Lodi è una graziosa cittadina che sorge
sulle sponde del fiume Adda. Dopo la distruzione dell’antica Laus
Pompeia ad opera dei Milanesi, nel XII secolo venne fondata l’attuale
Lodi, che è divenuta capoluogo di provincia da una ventina d’anni. Ricca
di tesori architettonici, sia religiosi che civili, è anche un fiorente
centro industriale ed agricolo.
Tra
gli itinerari da includere in una visita di carattere culturale e, perché
no, un po’ insolita come piace a noi, rientra a pieno titolo la Collezione
Anatomica 'Paolo Gorini' (nata nel 1981 per volontà di Antonio
Allegri, anatomopatologo di Lodi, con il nome di Museo Paolo Gorini),
allestita nei locali affacciati sul chiostro dell’Ospedale Vecchio
di Lodi. Anche il nuovo allestimento (a partire dal 2010) sorge nel luogo
medesimo.
In
piazza Ospitale, conosciuta anche come piazza san Francesco per la
presenza della medievale e omonima chiesa, si può ammirare il monumento
dedicato allo scienziato Gorini (nato a Pavia nel 1813 e morto a Lodi nel
1881), personaggio eclettico che è un vanto per la città (a
lui è riservato un articolo a parte).
Dai suoi studi sulla conservazione
artificiale dei corpi, sono nati molti preparati anatomici
interessantissimi, che trovano posto nell’attuale disposizione museale.
Per cercare di capire al meglio il significato scientifico, storico e
antropologico di questa collezione, è opportuno risalire al contesto in
cui la tecnica della preparazione dei corpi è nata, si è sviluppata ed
ha raggiunto risultati sorprendenti. A tal fine, a destra, abbiamo
inserito un 'excursus' in cui storia (e un po' di mistero) si intrecciano.
In
particolare, è bene ricordare che, a partire dal XIX secolo, le scienze
naturali avevano preso il galoppo; le nuove scoperte sui fossili crearono
un'irresistibile curiosità sulla loro formazione. Essi, infatti,
rappresentano la più perfetta mummificazione naturale e gli
studiosi ritenevano possibile riprodurre in laboratorio - in tempi brevi-
ciò che la natura, in tempi lunghissimi, riusciva a compiere(1). Paolo
Gorini era appassionato di geologia, non a caso. Noti sono i suoi studi
sulle origini delle montagne e sui vulcani.
Inoltre,
il clima in cui si trovò ad operare Gorini era quello della
Scapigliatura, del
Positivismo e del
Materialismo. Fin da piccolo aveva nutrito interesse per i fenomeni
naturali che lo circondavano; ad esempio sottraeva del pane alla mensa
domestica, quotidianamente, per riporlo poi in cassettine di legno
numerate, seguendone il disfacimento. Laureatosi in Fisica e Matematica,
insegnò per 24 anni al Liceo scientifico di Lodi Matematica, Fisica e
Scienze Naturali. I suoi interessi nel campo della conservazione dei
materiali organici e della geologia andarono di pari passo sempre.
Dove
avvenivano le preparazioni di Gorini
Cerchiamo
di immaginare questo 'lupo solitario' nei locali del suo laboratorio, che
aveva allestito in un ex -monastero di Lodi, quello di San
Nicolò(andato completamente distrutto), dal quale potevasi vedere la
facciata della chiesa di San Francesco, accanto alla quale oggi si erge il
monumento a lui dedicato. Aveva scelto un antico monastero sconsacrato,
con quell'atmosfera mistica di meditazione che un luogo simile induce, per
sperimentare. Da quel suo 'antro' sono uscite le preparazioni che oggi
possiamo vedere dietro le vetrine del museo a lui intitolato e fondato nel
1981 dal prof. Antonio Allegri, anatomo-patologo che ne curò
personalmente l'allestimento.
Se
l'edificio fisico dove operò Gorini per quarant'anni, pensandovi,
studiandovi, sperimentandovi in modo nascosto agli occhi della gente
(perchè nessuno o quasi potè mai entrare, in quanto proteggere le proprie
scoperte era di fondamentale importanza) non esiste più, sono giunte fino
a noi le descrizioni di come fosse, grazie alla sua Autobiografia
(curata da Carlo Dossi). Il Dossi, inoltre, nelle sue 'Note
Azzurre' (n.2739) scrive, riferendosi al laboratorio goriniano:"[...]
Le quattro porte - Sistema d'ingresso-La porta che conduce alla "brugna"
dell'Ospedale-La stanza piena di fiaschi, e di fiale-la stanza del carbone
e del materiale vulcanico-La corte delle fornaci; la corte del
crematojo-l'orto dall'eccellente frutta, ingrassata dai morti-etc. Lo
studietto, colle preparazioni[...].
Da una
recente pubblicazione (2), apprendiamo alcune notizie che furono a loro
volta pubblicate nell'Opuscolo promozionale pubblicato a Roma nel
1881 nello Stabilimento Tipografico Italiano. Per non dilungarci
troppo, ci soffermeremo su ciò che attinge all'argomento in discussione.
