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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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ALLA
RICERCA DEL TESORO DI SPINA NEL SANTUARIO GRECO DI DELFI di Giuseppe Sgubbi II PARTE (per consultare la I parte cliccare qui) CHI
HA ERETTO QUESTO TESORO? Se
facciamo il “punto”
a cui siamo arrivati con le nostre ricerche, dobbiamo constatare che
disponiamo di una sola certezza: gli abitanti di Spina hanno eretto un tesoro
a Delfi! Non sappiamo esattamente quale sia; non sappiamo se questi
abitanti erano Greci oppure Etruschi; non sappiamo in che epoca lo hanno eretto;
non sappiamo da chi successivamente
sia stato gestito; non sappiamo in occasione di quale avvenimento sia stato
eretto. Purtroppo,
nonostante che al riguardo di questi quesiti, si possa disporre anche dei “pareri” degli scrittori italiani, non è possibile dare
risposte sicure. Passare in rassegna ciò che è stato detto al riguardo della
Grecità e della Etruschicità di Spina è il primo passo che occorre fare per
approfondire l’argomento. Per tutti gli scrittori antichi, Spina
era una “polis Hellenis”,
cioè una città Greca. Per la stragrande maggioranza dei scrittori moderni,
Spina era una città Etrusca. Come mai
questo contrasto così netto?La ragione può essere una sola; gli antichi
probabilmente parlavano della Spina “Pelasga”, cioè quella che all’epoca della guerra di Troia
fu fondata nel ramo del Po detto Spinete;
gli scrittori moderni parlano della
Spina che è venuta alla luce nel secolo scorso
e che dai reperti, risulta essere stata abitata dal V al III
secolo a.C. Sembra
strano, ma hanno ragione entrambi, infatti, parlano di due “cose
“diverse. Nonostante questa precisazione, il “problema” merita di essere
approfondito, perciò ridiamo uno sguardo alle testimonianze antiche. Per
i già ricordati Strabone, Ps
Scilace e Giustino, Spina era Greca.
Plinio( III 16) la dice” Spina fondata
da Diomede,” perciò anche per lui era Greca, Dionisio di Alicarnasso
la dice fondata dai “Pelasgi”
perciò Greca. Abbiamo già detto che nessuno scrittore antico ricorda una
Spina” Etrusca”. Non dobbiamo
pensare che questo sia dovuto al fatto che all’epoca non si pensava alla
possibile esistenza nella Padania
di qualche città Etrusca, infatti sono
dagli antichi ricordate e dette Etrusche le
città di Felsina(Plinio
III,115); Adria (Livio V,33); Mantova
(Servio Aeneide X,200) e Melpum
(Cornelio Nepote in Plinio III,21). A
questo punto, occorre chiederci se
il tesoro a Delfi lo hanno eretto i Greci o gli Etruschi. Prima di cercare di
dare una possibile risposta, occorre mettere in risalto due “aspetti”
di una certa importanza, I°: a quanto
pare in tutti i santuari Greci vigeva un regolamento
che impediva alle città non Greche di erigere un tesoro nell’interno
del recinto sacro. Spina e Cere, che non sono mai state colonie,
sono le due sole eccezioni. II°: nelle gare “ufficiali”, cioè Olimpiadi o
Pitiche potevano partecipare
solamente gli abitanti delle città Greche. Per Erodoto (V,22), nessun “barbaro”
ha mai messo piede nelle arene in occasione, di tali gare.
Commissioni opportunamente indette avevano l’incarico di
controllare il rispetto di queste pratiche.
Per essere più chiari: chiunque poteva fare doni;
per esempio, i reggenti di
Roma, al seguito della presa di Veio, vollero fare un dono al dio Apollo, ma
dovettero metterlo, per testimonianza di Diodoro
e di Appiano,(Settis1968 pag 361) nel tesoro di
Marsiglia.Non mancano anche presenze
di atleti di città non greche, come
per esempio quello
ucciso dal Greco Telemacos, in una gara di lotta, ma come è noto, non si
trattava di una gara ufficiale. Polibio mette giustamente
in evidenza che quando i
Romani, dopo aver conquistato Questi
studiosi, nel corso delle loro ricerche riguardanti le vicende Spinetiche,
si sono limitati a cercare la provenienza delle decime, che periodicamente
si dovevano mandare a Delfi. Per qualcuno potevano essere proventi da
attività commerciali, per altri proventi da atti di pirateria, per altri ancora
proventi da“pulizia dei mari”,
ma non hanno approfondito, come forse invece
ce ne sarebbe stato tanto bisogno, il problema del “chi”
avesse eretto il tesoro. Anni fà, alcuni scrittori, fra cui
il Braccesi(1977 pag 151), avevano ventilato
la proposta, che l’erezione del
tesoro a Delfi, fosse opera della forte, ma sempre minoritaria, componente greca
della Spina Etrusca, ebbene, ultimamente a questa
ipotesi, non crede più nessuno.
Quello che sorprende, da quello che mi risulta, è
che nessuno studioso ha
messo in discussione la città”offerente”,
per tutti e senza alcun dubbio, questa
può essere solo Tutto
questo ci dice che anche dalle
testimonianze archeologiche e dalle iscrizioni, non è possibile attribuire
agli Etruschi l’erezione
dei due tesori. Occorre anche mettere in evidenza un particolare; per far sì
che tali iscrizioni siano credibili
occorrerebbe che i “Tirreni”
ricordati corrispondano sempre e solo ad “Etruschi”italiani”, ma, come è noto a tutti, nelle antiche
testimonianze, il termine “Tirreni”,
si riferiva a due popoli,uno in Italia e l’altro in Egeo. Non solo: nelle
antiche testimonianze,“Tirreni”
non sempre significava “Etruschi”,
spesso significava invece “Pelasgi”.Vediamole;
Ellanico di Mitilene(Dion Alic I,23)
dice che i Pelasgi fondatori di
Spina, iniziarono a chiamarsi “Tirreni”, solo dopo essere arrivati in Italia. Per Mirsilo di
Lesbo(Dion Alic I,23)i
Pelasgi iniziarono a chiamarsi “Tirreni”solo
quando ritornarono in Grecia.Indipendentemente da chi ha ragione, la sostanza
non cambia. L’equivalenza “Pelasgi”=”Tirreni”
risulta pure testimoniata da altri scrittori antichi;Tucidide(IV,109), Anticlide
apud Strabone(V,2), Sofocle apud
Dion Alic(1,28), Callimaco (framm
Ossirinico, ed altri.
