ALLA RICERCA DEL TESORO DI SPINA NEL SANTUARIO
GRECO DI DELFI
(Appunti protostorici sul Delta Padano e sulla Romagna)
di Giuseppe Sgubbi
Ai nipotini WIKTOR ed ERIK Con la speranza che lo studio della Cultura
Classica diventi per loro
“RAGIONE DI VITA” …purtroppo quelli che scavano e non pubblicano i risultati
delle loro scoperte,continuano a godere credito e non vengono considerati quello
che invece sono cioè “Criminali Accademici” (Rhys Carpenter)
ABBREVIAZIONI utilizzate nel testo:
AA=Antichità Altoadriatiche; AMAP=Atti e MemorieAccademia Pad
ASAA=Annuario Scuola Archeologica Atene; ASNSP= Atti Pisa
BCH =Bullettin de Correspondence Hellènique ; CISA= Contributi Istituto Storia
Antica: CCRB= Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina; MEFRA = Melanges
d’Archeologie de Ecole Francaise de Rome; PP= Parola del Passato; QUCC= Quaderni
Ur-binati di Cultura Classica; RM= Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen
(Roma); RAL= Rendiconti Accademia dei Lincei; RIL= Rendiconti Istituti Lombardi;
RFC=Rivista di Filologia Classica; RSA=Rivista Storia della Antichità; SCO=Studi
Classici e Orientali; SE= Studi Etruschi.
AL SEGUITO DI UN VIAGGIO IN GRECIA...
Lo spunto per queste ricerche l’ho avuto al seguito di un viaggio in Grecia, che
ho effettuato nel maggio 2OO1.
Quattro autori antichi, nel corso delle loro opere, ricordano la presenza del
“tesoro” degli Spineti nel santuario
greco di Delfi. (Per “tesoro”si intende una piccola costruzione,
quasi sempre a forma di tempietto, che, costruita dentro al recinto sacro, aveva
la funzione di custodire i doni offerti ad Apollo a ringraziamento per i
consigli ricevuti, perciò non un contenuto ma un contenitore.)
Questi autori antichi sono: Strabone(V-I-I7) in occasione della
descrizione del Delta Padano, ancora Strabone(IX-3-8) in occasione della
descrizione del santuario delfico, Dionigi di Alicarnasso(I-I7) in
occasione della descrizione della fondazione di Spina da parte dei Pelasgi,
Plinio (III-I6) in occasione della descrizione del Delta Padano, Polemone(Ateneo
XVIII 6°6 A) in occasione della descrizione della Grecia.
Nonostante queste inoppugnabili testimonianze, tre persone greche, “addette ai
lavori”; la guida, il direttore del museo di Delfi e uno studioso locale,
appositamente interpellati riguardo della presenza del tesoro di Spina, non
hanno saputo dirmi alcunchè, infatti ho avuto da loro l’identica risposta: mai
sentito nominare! Ritornato a casa, ho ritenuto opportuno fare le necessarie
ricerche, e questi sono i risultati.
Lo studio riguardante la possibile individuazione del tesoro degli Spineti a
Delfi, comporta anche l’approfondimento di vari temi ad esso collegati: antiche
rotte Adriatiche, antiche migrazioni, rapporti fra Greci ed Etruschi,ecc. Si
tratta di vicende, che senza alcun dubbio, hanno condizionato la storia e la
protostoria, sia dell’area Spinetica che Romagnola.
IL TESORO DEGLI SPINETI NELLE TESTIMONIANZE ANTICHE
Strabone (V-I-7);
“Anche Altino è situata nelle paludi in una posizione somigliante a quella di
Ravenna, fra mezzo trovansi Butrio castello di Ravenna e Spina che ora è un
borgo ma anticamente fu una città Ellenica famosa. Però a Delfi suol farsi
vedere il tesoro degli abitanti di Spina ed altre cose sogliono farsi raccontare
intorno ad essi siccome di un popolo stato una volta potente in mare. E dicono
che anticamente questa città era situata lungo il mare, ma ora è invece dentro
terra e distante dal mare circa novanta stadi”.
