Gli
archeologi, fin dal secolo scorso, sono stati in grado di mettere in
evidenza, l’esistenza di un substrato culturale unico diffuso su tutta
l’area lombarda, nella zona compresa tra i fiumi Serio e Sesia, che
prese il nome di “Cultura di
Golasecca”, da una delle principali località, presso Varese, in cui
furono rinvenuti i primi reperti pertinenti a tale cultura. Secondo i risultati dell’indagine archeologica, la Cultura
di Golasecca si sviluppò durante la prima età del Ferro nella provincia
di Novara, in tutta la Lombardia occidentale e in tutto il Canton Ticino,
oltre che nella Val Mesolcina nel cantone dei Grigioni, in territorio
svizzero, comprendendo non una singola popolazione, ma certo numero di
popoli stanziati nell’area lombarda, piemontese e ticinese i quali
sembrano rappresentare in assoluto il più antico ceppo celtico tuttora
noto e documentato, risalente addirittura al XIII secolo a.C. quando buona
parte della Lombardia assistette allo sviluppo della Cultura di Canegrate
che introdusse fogge ceramiche e manufatti metallici fortemente correlati
con quelli tipici della Cultura dei Campi di Urne sviluppatasi molto più
a Nord, in Germania, nel territorio del Reno, nella Francia orientale, e
sull’altopiano svizzero, cioè nelle regioni che sono ritenute dagli
studiosi essere tipicamente le sedi originarie dei Celti e della loro
cultura.
Popolamento
padano-alpino nel 700 a.C.
Popolamento della regione padano-alpina nel 400 a.C.
Popolamento
dell’area padano-alpina nel 100 a.C
Dal
punto di vista del rito funerario la Cultura di Golasecca utilizzò
esclusivamente la cremazione, almeno fino al VI secolo a.C.
Le ceneri del defunto venivano raccolte in un’urna e deposte
nella tomba assieme al corredo funerario.
Generalmente
le tombe, quasi sempre singole, erano semplici pozzetti, talvolta foderati
da lastre di pietra inserite a secco o da ciotoli.
Questo fatto introduce alcune difficoltà nell’analisi
archeoastronomica in quanto le sepolture ad incinerazione raramente
permettono di rilevare la loro orientazione rispetto alle direzioni
astronomiche fondamentali. Nel
caso di alcune necropoli, tra le quali quella scoperta e scavata nel 1996,
dalla Dr.sa Caporusso della Sovrintendenza Archeologica della Lombardia,
è stato possibile rilevare che la l’urna cineraria risultava posta in
posizione decentrata ad oriente rispetto al centro del pozzetto in modo
tale che un semplice calcolo probabilistico è stato in grado di escludere
completamente la casualità della distribuzione osservata.
La società golasecchiana era tale da privilegiare la classe
guerriera e ovviamente anche quella sacerdotale, secondo una matrice
tipicamente celtica anche se non ci è noto quali fossero la natura e le
prerogative della classe sacerdotale presso i Golasecchiani.
L’indagine
archeologica non ha fino ad ora restituito alcuna tomba contenente chiare
ed univoche indicazioni che il defunto fosse un druido o qualcosa di
simile, per cui anche se è naturale ammettere l’esistenza di talune
persone preposte ad amministrare il culto, non è sicuramente dimostrato
che presso i Golasecchiani sia effettivamente esistita una classe
sacerdotale.
La situazione climatica a quel tempo era favorevole, ma nel periodo
che comprende il IX e il VIII secolo a.C. la situazione peggiorò
decisamente e gli abitati di pianura vennero gradualmente abbandonati a
causa dell’aumento della piovosità, con il conseguente avanzamento
delle paludi. Durante questo
periodo, nell’area occidentale, comprendente la zona di Sesto Calende,
osserviamo l’adozione dell’urna cineraria di forma bi-conica con
decorazioni a “denti di lupo”,
seppellita entro tombe a circolo segnalate in superficie da cerchi di
grosse pietre le cui dimensioni variavano dai 3 ai 10 metri di diametro,
le quali rimasero in uso fino a tutto il VII secolo a.C.
I
luoghi funerari che comprendono dei recinti tombali mostrano rilevanti
orientazioni astronomiche, soprattutto in quei siti dove i circoli di
pietre sono più di uno, quale i siti del Monsorino, quello della
Brughiera della Garzonera e altri.