Interessante per le nostre zone è pure la testimonianza che al riguardo
ha portato Diodoro Siculo,(XIV 113); dice questi che gli “Etruschi”
cacciati dai Galli
dalla valle Padana, erano di fatto i discendenti dei
Pelasgi a suo tempo arrivati
dalla Tessaglia. Perciò, nonostante che questi ultimi, come abbiamo visto,
fossero dagli antichi nominati “Etruschi”,
di fatto erano Pelasgi. Che
i “Tirreni” erano detti “Pelasgi”
e viceversa, si deduce anche dalle testimonianze del più “Tirrenico”degli autori antichi, cioè Erodoto. Questi in verità
ha sempre tenuto distinto
i “Pelasgi” dai “Tirreni”,
ma se analizziamo bene i suoi
racconti, ci renderemo facilmente
conto che sta parlando sempre dello stesso popolo. Infatti come dice Plutarco (Rom II,3 che)”i Tirreni
ricorda Erodoto sono di fatto i Pelasgi”. L’unico
degli autori antichi, che tiene ben distinto i Tirreni dai Pelasgi, e non lascia
intendere diversamente, è Dionisio di Alicarnasso, ma, come
tutti gli studiosi sanno, questi, avendo bisogno di dimostrare la “Grecità”
dei soli Romani, dovette smantellare la
teoria Pelasgi=Tirreni e dire che gli Etruschi erano autòctoni.
Al punto in cui siamo arrivati occorre
onestamente prendere atto che ci troviamo in un
“impasse” e che per uscirne occorre prendere in seria considerazione
la possibilità che il tesoro degli “Spineti”
a Delfi sia stato eretto dai
suoi primitivi fondatori, cioè dai “Pelasgi”.
Vediamo perciò se ci sono antiche testimonianze che ricordino
rapporti fra “Pelasgi” e
Delfi, e se vi siano stati avvenimenti che abbiano creato le premesse per
l’erezione di un tesoro. Alcune
di queste testimonianze esistono.
Passiamole in rassegna ed
analizziamole. Abbiamo
già accennato alle testimonianze di Dionigi di Alicarnasso e di Ellanico di
Mitilene, (I-I8 e I-28 , )ma è bene riportarne ancora una volta il contenuto:
un popolo di” Pelasgi”partiti da
Argo in Tessaglia, ma provenienti da Argo del Peloponneso, guidati da Nanas,
seguendo i consigli dell’oracolo di Dodona, approdano alle foci del Po e
risalgono un ramo detto Spinete. Una parte di loro fonda Spina, gli altri proseguendo
arrivano a Cortona e più
tardi occupano un territorio detto successivamente Tirrenia.
Non è chiaro a quale epoca risalga questa
migrazione“Pelasga”, ma
considerato che per testimonianza di Tzetze(Licofrone
Alex 1244) ), il Nanas sarebbe Ulisse, deve essere avvenuta nel periodo della guerra
di Troia, perciò all’inizio del dodicesimo secolo a.C. Un arrivo di Pelasgi
nei pressi delle foci padane è pure testimoniato dallo Ps Aristotele (80). Mirsilo
di Lesbo, riportato da Dionisio di Alicarnasso(I-23) dice che questi “Pelasgi”,
dopo aver vissuto in Italia un lungo periodo di prosperità, vengono fatti segno
di sventure, (nascite deformi, frequenti siccità ecc), decidono perciò di
rivolgersi all’oracolo di Apollo, per chiedere la ragione di queste
disavventure ed che fare per
arrestarle. La risposta oracolare che ricevono
è che non avendo mantenute le promesse a suo tempo fatte a Zeuz, ai
Cabiri di Samotracia e ad Apollo, di dare la decima dei prodotti, sarebbero per
questo stati puniti e che per porre termine a tali sventure occorreva dare ad
Apollo le decime anche dei nati. Al
seguito di questa sentenza e dei litigi che ne seguirono, molti di questi “Pelasgi” ritornarono in Grecia. Da questa testimonianza
apprendiamo cose molto interessanti:
questi Pelasgi prima di arrivare in Italia, si erano rivolti a Dodona, perciò a
Zeuz; ai Cabiri di Samotracia,( dice Diodoro
Siculo( V,47) che in quell’isola tale culto fu portato da Dardano, mentre
invece per Erodoto (II,51) sarebbe stato portato dagli stessi Pelasgi,) e che
per ben due volte si erano rivolti ad Apollo, che per il Gabba( 1975 pag 40) era
il Delfico). Questo perciò significa
che questi Pelasgi sono
“portatori” di questi culti in Italia.( Licofrone (Alex 1240) è invece del parere che
il culto dei Cabiri sia stato
portato in Italia da Enea). Ma la
testimonianza di Mirsilo è importante per
un altro aspetto; il ritorno dei Pelasgi in Grecia, un ritorno ricordato anche
da Pausania (I 38) e per ben due volte testimoniato da
Strabone; partiti da Regisvilla( V,2) e da Ravenna(V,214), un ritorno che
può aver favorito o creato le premesse per l’erezione dei tesori. Gli
avvenimenti appena ricordati; Pelasgi =Tessali arrivati in Italia, Tessali che
ritornano in Grecia, Pelasgi che si rivolgono all’oracolo Delfico, sono
testimoniati anche da altri autori antichi; Erodoto(VI-139), Strabone (V-226)Licofrone,
(Alex 1357) Ferecide(apud Dion Alic 1-13), Anticlide (apud StraboneV-2), PS Scimmo (vv 227), Apollonio Rodio (I-18),
Diodoro Siculo (XIV- 113), e l’elenco
sarebbe lunghissimo. In
queste ultime testimonianze, a volte si parla di Pelasgi, altre volte si parla
di Tessali, si può pensare che
contengono delle contraddizioni e che si annullano a vicenda. Non è così,
seppur con parole diverse, dicono tutte le stesse cose. Per esempio; Strabone,
identifica i Pelasgi con i Tessali, infatti dice Ravenna fondazione Tessala (StraboneV,214). Altrettanto
dice Zosimo(V, 27). Alla luce
di queste testimonianze, non si può affatto escludere che il tesoro degli “Spineti”
sia stato eretto dai “Pelasgi”, (
i vari ritorni hanno creato le premesse per farlo), e
che successivamente questo
tesoro sia stato gestito dalla
numerosa componente Greca della Spina
Etrusca. I
rapporti fra Pelasgi Italiani e Delfi, o rapporti fra popolazioni Italiane
e detto santuario in epoca precoloniale, sono confermati
come già detto dalla archeologia;( i