Nel locale contrassegnato come Camera B vi erano barelle per il
trasporto dei cadaveri, concessi al Gorini dall'Ospedale. Queste salme
appartenevano a persone che nessuno aveva richiesto, oppure malati
psichiatrici 'figli di nessuno'. Nella Camera, che doveva essere situata a
pianterreno, vicino alla porta d'ingreso, vi erano pure un banco rivestito
di piombo per le operazioni anatomiche, un mucchio di terriccio usato
nell'imbalsamazione dei corpi e Gorini, parlando di questa stanza, scrisse
che "vi era un tal cumulo spaventoso di materie animali in disfacimento
quale non si sarebbe mai creduto poter esistere. Pochi reggono all'orrendo
spettacolo[... ]. Di tutta questa roba non c'è da salvare che un coso
verde tutto impolverato, infilzato in un'acuta bacchetta di ferro, che ad
esaminarlo da vicino pare qualcosa come un giovane conservato". Era il
cadavere pietrificato di Pasquale Barbieri, il primo esperimento di
imbalsamazione a corpo intero eseguito dallo scienziato il 4 gennaio 1843
(quando Gorini aveva solo 30 anni) e che è possibile vedere esposto nella
Collezione Anatomica. Nel Locale F si trovavano stufe per
l'essicazione dei preparati anatomici. Nella Camera G vi erano
corpi d'uomo e di bestie, feti, membra ed organi di corpi, teste con
intatta capigliatura, il tutto preparato da moltissimi anni e lasciato
esposto senza cura all'azione del tempo, che non aveva alterato la loro
durezza, lignea in alcuni, lapidea in altri, essendo per sempre preservati
dalla corruzione; oggetti per dama e scacchi fatti con sostanze animali;
fegati e cervella pietrificati, pelli indurite, nervi di bue, ecc. Nella
Camera H, tra le altre cose, pelli d'animali conservate, ossa
conservate. Nella Camera I altre materie e preparati geologici. Un
gran numero di vasi, di ampolle e di barattoli, con sostanze liquide d'uso
scientifico...
Gorini
stesso non nascose mai di avere a disposizione una tale quantità di corpi,
di cui nessun altro scienziato in Italia poteva disporre! Si dice che
sotto il proprio letto tenesse il corpo di un bimbo pietrificato, e nelle
tasche del suo caratteristico palandrano giacevano piccoli pezzi anatomici
che ogni tanto tirava fuori.
Gorini
ammetteva che alcuni pezzi erano 'mal riusciti'. "Mentre dei rimanenti
-si legge nei due testamenti olografi - bisognava fare una grande
distinzione, scegliere quei pochissimi che non hanno difetti[...] ed altri
che sono curiosità interessanti come i pezzi di mammella vaccina lavorati
al tornio, e la tabacchiera fatta della stessa materia[...]".
Si
preoccupava, inoltre, di "poter esporre alcuni pezzi in pubblico mentre
tutti gli altri che pur sarà bene il conservare perchè ciascuno
rappresenta uno studio ed ha la sua storia scritta nel protocollo dei
morti, non devono essere esposti al pubblico, ma soltanto lasciati
esaminare agli uomini della scienza[...] Nè sarebbe bene valersene per
farne dono a privati a ad istituti scientifici, perchè la loro
imperfezione screditerebbe un processo che è il solo il quale abbia
risolto sul serio il problema dell'imbalsamazione[...]".
Gorini
doveva essere un uomo tutt'altro che sprovveduto; intuiva che dietro
quelle mura la gente mormorasse di lui le cose più disparate:che facesse
muovere i morti e che la porta del suo laboratorio l'aprisse un..automa!
In realtà dai suoi scritti emerge la figura di un uomo prudente, che usava
la dovuta cautela per tutelare se stesso e il proprio lavoro, che
sicuramente molti non avrebbero capito nè valutato nella giusta valenza.
E' estremamente difficile, ai nostri occhi di persone 'moderne', penetrare
fino in fondo quegli intenti, che appaiono per certi versi grotteschi.
Paolo
Gorini si incaricò della pietrificazione di personaggi illustri, come
Giuseppe Mazzini e lo scrittore milanese
Giuseppe Rovani. Per fare ciò, lasciò naturalmente il proprio
abituale laboratorio, per recarsi nei luoghi dove giacevano le salme su
cui operare.
La
Collezione attuale
Dopo la
sua morte, avvenuta nel 1881, si aprì il problema dell'acquisizione di
tutto il materiale, cartaceo e non, che lo scienziato aveva accumulato nel
corso degli anni. Venne inoltrata una richiesta allo Stato affinchè
provvedesse a farla propria, come bene comune, ma la domanda venne
respinta clamorosamente. Il segreto della pietrificazione goriniana doveva
essere ben noto al celebre medico Malachia De Cristoforis,
incaricato di formare e presiedere la Commissione Parlamentare per
l’acquisto del lascito dello scienziato da parte dello Stato(3).
Tutto
restò dunque a Lodi e gli eredi lo donarono all'Ospedale locale, dove per
decenni venne lasciato quasi dimenticato, come il suo fautore. Il prof.
Allegri, nella seconda metà del XX secolo, si incaricò di recuperare
quel prezioso materiale, di restaurarlo e ripulirlo, e di renderlo
fruibile al pubblico. Cento anni dopo la morte di Gorini, nel 1981, venne
inaugurato lo spazio museale-dove si trova attualmente la collezione- alla
presenza di Giovanni Spadolini.
Sono
circa 170 i pezzi esposti, che occupano un'unica sala, il cui soffitto è
elegantemente affrescato a grottesche (opera del 1593 di Giulio Ferrari).
Tra di essi si annoverano preparati a secco (cioè senza immersione
in spirito di vino) e i petrafatti o pietrificati. Il valore
scientifico della collezione consiste in diversi aspetti che si possono
sintetizzare in due tipi:- l'abilità raggiunta da Gorini all'epoca; - la
natura illustrativa (o didattica) di uno spaccato della società
ottocentesca, come la presenza di patologie comuni a quel tempo e oggi
debellate o meno incisive (come il morbo di Pott), polidattilie, una
colonna vertebrale cifoscoliotica impressionante.
La
collezione comprende anche due corpi interi pietrificati, perfettamente
conservati. Inoltre, un coniglio, un pollo ed una testa di siuno che il
prof. Garlaschelli (Università degli Studi di Pavia)
e il prof. Carli (Università del Molise) hanno
preparato secondo il metodo goriniano, ma per immersione (non per
iniezione).
Visitando questo museo, non si viene colti da un senso del macabro ma da
uno stupore frammisto a perplessità. Sicuramente si deve essere motivati
ben più che da semplice curiosità: questa non è un'esposizione di oggetti.