Strabone (IX-3.8):
"La ricchezza suol essere invidiata perciò è difficile da custodirsi anche
quando è sacra. Però il tempio di Delfo è al presente poverissimo, giacchè i
suoi voti consacrativi, i più preziosi furono portati via e se ne rimangono
ancora sono quelli di minor pregio, Anticamente però questo tempio fu
ricchissimo lo attesta anche Omero, ma delle ricchezze da lui menzionate
non ne rimane nessuna vestigia, erano quasi tutti voti consacrati da vincitori
come primizie del bottino guadagnato nelle loro guerre e vi si leggevano ancora
le iscrizioni che attestavano l'’origine di quei doni ed i nomi dei donatori,
per esempio dei Sibariti e degli “Spineti sul golfo Adriatico ".
Chissà perché Strabone sente il bisogno di aggiungere dopo la parola “Spineti”
anche la voce “ dell’Adriatico”, ha forse voluto dire che sapeva della esistenza
di due città con tale nome? In verità in Licia vi era una altra Spina, (Lattes
1894 pag 35), questo potrebbe significare che il nome alla Spina adriatica è
stato dato da popolazioni provenienti dall’Egeo e non che ha preso il nome dal
ramo del Po chiamato Spinete.
Plinio il Vecchio (III-I6)
“Il Po porta a Ravenna per mezzo della fossa Augusta dove ora è chiamato
Padusa e un tempo Messanico, vicino è la foce che ha la grandezza di un porto
che è detto Vatreno da un fiume che scende dalle colline imolesi. Questa foce
era detta prima Eridanica e da altri Spinetica, dalla città di Spina, fondata da
Diomede,la quale primeggiò nei dintorni come induce a credere il “tesoro”
esistente a Delfi”.
Dionisio di Alicarnasso(I-I7):
“Alcuni di quei Pelasgi che abitavano nella Tessaglia, stirpe greca
proveniente dal Peloponneso, costretti ad abbandonare le loro terre, dopo
alterne vicende trovarono rifugio nell’interno presso gli abitanti di Dodona, ma
si fermarono solo per un tempo ragionevole, e lasciarono quindi la zona seguendo
l’indirizzo dell’oracolo di navigare verso l’Italia chiamata a quel tempo
Saturnia:costruirono molte navi e salparono verso lo Ionio, ma a causa dei forti
venti del Sud e della scarsa conoscenza di quei luoghi, furono portati oltre ed
ormeggiarono in prossimità di una delle foci del fiume Po chiamata Spinete.
Fondarono Spina, ebbero molta fortuna certo molto più delle altre città dello
Ionio divenendo per lungo tempo i più potenti dominatori del mare tanto da
essere in condizioni di portare al santuario di Delfi decime piu belle quanto
mai, ricavate dalle loro attività marinare, successivamenti attaccati da barbari
che abitavano in zone confinanti, furono costretti ad abbandonare la città. Cosi
scompare la stirpe dei Pelasgi che si era stabilita a Spina “.
Polemone (Ateneo XVIII 606):
“A Delfi nel tesoro degli Spinati, vi sono due statue in marmo di fanciulli
dicono gli abitanti di Delfi che un visitatore del santuario si sarebbe
innamorato di una delle due immagini, ragion per cui si sarebbe fatto chiudere
nell’edificio e per questo amplesso avrebbe lasciato una corona”.
IL SITO DI SPINA
Nonostante che la città di Spina sia stata, seppur solo in parte, trovata- come
pure sono state trovate le oltre 4OOO tombe che facevano parte del suo
sepolcreto- nonostante che questa città sia ricordata da molti scrittori antichi
(oltre ai già ricordati Strabone, Plinio e Dionisio di Alicarnasso, occorre
aggiungere Stefano Bizantino(v Spina), PsScilace (I7) e Trogo-Giustino(XX-I-II),
nonostante la sterminata bibliografia che questa città può vantare; basti
pensare ai numerosi atti di convegni a lei dedicati -Spina (I959), Spina (I96O),
Spina (I992), Spina(I993), Spina (I994), Spina(I998) - ebbene nonostante tutto
questo, di Spina si sa poco: poco sul suo nome, sulla sua origine, sul suo
sviluppo, sulla etnia dei suoi abitanti e sulla sua fine.