Nella
zona occidentale, corrispondente al Comasco e al Bergamasco, invece le
tombe sono caratterizzate dall’assenza dei circoli di pietre, ma
presentano un corredo maggiormente ricco. In particolare nel bergamasco è stato rilevato anche
l’utilizzo di urne cinerarie in bronzo anzichè in materiale ceramico.
Il V secolo a.C. fu molto florido per la Cultura di Golasecca e
questo fatto si riflette molto bene nella composizione dei corredi che
sono stati rinvenuti nelle tombe facenti parte delle necropoli risalenti a
quell’epoca.
Parallelamente
anche gli abitati si espansero e l’espansione procedette in maniera
pianificata secondo canoni astronomici ben precisi i quali sono suggeriti
dalle direzioni topografiche di sviluppo degli abitati.
Le abitazioni, generalmente di forma rettangolare, vennero tutte
edificate allineate con l’asse maggiore posto lungo la direzione che va
dal punto di sorgere del Sole al solstizio d’estate all’orizzonte
fisico locale, fino al punto di tramonto dell’astro diurno al solstizio
invernale, direzione questa che, come vedremo, fu molto comune in ambito
golasecchiano e che aveva presumibilmente la funzione di favorire
l’insolazione soprattutto del lato lungo delle abitazioni.
Questo
accorgimento presupponeva la conoscenza, almeno approssimativa della
posizione dei punti di levata e tramonto dell’astro diurno, ottenuta
ovviamente mediante l’osservazione continuata nel tempo.
Il IV secolo a.C. fu teatro dell’invasione gallica dell’Italia
settentrionale, avvenuta nel 388 a.C. e il loro effetto sulla Cultura di
Golasecca fu disastroso, tanto da provocarne il rapido declino.
La
tradizione golasecchiana rimase però viva nelle vallate alpine che
vennero relativamente risparmiate dall’invasione gallica.
In questi luoghi avvenne una progressiva fusione tra la cultura
autoctona di matrice golasecchiana con quella gallica portata dai Celti
transalpini e successivamente, nel II e nel I secolo a.C. con quella
romana.
Attualmente
non sappiamo se i Golasecchiani svilupparono o meno un calendario basato
sui cicli astronomici fondamentali, nel senso che nessun reperto
archeologico può essere connesso ad un dispositivo calendariale quanto
meno somigliante anche lontanamente al calendario gallico, diffuso nei
territori transalpini.
Sappiamo
che i Golasecchiani furono anche e soprattutto agricoltori, infatti fra le
prime testimonianze archeologiche oggettive relativamente alla
coltivazione di piante domestiche nel territorio golasecchiano sono da
annoverare quelle che si riferiscono alle civiltà precedentemente
insediate su palafitte che si collocano grosso modo tra il 3000 ed il 2000
a.C.. In particolare nella
cultura della Lagozza (nella zona di Varese) sono stati rinvenuti resti di
vari tipi di frumento primitivo, che datati mediante la tecnica del C14
calibrato sono stati collocati cronologicamente al 2800 a.C. Il fatto che i Golasecchiani fossero agricoltori implica in
maniera molto naturale l’esistenza di una sorta di calendario, che
permettesse loro la pianificazione delle attività agricole, basato almeno
sui cicli astronomici più evidenti, quali quelli del Sole e della Luna.
In mancanza di un reperto oggettivo equivalente a quello di Coligny
per i Celti transalpini, non ci rimane che cercare di analizzare le
numerose orientazioni astronomicamente significative che è stato
possibile rilevare nei siti studiati cercando di scoprire quali avrebbero
potuto essere state le principali conoscenze astronomiche diffuse
nell’ambito della Cultura di Golasecca.
La
maggior parte dei siti golasecchiani possono essere classificati, a grandi
linee, in tre categorie.
La
prima comprende gli insediamenti abitativi, cioè i villaggi con tutte le
strutture ad essi connesse, la seconda categoria comprende le strutture
litiche isolate le quali possono essere monumentali oppure semplicemente
insiemi geometricamente regolari di monoliti di medie dimensioni.
La terza categoria raggruppa le necropoli, le quali possono essere
di vari tipi a seconda del luogo e dell’epoca a cui ci si riferisce.
Nel periodo più antico, il Protogolasecca (XII-X sec. a.C.) e
nella zona ticinese è stata rilevata la consuetudine di deporre le urne
cinerarie all’interno di pozzetti posti al centro di tumuli, talvolta di
notevoli dimensioni, composti da terra e pietrame.