reperti“Villanoviani” del Hermann 1983). Di questi rapporti precoloniali
ne è convinto pure il Cassola(1975 pag 95). Occorre
precisare che molti studiosi moderni, nel tentativo di dimostrare l’erezione
dei tesori da parte delle città “ Etrusche
di Spina e Cere”, affermano che
ciò sarebbe stato possibile grazie alle loro “tradizioni
Pelasgiche”. Il significato di questa frase
non è chiara, significa forse che le città fondate dai Pelasgi, poi
diventate Etrusche, potevano erigere tesori nei vari santuari Greci? Dovremmo
allora chiederci la ragione per la quale fra le tante
città che potevano vantare tale
fondazione, solo Spina e Cere ne hanno “approfittato”!
Oppure “tradizione Pelasgica”significa
altra cosa? Purtroppo questo
concetto non è stato dagli studiosi ben
chiarito.
Considerata
la poca credibilità di una eventuale erezione del tesoro da parte della Spina
Etrusca,(reperti più antichi della città, iscrizioni“etrusche”
molto dubbie, regolamento che impediva l’erezione di tesori alle città non
Greche ecc, e considerato che è
difficile dimostrare una “
sicura “ erezione “Pelasga”, sarà bene passare in rassegna le testimonianze
storiche antiche per vedere se tale
erezione può essere opera di altre popolazioni. Tralascio di approfondire
le vicende “Adriatiche” delle
popolazioni che risultano operanti nel
corso della cosi detta “età del mezzo”(VII-X
secolo a.C), cioè Egineti, Corinzi, Focei, Rodii, Sami, Cnidi, ecc, anche se
non si può escludere un loro
apporto a detta erezione. Intendo invece passare
in rassegna i numerosi
“indizi di frequentazione”
di popoli che avrebbero operato nelle
zone “Spinetiche” a
“cavallo “della guerra di Troia. Mi
rendo perfettamente conto che queste testimonianze,
più che storiche sono mitologiche e che perciò è estremamente difficile
distinguere ciò che può essere veramente accaduto, da ciò che è un
avvenimento leggendario, ma essendo anche vero che
i “problemi” che stiamo affrontando
sono ben lontani dall’ essere risolti, si rende necessario
indagare su tutti i “fronti”, con la speranza
di trovare qualcosa che possa fare un po’ di “luce”in
un “buio” quasi totale. Molti sono
gli “indizi di frequentazione”che possono dimostrare probabili
collegamenti fra Delfi
e Spina. Abbiamo già messo
in evidenza i “Pelasgi Tessali Tirreni”,
a questi si può aggiungere gli Argonauti, gli Iperborei, i “Siculi
Liguri Lelegi”, Dedalo ed Icaro, i Dioscuri, i Micenei
e naturalmente i personaggi collegati alle vicende “Omeriche”
cioè ;Circe, Ulisse, Enea, Antenore e Diomede.Tutti questi “indizi” saranno
presi in considerazione, mentre invece per gli
“Omerici”
sarà fatto solo un breve accenno in quanto, le vicende di questi Eroi,
in particolare di Odisseo e di Enea, sono già
state oggetto di mie recenti
ricerche (Sgubbi 2000). Abbiamo
già detto che Apollo si assentava da Delfi per tre mesi all’anno e si
trasferiva nel paese degli Iperborei , ove aveva un giardino(Delcourt1955). Non
si poteva comunque trovare molto a Nord, in quanto nelle sue terre veniva
coltivato sia il grano che l’ulivo.
Considerato che vi si recava Apollo nei mesi invernali, si potrebbe pensare che
si trovava a sud della Grecia, ma c’è chi dice
che questi andava dal “suo”
popolo per portarvi l’estate. Non mancano testimonianze antiche
che localizzano geograficamente
questo popolo. Per Posidonio di Apamea, riportato da Apollonio Rodio(II,675), si trovava
nelle Alpi; per Esiodo(framm
150) nei pressi dell Po, altrettanto
lascia intendere Apollodoro(II,5). Numerose sono le testimonianze antiche
ove gli Iperborei risultano
identificati con popoli
storici; per Eraclide Pontico, (Plutarco
vita di Cam 22) erano i Celti. Stefano bizantino dice che i Tarquinati erano
Iperborei, per Servio(Aen IO )la città
di Pisa sarebbe stata fondata da Piso re degli Iperborei, per Filostefano,
riportato da Pindaro (Olimpiche
3,58), il popolo Iperboreo avrebbe preso tale nome da un Tessalo di nome
Iperboreo. Dice il Capovilla (1968 pag 169) che per alcuni questo popolo
era identificato con i Liguri. L’elenco potrebbe continuare, basti sapere che
spesso questo popolo era identificato
con popolazioni
provenienti dalla Tessaglia e arrivate nelle nostre zone su consiglio di
Apollo. Sia Erodoto(Iv 33), che Pausania(1,31), che Callimaco, (inno
a Delo 275) riportano
le “tappe” effettuate dai
portatori dei doni“Iperborei”destinati al santuario Apollineo di Delo; doni
in onore di Artemide, sorella di Apollo(.Erodoto IV 34). Il
resoconto più interessante e dettagliato di
tale tragitto è sicuramente quello di Erodoto, anche perché, dice egli stesso,
che ha effettuato personali ricerche al riguardo di questo popolo in tutte le
parti del mondo al suo tempo
conosciuto. Vediamo
questo tragitto; dopo agli Sciti, questi portatori di doni facevano tappa in
Adriatico.Per qualcuno si trattava
nelle Elettridi,(isole sacre ad Artemide che si trovavano
alla foce del Po), per altri a Caput Adria, Briquel (1994 pag 189), poi
proseguendo verso Sud, arrivavano presso i Dodonei (abitanti di Dodona),
e dopo aver attraversato il
golfo Maliaco, arrivavano
all’isola di Delo. Alcuni
degli studiosi moderni che si sono interessati di questo tragitto, si sono
chiesti invano la ragione della “tappa “ a Dodona, infatti significava
un inutile ed inspiegabile allungamento del tragitto . Forse
la risposta esiste; le Dodone
erano due, una era in Epiro e una era in Tessaglia, la attuale Bebula( Capovilla
(1958 pag 193) e, aggiunge il
Capovilla,( 1960 pag 25) quest’
ultima è di origine
Lelegica, e, vedremo più avanti, di che popolazione si tratta .