Giustamente qualcuno ha definito questa città una “sfinge”.
Una delle ragioni per cui le sue vicende sono rimaste tanto enigmatiche è dovuta
al fatto che nella stessa area deltizia, ma distanziate da almeno 5 secoli, sono
esistite due città con lo stesso nome (Ferri I959 pag 59-63).
Una è la Spina “etrusca”, cioè la città in parte trovata e che dalla
ceramica risulta esistente dalla fine del VI all’inizio del III secolo a.C,
l’altra è la Spina “pelasgica” ricordata da Dionisio di Alicarnasso, che
sarebbe stata fondata dai Pelasgi all’epoca della guerra di Troia, (12 secoli
a,C). Si tratta di due realtà diverse, da qui le incertezze, da qui la
confusione. Vediamo con l’ausilio delle testimonianze antiche dove è possibile
localizzare la “pelasga”.
Sappiamo da Ellanico (apud Dionisio di Alicarnasso I-28) e dallo stesso
Dionisio, che sarebbe stata fondata in un ramo del Pò detto Spinete;
da Stefano Bizantino si apprende che era collegata al ramo Spino;
nel periplo dello Ps Scilace (17) è scritto che per arrivare a detta
città occorreva risalire un corso di acqua per almeno tre km, di quale corso si
trattava ce lo dice Plinio,( cit,) si trattava di un ramo del Po, detto
Spinete, alimentato da un fiume, proveniente dalle colline imolesi, chiamato
Vatreno(Santerno), che successivamente darà il nome alla foce.
Da queste antiche testimonianze,
come si può vedere, non è possibile sapere con esattezza a quale delle due Spina
essi si riferiscono. Dubbioso è anche il riferimento di Strabone, quando
dice che al suo tempo, I secolo dopo Cristo, oppure al tempo della sua fonte, (Artemidoro
I secolo a. C), la città di Spina distava dal mare oltre I5 km.
Al riguardo della localizzazione della Spina “pelasgica”, la stragrande
maggioranza degli studiosi moderni ha preferito non prendere posizione, uno di
loro il Ferretti Spadazzi (I983 pag 80), ha proposto che potrebbe
corrispondere all’abitato venuto alla luce a Frattesina Terme, prov Rovigo. La
motivazioni che lui riporta è che questo è il maggiore insediamento di epoca
pelasgica della zona e che si trovava in un ramo del Po ora estinto.
Questa sua proposta “cozza” contro una incongruenza difficilmente superabile; la
Spina “pelasgica” doveva per forza trovarsi collocata a meridione del Po; non si
vede diversamente come i Pelasgi potessero dirigersi in Etruria passando da
Cortona. Difficilmente perciò Frattesina corrisponde al luogo dove era questa
primitiva Spina. Magari potesse trovarsi tanto lontano dal mare! Perché in tal
caso potrei proporre, con maggior probabilità, che possa anche corrispondere
all’abitato preistorico venuto alla luce dove io abito, cioè a Solarolo prov
Ravenna. Si tratta di un abitato che ha le stesse caratteristiche di Frattesina,
l’unica diversità è che, nonostante sia stato scoperto da quasi venti anni, di
questo abitato non si sa quasi niente, mentre invece di Frattesina, si sono
sapute molte cose dopo solo due mesi che era stato scoperto.
Non propongo Solarolo come
l’area dove potrebbe essere ubicata la Spina “Pelasga”, anche se non si può
escluderla, in quanto intendo fare una supposizione più credibile. Da tempo
so-stengo(Sgubbi I992), purtroppo inascoltato dagli “addetti ai lavori”, che ove
ora è tracciata l’antica via Longa (una strada che partendo dalla via
Emilia in corrispondenza della valle del Senio, arriva fino ai lati meridionali
delle valli di Comacchio) vi era da tempi antichissimi una striscia di terra
alta, esente da alluvioni, che senza alcun dubbio è stata usata in antico come
importante direttrice terrestre. L’antichità di questa via è archeologicamente
documentata dalla presenza ai suoi lati di numerosi insediamenti del Bronzo e
Villanoviani, venuti al-la luce al seguito di arature, perciò a piccole
profondità.