In
alcuni casi è stato possibile mettere in evidenza che coppie e terne di
tumuli erano disposti sul terreno secondo direzioni astronomicamente
significative, come è rilevabile nel caso dei tumuli di Belcora e della
Malpensa recentemente scavati sotto la direzione della compianta dr.sa
M.A. Binaghi-Leva della Sovrintendenza Archeologica della Lombardia.
Nel periodo che comprende grosso modo il VII e il VI secolo a.C. e
nella zona corrispondente alla riva lombarda del Ticino si rileva la
presenza dei circoli tombali nella cui disposizione sembra che
l’Astronomia abbia giocato un ruolo rilevante.
L’ultimo
genere di necropoli è quella formata dai semplici pozzetti contenenti
l’urna cineraria ed eventualmente alcuni elementi di corredo, le quali,
salvo qualche eccezione, non mostrano caratteristiche rilevabili che
potrebbero essere collegate a qualche oggetto astronomico.
Generalmente, dal punto di vista archeoastronomico, ciò che può
essere analizzato è costituito o dalla posizione delle urne rispetto al
centroide dei pozzetti che le contengono, come nel caso della necropoli di
via Tito Livio a Como, oppure la distribuzione delle tombe sul terreno che
talvolta mostrano di essere state disposte secondo talune direttrici che
risultano scorrelate con la morfologia del terreno, ma risultano essere in
ragionevole accordo con alcune direzioni fondamentali connesse per lo più
con i punti di levata e di tramonto del Sole, della Luna o di qualche
stella luminosa. A questo
punto è utile fornire qualche indicazione relativamente al tipo di
analisi eseguita.
L’analisi
archeoastronomica è stata condotta secondo due criteri.
Il primo, che definiremmo “locale”,
ha previsto l’esame di tutti gli allineamenti esistenti in ciascun sito
senza porsi alcun pregiudizio, durante la fase di scelta, sulla possibile
significatività astronomica, salvo selezionare a posteriori, mediante
appropriate tecniche di calcolo, quali di essi potrebbero essere correlati
con la posizione di qualche oggetto celeste all’epoca in cui il sito fu
in uso, accompagnati con la necessaria analisi probabilistica.
Il
secondo criterio, che definiremmo “globale”,
si riferisce all’analisi di tutto il contesto, nel senso che la totalità
dei 216 allineamenti rilevati negli oltre 25 siti, sono stati sottoposti
ad un’analisi statistica mescolandoli tra di loro secondo un criterio
casuale in modo che fosse persa ogni traccia del sito individuale al quale
un dato allineamento si riferiva. L’analisi
statistica richiede prima di tutto il test della cosiddetta “ipotesi
zero” (“null hypothesis”,
nei testi anglosassoni) che consiste nel verificare se è possibile
rigettare l’ipotesi zero, cioè la possibilità che gli allineamenti
rilevati siano completamente dovuti al caso.
Tecnicamente si confronta la funzione densità di probabilità
pertinente ai dati sperimentali con quella di una popolazione equivalente
di dati casuali. Se le
distribuzioni sono significativamente differenti allora l’ipotesi zero
viene rigettata e l’indagine archeoastronomica può procedere, ma se le
due distribuzioni si equivalgono allora gli allineamenti sono da ritenersi
solamente fortuiti.
Un’interessante
scoperta dovuta all’archeoastronomo inglese Clive Ruggles prevede che se
le direzioni rilevate nei siti sono reali, ma non astronomicamente
significative, la loro distribuzione di probabilità è poco differente da
quella risultante per l’ipotesi zero. L’analisi statistica condotta secondo questi criteri ha
permesso di riconoscere come casuali ben 105 dei 216 allineamenti, mentre
111 sono risultati astronomicamente significativi, di cui però altri 5,
tutti pertinenti alle stelle, sono risultati molto prossimi al limite di
casualità. Ne sono rimasti
106, così ripartiti: 17 solari, 12 lunari, 17 relativi alle costellazioni
o parti di esse (incluse le Pleiadi), 56 relativi alle stelle e 4
direzioni allineate lungo il meridiano astronomico locale, ciascuno con il
loro grado di significatività statistica.
Se
l’analisi “locale” ci
fornisce informazioni sul singolo sito, l’analisi “globale” ci fornisce invece notizie relativamente agli oggetti
celesti che probabilmente furono importanti per la Cultura di Golasecca in
tutto il suo insieme.
Questo
trattamento è stato possibile in quanto l’area interessata è
geograficamente limitata e la matrice culturale è grosso modo identica
per tutte le popolazioni golasecchiane.