Perciò se la tappa Iperborea era
effettuata nella Dodona Tessalica e
non in quella Epirotica, le perplessità cadrebbero da sole, anzi tale tappa
spiegherebbe meglio il tragitto
testimoniato da Callimaco. Ma Ben
difficilmente era Epirotica Non
mancano collegamenti diretti Apollo –zone alto Adriatiche, come per esempio i
numerosi santuari Apollinei . Anche se vogliamo escludere quelli di
Adria(Colonna 1974 pag 8), e quello di Spina (Colonna1993 pag 135), che
potrebbero essere considerati del
periodo Etrusco, ricorderemo il Fons
Aponi di Abano, questo Aponi
corrisponde ad Apollo;altrettanto potrebbe essere
il ..PONI scritto in una
mutila iscrizione rinvenuta a
Bagnacavallo; dice il Susini(1985 pag 9-17) che
esiste un collegamento fra Aponi di Abano e quest’ultimo
santuario. Dobbiamo pure aggiungere
i collegamenti della sorella di
Apollo Artemide, con le nostre zone; come è noto
a Delfi vi era un tempio a
lei dedicato, come pure ve ne era
uno in alto Adriatico, ricordato da Strabone,(V,I) e dallo Ps Aristotele
(105). Abbiamo già accennato alle isole Elettride,
isole a lei sacre, che erano
qui ambientate, come pure
erano qui ambientate le isole Melagridi,
anche queste a lei sacre,che hanno dato il nome alle galline faraone (Mastrocinque
1991 pag 30 ). Essendo in tema Artemide, non possiamo non ricordare i
due santuari del territorio
lughese dedicati a Diana , una dea che come è noto , corrisponde a lei. ( Non
dimentichiamoci che
I Lelegi- Ligi sono ricordati da Erodoto (1,171 e V11,172) come
popolazione al suo tempo esistente in Grecia. Esistenti in Tessaglia coi nomi Ligyes,
Ligynaioi, Lilegi, sono ricordati da Strabone (XII,543, )da Tucidide( VI,2), da
Ps Scimmo (941), da Stefano Bizantino e da Aristotele in Macrobio( sat
1,7.)Per il Berve (1966 pag 33), i Lelegi erano Pelasgi, altrettanto dice lo Ps
Scimmo(Bardetti 1769 pag 57). Quello
che a noi interessa è che questi Lelegi corrispondono ai Liguri; lo dicono sia
Eustazio che Tzetze in Licofrone (Sbordone
1941 pag 92), precisando che
l’eponimo dei Liguri si chiamava Ligyes,
come pure corrispondono agli
Aborigini (Capovilla 1958 pag 201), come pure corrispondono agli Ambrontas(Ps
Scimmo 941). Ancor più interessante
è il constatare che a loro volta i Liguri e
Siculi sono la stessa
popolazione; lo sappiamo da Varrone e da Catone(Capovilla1955pag 33), da Diodoro
Siculo (V,6) e da Festo (424). Filisto , in Dionisio di Alicarnasso (1,22), ci fa sapere che 80 anni prima della
guerra di Troia, Liguri e Siculi arrivarono
in Sicilia, ma che per un certo periodo avevano abitato sulle coste alto
Adriatiche. Non a caso Plinio( III,13)dice” Numana a Siculis condita”
e Solino(2,1,10), aggiunge, che
questi avevano fondato Ancona.
Grazie a questi Siculi il culto di Gerione da Abano Terme
sarebbe arrivato in Sicilia(Susini 1985 pag 9-17). Sappiamo
inoltre da Eudosso, che Adrio, un
discendente dei Siculi, avrebbe
fondato Adria (Mastrocinque1990 pag 49). Siculi sarebbero anche, secondo
Pausania (I,28), quei Pelasgi che costruirono il famoso muro di Atene, che a
loro volta corrispondono a quei“Tirreni”,
che per Strabone(V,2 )erano partiti dalla cittadina italiana di Regisvilla.