Questo antico tragitto terrestre ha tutte le caratteristiche per corrispondere
al tragitto ricordato dallo Ps Scilace (Sgubbi I992), che con tre giorni di
cammino, era possibile congiungere Spina con Pisa. Pur avendo forti dubbi sulla
possibilità che in soli tre giorni di viaggio si potessero percorrere oltre 2OO
km, tale percorso può segnare la strada che collegava Spina con Felsina
(Modena), una strada più volte cercata, ma mai trovata in quanto si è
cercata dove assolutamente non poteva trovarsi. Che questo tragitto terrestre
era per gli Spineti il più comodo per arrivare alla via Emilia( e poi deviare
verso Bologna), lo dimostra anche il fatto che i sassi trovati a Spina
provengono, o dalle Alpi o dall’ Appennino Romagnolo, questo significa che non
vi era una strada che congiungeva in linea diretta, Spina e Bologna, in quanto
in tal caso, sarebbe stata usata anche per il trasporto dell’indispensabile
materiale sassoso, che sarebbe stato di provenienza appenninica, ma del
bolognese.
Indipendentemente da tutto
ciò, il ritrovamento in tale direttrice, di ambra tipo “Tirinto”(Catarsi
Dell’Aglio I993 pag 43) e due frammenti di ceramica, da alcuni considerati
Micenei, a cui naturalmente vanno aggiunti an-che i reperti micenei venuti alla
luce nel Mugello, cioè nel versante toscano, dimostrano che in antico questa via
era molto praticata.
Ed è proprio lungo questa direttrice che a mio parere occorre cercare la Spina
“pelasgica”. ma dove esattamente?
Forse ci può essere di aiuto la
testimonianza di Plinio il Vecchio: questi come in parte abbiamo già
visto, dice che il ramo Spinete , ove venne fondata Spina, era formata da un
corso di acqua proveniente dall’imolese;il Vatreno (Sgubbi I983), ebbene
questo corso di acqua formato in antico dal Santerno, dal Rasena
(Marziale Epigrammata) e dal Senio, ( che potrebbe corrispondere alla
attuale foce del Reno,) non dovrebbe essere, con l’ausilio delle foto aeree,
difficile rintracciarlo, ebbene una volta rintracciato, occorrerebbe trovare
dove incrociava la sopra citata antica direttrice, ed è proprio li, che a mio
parere, occorre cercare la Spina “pelasgica”.
Dicono Uggeri Patitucci(1974
pag 70-91)che 3000 anni fa la linea di costa si trovava ad almeno 30 Km
dall’attuale. Se cosi è, questa Spina “pelasga” occorre cercarla molto più
lontana dalla Spina Etrusca. Dice il Ferri (1957 pag 97) di cercarla a 4
o 5 Km ad ovest, personalmente credo che dovremmo cercarla più lontano. Ciò che
consiglia il Ferri( cit.) potrebbe essere valido ritenendo che Spina sia stata
costruita come Ravenna e Venezia sopra delle isole, ma come abbiamo visto,
Dionisio di Alicannaso dice che questi Pelasgi “salirono” il ramo dello
Spinete; da questa testimonianza non è possibile sapere di quanto risalirono
questo corso d’acqua, ma sicuramente fino a che non trovarono molta terraferma.
Ebbene la terraferma non era lontana, infatti, senza alcun dubbio, trovarono la
stri-scia di terra prima ricordata, e sicuramente in quel luogo fondarono Spina.
Si deve anche te-ner presente che in antico gli abitati venivano costruiti un
po’ all’interno per non dover su-bire le scorrerie piratesche. Perciò se io
avessi il compito di cercarla inizierei senzaltro dall’arco di terreno, S.
Alberto, Madonna del Bosco, Longastrino. e verrei molto in su, anche perché,
come è noto, fra il periodo Protovillanoviano ed il periodo Etrusco, vi fu un
lungo peg-gioramento climatico che fece avanzare di molto la linea costiera.