L’analisi
ha permesso di mettere in evidenza che, dal punto di vista solare,
solamente in un numero limitato di siti sono stati rilevati allineamenti
che potrebbero essere correlati con i punti di levata o di tramonto del
Sole nei giorni dei solstizi, mentre un numero più ridotto di
allineamenti potrebbero essere correlati con il sorgere e al tramontare
del Sole equinoziale. Questa
direzione però, come vedremo più oltre, potrebbe anche riferirsi, con
rilevante probabilità, ad alcune stelle la cui declinazione era prossima
a zero gradi, quindi poste in vicinanza dell’equatore celeste, invece
che all’astro diurno.
Ad
essere maggiormente marcati, sono i punti, sull’orizzonte naturale
locale, relativi al tramonto del Sole, più che i punti di levata.
Esistono alcuni siti, tra i quali il complesso litico della
Brughiera della Garzonera a Vergiate, l’area settentrionale del
complesso del Monsorino a Golasecca e il Sass
dla Preja Buja a Sesto Calende, nei quali sono stati rilevati
allineamenti solari che si riferiscono, nello stesso sito, sia ai due
solstizi sia agli equinozi, in altri casi è stata rilevata la presenza
solamente di una coppia di allineamenti e in altri ancora solamente un
solo allineamento solare significativo.
In
una percentuale consistente dei siti presi in considerazione non è stato
rilevato alcun allineamento astronomicamente significativo connesso con il
Sole.
I
punti dell’orizzonte naturale locale in cui sorge e tramonta il Sole
equinoziale, erano difficilmente determinabili mediante osservazioni ad
occhio nudo e senza l’ausilio di cognizioni che permettessero di
tracciare, sul terreno, alcune semplici costruzioni geometriche.
Il metodo per stabilire la direzione equinoziale, basato
sull’idea di determinare la direzione media tra quelle dei due solstizi
poteva fornire risultati attendibili solo in prima approssimazione in
quanto sarebbe stato necessario operare con altezze uguali
dell’orizzonte naturale rispetto a quello astronomico locale.
Il
paesaggio tipico dei luoghi golasecchiani è generalmente ricco di colline
e montagne, le quali implicano un andamento ondulato ed irregolare
dell’orizzonte naturale locale rispetto a quello astronomico, rendendo
quindi impossibile valutare la direzione equinoziale bisecando l’arco di
orizzonte percorso dal punto di levata del Sole passando dal solstizio
estivo a quello invernale.
Ancora
peggio per quanto riguarda la stima dell’epoca equinoziale, infatti a
causa dell’eccentricità dell’orbita terrestre, le date di equinozio
risultano consistentemente spostate rispetto a quelle ottenibili con la
media delle epoche di due solstizi consecutivi.
I punti di levata e di tramonto del Sole equinoziale si muovono
sulla linea dell’orizzonte a grande velocità nei giorni che precedono e
seguono gli equinozi, contrariamente a quanto avviene in occasione dei
solstizi in cui, come dice il nome, il Sole staziona praticamente quasi
fermo nei dintorni dei punti di disgressione estrema, per qualche giorno.
Questa lentezza faceva si che la determinazione sperimentale della
data di solstizio potesse essere ottenuta solamente con un margine
d’errore di tre o quattro giorni, mentre le posizioni dei punti di
levata e di tramonto solstiziali erano di relativamente facile
determinazione, almeno entro i limiti di precisione richiesta.
In
più, contrariamente ai solstizi che corrispondono alle posizioni estreme
dell’astro sull’eclittica, il transito del Sole all’equatore celeste
era un fenomeno del tutto irrilevante dal punto di vista dell’andamento
stagionale locale e quindi, di riflesso, da quello della pianificazione
agricola. Nei siti in cui è
marcata una sola direzione solare significativa essa è immancabilmente
solstiziale invernale, chiaro esempio della preoccupazione che il
solstizio d’inverno destò sempre presso le popolazioni antiche,
compresi i Golasecchiani.
La
direzione della levata solstiziale invernale si rivela essere anche un
riferimento comune per l’orientazione degli abitati.
Questi risultati potrebbero suggerirci, con un rilevante grado di
probabilità, che il tramonto solstiziale invernale avrebbe potuto essere,
per i Golasecchiani, il riferimento solare principale e il tramonto
solstiziale estivo, quello secondario ai fini del calendario.
La
conoscenza dei punti di levata o di tramonto solstiziali non era però
sufficente a garantire un’efficente programmazione dei lavori agricoli
essendo necessario disporre anche di un sistema di divisione dell’anno
tropico secondo intervalli più corti.