E' qualcosa di più, qualcosa che va visitato con sensibilità e forse con
una certa preparazione, sia culturale che interiore. Anche se i
pezzi -ben riconoscibili- fanno 'dimenticare' per alcuni istanti che sono
materia organica. I volti, montati su supporti, sono le parti a nostro
avviso più toccanti, con quello sguardo che sembra seguire ad ogni passo
(Gorini usava applicare finti occhi alle sue salme, eccetto che in
rarissimi casi). Dietro ad ogni volto, sembra scorrere -invisibile- una
storia, la sua storia personale che mai conosceremo. I capelli sono
fluenti, tanto nei maschi quanto nelle femmine; nei primi la barba è
ancora presente al livello in cui cessò di crescere. In tutti,
l'espressione indecifrabile che cattura e porta nei misteri insondabili
dell'Uomo, dei confini che raggiunge, che costeggia e che poi travalica,
per la sua sete di conoscenza.
Alcuni
corpicini di bimbi giacciono sdraiati, indimenticabili. Uno è invece
conservato eternamente inginocchiato, in atteggiamento supplichevole.
Attualmente la Collezione, curata per l'apparato storico-scientifico dal
prof. Alberto Carli, è aperta al pubblico in alcuni giorni
della settimana(4).
Sale
Paravicino
In
alcuni locali adicaneti alla sala Gorini, si trovano esposti dei preparati
non suoi, ma di un altro pietrificatore (che non conobbe mai Gorini),
Giuseppe Paravicini. Egli ricoprì la carica di anatomista presso
l'istituto di Anatomia patologica del manicomio di Mombello, nei pressi di
Milano, dal 1901 al 1917 (dal 1910 al 1917 ne fu direttore). Si cimentò
nella tecnica di preparazione dei cadaveri e di parti anatomiche di
degenti che morivano nel suo nosocomio, ottenendo risultati forse ancor
migliori di Gorini.
Fino ad
alcuni anni fa i suoi preparati erano conservati in un piccolo museo
dell'istituto Ospitaliero Provinciale Psichiatrico "Paolo Pini", situato
alle porte di Milano (Via Ippocrate, 45), ma in seguito (alla chiusura
dell'Istituto) vennero accolti dall'Università di Milano che li ha dati in
deposito gratuitamente alla Collezione Anatomica Lodigiana 'Poalo Gorini'
per poterli degnamente esporre.
Si
possono apprezzare diverse teste sezionate e non, encefali, il tronco di
un acromegalico, e due corpi interi femminili, che pare dormano un sonno
eterno.
La
sua tecnica è ancora parzialmente ignota. Si basava sostanzialmente su
iniezioni di cera, paraffina e solventi, immessa forse a caldo tramite
l'uso di una pompa a pressione costante.
Etica
e Formule
Nelle
'Note Azzurre' (n.843), Carlo Dossi scrive:"Gorini dice che per
conservare un cadavere, bisogna ucciderlo completamente". Cf. Lucrezio
L., III, V.715 e seg. (5). Probabilmente lo scienziato lodigiano era
consapevole dei risvolti di tipo etico-morale che contornavano il problema
della pietrificazione. "In realtà, Gorini si comportava come ogni
scienziato dell'epoca: il corpo vale quello che vale, soprattutto se è
corpo di povero. I problemi etici lo toccavano poco. L'Italia era piena di collezioni come la sua"
(A. Carli, corrisp. privata, aprile 2011).
In
un'altra Nota (la n.4744), il Dossi immagina che il cadavere di Mazzini-
che Gorini aveva pietrificato tra il 1872-'74- si lamenti dolente di quel
trattamento, che lo incatena in eterno alle antiche sue spoglie e lo
condanna a non dissolversi più, a non entrare nel perpetuo ciclo naturale
(6).
Tuttavia, il Gorini era un uomo di scienza, considerato 'eretico' dalla
Chiesa, che ne avversò gli studi anche a posteriori, e badava a far
progredire le tecniche innovative nel campo della conservazione dei
cadaveri, prima e, in seguito, sulla loro cremazione. Egli stesso,
infatti, scelse quest'ultima soluzione per se stesso. Gli era in disprezzo
il disfacimento dei corpi. Carlo Dossi (n.5573 delle sue 'Note Azzurre')
tuttavia scrisse che "[...]oggi i preti lo combattono col sciocco
pretesto ch'egli fosse un massone mentre non lo era. Gorini fu
invece sempre in buoni raporti con moltissimi sacerdoti, specialmente
Anelli e Vignati[...]Concorse in varie opere di carità col vescovo di
Lodi, Bersani[...]".
Ma il
segreto della sua formula per pietrificare i cadaveri dove andò a
finire?
Facciamo
un passo indietro. Quando Gorini attese alla pietrificazione di Giuseppe
Mazzini, era affiancato da Agostino Bertani, medico personale di
Mazzini ed amico sia di quest'ultimo che dello scienziato lodigiano.
Bertani aveva visto il metodo, se ne era stupito di quanto fosse semplice.
Al capezzale di un Gorini morente, Bertani era pure presente, insieme al
suo medico personale, Luigi Rovida, il quale trascrisse il
metodo goriniano, che trasmise poi ad un medico condotto di Palazzolo
sull'Oglio (BS), Ezio Omboni, apparentato con Gorini. Carlo Dossi
(n. 5543bis, delle 'Note Azzurre') ci ha tramandato che fu proprio Rovida
ad insegnare al medico palazzolese "il principio della
conservazione goriniana de’ cadaveri". Dal canto suo, l'Omboni si
cimentò nella pietrificazione di almeno una trentina di preparati
anatomici, come ha lasciato chiaramente scritto in un Opuscolo (7).