Pelasgi e Liguri sarebbero dunque la stessa popolazione; infatti sono
antropologicamente identici. Pure gli Euganei
sarebbero Liguri (Pais 1916 pag 103. Il Conero avrebbe preso tale nome da Cunaro, il condottiero dei Liguri che secondo Virgilio(Servio
Eneide X 186), avrebbe aiutato Enea nella guerra contro Turno.Vi sono buone
ragioni per ritenere che questi
Lelegi Liguri Siculi siano una sola
popolazione, che in antico abitava nel
Caucaso, successivamente irradiata verso
l’Anatolia, verso La
presenza micenea in alto Adriatico è documentatissima. Sarebbe lungo l’elenco
dei frammenti ceramici e
dell’ambra “tipo Tirinto” venuti
alla luce in “zona”;
Torcello, Nezanzio, Montagnana, Pizzughi, fondo Paviani e per tutti, Frattesina
Terme. Queste presenze dimostrano in modo inequivocabile
l’esistenza in queste zone di
traffici Micenei. Non solo, quasi sicuramente i Micenei
hanno usato la foce padana per irradiarsi verso
alcune zone Tirreniche, per esempio a Luni sul Mignone, come giustamente
aveva previsto l’Oestenberg (1967 pag 246). Ma vi sono andati
usando tragitti tracciati
sulle vette delle montagne, come era loro usanza; non a caso in una cima, in
prossimità di Monte Battaglia(valle del Senio), è stata rinvenuta l’ambra “Tipo
Tirinto”(Catarsi cit,). Il Mastrocinque ripete spesso che elementi
Protovillanoviani ed elementi Micenei sono spesso indivisibili .
Essendo in tema “popoli”, non possiamo non citare i Sabini;(”Plinio
Ravenna Sabinorum Oppida); i Liburni, gli Umbri (dei Budrio, villaggi
da loro costruiti, ne sono stati contati ben 48 solo in Romagna); i Latini, e
gli Illiri. Illirico è il primitivo nome di Bagnacavallo, cioè Gabellum.
Si tratta di popoli che risultano ben presenti in queste zone e
ci sarebbe molto da dire al riguardo della loro provenienza. Per
Argonauti si intende un gruppo di eroi greci partiti da Iolco in Tessaglia,
destinazione Colchide (mar Nero), scopo, conquista del “Vello
d’oro”. Non
è chiaro cosa in antico si intendesse per “vello
d’oro”; per il mito era la pelle dell’ariete alato che Zeuz
avrebbe mandato per salvare
Frisso ed Elle da un sacrificio.
Dagli antichi era generalmente considerato un
simbolo di dignità reale e di
sovranità. Per Isodoro(Orig
libro III) e Igino (Fab CXXXIII), era la
pelle del montone nato da Nettuno,
per Tzetze,(Licofrone 562) ed
Apollodoro(libro I), era invece
il montone di Mercurio; aggiunge Simonide,(Apoll
Rodio libro IV), che era di colore porpureo, per Giovenale era d’oro,
altrettanto per Pindaro.Che questo montone avesse
fatto il viaggio dalla Grecia
in Colchide volando per aria, lo dicono Apollodoro,(libro I) Omero,(Iliade
libro VIII), Luciano(Dialoghi),
Nonno(libro X),
Filostrato (Icon Glauc)e Sant’Agostino (De
civit dei libro XVIII). Che ci sia andato invece
a nuoto, ne sono convinti Manilio
ed Ovidio. Per la stragrande maggioranza degli antichi scrittori era una “pelle”, per Diodoro Siculo(libro III), confermando Palefato,
era invece il tesoriere di Atamante che portava con sé una statua d’oro; per
Seneca (Medea), era un libro in cui
era scritto come tramutare in oro ogni metallo; per Eustazio, era l’oro che i
Colchi avevano raccolto con le pelli di animali, per Newton(Chronologie
104) lo scopo della spedizione
Argonautica non era un “vello” ma il tentativo di convincere le popolazioni del Mar Nero a
ribellarsi allo strapotere degli Egiziani. Per
arrivare a destinazione, gli Argonauti fanno
tappa a Lemmo, Samotracia, passano il Bosforo, costeggiano
le rive orientali del Mar Nero e dopo alterne vicende
conquistano il “vello d’oro”.
Questo, salvo pochissime eccezioni, è il percorso dell’andata che ci hanno
tramandato gli scrittori antichi. Ben diverse sono invece le testimonianze
antiche al riguardo del viaggio di ritorno.Per Apollonio Rodio,(IV 259) e per
Pompeo Trogo(Justin XXXII 3,14),
sarebbe fiume Danubio, fiume Risano,
mare Adriatico, fiume Po, fiume Rodano, Mar Tirreno, Tessaglia, Per
Timeo(FGH66), fiume Don, mar Baltico, oceano
Atlantico, stretto di Gibilterra, mar Mediterraneo, mar Tirreno,Tessaglia. Per
Esiodo(framm 64), Ecateo(FGH1) e
Pindaro(Pitiche V 251), fiume Fasi,
oceano Indiano, mar Rosso, mar
Mediterraneo, Tessaglia.Per Euripide(Medea
431) e Callimaco, il tragitto del
ritorno sarebbe stato identico a quello dell’andata. Da una delle più antiche
leggende che descrivono questo viaggio, la così detta “Leggenda
Minia”, apprendiamo,
diversamente da quasi tutti gli altri commentatori antichi, che
l’itinerario dell’andata non avrebbe interessato le sponde del mar
Nero, ma le sponde dell’Adriatico (Sgubbi 1999), conseguentemente
gli unici riferimenti geografici concordanti
fra i vari racconti, sarebbero il Po e le isole Elettridi, ma con una
sostanziale differenza: per la leggenda “Minia”
riguardano il viaggio di andata e quello del ritorno, per tutti gli altri
racconti riguardano solo il viaggio
del ritorno. Per la leggenda “Minia”,
la destinazione degli Argonauti non
era Il
Torelli(1993 pag 63), commentando il racconto che Polemone ha fatto al riguardo
del tesoro di Spina a Delfi, ( ove ricorda la presenza in detto tesoro di due
statue di marmo), ipotizza che queste potevano rappresentare Dedalo ed Icaro e
mette in evidenza il culto che
Dedalo aveva nel Delta Padano. L’ipotesi
non è molto credibile, in quanto Polemone dice che si tratta di due “fanciulli”; bene dice invece il
Torelli(ci, che è ben rappresentato il culto di Dedalo nella zona Spinetica;
si trova infatti in una stele
Felsinea e nella così detta Bulla
di Baltimora, un vaso trovato nei pressi di Comacchio. Molto
probabilmente la presenza in queste
zone di Dedalo può essere opera tarda degli Etruschi, a ricordo delle
bonificazioni idrauliche che questi effettuarono nel Delta del Po, ma il Prayon,(
1993 pag 103) dice che queste
raffigurazione sono piu antiche,
infatti si trovano raffigurate in un vaso del VII secolo a.C. trovato a Caput
Adria. Ma vi è una testimonianza ancor più antica
che attesta la presenza di Dedalo in
queste zone; si tratta del noto passo dello Ps Aristotele (81)ove si legge che
in una isola Elettride, Dedalo,
avrebbe costruito due statue, una per sè ed una per il figlio Icaro, ma che poi
dovette scappare a causa dell'’arrivo dei”Pelasgi”.