Ecco
che l’idea di utilizzare anche la Luna e le sue periodicità più
evidenti, quale il ciclo sinodico, appare del tutto naturale.
L’analisi degli allineamenti lunari, ci mostra che almeno la metà
dei siti studiati include allineamenti tesi ad individuare i punti estremi
di levata e di tramonto dell’astro notturno, all’orizzonte naturale
locale dei siti in oggetto, durante il suo ciclo di 18.61 anni.
La Luna sorge e tramonta in corrispondenza dei punti estremi, nei
giorni in cui è al “lunistizio”,
vale a dire qualora si trovi a valori estremi di declinazione, che sono
pari a (e+i) ed (e-i) essendo “e”
l’obliquità dell’eclittica e “i”
l’inclinazione dell’orbita della Luna rispetto a quella della Terra.
Nei
siti risalenti alle varie fasi della Cultura di Golasecca rileviamo
preponderantemente l’esistenza di allineamenti relativi alle posizioni
estreme, settentrionali e meridionali del punto di levata e di quello di
tramonto, cioè quelle posizioni che corrispondono alla massima e alla
minima declinazione raggiunta dalla Luna durante il suo corso, mentre sono
carenti gli allineamenti diretti verso i punti di levata dell’astro ai
punti di stazione intermedi.
Questo
fatto è logico ed è spiegabile con la maggior facilità con cui era
possibile rilevare sull’orizzonte, una posizione estrema del punto di
levata o di tramonto dell’astro, rispetto ad una posizione intermedia.
Quei punti, infatti, vengono raggiunti una sola volta durante il
ciclo di 18.61 anni, durante il quale le due intersezioni tra l’orbita
della Luna e quella della Terra, compiono un giro completo nel senso
opposto al moto dell’astro, mentre invece la Luna sorge, e tramonta,
ogni mese draconitico in corrispondenza dei punti intermedi senza che sia
obbligatoriamente verificata la condizione di lunistizio.
Nei
punti estremi il moto apparente del punto di levata si inverte, rendendo
relativamente
agevole la determinazione della loro posizione, mentre questo
non
accade nel caso dei punti intermendi che in genere sono di transito,
salvo
una volta ogni 18.61 anni, quando la Luna si trova ad evere una
declinazione pari
a (-e+i) oppure (e-i).
La
preferenza per i punti di disgressione estrema è un chiaro sintomo che i
Golasecchiani eseguirono, con grande probabilità, sia nel Varesotto che
nel Comasco, osservazioni dirette dei punti di levata e di tramonto della
Luna al fine di determinare queste posizioni anche se la vera ragione di
questo lavoro rimane per ora del tutto incognita anche se potrebbe essere
ipotizzabile una connessione del semiperiodo lunistiziale lunare con
l’intervallo, approssimativamente decennale, con cui i contadini
eseguivano la rotazione delle colture; per 9 anni il terreno era sfruttato
e per i successivi 9 anni il bosco riprendeva possesso dell’area
compensando l’impoverimento del suolo.
Dopo
il taglio del bosco, l’area poteva di nuovo essere messa a coltura per
circa un decennio e così via.
La
scansione temporale basata sugli intervalli di 9 anni ciascuno poteva
essere gestita in maniera molto efficente sulla base del ciclo
lunistiziale lunare che faceva si che i punti di levata e di tramonto
della Luna passassero dalle massime alle minime disgressioni e viceversa,
ogni 9.3 anni solari tropici. Dal
punto di vista del calendario, però, la conoscenza delle date di
lunistizio è di poca utilità essendo la loro periodicità troppo lunga,
non resta quindi che avanzare l’ipotesi dell’importanza rituale.
Un caso emblematico riguarda la Fonte della Mojenca a Pianvalle,
presso Como, in cui la monumentalizzazione della sorgente, avvenuta nel V
secolo a.C., sembrerebbe essere stata strettamente connessa con la
posizione del punto estremo di tramonto della Luna alla sua massima
disgressione meridionale, all’orizzonte naturale locale che in quella
direzione e in quel luogo è praticamente coincidente con quello
astronomico. La probabilità
che l’orientazione sia un fatto casuale è inferiore allo 0.3% valore
questo che implica che l’orientazione rilevata per l’asse della
galleria della fonte fu deliberatamente definita con un livello di
probabilità pari al 99.7%.
È
noto che in epoca antica le fonti rivestirono un ruolo sacro e potrebbe
essere probabile che la connessione con la Luna ed in particolare con il
suo punto di tramonto ogni 18.61 anni possa essere connesso alla sacralità
del luogo; infatti la connessione tra la Luna e l’acqua è un fatto
documentato presso i Celti.