IL SANTUARIO DI DELFI :
STORIA E FUNZIONI
L’attività religiosa a Delfi è archeologicamente documentata già nel 14OO a.C .
Non molto dopo risulta pienamente funzionante anche l’attività oracolare,
infatti tale oracolo viene consultato da Giasone alla vigilia della
avventura Argonautica( Apollonio Rodio 1,414), fu interpellato da
Atamante (Carli 1785 pag 49) ed altrettanto ha fatto Agamennone prima
della partenza per la guerra di Troia.
Pure a tale periodo risalgono i doni offerti al Santuario per “consigli
ricevuti”; lo sappiamo da Strabone(cit.) quando, descrivendo le ricchezze del
santuario, fa presente che quelle del periodo Omerico non sono più esistenti. La
millenaria attività oracolare, ben attiva anche in epoca romana, termina
definitivamente nel 394 quando Teodosio il Grande, con un decreto,
proibisce qualsiasi culto pagano.
Scorcio del santuario di
Delfi:accesso al tempio di Apollo (foto di Marisa Uberti, giugno 2011)
Nonostante che le sue vicende fossero scritte in tutte le opere degli antichi
scrittori Greci, per molti secoli Delfi non viene più ricordata, è ignorata
anche la sua antica ubicazione, solo nel XV secolo viene trovata grazie alle
ricerche di Ciriaco, mercante di Ancona, dopodichè ha avuto inizio un
ininterrotto “pellegrinaggio” in cui scopo principale era quello di trovare i
magnifici monumenti e tesori ricordati da Erodoto e da Pausania.
Nell’area del santuario, era stato da tempo costruito il villaggio di Kastri;
ebbene, prima che nel 1891 iniziassero gli scavi, il villaggio fu
“smontato” e costruito ad alcuni Km di distanza. Nonostante i molti saccheggi
che il santuario ha dovuto subire( Nerone portò via oltre 5OO statue,
Costantino lo depredò per abbellire Bizanzio), (Lanzani 1940 pag 82) gli
scavi hanno portato alla luce interessantissime vestigia del passato, ma è forte
la convinzione che Delfi nasconda ancora molti segreti.
SUA FUNZIONE.
Delfi, dio titolare Apollo,
era senza alcun dubbio, il più famoso santuario della antica Grecia, molto più
famoso di Olimpia, dove come è noto, oltre al fatto, che vi si svolgevano
le Olimpiadi, il titolare era Zeus. La fama di Delfi era dovuta alla
consultazione, quasi “obbligata”, che quasi tutti popoli della terra, allora
conosciuta, effettuavano in occasione di migrazioni e colonizzazioni. Infatti
come hanno detto Cicerone, Plutarco e Giustino, (Piccirilli 1972 pag 45) nessun
popolo si allontanava dalla propria terra, senza prima avere consultato
l’oracolo Delfico.
La consultazione, che ovviamente riguardava anche altri aspetti della vita
collettiva,( guerre, calamità,ecc), consisteva in domande, orali o scritte,
indirizzate alla sacerdotessa di turno, a Delfi chiamata Pizia, le cui
risposte, quasi sempre enigmatiche, venivano spiegate dai sacerdoti del
santuario. Quando si parla di santuari ed oracoli, entra sempre in “ballo” la
“ingenua credulità degli antenati”, ebbene, indipendentemente dalle nostre
personali opinioni, occorre tener presente che, salvo alcune eccezioni, questo
santuario era dagli scrittori antichi tenuto nella massima considerazione. Forse
potrà sorprendere il fatto che era oggetto di grande venerazione anche da parte
dei filosofi greci. Basti pensare che i famosi “sette saggi”, che in verità
erano solo cinque (Talete, Solone, Periandro, Biante e Pittaco),
scelsero Delfi per immortalare le loro famose “sentenze”: Conosci te stesso,
Nulla di troppo, ecc.
Abbiamo già detto che il dio titolare era Apollo, ma nei tre mesi di ogni anno
in cui Apollo si trasferiva nel paese degli Iperborei, il titolare diventava
Dionisio.