Il
'segreto' è poi giunto fino ai giorni nostri e il prof. Alberto Carli lo
ha rintracciato e pubblicato per primo nel 2005 (il documento è oggi conservato
presso l'Archivio Storico Lodigiano, 'Fondo Allegri'). Presso la
Collezione Anatomica lodigiana, possiamo trovare anche un foglietto
manoscritto, che è la riproduzione di due delle formule impiegate da
Gorini per la pietrificazione. Si ritiene che siano gli appunti che Rovida
prese al letto di Gorini morente. Così è scritto:
Soluzione di acido solforico nella proporzione del dieci per cento.
_______________________
Soluzione satura alcoolica di Bicloruro di Mercurio e di Muriato di Calce
nella proporzione che il volume della prima sia dieci volte quello della
seconda.
Perchè due? La ragione è presto spiegata: esistevano due metodi diversi
usati dallo scienziato, uno più veloce e che garantiva risultati meno
duraturi, ed uno più lento ma con maggiori garanzie di durata. Per chi
volesse approfondire nel dettaglio i procedimenti goriniani, è disponibile
anche nel web un'
interessante documentazione
a cura del prof.
A.Carli.
In
verità,
esistevano tantissimi metodi diversi per conservare i cadaveri (Gorini era
un empirico) e le metodiche sopra illustrate si basavano su due delle
formule pià usate.
Seguendo
il metodo goriniano, i preparati del dr. Ezio Omboni risultavano - per sua
ammissione- perfettamente conservati: « Il liquido conservatore,
compenetrando non solo le parti molli ma anche le ossa, rassoda ed
indurisce tutti i tessuti, compreso il nervoso che acquista una
consistenza cerea; così le masse muscolari, conservando la forma naturale,
prendono una naturale durezza non disgiunta da una certa quale gommosa
elasticità: pastosità e rotondità senza grinze alla pelle, che si presenta
lavigata, ancora provvista della lanugine con perfetta aderenza dei peli e
di colorito migliore dell’ipocratico, le labbra conservandosi turgide e
chiudendo interamente la bocca, il naso, le orecchie non ratratti od
impiccioliti; le palpebre potendo ricoprire interamente gli occhi, tanto
che ci sembra di essere alla presenza di un dormiente. Preparazioni che
non destano alcuna sinistra impressione e si mantengono dure e ponderose,
non idrometriche, prive affatto d’odore sospetto, suscettibili di venire
con un bagno rinverdite per poterle sezionare quando si voglia constatare
la perfetta conservazione ed integrità d’ogni viscere, dal cervello niente
mutato nel colore e nella massa, ai polmoni, al cuore, al fegato, agli
intestini contenenti ancora le feci intatte, quasiché avessero subito una
particolare preparazione».
Veramente strabiliante.
Come la Collezione Anatomica lodigiana.
|
|
Il
lungo cammino della conservazione dei corpi
Secondo l'Enciclopedia
Larousse, 1981, il termine 'tanatoprassi' è l'insieme delle cure erogate
al morto, compresa l'imbalsamazione, una delle sue forme storiche.
L'etimologia della parola deriva dal greco thanatos, genio della
morte, e praxein, manipolare, trattare
Un cadavere va
fisiologicamente incontro a fenomeni che lo porteranno alla sua
dissoluzione, in tempi più o meno rapidi. A meno che intervengano dei
processi che, arrestando tali meccanismi, consentano ad un corpo animale
(o a parti di esso) di conservarsi inalterato nel tempo. Ciò può avvenire
in modo naturale o artificiale.
Il fenomeno
naturale secondo il quale un corpo si conserva nelle sue
caratteristiche fisiche, essendosi arrestato il processo di putrefazione,
si verifica tanto in campo 'laico' che cristiano; di quest'ultimo si è già
detto in
altra sezione, occupandoci di miracolistica
religiosa (in quel caso, si tratta per lo più di personaggi il cui
corpo incorrotto, o parte di esso, è indice di santità); abbiamo
trattato in un
articolo a parte
('Mummie, sogno di vita eterna') anche i vari
tipi di mummificazione ‘laica’naturale, che si verificano quando si creano
le condizioni ambientali adatte a mantenere un corpo inalterato (v. il
caso della mummia umida del celebre ‘Uomo dei ghiacci’ del Similaun,
Otzi).
La mummificazione
artificiale è invece indotta dalle tecniche ideate dall'Uomo.
| Casi curiosi |
Mummificatori per
eccellenza furono gli antichi Egizi, ai quali abbiamo dedicato a
suo tempo una
sezione apposita,
senza che dobbiamo soffermarci in questa sede.
Meno note sono altre preparazioni, come
quelle cinesi. Nel 1972 venne infatti scoperta una tomba
ricchissima, a Ch’angsha (Hunan), in occasione di lavori di spianamento di
una collina per erigere un ospedale. In certa letteratura taoista, si
tramandava dell’esistenza di un ‘elisir’ in grado di garantire un cadavere
inalterato per un indeterminato periodo di tempo, e quella scoperta
confermava che il mito poteva essere realtà. Il corredo della tomba
consisteva in più di 1000 pezzi (oggetti, mobili, strumenti musicali,
tessuti, ecc.) e in una delle camere si rinvennero sei sarcofagi,
ermeticamente chiusi e incastrati l’uno nell’altro, ben isolati da spessi
strati di argilla bianca e carbonella. Nel più interno dei sei sarcofagi,
fu scoperto il cadavere di una donna completamente integra, immersa in un
liquido rosso conservante. “Le arterie femorali non presentavano quasi
nessuna differenza rispetto a quelle di un cadavere recente; capelli,
pelle e tessuti davano un’impressione di sorprendente freschezza” (8).
La sepoltura venne identificata come Tomba Han n.1 di Mawangtui e datata
al I sec. a.C.
