Concludevamo la
prima parte del
nostro articolo domandandoci se Mazzini, che tanto aveva scritto in vita,
non avesse pensato alla propria morte, lasciando indicazioni sui suoi
funerali e come avrebbe voluto essere ricordato.La risposta è da individuare
nelle lettere che il patriota scrisse in diverse occasioni ad amici e
persone care. In esse aveva manifestato il desiderio di avere esequie
discrete poichè si diceva molto rattristato dalle commemorazioni, trasporti
di statue, ceneri, eccetera. Di più, si era espresso contro ogni
tentativo di conservare i cadaveri (1).
Sorge allora la domanda:
come mai venne pietrificato?
La natura politica della
pietrificazione*
La ragione, leggendo
varie relazioni del tempo, appare chiaramente di natura politica. Non
scelse il proprio destino post-morte ma gli venne conferito dai mazziniani
che ritenevano dovesse costituire una reliquia laica, un'icona
incorruttibile del repubblicanesimo. Scrive Alberto Carli:
"[...]l'incorruttibilità di un cadavere era ritenuta prova di santità,
soprattutto nel Medioevo; la conservazione di un vero martire della causa
italiana come Mazzini 'beatificato' dai suoi seguaci, non avveniva
attraverso un miracolo ma attraverso la logica di formule chimiche,
certamente segrete, ma teoricamente riproducibili e verificabili, secondo i
'desiderata' di una religione laica e scientifica [...] In tempi di
materialismo, se è uno scienziato ad occuparsi dell'importante
mummificazione, assumendo attraverso la segretezza della formula con cui
opera le vesti di un sacerdote, ciò accresce il valore della reliquia
stessa, facendone un'icona della modernità scientista capace di vincere la
morte (o di perpetuarla in una continua parodia) attraverso una tecnica che
diviene 'mistero' e, contemporaneamente, illusorio lume scientifico" (2)
Ma tutti sappiamo che
Mazzini non è esposto al pubblico, come ad esempio Lenin o altri corpi di
personaggi importanti. La sua fama è chiaramente inossidabile ma il corpo
imbalsamato manca. Che cosa successe dunque?
Per saperlo, ripercorriamo
insieme la storia, ritornando al giorno (10 marzo 1872) in cui Giuseppe
Mazzini morì, in casa Nathan, in via Maddalena, 39 a Pisa. Era entrato da poco in Italia in incognito,
sotto il falso nome di George Brown, perchè su di lui pendeva un
ordine di cattura.
Alle 13.30 il Maestro
lasciava questo mondo, confortato dagli amici di tante battaglie Felice
Dagnino e Adriano Lemmi, oltre che dalla famiglia Nathan.
Mazzini morente, dipinto
di Silvestro Lega (1872/'73), olio su tela, Rhode Island School of Design,
Museum of Art
Quando arrivò il suo medico
personale, l'amico massone Agostino Bertani, non potè fare altro che
constatarne la morte. L notizia si diffuse a macchia d'olio. Gli studenti
chiusero le porte dell'Università in segno di lutto e corsero a rendergli
omaggio.
In breve tempo arrivarono i
capi storici del movimento mazziniano e tutti i repubblicani d'Italia.
Unitamente all'incontenibile sgomento e al dolore, si
doveva decidere cosa fare del corpo. Bertani propose subito la conservazione
mentre i Nathan erano contrari:avrebbero infatti voluto seppellire
degnamente l'amato Giuseppe e basta (infatti loro sapevano che egli
desiderava così). Viste le contrapposizioni, si mise ai
voti la decisione: vinse Bertani con il suo seguito e si mise in moto la
'macchina' che doveva condurre alla pietrificazione di Mazzini. "Bertani
doveva aggrapparsi al carisma del trapassato per serrare le schiere del
partito repubblicano", scrive Sergio Luzzatto, che nel suo libro (cit.
nella nota 3) fa emergere lucidamente quali furono i retroscena politici
dell'operazione di conservazione del corpo del 'profeta'. Retroscena che
devono ricercarsi ben prima della morte del Maestro.
Bertani,
Adriano Lemmi e Francesco Campanella inviarono immediatamente
un telegramma ad un amico che sapevano sarebbe stato in grado di eseguire il
processo di imbalsamazione, lo scienziato Paolo Gorini. Presso il
Museo di Lodi a lui intitolato, abbiamo visto la copia del telegramma di cui
stiamo parlando (l'originale è conservato presso la Biblioteca Comunale di
Lodi), tra l'altro.