A
Pianvalle, nel sito che è correntemente ritenuto essere un luogo sacro,
rileviamo la presenza di buche destinate ad alloggiare dei pali che
avrebbero potuto essere utilizzati quali segnacoli per indicare tutte le
quattro direzioni lunistiziali lunari, addirittura il punto corrispondente
alla minima declinazione della Luna è marcato sia al sorgere che al
tramontare dell’astro.
Questa
abbondanza di direzioni lunari significative è per ora rilevabile
solamente a Pianvalle e in nessun altro sito golasecchiano e potrebbe
essere ragionevolmente messa in relazione con l’utilizzo sacro del
luogo. Parimenti importante
è la coppia di direzioni lunistiziali presenti nel sito del Sass dla Preja Buja in cui entrambi i punti di stazione estremi sono
marcati in corrispondenza del tramonto della Luna. Anche se il Sass è molto più antico rispetto alla Cultura
di Golasecca esistono ragioni per ritenerlo un luogo sacro utilizzato dai
Golasecchiani. In questo caso
appare evidente la volontà di osservare i tramonti della Luna i quali
avvenivano, in quel luogo, per tutto il ciclo di 18.61 anni, entro il
settore di orizzonte naturale locale delimitato dai due punti di massima
disgressione.
Il
tramonto del nostro satellite naturale era quindi sempre visibile da parte
di un osservatore posto presso il grosso monolito il quale potrebbe essere
stato un antico osservatorio lunare.
In
tutti gli altri siti studiati, le direzioni lunari risultano trascurate e
addirittura, in svariati siti, non si rileva alcun allineamento connesso
con l’astro della notte.
Anche
nel caso della Luna, analogamente a quanto osservato per il Sole, si
rileva che nei siti golasecchiani sono di preferenza marcati i punti di
tramonto più che quelli di levata.
Questa,
che sembra essere una peculiarità del mondo golasecchiano, potrebbe
implicare l’esistenza di una possibile attività di osservazione del
cielo che potrebbe essersi concretizzata nel seguire il moto apparente
degli astri sulla sfera celeste un certo tempo prima del loro tramonto e
osservandoli fino alla loro scomparsa sotto il profilo dell’orizzonte
naturale locale, siamo però ovviamente nel campo delle ipotesi.
La carenza di allineamenti relativi alla levata degli astri più
luminosi del firmamento potrebbe essere spiegata con la necessità di
dover prevedere in anticipo dove l’oggetto celeste avrebbe dovuto
sorgere. La previsione, in
anticipo, della posizione di levata di un astro richiedeva un uno sforzo
di astrazione che rappresenta un passo successivo relativamente notevole
rispetto alla pura e semplice attività di osservazione che peraltro ne
rappresenta la base.
Una
possibile ipotesi alternativa potrebbe essere avanzata per spiegare questa
peculiarità rilevata sperimentalmente nei siti posti presso Como, i quali
essendo ubicati sul versante occidentale della alture che compongono la
Spina Verde, si trovavano ad avere generalmente l’orizzonte orientale
precluso, alla vista, dai rilievi, mentre l’orizzonte occidentale era
pressochè libero talvolta fino al livello della linea dell’orizzonte
astronomico locale, e in qualche caso, nei luoghi di maggior elevazione,
anche un poco sotto per effetto della depressione dell’orizzonte in
seguito alla quota dell’osservatore.
Questa spiegazione non può essere invocata, però, nel caso dei
siti posti sulle colline del Varesotto nelle quali l’orizzonte orientale
non è precluso, salvo casi particolari, se non per un’altezza di 1 o 2
gradi, allo stesso modo di quello occidentale.
Per
quanto riguarda le stelle invece la situazione è molto diversa.
Come accade nel caso dei nemeton
costruiti dai Celti d’oltralpe, anche presso i Golasecchiani, gli
allineamenti connessi con i punti di prima visibilità delle stelle più
luminose sembrano essere preferiti sia a quelli connessi con il Sole sia a
quelli connessi con la Luna, per orientare i luoghi sacri.
In
particolare è stato possibile rilevare l’esistenza di allineamenti
verso i punti di prima visibilità di alcune stelle luminose alla data
della loro levata eliaca.
Le
stelle in oggetto sono risultate essere: Antares,
Rigel, Sirio, Regolo,Aldebaran, Procione, Hamal, Spica, Betelgeuse, Vega,
Deneb, le Pleiadi, Arcturus, Altair e Markab.