TRACCE DEL TESORO DI SPINA
NEL SANTUARIO DI DELFI
Anzitutto una premessa: oltre al tesoro degli Spineti, Strabone (V-2),
ricorda pure l’esistenza in questo santuario del tesoro di Caere (Cerveteri);
considerato che come vedremo, molte affinità accomunano questi due tesori, nel
corso delle ricerche per tentarne l’individuazione, citerò spesso anche questo
tesoro.
Se diamo uno sguardo ad una delle tante piante del santuario di Delfi
constateremo che vi sono segnate le tracce o presunte tali di tantissimi tesori,
ben 38, un numero elevatissimo specialmente se confrontati con i 16 di Olimpia.
Purtroppo solo 8 di questi sono stati correttamente, o almeno si pensa,
identificati: Sicioni, Sifni, Potidei, Cnidi,Ateniesi, Acanti,
Corinti e quello di Cirene. Ad altri 15 si è cercato, ma con molti
punti interrogativi, di dare una “paternità”, tutti gli altri, compresi quelli
di Spina e di Cerveteri, pur non essendo mancate lodevoli ipotesi, sono tuttora
anonimi.
Due sono le ragioni per cui si incontrano tante difficoltà nei tentativi di
identificazione; una è la già accennata costruzione nel santuario del villaggio
di Kastri che ha impedito una sicura attribuzione di iscrizioni e dediche ai
rispettivi tesori, l’altra ragione, forse la più importante, è che gli scrittori
antichi, che nel corso delle loro opere hanno ricordato questi tesori, non hanno
fatto quella particolareggiata descrizione che invece sarebbe stata utile per
indivi-duarli.
Le uniche descrizioni che sono state di qualche utilità sono quelle di
Pausania, ma, il percorso che questi avrebbe fatto nel santuario, non è da
tutti accettato.
Breve elenco dei tesori Delfici citati dagli autori antichi.: Pausania(X, II)
Sicioni, Sifni, Tebani, Ateniesi, Cnidi, Potidei, Siracusani e Corinto; Erodoto
(I-14 e I-51), Corinzi, Clazomerai; Plutarco (de Pitia Oracoli I2)Acanti;
Diodoro Siculo( Biblioteca Storica XIV 93) e Appiano, (Storia Romana II-8
)Marsiglia; Ancora Diodoro Siculo, (XXVIII-IO)Tebani; Senofonte (Ana-basi V-3)
Ateniesi; Polemone (frammento XXVII) Sicioni ; a questi naturalmente vanno
aggiunti il tesoro di Spina che come abbiamo già detto è ricordato da Strabone,
Plinio, Dionigi di Alicarnasso, Polemone, e quello di Cerveteri ricordato da
Strabone (op.c).
Non mancano altri incerti
riferimenti antichi di altri tesori, ad esempio quello di Turi per
Elliano. Naturalmente questo elenco non ha nessuna pretesa di completezza.
Vediamo quali potrebbero essere
quelli di Spina e di Cerveteri.
Piantina n. 1
TESORI ESISTENTI NELL’AREA NORD OVEST DEL
SANTUARIO DELFICO.
……………… = probabile tragitto di Pausania.
Rassegna ed attribuzioni
riportate in alcune piantine
-Piantina Andronicos (1984): tesoro X=”tesoro arcaico in rovine Aslepio”; XII=
Tesoro Eolico ;
IX = non citato
-Piantina Settis (1996): come la piantina precedente con la sola eccezione che
il tesoro XI è detto”tesoro anonimo”.
-Piantina La Coste Messaliere (1936): come le precedenti con la sola eccezione
del tesoro IX detto “tesoro distrutto”.
-Piantina Bommelaer(1991):Tesoro X= “tesoro etrusco nell’Asclepio,”; tesoro
XII=”tesoro Anonimo”; Tesoro IX=”tesoro anonimo”.
-Piantina Roux(1976): Tesoro X=”tesoro arcaico nell’Asclepio; tesoro
XII=”anonimo”; tesoro X=”tesoro arcaico anonimo”.