"Vieni immediatamente
Pisa preparare salma Mazzini avvisaci partenza dirigendo 39 via Maddalena,
risposta pagata".
Gorini, che era rientrato da
un paio di giorni da Milano,
ricevette il telegramma l'11 marzo alle 3.40 del mattino. Tramontato il suo
proposito di riposarsi un po', acconsentì a partire per Pisa; tuttavia i
tempi tecnici erano legati ai trasporti dell'epoca. Gorini arrivò alla
stazione di Pisa il 12 marzo; Bertani e Lemmi lo condussero in casa
Rosselli/Nathan, dove -scriverà Gorini in seguito- si trovava una folla
caotica di mazziniani, che impartiva ordini disordinatamente a destra e
sinistra. Giunto davanti alla salma dell'amico Giuseppe, Gorini si
impressionò dall'avanzato stato di putrefazione." Era verde- scrisse
nelle sue memorie- era una vescica zeppa di marcia". Come avrebbe
potuto attendere alla conservazione di un simile cadavere? La responsabilità
era immensa e la perplessità non da meno.
L'opera di dissuasione del
Bertani dovette essere talmente convincente, che lo scienziato lodigiano
tentò comunque di bloccare i fenomeni putrefativi con un'iniezione
conservante. Dopo una lunga notte di tentativi, Gorini riuscì ad eliminare
il verde e a far coagulare la marcia. Tanto serviva per deporre il corpo
esanime di Mazini nella cassa e trasportarlo a Genova; il resto delle
operazioni di pietrificazione sarebbe stato proseguito là.
Le cronache narrano che un
lungo corteo funebre, preceduto da bandiere e dalle bande delle associazioni
operaie ed artigiane, accompagnò il feretro alla stazione di San Rossore, dove venne
"caricato su un vagone parato a lutto e frettolosamente portato a
Genova. Anche da morto fa ancora paura" - scrive Benito Lorigiola (Catalogo
della Mostra sulla vita di Mazzini per le celebrazioni del bicentenario
dalla nascita, p.50). "Timorose del corpo morto di Mazzini quasi
altrettanto che del corpo vivo, le forze dell'ordine ne sorvegliano il
viaggio in ferrovia minuto per minuto, con delegati della Pubblica Sicurezza
imbarcati sul convoglio funebre e teelgrammi in cifra inoltrati nottetempo
al Ministero degli Interni e alla Prefettura di Genova (S. Luzzato, op.
cit., p. 41).
La ragione di quella fretta,
tuttavia, poteva essere legata alla sua pietrificazione. Si era infatti a
quattro giorni dalla morte, il 14 marzo, e bisognava fare presto. Bertani,
però, aveva organizzato la traslazione della salma di Mazzini su un
itinerario 'politico', che toccasse Lucca, Pescia, Pistoia, Bologna, Modena,
Reggio, Parma, Piacenza, Alessandria...Ogni stazione era ingombra di gente;
la salma veniva accolta da bande musicali e da comizi in qualsiasi ora
passasse.
Naturalmente, c'erano
diversi schieramenti ideologici anche tra gli amici stessi di Mazzini: chi
applaudiva a tanti 'onori', e chi invece aveva in orrore tutta quella 'pompa
magna', e ancor di più la sua pietrificazione (una delle più accese
oppositrici del progetto di Bertani fu un'intima amica di Giuseppe Mazzini,
la pittrice 'inglese Emilie Ashurst Venturi, che non potè presenziare alle
esequie).
Sullo sfondo, anche la
Massoneria ebbe il suo peso.
Durante il viaggio, la
cassa si ruppe e ne uscì del liquido, come tramandatoci da Carlo Dossi nelle
sue 'Note Azzurre' (4). Stando a quanto scrive anche Sergio Luzzatto
(op.cit. p. 47), un inviato del quotidiano romano 'Fanfulla' (governativo e
quindi in antitesi con le idee mazziniane) telegrafò una simile notizia:"
Cassa metallica in cui (salma Mazzini) era rinchiusa male stagnata lasciò
luogo a dilamazioni liquido acidulato preprazione Gorini. Così operazione
male riuscita, cadavere deformato, dicesi non sarà più esposto camera
ardente". A quanto è dato sapere, era stato in realtà lo scienziato
lodigiano "a versare nella cassa-ancora prima di partire per Genova- un
bottiglione di soluzione disinfettante e aromatica la cui dispersione, a
genova, fomentò la voce di un'operazione fallita. Gorini stesso avrebbe
ammesso che durante il trasporto verso Staglieno la bara aveva rilasciato
miasmi tutt'altro che rassicuranti".
