Tutte le grandi civiltà
susseguitesi nella storia del genere umano hanno visto le montagne come la
sede di divinità ed esseri non di questo mondo. Presenze a volte benevole,
quasi sempre severe, se non esiziali per i comuni mortali. Luogo comunque
deputato all’Epifania del Trascendente e del mostruoso.
Non stupisca quindi, che proprio in simili ambienti, vette inesplorate e
foreste inestricabili, siano sorti miti e leggende legati ad una archetipo
antico come l'Uomo. Quello dell'Homo
Selvaticus, l'Uomo Selvaggio.
A metà strada tra l'Homo Sapiens e
quello vicino allo stato di Natura.
Yeti, Bigfoot, Sasquatch, ogni cultura e
continente ha trovato un nome appropriato per questa creatura. Sulle nostre
Alpi è, appunto, l'Uomo Selvatico.
Protagonista di racconti, fiabe leggende e
persino interessanti cicli di rappresentazioni iconografiche. La più celebre
si trova in un fienile, oggi museo, dell'abitato di Sacco in Val Gerola,
una valle trasversale della Valtellina.
Meno conosciuta e di recente scoperta è
quella che si può ammirare nella trentina Val di Fiemme. La splendida
vallata racchiusa tra le Dolomiti e la corrusca catena del Lagorai,
nota soprattutto per gli sport invernali e per la storica presenza, dal
1922, nel paese di Predazzo della Scuola Alpina della Guardia di
Finanza. La più antica scuola militare di montagna del mondo.
La più importante testimonianza
iconografica dell'Homo Selvaticus è indubbiamente l'affresco
medioevale sulla facciata della Casa Del Pero (ex Casa Riccabona)
a Cavalese, il capoluogo della valle.
L'edificio, a pianta a mezzo
ottagono, con quattro facciate, risale al XIV secolo. Negli ultimi anni, un
accurato restauro ha riportato alla luce una serie di affreschi
trecenteschi, tra cui spicca un “San Cristoforo” ed una “Santa
Dorotea” che porge un cesto di fiori a Gesù Bambino assiso sulle
spalle del “Gigante Buono”. Ai piedi dei due santi, numerosi pesci
saltellano fuori dall'acqua. Sulla facciata meridionale si nota il
cosiddetto "Mascherone di Carlo Magno". La definizione è
puramente convenzionale, infatti, nulla prova che il volto barbuto cinto da
una corona rappresenti realmente l'Imperatore Carolingio. Secondo alcuni
potrebbe ritrarre “Laurino”, il Re celebrato nella nota fiaba sulla
nascita del Catinaccio/Rosengarten e del fenomeno dell’Enrosadira.
Sulla facciata occidentale
dell'edificio, ecco l'Omo Salvadego (come si dice in Val di
Fiemme) con tutta la sua famigliola. Il suo aspetto corrisponde più o
meno all’iconografia classica. È nudo, piuttosto peloso, porta dei rami sul
capo ed altri cingono i suoi fianchi, infine si appoggia ad una enorme
clava.
A sinistra, per chi guarda la
facciata della “Casa”, ecco la “Gentile signora”, a seno nudo, anche lei con
le sue belle foglie intrecciate a guisa di perizoma, che tiene per mano il
figlioletto.
Non si sa nulla dell’affresco,
dell’autore e dei motivi per i quali venne realizzato. Si possono fare
alcune congetture. Difficile credere che il soggetto dell’Homo
Selvaticus di “Casa Del Pero”, sia casuale. Si è detto
che nel XIV secolo, l’edificio, dotato di torre e simile ad una fortezza,
marcava i confini del centro abitato. Oltre si sviluppavano ancora orti o
pascoli ma poi la Natura Primigenia tornava a farla da padrona. Si
estendevano quelle foreste che ancor oggi caratterizzano la Val di Fiemme
e la catena del Lagorai. Seghettata teoria di cime aguzze, formata da
porfidi e basalti di origine vulcanica.
Luoghi ritenuti dimora di
esseri non necessariamente di questo Mondo. Vista la valenza decisamente
positiva, benigna, generalmente attribuita all'Uomo Selvatico (in
molti racconti insegna ai montanari l'utilizzo del latte per fabbricare
butto e formaggi) è probabile che la "Famiglia Silvestre" abbia avuto
una funzione apotropaica. Sorta di “guardiani” o “custodi”, insomma.
Ma quella di “Casa Del Pero”
non è l’unica testimonianza di “Uomini Selvatici” in Val di Fiemme.
Sempre a Cavalese, i due frontoni della facciata dell’ “Ispettorato
Forestale”, oggi “Distretto Forestale delle Valli di Fiemme e Fassa”,
sono decorati con affreschi allegorici riferiti alla piantagione ed al
taglio delle foreste, realizzati nel 1921 dall’artista locale Enrico
Clauser (1883-1928). I dipinti rappresentano una sorta di “Uomo
dei Boschi”, deputato a sovrintendere alle attività legate alle
foreste. Vi si legge l’iscrizione “Alteri Seculi Maturum”
(“Per il secolo che verrà taglio le piante mature”).
Ovviamente si tratta di un
opera moderna, eppure è importante, perché indica come la tradizione, di una
creatura in stretto legame con la Natura, sia ben radicata nella cultura
fiemmese. Un affresco simile e con il medesimo significato simbolico
abbellisce la facciata di uno degli edifici del “Demanio Forestale” a
Paneveggio, frazione di Predazzo a quota 1.512 m s. l m., nei
pressi della Chiesetta dell’Assunta risalente al 1730 (ma ricostruita
nel 1926 dopo essere stata bombardata durante i combattimenti attorno a
Passo Rolle). Un'altra raffigurazione dell'Homo Selvaticus è,
forse, ravvisabile in un monumento situato nel centro storico di Predazzo.
Trattasi della "Fontana di Pè de Pardàc", databile tra il XVII
ed il XVIII secolo, quasi addossata alla "Casa del Pinzan". Il
manufatto, realizzato in porfido del Lagorai, si presenta con un
doppio bacino, uno come abbeveratoio e uno come lavatoio. Il pilastro,
anch'esso in porfido, dal quale attraverso due cannelle, fuoriescono gli
zampilli d'acqua, è decorato da due mascheroni barbuti. Per qualcuno
rappresentano la divinità di "Giano Bifronte", per altri studiosi
sarebbe una ennesima rappresentazione apotropaica dell'Homo Selvaticus.
E' probabile che la verità non si saprà mai. Un altro mistero, come
quello proprio della figura dell'Uomo Selvatico. Che continua ad
ammonirci, dopo tanti secoli, a cercare di vivere in simbiosi con la natura
ed il mondo che ci circonda e non violentarlo con l'inquinamento ed un
progresso dissennato, che rischia di portarci sull'orlo di una catastrofe
planetaria.
(Autore:Giancarlo
Pavat)