Gli studiosi appurarono che il liquido
rosso conteneva mercurio e acidi organici (è probabile che la colorazione
vermiglia fosse data dal solfuro di mercurio, noto come cinabro), ma era
stata necessaria l’impermeabilità all’ossigeno e all’umidità, che erano
state assicurate dalla chiusura ermetica dei sarcofagi, ottenuta con
un’argilla plastica proveniente da regioni distanti dal luogo della
tumulazione. Anche i tessuti di seta si erano conservati…Nel 1975 venne
scoperta un’altra sepoltura del periodo Han, in un luogo noto come la
Montagna della Fenice (presso Djiangling, provincia di Hubei o Hupeh);
anche in questo caso i sarcofagi, nel numero di tre, risultarono
incastrati uno nell’altro e nel più interno di essi si scoprì il corpo di
un uomo sui cinquant’anni, completamente conservato, immerso in un liquido
rosso identico a quello sopra descritto. Pare che da questi casi, emerga
il fatto che la tecnica impiegata fosse superiore ai risultati ottenuti
dagli Egizi! I quali dovevano togliere le interiora al cadavere, com’è
noto e provvedere al suo essiccamento nel Natron, una soluzione salina,
per circa settanta giorni, dopodiché il cadavere veniva fasciato
accuratamente e deposto nel sarcofago. Le mummificazione egizie – a
seconda del costo- potevano essere più o meno accurate e durature. Quelle
dei faraoni, chiaramente, erano le migliori.
Nel 1485 venne scoperta a Roma,
“nei pressi della sesta pietra miliare dell’Appia”, la sepoltura di una
giovane donna, perfettamente conservata, all’interno di un sarcofago di
marmo. Era stata ricoperta di una sostanza ‘alta due dita’, grassa e
profumata. Il Muratori (Rerum Italicarum Scriptores, t.III,
parte II, col. 1192-1193I) ci ha tramandato un Diario della Città di
Roma, di Stefano Infissura (a quel tempo segretario del Senato e
Popolo Romano), nel quale è descritto l’aspetto della fanciulla
mummificata, vissuta nell’antica Roma: “Le carni e il loro colore roseo
erano come di persona che ancora vivesse[…]Gli occhi semiaperti e la bocca
similmente; la lingua si prendeva e si tirava fuori dalla bocca e
ritornava subito al suo posto. Le unghie delle mani e dei piedi saldissime
e bianche, e le braccia sollevavansi e ritornavano al loro posto come se
fosse morta allora…Era così leggiadra e bella che a mala pena si può
spiegare in iscritto o a parole, e se si dicesse o giurasse non si
crederebbe punto dai leggitori che non la videro”. L’umanista
fiorentino Bartolomeo Fonti in una lettera all’amico Francesco Sassetti,
conservata presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (cod. 2382, fol.
XXVIII), narrò l’incredibile ritrovamento, di come fosse perfettamente
conservato quel corpo, descrivendolo minuziosamente in ogni sua parte; in
un passo riporta che “[…]petto, ventre e grembo erano compressi da un
lato e, dopo l’asportazione della crosta aromatica, si decomposero[…].
Riporta inoltre la notizia che il monumento che doveva ergersi sopra la
sepoltura era andato distrutto da secoli e che il sarcofago non riportava
alcuna iscrizione che permettesse di identificare la giovane. Le ‘voci di
popolo’ diffusero la notizia che accanto alla salma giaceva una lampada
ancora accesa, una sorta di ‘lume eterno’…(9).
|
Che tipo di sostanza poteva mai essere
quella che aveva conservato per oltre mille anni quel corpo di ragazza?
Nella cultura romana non era un’usanza comune. E, se fosse stato un
tentativo ‘casuale’, riuscì proprio bene! |
Altro caso interessante quello di un
bambino di tre anni, scoperto nel 1983 dall’equipe guidata dal prof. Gino
Fornaciari (università di Pisa), nella sagrestia della chiesa
napoletana di San Domenico. Una cinquantina di sarcofagi lignei
erano stati lì accatastati:alcuni contenevano scheletri, altri delle
mummie naturali, che in seguito vennero identificate in modo preciso come
appartenenti a famiglie nobili (Ippolita Sforza, Giovanna IV d’Argona,
Isabella d’Aragona, Pietro d’Aragona, Antonello Petrucci, Ferdinando
Orsini, tutti morti nel XVI secolo). Accanto a queste, altre mummie
presentavano i segni di un trattamento conservativo del corpo, tra
cui quella del figlio di tre anni di Giovan Domenico Milano, marchese di
San Giorgio. Il cranio dell’infante era stato tagliato e riempito di
ovatta imbibita di sostanze odorose mentre le viscere erano state
asportate. Al loro posto erano state introdotte delle sostanze aromatiche
conservanti e il corpo strettamente bendato, secondo un procedimento che
ricordava quello degli antichi egizi. Un sapiente trattamento di
mummificazione artificiale lo avevano ricevuto anche altre persone qui
ritrovate e morte sempre nel corso del 1500, appartenenti alla nobiltà:
Antonio d’Aragona, Maria d’Aragona, Ferdinando Francesco d’Avalos,
Giovanni d’Aragona, Flavio Orsini (arcivescovo di Cosenza, morto nel
1581), inoltre un uomo di circa 30 anni e un bimbo di due, che in seguito
si scoprì essere morto di vaiolo:nelle lesioni che presentava, fu isolato
ancora il virus della malattia perfettamente conservato!
|
Ma come potevano tutti questi personaggi
essere stati imbalsamati alla stregua egizia, se al tempo in cui
morirono non potevano conoscerne le tecniche?(10) |
Il ritrovamento dei 44 corpi accese
dibattiti e fu oggetto di un libro da parte del Soprintendente Antonio
Spinosa. Nel 1989 sulla rivista medica “The Lancet”, comparvero i
risultati delle analisi svolte dall’equipe italiana sul corpo di Maria
d’Aragona (1503-1568), il primo caso di una identificazione su antichi
resti umani di treponema, battere responsabile della sifilide. La
donna risultò infatti affetta da sifilide terziaria, molto probabilmente
di origine venerea. Una malattia che poteva essere diffusa nella famiglia
in quanto su un’altra illustre mummia qui ritrovata, quella di Isabella
d’Aragona (1470-1524) furono trovate tracce di mercurio che, al suo tempo,
si usava per curare o prevenire la sifilide. La donna sarebbe morta però
per la tossicità dell’elemento, e non per la patologia in sé.
