'grottino di Lourdes'!), i negozietti,
il bar, le antiche casette in pietra locale squadrata. Belli i vicoletti, e
interessante il sentiero che, seguendo il corso del fiume, raccorda il paese
al resto dell'Alta Valle: è l'antica
via del ferro,
che veniva sfruttata per trasportare il prezioso materiale dalle cave. Sulla
soglia di una casa abbiamo rilevato la presenza di curiosi motivi incisi,
non le 'nostre' triplici cinte ma fiori a sei petali, al cui centro c'è un
cerchio con un marcato punto centrale. Si può vederne bene uno, ma si
trattava probabilmente di un motivo ripetuto su tutta la soglia. Chissà che
significato può avere?
In frazione
Cugno
si potrà trovare, sulla strada,
la chiesetta
medievale di San Pietro
(1300), della quale però mancano notizie precedenti al 1680, quando venne
restaurata la prima volta. Cugno è il punto di partenza di un antico
sentiero che, costeggiando il fiume con percorsi a strapiombo e con lievi
cambi di quota, consente di percorrere un itinerario escursionistico di alto
livello ambientale e naturalistico. Partendo da qui è possibile raggiungere
il nucleo di Olmo-Portici, seguendo per circa dieci minuti il sentiero in
quota e oltrepassando il fiume al primo ponticello sulla destra.
Imbocchiamo la direttrice
che porta in Valtorta, trasgredendo alla nostra 'tabella di marcia',
perchè vogliamo visitare
Cassiglio
con le sue 'danze
macabre'. Da qui gli
escursionisti sanno perfettamente che possono raggiungere numerosi Rifugi
perchè parte il Sentiero
delle Orobie
occidentali, che noi non faremo. Più tranquillamente, ci ritroviamo davanti
l'indicazione di un lago e lo andiamo a vedere: è una sorpresa in mezzo a
queste montagne! Invitante, verdissimo come la vegetazione che lo attornia,
ecco il lago di
Cassiglio (602 m. s.l.m.).
Sul greto molta gente sta prendendo il sole, alcuni hanno allestito un
improvvisato 'barbecue' e attendono l'ora di poterlo gustare! Un cartello
avverte che è pericoloso entrare in acqua per la profondità dei fondali, chi
lo direbbe? Sembra così rassicurante, il suo aspetto, ma è meglio limitarsi
a stare in riva e assaporare la brezza che arriva, propizia, in questa
assolata giornata estiva. Con soli 135 abitanti, il borgo stupisce per la
presenza di innumerevoli simboli spirituali, a partire dalla chiesa di san
Bartolomeo (XV sec.), con il motivo della 'danza macabra' sul muro esterno;
di edicole (o vie Crucis?), poste con una certa regolarità lungo la strada e
lo scenografico Santuario dell'Addolorata, sorto probabilmente su un
luogo di culto precedente. Su una casa signorile,
casa Milesi
(1600)
si trova la più famosa 'danza
macabra' dell'Alta Valbrembana. Ancora in perfette condizioni,
mostra due registri principali. in quello superiore lo scheletro (la
Morte)tiene in catena due anziani individui che lo seguono mestamente,
mentre egli- munito di un arco- sta per scoccare una freccia, a tradimento,
nella schiena di un ignaro gentiluomo che si appresta a
dichiararsi ad una gentile donzella, seduta nella sua stanza, alla quale due
musici fanno una serenata. Il monito è che nessuno è immune ( e in nessun
momento) da 'sorella morte', come la chiamava San Francesco. Nel registro
inferiore, dei cipressi (alberi connessi ai cimiteri): sotto il primo un
orso, sotto il secondo una scimmia...Un po' sconcertante, forse sconfortante
se paragonato alla sconvolgente bellezza della natura che ci sta intorno e
che sembra inneggiare all'eternità!
Ripartiamo.
4^ tappa e ultima tappa:
da Olmo al Brembo a Piazzatorre e Mezzoldo
Ridiscendiamo verso Olmo al
Brembo e immettiamoci sul ramo che porta ai
Piani dell'Avaro.
Sulla strada ammiriamo le vette delle Prealpi Orobie che si fanno sempre più vicine pur restando
misteriose e irraggiungibili. Su tutte c'è il
Pizzo dei Tre Signori,
splendido massiccio che culmina a 2554 m. In breve siamo al bel
borgo di
Averara
(650 m), cui abbiamo dedicato
una pagina a parte che invitiamo a leggere, e poco sopra a
Santa Brigida
(805 m), a cui abbiamo dedicato
ben due sezioni, cui rimandiamo il lettore interessato(7). Procedendo lungo
la strada, raggiungiamo
Cusio
a 1.050 m di quota, meta di
turismo invernale, ma per chi come noi arriva con la stagione estiva, da
vedere c'è comunque il cuore antico del paese, che offre alcuni caseggiati
risalenti al XIII sec. e la dogana veneta. Ma vogliamo salire fino all'oratorio
della Maddalena, sui
Piani dell'Avaro (il monte Avaro ha la sua cima a 2.088 m ma non la
raggiungeremo!), dove un paesaggio di pascoli verdi a 1700 m di quota ci
incanta letteralmente. La piccola chiesa della Maddalena, in pietra,
con campanilino a vela, ricorda molto le chiese del pellegrinaggio
medievale, per sostare e pregare prima di proseguire le fatiche del viaggio.