Possiamo
soltanto immaginare queste scene concitate. Sullo sfondo si muoveva
un'Italia appena riunificata che Mazzini aveva contribuito a 'fare' (seppure
con tutte le riserve del caso); il personaggio era molto discusso,
famosissimo e la circostanza -oltre che tristissima- si profilava greve per
le sorti del partito repubblicano. Abbiamo già accennato nella precedente
sezione che la morte di Mazzini avrebbe potuto costituire la scomparsa del
partito stesso, poichè egli era un leader insostituibile e con la sua
dipartita si apriva una crisi politico-ideologica, accentuata da fratture
interne. La pietrificazione di Mazzini pareva dunque cementare le divisioni
e il leader 'eternamente' presente avrebbe contribuito a compattare la
retroguardia, a formare nuovi accoliti e perpetuare la memoria
storica-politica- risorgimentale delle sue gesta. Nonchè, esaltava il
materialismo scientifico. In quel momento, la volontà del Giuseppe uomo, che
aborriva ogni forma di conservazione dei corpi, era stata dimenticata. "La
reliquia- scrive Alberto Carli (op.cit.) - mummificata alla
stregua di un faraone, di un santo o di un pontefice, secondo Bertani,
avrebbe rappresentato in quel momento un'arma se non efficace almeno di
sicuro impatto nella lotta culturale e politica, accesissima, fra parte
dello Stato laico e parte della Chiesa. Paraddosalmente, ad avvicinare i due
poli in opposizione su un comune terreno di scontro, in questo caso, è
proprio il concetto di reliquia, intesa come perpetuazione del ricordo nella
sua forma più tangibile, fisica e unica".
Tributi a Giuseppe
Mazzini lasciati in diverse epoche, presso il suo sepolcro al cimitero
monumentale di Staglieno
La strumentalizzazione della
morte di un leader passa semprer attraverso dei copioni ben precisi; così
dobbiamo calarci nell'epoca in cui questi fatti avvennero. Epoca senza i
mezzi di comunicazione odierni, senza la cultura media generale raggiunta
oggi. Anche Mazzini venne 'usato' a scopi propagandistici:ben presto
iniziarono a proliferare dipinti e litografie della scena della sua morte
(scene inventate ad arte per far maggiore presa sulla gente), dei cortei,
dei funerali, e forse chissà quali altri 'souvenirs' (proprio come accadde
per altri carismatici capi politici e religiosi).
Giunto a Genova il 17 marzo,
Mazzini ebbe un fastoso funerale, poi venne collocato
nell'obitorio del cimitero di Staglieno, dove Gorini e Bertani ebbero a
disposizione tutti i mezzi necessari affinchè l'impresa di rendere pietra la
carne di Mazzini riuscisse. Nessuno aveva avuto dubbi sulla destinazione
finale che avrebbe accolto il 'profeta': egli sempre si era espresso di
voler riposare accanto alla madre, Maria Drago. Genova, poi, era la capitale
delle ideologie democratiche, in un'Italia che ora era unita sotto la
monarchia sabauda...
Il sarcofago di Maria Drago, madre di Mazzini, situato di fronte
all'ingresso del mausoleo del figlio (una lapide ricorda anche il padre del
patriota, Giacomo). Sullo sfondo, l'albero fatto piantare da Giorgina Saffi
e sul quale Mazzini- nelle rare parentesi della sua vita da esiliato-
meditava assorto, traendo ispirazione dalla figura materna.
Sempre affiancato da Agostino Bertani, che era
medico, lo scienziato lodigiano aveva concluso un patto con
l'amministrazione comunale genovese, secondo la quale -allo scadere di due
anni- avrebbe restituito il corpo di Mazzini imbalsamato. Le operazioni,
lunghe e costose, si profilavano difficilissime, quasi impossibili. Gorini
cominciò a tirare un sospiro di sollievo quando, nell'agosto 1872, si rese
conto che il cadavere poteva dirsi 'disinfettato'. In pratica, non si
sarebbe mai più deteriorato. Ma pietrificarlo era un altro paio di maniche,
stante le circostanze in cui lo aveva ricevuto, quel corpo. Più passava il
tempo, e più le contraddizioni sull'imbalsamazione del Maestro si
rincorrevano nell'opinione pubblica e negli addetti ai lavori.