La sete di conoscenza aveva già portato il
grande Leonardo da Vinci ad avere necessità di disporre di cadaveri
per capire l’anatomia e la fisiologia umana, che poteva portare alla
comprensione dei meccanismi regolatori del mistero della vita, ma
anche alla scoperta delle alterazioni che portano alle patologie. Ma egli,
non essendo un accademico, fu costretto ad operare di nascosto.
Prima di lui, nel Medioevo, si imbalsamavano personaggi importanti e
potenti come i papi, i re o gli imperatori.
Perchè conservare cadaveri o pezzi anatomici?
Per
diverse ragioni:
-studio/insegnamento (strumenti didattici)*
-celebrative (personaggi importanti)
-devozionali/religiose
-artistiche
-musealizzazioni
-sperimentazione
Chiaramente rapportandole alle epoche e alle culture in cui vengono
eseguite.
* A
proposito di questo aspetto, va detto che uno dei primi ad avere
l'intuizione che i preparati anatomici fossero impiegati come strumenti
didattici è stato il prof. Alberto Carli, attuale conservatore della
Collezione Lodigiana. Egli ha operato per primo la divisione tra preparati
didattici e celebrativi.
Fino
al XVI sec., i medici universitari si
dovevano basare su pezzi anatomici conservati per un lasso di tempo
relativo, tramite soluzioni alcoliche. Non esistevano né congelazioni né
metodi alternativi.
Nel corso del 1600
si ebbe il primo sperimentatore europeo ‘certificato’:si trattava del dr.
Frederik Ruysch (L'Aia,
28 marzo
1638
–
Amsterdam,
22 febbraio
1731),
che iniettò delle sostanze conservanti
nel sistema circolatorio dei cadaveri, con successo. “Ruysch condusse
ricerche in molte aree dell'anatomia umana, della psicologia, utilizzando
la conservazione "sotto spirito" per conservare gli organi, e creò una
delle più famose collezioni anatomiche di tutta Europa. La sua abilità
principale fu la preparazione e la conservazione di esemplari con un
misterioso liquor balsamicum ed è ritenuto uno dei primi ad aver usato
l'imbalsamazione arteriosa per questo scopo. Nel 1717 vendette a Pietro il
Grande di Russia la sua collezione di ‘curiosità’ e il segreto del suo
misterioso liquor: sangue di maiale rappreso, blu di Prussia e
ossido di mercurio" (11).
L'epoca delle sperimentazioni conservative
A partire dalla fine del 1700,
con la scoperta sistematica delle mummie egizie e dei testi orientali di
medicina, si travasò nel vecchio continente un desiderio di saperne di più
sulla conservazione corporea, di studiarla e di capirne le cause e –più
tardi- le finalità di conservazione (cioè il motivo per cui gli Egiziani,
ad esempio, mummificavano i loro defunti).
Come abbiamo già
discusso
in un’altra sezione,
il Settecento è un secolo illuminista, in cui l’Uomo si riappropria delle
proprie capacità intellettive e sfronda le proprie conoscenze da
discipline ritenute pseudo-scientifiche. La Scienza diviene una sorta di
nuova religione, in cui lo scienziato assurge al rango di un novello dio,
in grado di formulare leggi, di dimostrarle, di riprodurre i fenomeni, di
addomesticare quanto lo circonda al proprio scopo. La morte –vissuta con
angoscia da sempre se non fosse per la speranza di una vita in un’altra
dimensione, in un aldilà giusto, secondo i dettami religiosi – è più che
mai indagata nel suo aspetto materialista. Il corpo è morto, l’anima è un
affare che non riguarda lo scienziato. Su quel corpo, si può osare di
tutto, per amore della Scienza.
Tra 1700 e 1800 si
moltiplicarono gli studiosi colti dalla passione di conservare i cadaveri.
Le loro tecniche sono variegate e in diversi casi rimaste sconosciute
perché i loro fautori non le divulgarono mai. Frequentemente non erano
accademici e non avevano un ruolo istituzionale, quindi non erano
obbligati a rivelare i segreti delle loro formule.
William Hunter
(1718-1783) fu il più celebre anatomista inglese del XVIII secolo, allievo
di William Smellie (1697-1783). Le sue osservazioni e riproduzioni
anatomiche erano famose per accuratezza e qualità. Le ventiquattro tavole
contenute nell'opera Anatomy of the Human Gravid Uterus, pubblicata
a Londra nel 1774, sono considerate dei capolavori dell'iconografia
anatomica.
Va
ricordato pure il principe di Sansevero,
Raimondo di Sangro (1710-1781) un massone
erudito che, nel proprio laboratorio, si dedicava a vari tipi di
esperimenti, tra cui le marmorizzazioni dei tessuti. Si dice che egli
fosse ossessionato dalla morte e dal disfacimento del corpo.
Il francese Jean Gannal
(1781-1882) fu fra i primi a iniettare attraverso una l'arteria carotide
una soluzione conservante di solfato d’alluminio. Ha lasciato una
Histoire des embaumements, del 1837.