Molto isolata, non poteva servire che a questo scopo. E' normalmente chiusa,
aprendo solo il 22 e 23 luglio, festività di S. Maria Maddalena, ed è un
peccato perchè all'interno sono custoditi degli affreschi trecenteschi che
ci sarebbe piaciuto ammirare. Il panorama che ci si offre ai sensi è però
incomparabile e ricompensa della delusione.
Come mai questa montagna
porta un nome simile? Avaro. La leggenda racconta che molto tempo fa
viveva su quel monte, nei pressi di Cusio, un uomo molto tirchio che
si era meritato l'appellativo di 'avarù' (cioè avaro). Costui non solo non
elargiva nulla a nessuno e viveva isolato come un eremita, pur essendo
notevolmente ricco, ma non voleva nemmeno pagare le tasse. Il suo pascolo
era molto sterile, a causa del terreno poco fertile per la presenza di
macigni che lo facevano somigliare ad una pietraia; la gente pensava fosse
la giusta 'ricompensa' per un uomo così. Un giorno le cose si misero peggio
del previsto e l'uomo avaro fece una promessa:avrebbe dato l'anima al
diavolo se avesse potuto ripulire la montagna da tutto quel pietrame!
Incredibilmente, venne subito accontentato: un rosso caprone, tutto peloso,
con le corna acuminate e la lunga coda attorcigliata, dalla punta a forma di
freccia, il diavolo impersonificato insomma, gli si palesò dinnanzi,
fuoriuscito da una improvvisa crepa apertasi nella montagna. Gli disse che
avrebbe ripulito lui tutto il monte dalle pietre e in cambio avrebbe preso
la sua anima. L'avaro però era titubante: si voleva rimangiare il
proponimento, sapendo bene che chi vende l'anima al diavolo va all'inferno,
come gli ricordava nella mente il parroco del paese. Il demonio però lo
incalzava con lusinghe facendogli immaginare quel terreno ricoperto di
erbetta verde, ottima per la sua mandria e alla fine l'uomo avaro strinse il
patto con il diavolo:"
Il lavoro dovrà essere svolto questa notte e portato a
termine prima che dal campanile di
Cusio giungano
i rintocchi dell'Ave Maria del mattino, altrimenti tu non avrai alcun
diritto sulla mia anima", gli disse. L'altro accettò con astuzia; l'uomo
sapeva che da solo il demone non sarebbe riuscito a portare a compimento
l'opera ma questi aveva chiamato a raccolta fantomatiche ombre diaboliche
che, nell'arco della nottata, in assoluto silenzio, lavorarono spostando uno
dopo l'altro tutti i macigni. Infatti alle prime luci dell'alba, l'impresa
era quasi ultimata: mancava solo un enorme macigno, il più grosso di tutti,
piantato in mezzo al pianoro. I diavoli ce la misero tutta per sradicarlo e
ci stavano riuscendo. In pochi istanti l'uomo avaro realizzò il pensiero che
sarebbe precipitato all'inferno per aver venduto l'anima al diavolo e allora
corse più in fretta che potè nell'abitato, nel tentativo di suonare le
campane prima che l'ultimo masso fosse precipitato nel burrone. Pregava e si
segnava, raccomandandosi a Dio. Riuscì a farcela, suonò le campane e il
diavolo dovette ammettere la sua sconfitta; e se ne tornò infuriato
all'Inferno, lasciando le impronte delle sue zampe caprine su quell'ultima
pietra. Da quel momento il monte divenne un bel pascolo ricco d'erba e di
fiori, con due laghetti di acqua limpida adatti ad abbeverare le mandrie.
Nulla più si seppe dell' uomo avaro. Ma i
laghetti esistono
davvero: sono chiamati di Ponteranica
(8)
e comprendono anche due microlaghetti.
Per conoscere più a fondo
questa e altre leggende brembane,
cliccate qui!
Ridiscesi a Olmo al Brembo,
imbocchiamo la direzione che ci porterà a concludere il nostro tour Brembano:
Il paesaggio è cambiato ancora: è più ruvido, più aspro, che lascia meno
alla valle e più alla montagna.