Queste isole Elettridi, che abbiamo già ricordate parecchie volte, sacre ad
Artemide, approdo degli Argonauti, e “tappa”
per gli Iperborei, sono pure, ricordate dallo
Ps Aristotele (81), Pomponio Mela(II 114), Strabone (V,1) ed Apollonio
Rodio(305), si trovavano
presso le foci del Po, ed erano il “capolinea”
per il commercio dell’ambra baltica. Abbiamo
già accennato al ritrovamento di due statue che rappresentavano presumibilmente
i due gemelli Castore e Polluce, avvenuta nelle vicinanze del tesoro IX del
santuario delfico, un tesoro che seppur con tutte le riserve del caso
puo essere “il nostro”, ebbene, a parte questo, i Dioscuri sono documentati
in alto Adriatico da varie
fonti antiche, in particolare da Apollonio Rodio (IV,590), infatti i due gemelli
facevano parte dei componenti della spedizione Argonautica che come
abbiamo visto, è bene ambientata nelle nostre zone. In particolare
questi sono ricordati in
quanto nel corso della saga
Argonautica si sarebbero fermati dalla nostre parti per fare abbeverare i loro
cavalli(Marziale epig IV 25 e VIII
48). Il più famoso di questi cavalli è
Cillaro,un cavallo più volte ricordato da Stesicoro,(Virgilio
Georgiche III,90). In Grecia vi
era l’usanza di sacrificare ai Dioscuri un cavallo bianco,(Stella 1977pag 35);
ebbene, un cavallo bianco è presente sia come figura che col nome Cillaro, nello stemma di Bagnacavallo, e un’antica
tradizione vuole questa città costruita sopra ad una isola Eletrride. Il
culto dei Dioscuri in alto Adriatico
è pure ricordato in una iscrizione del VI secolo a.C (Prosdocimi 1990). Molto
probabilmente tale culto è
arrivato dalle nostre parti grazie alla leggenda Minia, che come abbiamo detto,
descrive il più antico culto
Argonautico.
A
tutti questi collegamenti se ne possono
aggiungere altri: Dionisio, che come
è noto nei tre mesi che Apollo si assentava, diventava
il titolare di Delfi, era venerato a Spina(Baldoni 1989) . Tre fatiche di
Ercole( mele delle Esperidi, Mandrie di
Gerione e caccia alla cerva Cerinea, )ambientate anche in Alto adriatico,
questi avrebbe inoltre dato il nome ad una strada che dalle foci del Po andava
in Francia ed in Spagna, cioè la così detta “via
Eraclea “, ricordata fra gli altri anche dallo Ps Aristotele (85).
Diomede, eponimo di Adria e Spina, ha dato il suo nome alle
isole Diomedee ed a vari promontori, vari sono i santuari
a lui dedicati, per esempio quello ricordato da Strabone V,214, ed un
sacrario pure da lui ricordato (V,1), ove si sacrificava un cavallo bianco. Non
sarà per caso quello ricordato da Omero?Dice Licofrone( Alex 626), che Diomede,
appena arrivato in Adriatico, avrebbe ucciso il drago
che faceva da guardia al “Vello
d’Oro”, ennesima conferma che il viaggio Argonautico è ambientato nel
nostro mare. Occorre comunque tener presente che risultano due personaggi qui
ambientati con nome Diomede(Terrosi Zanco 1965), perciò spesso si è fatto
confusione. Antenore eponimo di Padova, che avrebbe condotto i Veneti
dalla Paflagonia. Odisseo, che per
lo scoliaste di Esiodo, avrebbe governato con i suoi figli sulle isole Elettridi(,Mastrocinque
1993);una sua presenza in Alto Adriatico è documentata anche dalla presenza in
loco della Circe (Graves
1995 pag 559), come pure è testimoniata da
Nanas, cioè dal re che avrebbe
condotto i Pelasgi nelle foci Padane. Per
non dire di Enea, testimoniato dalla presenza in loco del
suo antenato Dardano,e dalla
esistenza in Veneto di una città
chiamata Troia. Dice il Musti (1994
pag 99), che
cotesto toponimo, in tale area, dovrebbe riferirsi
allo sbarco di Enea. Non si può comunque escludere che
questa città sia invece stata fondata da Dardano
che come è noto, fondò la “storica”
Troia. Dal diario del Ditti Cretese, purtroppo perduto, si apprende anche che
Enea avrebbe fondato Corcira Melaina.
Dice Licofrone (Alex 1240 ), come
abbiamo già ricordato, che il culto dei Cabiri da Samotracia
all’Italia, sarebbe opera di Enea. Non è chiaro a quali dei si
riferisca il culto dei Cabiri, ma questo culto era diffusissimo in Italia, in
particolare era diffuso frà i Reti,
che per Livio (V 33), erano Etruschi, dispersi nelle Alpi, al seguito della
invasione gallica. Ebbene questi
Etruschi erano lo dice Diodoro
Siculo (XIV 113), dei “Pelasgi”.