Durante
la fase centrale di sviluppo della Cultura di Golasecca, Antares
levava eliacalmente a metà del mese di Novembre, mentre Rigel appariva per la prima volta nelle luci dell’alba durante la
prima decade di Luglio. La
levata eliaca di Sirio avveniva
nella seconda decade di Luglio, mentre Regolo
diveniva visibile intorno ai primi giorni di Agosto. Aldebaran levava
eliacalmente intorno all’inizio di Giugno, mentre Procione, nel Cane Minore,
andava in levata eliaca a metà Luglio, poco dopo Rigel, ma poco prima di Sirio.
La
stella Hamal poteva essere
osservata per la prima volta durante l’anno, intorno alla metà di
Aprile, mentre Spica era in
levata eliaca quasi alla fine di Settembre, in prossimità
dell’equinozio di autunno, di cui rappresentava un buon indicatore
stellare.
Betelgeuse era in levata eliaca negli ultimi giorni di Giugno, tutto
sommato non molto distante dal solstizio estivo, mentre Vega
levava eliacalmente verso la fine di Ottobre.
La
stella Deneb era visibile per la
prima volta nella seconda decade di Novembre, mentre le Pleiadi
erano in levata eliaca nei primi giorni di Giugno.
La
stella Arcturus era visibile,
per la prima volta durante l’anno, durante la prima decade di Settembre,
mentre Altair, andava in levata
eliaca nella prima decade del mese di Dicembre.
La
stella Markab era in levata
eliaca intorno nella prima decade di Febbraio, mentre Capella,
levava eliacalmente verso la fine di Marzo costituendo un buon indicatore
equinoziale al pari di Spica, ma
in questo caso di tipo primaverile.
La
levata eliaca di questa stella, però, pur essendo stata molto importante
per quanto riguarda l’Astronomia dei Celti d’oltralpe non sembra
essere stata tenuta molto in considerazione dai Golasecchiani eccettuata
forse la direzione della strada principale di un insediamento risalente al
V secolo a.C. e posto presso la necropoli di Via Tito Livio a Como, che
risulta orientata verso il punto di prima visibilità
di Capella nel giorno
della levata eliaca; ciononostante sono stati rilevati alcuni allineamenti
diretti verso il punto di levata ordinario della stella.
L’osservazione
della sequenza delle levate eliache visibili in un determinato luogo,
avrebbe potuto permettere agevolmente la delimitazione di una serie di
date ben precise durante l’anno.
Praticamente
tutti gli antichi popoli, di cui disponiamo di documentazione scritta
relativamente ai loro usi e costumi, utilizzarono questo metodo per
definire con ragionevole accuratezza le date fondamentali utili alla
pianificazione agricola e per la navigazione, basti ricordare il greco
Esiodo e la sua opera “Le Opere e
i Giorni”.
Spesso
concomitantemente all’epoca della levata eliaca di una determinata
stella veniva celebrata una festa la quale era generalmente connessa, dal
punto di vista rituale, sia all’evento astronomico che ne determinava la
ricorrenza, sia all’evento sociale che doveva essere celebrato.
In ambito celtico transalpino conosciamo che le quattro feste
principali erano connesse con la levata eliaca di quattro stelle luminose,
Antares, Aldebaran,
Capella, e Sirio, la prima
delle quali stabiliva anche l’epoca di inizio dell’anno agricolo e
rituale, oltre che della stagione invernale e la seconda sanciva
l’inizio della stagione estiva. Le
stelle di cui rileviamo l’esistenza di allineamenti verso il punto di
prima visibilità alla data della levata eliaca, nei siti golasecchiani
analizzati durante questa ricerca, avrebbero potuto permettere di scandire
l’anno in maniera abbastanza fitta e regolare.
Tenendo
conto della marcata matrice celtica ormai riconosciuta alla cultura di
Golasecca, possiamo partire dalla levata eliaca di Antares
che avveniva grosso modo a metà Novembre e che avrebbe ragionevolmente
potuto stabilire l’inizio dell’annata sia agricola che rituale e anche
della stagione invernale.
La
stella la cui levata eliaca risulta osservata subito dopo, è quella di Deneb
che avveniva 9 giorni dopo e successivamente, nella prima decade di
dicembre, la levata eliaca di Altair.
A
questo punto rileviamo che la levata eliaca successiva che sembre essere
stata di qualche interesse in ambito golasecchiano è quella della stella Markab
la quale avveniva intorno alla prima decade del mese di Febbraio.