-Piantina Ferri(1960); tesoro X=”Tesoro Etrusco”( ma con punto interrogativo)
tesoro XII=”tesoro eolico anonimo”; tesoro IX=”vecchio tesoro degli Ateniesi”.
-Piantina Torelli (1997); tesoro X=”Spina”; tesoro XII=”Caere”; tesoro
IX=”piccolo Potidei”.
-Piantina Karabatea;(pubblicazione senza data, attualmente in vendita nelle
librerie) Tesoro X= “etrusco”; Tesoro XII=Siracusani; Tesoro IX =Potidei.
Occorre tener presente che, in questa ultima piantina, diversamente dalle altre,
alcuni tesori si trovano ubicati in altri luoghi, ma non è possibile sapere se
si tratta di errore topografico o se siano i risultati di nuovi scavi, perciò è
difficile fare il confronto con le altre piantine.
Vediamo ora i commenti dei vari studiosi al riguardo di ogni singolo tesoro.
TESORO X
Come abbiamo visto nelle cartine, questo tesoro è detto “costruito
nell’Asclepio,” effettivamente sarebbe stato distrutto nel IV secolo a.C per
fare posto al tempio di Asclepio(Briquel 1988 pag 150); forse era caduto in
disuso? Per la sua costruzione era stato usato un travertino giallo di sicura
provenienza toscana, in un suo masso è stata trovata una iscrizione
“tirrenica”, alcuni suoi massi contengono scanalature e fori identici a quelli
trovati in Etruria, la misurazione corrisponde al “piede Italiano”(Pomtow
1924), conseguentemente da quasi tutti è detto “Etrusco”.
Il Pomtow (1924) prima dice “Caere”, poi successivamente dice “Spina”; per il
Messaliere (1936) “Spina”; per il Dismoor(1912) “Caere”, altrettanto dice il
Keramopoullos(1909); per il Briquel (1988 pag 155) questo tesoro non può
essere di “Spina” in quanto fu visto da Polemone e da Strabone, perciò, per
questo studioso, può essere solo quello di Cere.
TESORO XII
Dice il Briquel(o.c. pag 154) che questo tesoro ha delle caratteristiche
diverse dagli altri tesori delfici; larghezza superiore alla lunghezza,
colonne separate dal resto dell’edificio, orientamento anomalo,( ma su questo
ultimo punto vedremo più avanti, che vi è una buona ragione), aggiunge poi che
potrebbe essere etrusco e propone “Spina”. Il Messaliere (cit.) dice “Caere”,
oppure “Clazomenai”; per il Pomtow(cit,) “Cnidi”; per il Dismoor(cit,)potrebbe
essere “Spina”.
TESORO IX
Come abbiamo visto dalle piantine, per molti questo tesoro “non esiste”.
Vediamone alcune caratteristiche; alcuni suoi massi provengono dal tesoro X,
come pure sarebbe stato costruito sullo stesso piano, assomiglierebbe molto al
XII, e sarebbe stato costruito con materiale italiano. Le attribuzioni dei
pochi che lo ricordano, non sono concordi; per il Ferri(1960) era il vecchio
“degli Ateniesi” per il Pomtow(cit,) poteva essere la continuazione del
“Potidei”; per il Dismoor(cit,) era il “Siracusano”, ma non esclude che
potesse essere di “Spina”. Il Briquel (cit,) non ne parla, questo fa pensare
che non lo considera dei “nostri”.
Come ho detto in precedenza, ho ritenuto opportuno inserire anche questo
tesoro fra i “papabili”. Vediamone le ragioni: nel maggio del 1893 ( Faure1985
pag 65) a pochi metri dal muro Est di questo tesoro, fu rinvenuta una statua
marmorea intatta, raffigurante un ragazzo; nel 1984, pochi metri più ad ovest,
è stata rinvenuta un’altra statua quasi identica, ma rotta in alcuni punti.