Il collegamento Cabiri e Pelasgi è
più volte testimoniato da Erodoto, dice infatti
che i Pelasgi”, cioè quei “Pelasgi”
che l’oracolo di Dodona indirizzò
verso la terra “Saturnia dei Siculi” Pelasgi
erano i depositari dei misteri di
Samotracia. Nelle nostre zone è pure documentato
il culto di Crono e della sua
moglie Rea: dice infatti Apollonio Rodio (IV 325), che l’Adriatico era
detto “mare di Crono”, ed
Eschilo (Prom Incat v 836), ci fa
sapere che era pure detto “mare di
Rea”. Per una disamina di
tutte queste testimonianze “omeriche”si
rimanda a Sgubbi (2000 ). Non mancano altri indizi: Isole Cassiteridi, cioè le
isole dello stagno, ricordate dallo Ps Scimmo( 392); le
Isole Asbirtidi, dal nome di Asbirto, fratello di Medea, l’eroina della
vicenda Argonautica; città come Pola, Aquilea, Asporo, Olcinium ed Orico,
sarebbero state fondate dai Colchi. Ma
non è affatto detto che questi
Colchi debbano per forza essere
quelli che inseguirono gli Argonauti lungo il Danubio; potrebbero essere invece
popolazioni che abitavano nelle rive orientali del Mar Nero e che come tante
altre popolazioni della zona emigrarono in occidente. Fra l’altro
Pola vantava la tomba di Cadmo ed Armonia; questa ultima
è la sorella di Dardano. La fossa del Po Messanica, che si ricollega
alla Messenia Greca; l’Eridano, il
mitico fiume ove sarebbe precipitato Fetonte.
Per la stragrande maggioranza degli studiosi, questo fiume
sarebbe il Po, per qualcuno
sarebbe un altro corso d’acqua padano, per
altri non sarebbe un fiume italiano. Uno dei
passi più controversi che riguarda il Po
è quello tramandato da Eschilo (testo
4,). Questi dice che l’Eridano scorre in
Iberia, cioè in Spagna, ma, dice il Balbo (1846 ), che per Plutarco,
l’Iberia significava in antico l’Italia settentrionale, perciò se la
testimonianza fosse esatta significherebbe che anche per Eschilo, l’Eridano
sarebbe il Po. Per non parlare dei santuari dedicati a Jupiter
cioè Zeuz; quello di Gabicce, quello di Bagnacavallo ed altri esistenti
in varie zone. Essendo in tema collegamenti,
si può aggiungere, seppur a titolo di curiosità, alcune probabili tracce
lasciate dai Pelasgi nelle nostre zone: come è noto questi usavano il sistema
dodecimale, ebbene, questo numero era molto usato al riguardo della
centuriazione, il duodecimarum,(SGUBBI
2001), come pure era usato nelle
piantagioni, quelle dette “scacchiera
in tralice”, che Cicerone chiamava “quincuncem
ordines”, come pure era
usato in occasione della
fondazione delle città, cioè la
già ricordata dedecapoli padana. I triangoli che si riscontrano nella
piantagione a“scacchiera”, ove
gli angoli dei filari
riproducono sempre il V, sono simili
a quelli che si riscontrono in molti tratti della centuriazione
romagnola.(BRIGHI 2000 pag .75). Molto probabilmente la divisione
in quattro parti della centuria; che ha creato
la “tnuda romagnola” di Come
già detto all’inizio, se un turista italiano nel corso della visita al
Santuario di Delfi,chiedesse notizie al riguardo dei tesori di Spina e di
Cerveteri, non riceverebbe nessuna
risposta, ebbene al seguito dei “risultati”
emersi da questa ricerca, sarebbe opportuno che nelle piantine allegate alle
guide del santuario, iniziasse a trovar
posto, seppur con un punto interrogativo, l’indicazione anche dei nostri
tesori, anche perché, in dette piantine, vengono segnalate “come
certe”, delle attribuzioni a dei tesori per i
quali alla loro effettiva “paternità”
esistono non pochi dubbi. Effettivamente, come già fatto presente, molti resti
di tesori del santuario delfico
sono tuttora anonimi, e conseguentemente ogni tentativo
di attribuzione deve
essere fatto con le dovute cautele, ma è anche vero che, grazie alle
caratteristiche che si riscontrano in alcuni tesori, vi sono buone probabilità
che i nostri siano da cercare in quella zona del santuario
e fra quelli descritti. Perciò non si allontanerebbe molto dal vero se
una guida turistica, incaricata di
fare da “cicerone”ad un gruppo di turisti Italiani, trovandosi di fronte ai
tesori IX,X e XII dicesse:”Molto
probabilmente questi resti appartengono ai
vostri tesori in quanto , ecc, ecc “.
Ritornando ai possibili collegamenti con popolazioni Greche e medio
Orientali; senza alcun dubbio le nostre zone non poterono non essere
direttamente interessate dagli sconvolgimenti
avvenuti nel corso del XIII e
XII secolo a.C, che interessarono tutto il Mediterraneo. In quel periodo avvenne
di tutto; invasioni dei così detti “Popoli
del mare”( ricordati nelle
iscrizioni egiziane di Medinet Habu ; gli
avvenimenti biblici, gli avvenimenti Omerici, (caduta di Troia e
conseguenti “ritorni”); crollo di imperi (Ittita e Miceneo).Tutti
questi avvenimenti crearono inevitabilmente delle migrazioni che a loro
volta crearono delle altre migrazioni, che interessarono tutte le zone
Mediterranee e perciò anche queste zone. A ciò va aggiunto che l’alto
Adriatico era un punto importante
per il commercio dell’ambra Baltica, perciò anche per questa ragione
sono arrivate nelle nostre zone popolazioni provenienti da ogni parte del
mondo. L’alto Adriatico non può vantare fondazioni coloniali,
come invece è accaduto in Magna Grecia, ma può vantare
indizi di precolonizzazione, più che altrove. Chiunque si rende conto
che gli avvenimenti accaduti in questo periodo, sono dominati da incertezze, ma
è anche vero che pur con tutte le cautele, occorre indagare su tali
avvenimenti, anche perché è in quel periodo che sono nate tutte le civiltà
italiane(Etrusca, Veneta, Umbra, Picena, ecc). In quel periodo sono state
piantate le “radici” delle nostre
“radici”. Senza
alcun dubbio molti di quei racconti
sono leggendari e perciò non è facile ricavarne notizie storiche, ma è anche
vero che le scoperte archeologiche hanno dimostrato che non sono tutte “favole”, perciò meriterebbero maggior considerazione.