Luigi Arnaldo Vassallo ebbe
modo di visitare alcune volte, su invito del Gorini, il 'tavolo da lavoro'
su cui giaceva Mazzini imbalsamato e ne riportò in questi termini l'impressione:" [...] Sopra un tavolo di marmo
- come il cadavere della lezione di anatomia del Rembrandt - stava la rigida
salma di Mazzini, con i capelli e la barba bianchissimi, quasi risplendenti,
come fili d'argento non brunito, e i muscoli di un colore verdognolo
uniforme. Il Gorini, man mano, si dichiarava altamente soddisfatto
dell'opera propria: ma io, con occhi pieni di terrifica emozione, guardavo
quel profilo trasfigurato, quasi irriconoscibile e mi auguravo che nessuno
dovesse vedere mai quella mummificazione"(5).
Lezione di anatomia
del dr. Tulp
Rembrandt Harmenszoon van Rijn, olio su tela, 1632, Mauritshuis, L'Aia
Dalle note autobiografiche
di Gorini, apprendiamo che un anno dopo la morte di Mazzini, cioè nel
1873, il cadavere del patriota venne esposto al pubblico per quattro
giorni, durante i quali una folla numerosissima di persone sfilò davanti
all'urna che lo conteneva e che permetteva di vederlo (viene indicato un
numero di 20.000 persone). Dopo una marea di polemiche sull'opera goriniana
(imbalsamazione riuscita o fallita), finalmente la 'mummia della repubblica'
era concessa alla pubblica piazza. A.Cesare Abba ricorda così quel
memorabile evento: "In uno dei viali [del cimitero di Staglieno]
su d'una specie di letto mortuario, giaceva Mazzini vestito di nero, così
com'era sempre andato al mondo. E quelli che lo avevano veduto vivo
sentivano un brivido, rivedendo ancora quale era stata quella testa canuta,
dalla fronte spaziosa come un cielo, dalle tempie larghe; quella persona
esile, nell'abito severo, fin colle scarpe ai piedi".
Il profeta era dunque
perfettamente riconoscibile.
Quella fu la prima e unica volta, per
quel secolo, che Giuseppe Mazzini venne concesso alla vista del
popolo. Contrariamente a quanto aspiravano i repubblicani infatti, che
avrebbero voluto esporlo ogni anno in occasione dell'anniversario della
morte, il 10 marzo, Mazzini venne rinchiuso in un'urna e tumulato nel
sepolcro nel cimitero di Staglieno.
Il Mausoleo di
Mazzini, opera dell'arch. Gaetano Vittorio Grasso
Gorini, come pattuito,
restituì il cadavere al Municipio di Genova, nel 1874; ipotizzava che si
sarebbe conservato, tutto sommato, sebbene non prevedesse come, all'interno
di un'urna. I preparati dello scienziato, infatti, non avevano bisogno di
condizioni particolari per mantenersi: potevano stare all'aria aperta e alle
intemperie! "Così conservato, il corpo di Mazzini potrà mantenersi per un
lungo periodo di anni, anzi io propendo a credere che, a somiglianza delle
antiche preparazioni egiziane, potrà conservarsi per un tempo indefinito",
scrisse in seguito, nella Relazione dell'operazione.
Risvolti
etici della pietrificazione
Il letterato Carlo Dossi,
sempre nelle "Note Azzurre" (n.4744) scrisse un'ode immaginaria intitolata
"L. d. B. La lamentazione di un cadavere pietrificato", in cui a parlare, da morto, è
Mazzini stesso: "Era un uomo illustre:l'hanno voluto onorare, dopo morte,
cangiandolo in pietra. Egli vede, intorno a sè, le sciolte molecole degli
altri corpi rientrare nella perpetua danza e rivivere in altri corpi. Ma
egli è condannato a non dissolversi più, a non riacquistar quindi, sotto
nessuna altra forma, un'altra vita. E anela alla vita, fosse pure quella di
una marmotta, ed impreca a' suoi malconsigliati ammiratori. -Intrecciarvi
l'elogio della cremazione, la quale aiuta il pronto rinnovarsi de' corpi. -
Incatenato eternamente alle antiche sue spoglie, come Prometeo allo scoglio,
egli chiede a Gorini che lo ha impietrito: e che ti feci di male o Gorini?"