Nella sala IV del museo di Delfi, in un unico piedistallo, vi sono due statue
di ragazzi, opera dello scultore Polimede, una intera ed una, si noti bene, è
rotta in più punti. Non si sa di sicuro che cosa e chi queste due statue
rappresentino, per qualcuno sarebbero i fratelli Argivi Cleobi e
Bitone, ma per altri, anche al seguito di una dicitura che è stata
messa nella targhetta, si tratterebbe dei Dioscuri, cioè Castore
e Polluce. Pensando a queste due statue, che vi sono buone ragioni per
considerarle quelle trovate nei pressi del tesoro X, non si può non pensare al
racconto di Polemone (op.c), che riguardava le due statue raffiguranti due
ragazzi, esistenti nel tesoro degli “Spinati”, che per molti, come si è detto
sarebbe quello di Spina. Se queste fossero quelle ricordate da Polemone,
l’ipotesi tesoro IX= “Spina”, sarebbe da prendere in seria considerazione.
I due gemelli Cleobi e Bitone (o I Dioscuri Castore e Polluce), Museo
Archeologico di Delfi (foto Marisa Uberti, giugno 2011)
Riassumendo le ipotesi di attribuzioni, pur nelle incertezze, si può dire che
sicuramente il X è dei “nostri”, ma ben difficilmente è quello di Spina, infatti
tale attribuzione incontra un ostacolo difficilmente superabile, come
giustamente ha detto il Briquel (1988) che non poteva essere visto da Polemone e
Strabone in quanto al loro tempo detto tesoro non era più visibile. Non
tutti gli studiosi hanno tenuto conto di questa valida considerazione; non ne ha
tenuto conto il Torelli (1997; infatti, come abbiamo visto nella piantina
allegata al suo libro, identifica Spina col tesoro X, forse il Torelli non
ritiene sufficentemente sicura la testimonianza di Polemone; effettivamente la
parola “Spinati” da Polemone riportata, potrebbe voler dire “Spineti”, ma
potrebbe anche significare una cosa diversa.
Aggiunge il Briquel (1988) che
al riguardo vi è comunque anche la testimonianza di Strabone, cioè la lettura
della iscrizione nel tesoro degli Spineti una lettura fatta al “presente” cioè
quando detto tesoro era ancora ben visibile. Perciò quasi sicuramente si tratta
di quello di Caere. Per quanto riguarda il IX e il XII, si può solo dire che uno
di questi “dovrebbe “ essere quello di Spina, ma solo grazie a nuove scoperte
archeologiche sarà possibile dire qualcosa di più.
Abbiamo già accennato al “percorso” che Pausania effettuò nel santuario Delfico
e che vari studiosi hanno usato per l’identificazione di alcuni tesori.
Purtroppo in qualche caso sono stati, portati “fuori strada”; per esempio il
Pomtow, tenendo per buona l’indicazione che aveva avuto da Pausania, aveva
erroneamente attribuito ai Cnidi il tesoro XII. Altrettanto è accaduto
all’autore della voce “Delfi” nella Enciclopedia Treccani, questi, seguendo
Pausania, propone anche lui Cnidi al tesoro XII e, conseguentemente, attribuisce
a questo tesoro l’appartenenza di interessanti reperti archeologici, in loco
trovati, fra cui le famose Cariatidi. Purtroppo, al riguardo
dell’effettivo tragitto di Pausania, vi sono più versioni (Arias 1945 pag 44) e
non è ancora chiara quale sia la giusta. Il già citato Pomtow è del parere che
Pausania abbia ricordato vari tesori, per esempio quello dei Potidei, senza
averli effettivamente visti. Rintracciare l’esatto percorso di Pausania
significa anche conoscere quali piccole strade, oltre alla Via Sacra,
erano alla sua epoca frequentate; probabilmente queste ultime erano le più
antiche, non a caso confluivano verso l’antica porta. Probabilmente ai lati di
queste strade furono costruiti vari tesori, come per esempio i “nostri” e questo
può forse spiegare l’anomalo orientamento del XII°, messo in evidenza dal
Briquel (1988).
Nota del Webmaster:
questo articolo verrà pubblicato in due parti, data la lunghezza, e la nutrita
bibliografia riportata dall'Autore,
Giuseppe Sgubbi, verrà inserita
nell'ultima parte.