In Italia si ebbero
molti nomi di chimici, medici e naturalisti che si cimentarono nel compito
di mettere a punto preparati anatomici o corpi interi (13). E’ però dal
mondo degli ‘autodidatti’ che cominciarono ad arrivare notevoli scoperte
nel campo della conservazione dei cadaveri e il più celebre tra di essi è
Girolamo Segato, nato a Vedana (BL), nel 1792 e
morto a Firenze nel 1836. E’ con lui che cominciamo a introdurre un
termine speciale,‘pietrificazione’, con la quale “si indicarono-
soprattutto tra Ottocento e Novecento –alcune tecniche di conservazione
basate nella maggior parte dei casi sulla sostituzione di liquidi
biologici con elementi chimici conservanti” (12). Ripromettendoci di
occuparci di questo intrigante personaggio prossimamente, quando
visiteremo i suoi pezzi anatomici esposti presso il Dipartimento di
Anatomia dell’Università di Firenze (alcuni sono esposti anche al Museo
Civico di Belluno), incontriamo altri nomi che hanno sperimentato delle
tecniche conservative dei corpi (oltre Paolo Gorini, s'intende!):
Giuseppe
Tranchina
(1797-1837), che iniziò i suoi esperimenti sulla conservazione dei
cadaveri non eviscerandoli ed impiegando una soluzione acquosa o alcolica
di arsenico bianco e cinabro;
Giuseppe
Albini,
Arcieri Lotteri, Brunetti, Paolo Gorini, Lanzillotti- Buonsanti,
Attilio Maggia,
nato nel 1865 a Bassano del Grappa (VI), medico fondatore della rivista
“L’Antologia Medica”, che aveva ideato un sistema di conservazione animale
basato sul seguente metodo: riponeva i campioni sotto campane di vetro, li
esponeva a vapori chimici che li mantenevano morbidi e flessibili, poi, se
esposti all’aria indurivano e non erano più soggetti a decomposizione. Nel
complesso il suo metodo rimase tuttavia ignoto; egli aveva allestito
alcuni suoi campioni in un piccolo museo situato a Milano, in corso
Italia, 1, del quale non abbiamo ulteriori notizie; Efisio Marini
(Cagliari,1835-1900), il quale elaborò un sistema del tutto personale
che gli consentiva di ottenere la pietrificazione senza tagli o iniezioni
e la cosa strabiliante è che sapeva far invertire il processo, riottenendo
la flessibilità e il colore naturali; Marravicini,
Giuseppe Paravicini, i
cui preparati sono custoditi presso la Collezione 'Paolo Gorini' a Lodi
(come già detto nel testo a sinistra); Rinaldi, Romeo, Francesco Spirito,
Giorgio Umani,
Vercelloni, Zancaro. Ma se ne possono aggiungere molti altri, come
Baldaccone di Siena, Comi di Roma, Dop di Tlosa, Longo di Catania,
Messidaglia di Verona, Rini di Salò, Silvestri di Napoli...Di alcuni
abbiamo trovato alcune notizie, e li abbiamo collegati ipertestualmente,
per altri invece non abbiamo ancora trovato notizie.
Piuttosto noto è
Alfredo Salafia (1869-1933), imbalsamatore
siciliano che ridiede alla salma di Francesco Crispi- a nove mesi dalla
morte- un aspetto ‘fresco e riposato’, ma che molti conoscono per aver
mummificato Rosalia Lombardo, una bimba di due anni morta nel 1920 di
polmonite e che riposa nella cripta dei Cappuccini a Palermo. Recentemente
è stata resa nota la sua ‘formula’ che consiste in ua miscela di
formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico. Quasi
tutti questi ingredienti si usano ancora oggi e a essi si poteva
aggiungere un trattamento del volto con paraffina disciolta in etere,
giusto per mantenere un aspetto vivo e tondeggiante(14).
La tecnica della conservazione
dei corpi venne recuperata nel XX secolo, allorquando si decise di
mummificare personaggi politici di rilievo, come Lenin, o Evita Peron.
Negli
ultimi decenni si è sviluppata una tecnica di cui abbiamo già accennato in
altra sezione, la plastinazione, che divide il mondo scientifico
tra oppositori e sostenitori di questo discutibile metodo.
La tecnica è stata ideata da
Gunther von
Hagens.“La
plastinazione prevede che i liquidi corporei vengano sostituiti con
molecole di silicone, il corpo può essere portato in una qualsiasi
posizione e poi si irrigidisce. In alternativa è possibile congelare solo
il cervello, nella speranza di potere, un giorno, ricreare un nuovo corpo
attraverso la replicazione del DNA della materia cerebrale".
A ciascuno le debite
riflessioni...
NOTE:
1)- A. Carli "Guida
storica alla Collezione Anatomica 'Paolo Gorini', Lodi, 2008.
Bisogna ribadire -per correttezza di informazione- che la 'mummificazione
prevede l'eviscerazione del corpo o la sua preparazione naturale; la
'preparazione anatomica' si ottiene per iniezione endovasale.
2)-A cura di Angelo Stroppa
in "La pietra e la cenere. Il monumento a Paolo Gorini in Lodi", edito
dalla SoCrem (Società Lodigiana di Cremazione, Lodi, 2011, pp.31-34)
3)- A. Allegri "Conservazione
e dissolvimento della sostanza organica nell’opera goriniana", in
«Archivio Storico Lodigiano», XI (1963), 2, p. 82, riportato da A. Carli
in AA.VV. "Storia di uno scienziato. La Collezione Anatomica Paolo
Gorini", a cura di A. Carli, Brolis, Azzano San Paolo, 2005
4)-Per informazioni
rivolgersi al n. 0371/409238 e/o visitare il sito
www.comune.lodi.it
5)-
Lucrezio L., III, V.715 e seg, trad.
italiana: "Quindi si vede che la natura dell'anima non è priva del giorno
natale, né è esente dalla morte. Inoltre, restano semi dell'anima nel
corpo esanime, o no? Che se restano e stanno lì dentro, non si potrà a
ragione crederla immortale, poiché sminuita dalla perdita di parti s'è
dipartita.
Ma se con integre membra s'è staccata ed è fuggita via, sì da non lasciare
alcuna parte di sé nel corpo,
donde mai i cadaveri, quando la carne è già putrida, danno vita a vermi, e
come mai una sì grande folla di esseri viventi, senza ossa e senza sangue,
brulica su per gli arti tumefatti?