(6)
Molto cruda come disamina,
imbarazzante per i fautori della decisione di pietrificarlo. Mazzini aveva
un suo credo, e si era espresso - in vita- a sfavore della conservazione del
proprio corpo. Dunque la 'causa' venne prima dell'uomo. Tuttavia, è da
tenere in conto che Mazzini non aveva espresso pubblicamente la sua volontà
(ma soltanto a pochi intimi) e che la decisione di conservarlo 'in eterno'
venne messe ai voti, come abbiamo già visto. Decisione democratica.
Vittorio Imbriani sembra di
tutt'altro avviso, elogiando la pietrificazione e sostenendo che il tema è
millenario e ampiamente presente in molte aree. Aggiunge pure che il divenir
sasso o quarzo in vita è raccapricciante ma divenire tali dopo morte, ben
venga: è una vittoria sulla morte nella morte stessa...
Comunque la si pensi, si
sconfina in speculazioni filosofiche, etiche e filosofiche, se non
esoteriche. La figura di Paolo Gorini è ammantata del fascino di
mago-alchimista che conosce la materia e la manipola, la trasforma,
consegnando le sue tecniche segrete al campo del fantastico e del mistero.
Il suo nome compare anche in Martin Mystère (Almanacco del
Mistero, 1995. Bonelli editore), di A. Castelli...
Che poi sono segrete fino ad
un certo punto(oggi la formula della pietrificazione dei corpi dello
scienziato lodigiano è stata trovata da A. Carli e pubblicata). Ma
immaginiamo cosa passasse nella testa della gente della sua epoca, e in
special modo quali saranno state le 'divagazioni' in merito alla preprazione
del corpo di Mazzini. Gorini stesso si pose il dilemma, se dovesse agire
segretamente, in quanto ciò dava adito alle fantischerie di prendere piede,
stravolgendo la verità dei fatti. Sulla Plebe del 5/4/1874, ribadendo
comunque il fatto che il silenzio sulle sue operazioni fosse stata una
necessità, espresse anche il peso sopportato nell'anima: "Chi sosteneva
che il cadavere da me pietrificato si era convertito in una statua,
paragonabile a quelle che si scolpiscono nel duro marmo, chi assicurava
ch'esso era divenuto più nero che l'inchiostro o che si era per metà
consumato o ch'era spaventoso a vedersi. La prima diceria mi noceva perchè
insinuava negli animi un'aspettazione che doveva essere delusa, la seconda
poi mi noceva anche maggiormente".
La Ricognizione del 19
giugno 1946
e il mistero dell'astuccio
Trascorsero 73 anni da quel
1873, anno in cui era stata esposta la salma di Mazzini al pubblico, e
l'Italia si trovò a vivere una nuova epoca storico-politica. Nel 1946 gli
italiani, chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, scelsero
la seconda. Il sogno di Mazzini si era tradotto in realtà. Un' Italia unita
e repubblicana, finalmente, avrebbe esclamato lui se fosse stato ancora in
vita. Ma come esimersi dal commemorarne degnamente la figura, in un
frangente del genere? Andava fatto e si pensò quindi di riaprire la sua bara
per valutare la possibilità di esporlo al popolo.
Il 19 giugno 1946,
per iniziativa del Comune di Genova, e con la collaborazione del Comitato
per le onoranze a Giuseppe Mazzini, si procedette all'ispezione dell'urna,
situata nel cimitero di Staglieno. Dal Verbale di quella
Ricognizione, diretta dal prof. Domenico Macaggi, si apprende che la bara
contenente la salma del Maestro era chiusa nel cofano di marmo collocato al
centro del Mausoleo.
La cassa, una volta
estratta, risultò avere uno sportellino che però era stato tamponato con una
tavoletta, rendendo impossibile vedere all'interno. La cassa stessa risultò
parzialmente distrutta e facilmente polverizzabile. Rimosso il coperchio, si
osservò un cadavere supino, con le braccia semiflesse ed appoggiate al
bacino; le mani indossavano guanti bianchi ed erano avvicinate, ma non
giunte. Una vestaglia color tabacco- stretta in vita da un cordoncino rosso
annodato - lo rivestiva; al di sotto, gli abiti, che risultarono
estremamente friabili.