Piazzatorreè una bella località
collocata tra gli 860 e i 1050 m di quota, dotata di impianti sciistici e
una pista coperta di pattinaggio. Da qui partono sentieri per escursioni al
monte Torcola e al
monte Secco(2.993
m). La chiesa parrocchiale è un po' discosta dal resto del villaggio, che ha
solo mezzo migliaio di abitanti. Imponente, a dominio della vallata, è
armoniosa e all'interno ha un bel confessionale ligneo di probabile scuola
fantoniana e due icone di gusto orientale. L'ultimo paese di questo ramo è
Mezzoldo,
con solo 393 abitanti. Pregevole la chiesa parrocchiale, con un affresco
esterno cinquecentesco. Le case in pietra si omogeneizzano al paesaggio
montano. La dogana settecentesca è affrescata. Questa era una terra di
frontiera: oltre il passo san Marco, l'ultimo confine, si entrava in una
terra che non era più bergamasca, come oggi. Si doveva pagare un pedaggio
per genti e merci. Il presidio era sorvegliato da milizie armate e forse, in
epoca crociata, anche dai Templari? In anni recenti sono state condotte
importanti scoperte archeologiche (l'Alta Val Brembana è ancora poco
esplorata) ad alta quota, come una grande quantità di coppelle e
canaletti (forse rappresentazioni di mappe?), nel territorio
circostante Mezzoldo ed il Passo di San Marco. Gli studiosi ritengono che
essendo poste a quote elevate ed in contesti ambientali così particolari,
potrebbero risalire ad una frequentazione umana mesolitica (cacciatori?),
poi continuata nel tempo, non solo per motivi economici ma anche
religiosi
E' possibile continuare con
la macchina fino a Ponte
sull'Acqua e poi,
volendo, salire ancora ai Rifugi fino a raggiungere obbligatoriamente il
Passo San Marco
e -da lì- discendere in
Valtellina.
Mentre noi salutiamo la
Valle, gli ultimi bagliori del sole al tramonto baciano la cima delle
montagne, regalandoci un illusorio istante di infinito.
Note:
(*)- La mappa è
tratta dalla guida "Estate Bergamo. Orobie Bergmasche", edito dalla Provincia di
Bergamo (www.provincia.bergamo.it),
secondo noi un utile 'vademecum' alla scoperta di angoli e luoghi di tutte le
valli bergamasche.
(**)-La mappa è
tratta dal fondamentale sito:
www.valbrembanaweb.it dove troverete tutto, ma proprio tutto quanto vi
occorre per organizzare un tour in Valle (strade, percorsi, curiosità, alloggi,
monumenti, orari dei musei, etc.)
1)- L'opera è
databile attorno al 1522 ed è considerata una delle più coinvolgenti
dell'artista, ricca di suggestioni mistico -simboliche; rappresentata su due
ordini, mostra in quello superiore Cristo Redentore e l'Annunciazione, in quello
inferiore San Giovanni Battista.
2)- Nel 1542 il
Lotto inviò quest'opera dalle Marche; raffigura una Madonna in gloria adorata
dai Santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e Giuseppe.
3)-Accanto a temi
di matrice popolare, si osservano personaggi raffinati, vestiti in modo
signorile. Cosa che probabilmente rifletteva l'effettiva vita della valle (i
contadini e i signori). Nell'abside campeggia un polittico ritrovato con le
operazioni di restauro: la Vergine in trono con Bambino e angeli, tra san
Cornelio e Cipriano, patroni della chiesa e a sinistra S. Caterina d'Alessandria
alla quale doveva corrispondere, a destra, una Maddalena penitente, che San
Carlo Borromeo fece cancellare (!) durante una delle sue visite pastorali.
Chissà mai che cosa avesse di tanto 'eretico' quella figura? In alto si nota
ancora un Cristo trionfante, che emerge dal sepolcro, sopra i santi Pietro e
Paolo. Troviamo soggetti religiosi anche lungo le pareti laterali della chiesa,
mentre nella controfacciata si ammira un dipinto singolare:il Miracolo di
Sant'Egidio, protettore dei maniscalchi, scena considerata di valore storico
per la raffigurazione di ambienti, costumi e attrezzi da lavoro dell'epoca.
4)- Guide alle
chiese parrocchiali di Bergamo "San Martino oltre la Goggia in Piazza Brembana e
Lenna", Centro Culturale Nicolò Rezzara (Litostampa Istituto Grafico), 1998,
p.10.
5)- Ringraziamo il
prof. A. Gaspani per avercela segnalata e per la fotografia messa a
disposizione.
6)-Il motivo della
cosiddetta 'danza macabra' fu usato a partire dal tardo medioevo e si impernia
su una danza tra uomini e scheletri, simboleggianti la morte e indica la
caducità della vita, a dispetto di lussi e sfarzi o della categoria sociale cui
si appartiene. Ha funzione di 'memento mori' (letteralmente 'ricordati che devi
morire'). Pare che la diffusione del tema sia stata concomitante alla terribile
pestilenza del 1348 che afflisse l'Europa intera e che non risparmiò nessun
ceto, dal popolare all'aristocratico o al prelato. E' interessante notare come
questo tema, per quanto discretamente diffuso in diverse località
europee(soprattutto in Germania e Francia), non trova molti riscontri in Italia.
Nella sola provincia di Bergamo se ne trovano però più d'una:rinomatissima
quella di Clusone, nell'Oratorio dei Disciplini, in Val Seriana.
8)- Tale nome,
Ponteranica, è identico al comune che abbiamo incontrato appena lasciata
Bergamo. Il motivo per cui i laghetti e la montagna dell'Alta Valle Brembana si
chiamano così potete leggerlo in questa
pagina web dedicata (cliccare).