Idealmente occorrerebbe che ogni libro di storia fosse corredato da
una appendice, con le tradizioni e le leggende, per evitare
che queste vadano perdute. Purtroppo nel secolo scorso, forse a causa
della esagerata “Etruscomania”, fu
fatta “tabula rasa” di questi
racconti e conseguentemente molti
sono andati irrimediabilmente perduti, con non pochi danni per la
conoscenza del nostro passato. Arrivato
alla fine devo comunque ammettere che
a nessuna delle numerose domande sono riuscito a dare quelle risposte, che
invece il tema richiedeva, ma
questo era prevedibile, non a caso
il titolo è “alla
ricerca” del tesoro degli Spineti , e
non “alla scoperta”. Termino
facendo due pressanti inviti agli “addetti ai lavori” (1): si scavi
nell’area preistorica Solarolese di via Ordiere, una area, del cui
contenuto non si sa niente, benchè
la sua esistenza sia nota da quasi venti anni. L’importanza
di detti scavi non è solamente quello di accertare la possibilità che detta
area possa corrispondere alla Spina “Pelasgica”,(
una ipotesi da non escludere, anche se personalmente
non la ritengo possibile), ma in quanto vi
sono buone possibilità di trovarsi di fronte ad una altra Frattesina Terme,
come recenti reperti; ceramica probabilmente Micenea e globetti di pasta vitrea,
trovati in loco, farebbero pensare. (II):
come è noto, i Micenei avevano
l’usanza di tracciare le strade sulle
creste delle montagne,( così hanno fatto per il tracciato
che attraversa l’appennino lungo la valle del Senio,) ed era pure loro
usanza edificare
lungo tali tragitti qualche tempio
per il culto (i così detti “culti delle
vette montane”), ebbene, lungo il percorso appena accennato, vi è una
area che, per i reperti trovati, fa pensare di trovarsi di fronte ad uno di
questi edifici, occorrerebbe perciò fare
in loco le necessarie verifiche. (Autore:
Giuseppe Sgubbi, Solarolo,
ottobre 2001
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e le apoikiai in occidente in” PP” -REBECCHI
1998= Grecità e Greci a Ravenna e
dintorni in “atti Spina” -RENDIC
MIOCEVIC 1963= L’Adriatico e la
colonizzazione greca in” Preistoria dell’Emilia Romagna “ -RICHER
1989 = Geografia sacra
del mondo Greco -RICCI
1966= Rotte e scali
dei Greci nel medio Adriatico prima
dell’intervento Siracusano in “Studi Romagnoli” -RONCONI
1931= Per l’onomastica antica dei marini”
SIFC” -SASSATELLI
1990= Culti e riti in Etruria Padana
in “Scienze di antichità” -SASSATELLI
1993= La funzione economica e produttiva
:merci, scambi, artigianato in “Atti Spina” -SASSATELLI
1998= Spina e gli Etruschi Padani
in “Atti Spina” -SASSATELLI
1993= Spina nelle immagini Etrusche,
Eracle, Dedalo ed il problema dell’acqua
in “Atti Spina” -SBORDONE
1941= Il ciclo italico di Eracle
in” Athenaeum” 19 -SCHMITT
PANTEL 1996= Delfi
;Gli oracoli e la tradizione religiosa
in “Settis” -SCUCCIMARRA
1990= l’Adriatico
dei Greci in “Storia di Ravenna” -SECCI
1959= Tradizioni culturali tirreniche e
pelasgiche nei frammenti di -Callimaco
in “SMSR” -SETTIS
1968 = Un
enigma delfico : Pausania -SFORZA
1993 = Chi
siamo -SGUBBI
1983= Contributo dell’antico corso del
Santerno in” Archeologia fra Senio e Santerno” -SGUBBI
1992= Dalla più remota antichità
all’anno mille in” Il
territorio Solarolese e le sue vicende” -SGUBBI
2000= Circe Ulisse ed Enea in Adriatico? -SGUBBI
2001=La centuriazione Solarolese nel
contesto della centuriazione “Romana”.(c.s) -SGUBBI
2001 a= Miti e popoli nell’Alto
Adriatico .(“ conferenza tenuta l’8 marzo presso -SGUBBI
1999= Le radici della Romagna affondano
nella saga Argonautica -SORDI
1979= Clistene di Sicioni a Delfi
in” Aevun” -SORDI
1966= Mitologia e propaganda nella Beozia
Arcaica in” Atene e Roma” -SORDI
1996= -STELLA
1977= Miti greci
dallo Ionio all’alto Adriatico in” AA” -STRABONE=
-SUSINI
1971= Jupiter Serenus e altri dei
in” Epigrafica” -SUSINI
1985= Gerione Atesino in” Gerion” -TERROSI
ZANCO 1957= Gli argonauti e -TERROSI
ZANCO 1965= Diomede Greco e Diomede Italico
in” Ral” -TORELLI
1975= Tyrranoi in” PP” -TORELLI
1997= Guida archeologica -TORELLI
1993= Spina e la sua storia in” Atti
Spina « -TREHEUX
1953= La rèalitè historique Hyperborèènns
in » Studi Robinson » -TUCIDIDE=
Storie -UGGERI
PATITUCCI 1974= Topografia ed urbanistica
di Spina in” SE” -VALENZA
MELE 1977= Hera ed Apollo nella
colonizzazione d’occidente
in” MEFRA” -VAGNETTI
1993= I precedenti di Spina in”Atti
Spina” -VATIN
1991= Monument votiv de Delphes -VATIN
1983= Etruschi a Delfi in” Annali
Claudio Faìna” -VETTA
2001= La civiltà dei Greci -WILLER
1996= Dedalo in” Settis”
Sezioni correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer Luglio- agosto 2011 |