Il viso di Mazzini era
ricoperto da una finissima polvere bianca, residuo di un velo che doveva
ricoprirgli originariamente il capo fino al torace. Nei globi oculari,
furono trovati i due occhi di cristallo (alquanto impressionanti) apposti da
Paolo Gorini durante le manovre di pietrificazione del 1872-'74. Costui
aveva fatto comunque del suo meglio e un buon lavoro se gli ispettori
trovarono il viso di Mazzini "perfettamente riconoscibile, dato lo stato
di mummificazione della salma bene conseguito alla imbalsamazione".
Venne realizzato un calco (o maschera funeraria) del volto, di cui una
riproduzione fedele si trova nella Collezione Anatomica Paolo Gorini di
Lodi.
Vennero realizzate delle
fotografie, pubblicate sull'organo di stampa "Lavoro", che molti ritennero
impressionanti.
Il colore cutaneo del
patriota era bruniccio, di consistenza coriacea. Nella cassa si trovò un
astuccio cilindrico di metallo, deposto accanto alla salma, molto
arrugginito; al suo interno furono determinati residui pulvirulenti
misteriosi, probabilmente si trattava di un foglietto che era andato in
polvere. Ma cosa vi era stato scritto? E perchè? Tra le ipotesi, si ritiene
probabile che recasse scritta la relazione di Gorini in occasione della
restituzione della salma al Municipio di Genova. Su un giornale di
quell'epoca infatti, "La Plebe" del 5 aprile 1874, apparve un articolo, che
si ritiene fosse opera di Gorini stesso (ricalcando brani della Relazione
che egli aveva redatto circa la pietrificazione di Mazzini), in cui si dice
che la stessa(cioè la Memoria o Relazione) era stata racchiusa
nell'urna.
Sergio Luzzato (op. cit.,
p.156) scrive che il tubetto metallico venne affidato ai restauratori della
Biblioteca Nazionale di Torino per i debiti accertamenti. Intanto che si
attendevano i risultati, è ovvio che si intecciassero nelle menti le più
cervellotiche ipotesi sul contenuto della pergamena: chi supponeva 'fosse di
un'importanza senza precedenti e senza aggettivi', chi sosteneva potesse
contenere il testo della Costituzione della Repubblica Italiana auspicata da
Mazzini, sospettando che egli -come un vero profeta- avesse sempre saputo
che il giorno della proclamazione della Repubblica sarebbe arrivato.
Arrivò il responso della
decifrazione della pergamena: si trattava di una 'semplice dichiarazione
attestante che la sama è veramente quella di Giuseppe Mazzini".
Delusi? Ciascuno è libero di
continuare a credere nel mistero dell'astuccio ma...torniamo alla
ricognizione della salma, perchè dobbiamo ancora capire se Gorini riuscì
nella sua impresa o meno.
Venne scoperta appena una
porzione di avambracci, che confermò la rigidezza delle articolazioni e
dunque una 'buona conservazione', che non precludeva di esporre la salma in
pubblico, anzi la autorizzava. Unico appunto mosso dai medici
ispettori:sarebbe stato meglio apporre due palpebre artificiali sui globi
oculari, da far sembrare gli occhi chiusi e conferire al volto del Maestro
un'espressione di riposo. Così si fece e la bara con la Salma venerata venne
ricoperta, fasciata in una bandiera tricolore, quindi affidata a chi di
dovere perchè fosse sistemata per l'esposizione pubblica. Che vide
immancabili polemiche, tra i detrattori e i sostenitori del progetto.
Davanti al
Mausoleo venne posta una Guardia d'Onore per tutta la durata
dell'ostensione; le cronache ci tramandano che "in
quei giorni una fila interminabile di italiani salì la scalinata che conduce
al Famedio di Staglieno, per raggiungere la bara, collocata all'aperto, sul
piazzale, circondata da bandiere" (nella foto sotto, il Pantheon
o Famedio del cimitero monumentale di Staglieno, GE).
Lo Spirito, che è libero e
non bada all'involucro fisico, ha comunque trovato la via per
innalzarsi.