Che se per caso credi che dall'esterno le anime s'insinuino nei vermi e ad
una ad una possano introdursi nei corpi, e non consideri perché mai molte
migliaia di anime s'adunino là donde è partita una sola, tuttavia c'è
questo che sembra debba essere investigato e messo in discussione: se
finalmente le anime vadano in caccia di ogni seme di vermiciattolo, e da
sé si fabbrichino sedi per starvi dentro, oppure s'insinuino, per così
dire, in corpi già formati.
Ma perché esse lo facciano o perché s'affatichino,
non è possibile dire. E infatti, quando sono senza corpo, non svolazzano
assillate da malattie e da gelo e da fame.
Giacché il corpo, più soggetto a tali afflizioni, più ne soffre, e molti
mali l'animo subisce per il contatto con esso. Ma tuttavia ammettiamo che
per queste sia quanto si voglia utile farsi un corpo in cui entrare; non
si vede però alcuna via per cui lo possano. Dunque le anime non fanno per
sé corpi e arti. Né tuttavia può essere che s'insinuino in corpi già
formati; giacché non potranno essere intimamente connesse con quelli, né
si produrrà l'armonia per corrispondenza di sensi. E ancora, perché la
feroce violenza s'accompagna alla funesta stirpe dei leoni, l'astuzia alle
volpi, e l'inclinazione alla fuga viene ai cervi trasmessa dai padri e la
paterna paura ne stimola le membra?
E in breve, perché tutte le altre qualità di questo genere si generano
nelle membra e nell'indole dal principio della vita, se non perché insieme
con ogni corpo cresce un potere dell'animo determinato secondo il suo seme
e la stirpe?
Ma, se l'anima fosse immortale e solesse passare da un corpo in un altro,
gli esseri viventi avrebbero caratteri confusi, spesso il cane di razza
ircana fuggirebbe l'assalto d'un cornuto cervo, e tra i venti dell'aria lo
sparviero, Fuggendo all'arrivo della colomba, tremerebbe, sarebbero privi
di ragione gli uomini, ragionerebbero le selvagge stirpi delle fiere".
6)- Ne abbiamo
parlato nella pagina dedicata a
Mazzini imbalsamato
7). E. Omboni "Della
sterilizzazione conservativa temporanea e permanente delle salme",
Gelmetti, Milano 1904, p.15
8)-
W. Sandermann “Il primo ferro cadde dal cielo”, Cappelli, Bologna, 1978,
pp. 180-3
9)-
Furono in moltissimi a vedere quel corpo intatto, conservatosi dopo secoli
e secoli; diversi Autori del tempo (era il 1485) ne riportarono la
descrizione, che aveva del meraviglioso, e tale scoperta meritò di essere
esposta al Palazzo dei Conservatori di Roma, il 19 aprile di quell’anno.
Le cronache narrano di 20.000 visitatori accorsi per ammirare la fanciulla
incorrotta fino a che il papa Innocenzo VIII, temendo si generasse troppa
attenzione verso quel prodigio ‘pagano’, dispose il suo seppellimento
notturno, di nascosto, si dice in un luogo deserto della via Flaminia,
fuori Porta Pinciana. Sull’identità della giovane rimangono dei dubbi
ancora oggi: chi la voleva figlia di Cicerone, Tullia o Tulliola, ma
il prof. C. Maes (1839-1910) sostenne di aver rinvenuto, in Campidoglio,
il sarcofago sul quale in realtà vi sarebbe stata un’iscrizione (per
secoli ignorata), che diceva 'Aurelia Estricata', un’attrice tragica.
Nel 1964 venne ritrovato il cadavere di una fanciulla, perfettamente
conservata e con il ventre guasto, presso Grottarossa (zona
periferica settentrionale della città, dove divergono le attuali vie
Flaminia e Cassia), in un cantiere edile. Venne analizzata dal prof.
Gerin dell’Istituto di Medicina Legale di Roma, che ne constatò lo
sconcertante aspetto statuario; emanava un acuto odore di eucaliptus ed
era fasciata in bende di lino egiziano; la presenza di un anello con
incisa la Nike, la Vittoria Alata, la fece identificare come appartenente
alla famiglia degli Scipioni. Alcuni sostennero invece che si potesse
trattare della fanciulla riseppellita da papa Innocenzo VIII nel 1485,
visto che il luogo del ritrovamento poteva coincidere…(fonte:v.nota 13)
10)-
La lettura delle descrizioni di Erodoto
(contenute nelle sue Storie), in cui fornisce dettagli sulle
tecniche di imbalsamazione egizie, non era nota nel XVI secolo in Europa.
11)-
http://it.wikipedia.org/wiki/Frederik_Ruysch
12)-Alberto
Carli “Guida storica alla Collezione Anatomica ‘Paolo Gorini’, Comune di
Lodi, 2008
13)-
V.Umberto Cordier in “Dizionario dell’Italia misteriosa”, SugarCo
Edizioni, 1991, da pag. 91 a pag. 98
14)-http://www.palermoweb.com/sottopalermo/catacombe/cappuccini.htm
Altre letture consigliate:
|
Alberto Carli “La fiaba del mago di
Lodi”, Interlinea, 2009 |
|
Alberto Carli “Anatomie scapigliate.
L’estetica della morte tra letteratura, arte e scienza”, Interlinea,
2004 |
|
Carlo Dossi, "Note Azzurre" Testo,
prefazione, note e indici a cura di Dante Isella, Adelphi Edizioni,
Milano, Sesta edizione,1988 (Collana 'I Classici) |
|
Un interessante articolo
esterno che integra l’argomento Tanatoprassi. |
|
Renato Grilletto “Il Mistero delle
Mummie. Dall'antichità ai nostri giorni atraverso il tempo e lo spazio",
Newton & Compton Editori, 2005 |
|
Dario Piombino Mascali “Il maestro del sonno eterno”, La Zisa, Palermo, 2009
|
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