Per un periodo di circa 2 mesi, dalla levata eliaca di Altair
a quella di Markab, non si
registrano, presso i Golasecchiani, siti con allineamenti diretti verso il
punto di prima visibilità di qualche stella.
Questo fatto potrebbe essere spiegato in quanto in questo lasso di
tempo avveniva il solstizio d’inverno che costituiva una data
importantissima dal punto di vista della scansione dell’anno e come tale
è stato l’obbiettivo di numerosi allineamenti nei siti golasecchiani.
Il sorgere eliaco di Markab
era seguito dopo circa un mese e mezzo dalla levata eliaca di Capella, che si piazzava vicino all’equinozio di primavera.
In concomitanza con il periodo compreso tra le date delle due
levate eliache i Golasecchiani avrebbero potuto procedere alla semina
primaverile dei frumenti primitivi, quali il monococco e il dicocco.
Intorno alla metà di Aprile capitava la levata eliaca di Hamal,
mentre all’inizio di Giugno cadeva quella delle Pleiadi che preludeva al termine della stagione invernale e all’incipente
inizio di quella estiva che aveva convenzionalmente luogo con la levata
eliaca di Aldebaran pochi giorni
dopo.
Questo
poteva essere il periodo adatto alla raccolta dell’orzo.
Verso la fine di Giugno, in prossimità del solstizio estivo,
rileviamo la levata eliaca di Betelgeuse,
subito seguita circa 9 giorni dopo da quella di Rigel.
Tra
la levata eliaca di Betelgeuse e quella di Rigel
era posto il periodo adatto alla mietitura e alla raccolta dei frumenti,
sia che essi fossero stati seminati in primavera sia che la semina fosse
avvenuta nell’autunno dell’anno precedente.
Circa
10 giorni dopo sorgeva eliacalmente Procione
e, dopo appena 6 giorni,
Sirio.
Siamo
ora giunti ai primi giorni di Agosto in cui si verificava la levata eliaca
di Regolo, seguita nella prima
decade di Settembre da quella di Arcturus e due settimane dopo da quella di Spica, che avveniva in concomitanza con l’equinozio d’autunno.
Tra
la levata eliaca di Arcturus e quella di Spica
potevano essere seminati i frumenti (monococco e dicocco) in semina
autunnale. Un mese dopo,
verso la fine di Ottobre, rileviamo l’ultima levata eliaca presente
lungo l’anno golasecchiano, cioè quella di Vega,
che preludeva al termine dell’anno, ma che poteva essere ragionevolmente
connessa con l’attività di mietitura e raccolta del grano seminato
all’epoca della levate eliache di Markab
e di Capella.
Si
attendeva quindi la successiva levata eliaca di Antares
per far iniziare il nuovo anno e l’inizio della stagione invernale, la
quale, se il raccolto era stato abbondante poteva essere affrontata con i
granai pieni.
Gli
allineamenti presenti nei siti analizzati ne comprendono anche taluni di
tipo meridiano o polare, cioè paralleli alla linea meridiana locale o in
altre parole diretti verso il punto cardinale Nord astronomico e dalla
parte opposta, verso il punto della sfera celeste in corrispondenza del
quale gli astri giungono alla massima altezza apparente sull’orizzonte
astronomico locale.
L’orientazione
polare, anche se sembrerebbe di primo acchito dettata da un ragionamento
semplice e naturale, in realtà non è per niente banale in quanto è
abbastanza difficile da ottenere praticamente.
Nonostante questo sono state sperimentalmente rilevate, nei siti
Golasecchiani, alcune strutture che presentano un’orientazione di questo
tipo, ottenuta anche con accuratezza considerevole.
Questo avviene ad esempio nel caso del recinto tombale del Vigano
nel quale il corridoio annesso al cerchio litico era allineato lungo il
meridiano con un errore complessivo minore di 1.5 gradi.
Un
altro esempio sono i due circoli tombali, unici in mezzo a decine di
tombe, posti nella necropoli del Presualdo a Sesto Calende i quali sono
allineati, a 21 metri di distanza tra loro, lungo la direzione del
meridiano astronomico locale, a meno di un ridottissimo errore.
Nel sito settentrionale della necropoli del Monsorino, i centri di
due dei quattro recinti sono allineati lungo la direzione meridiana con un
errore inferiore ai 2.5 gradi.
La
direzione meridiana non era sperimentalmente ottenibile con la pura e
semplice osservazione del cielo in quanto nessun oggetto celeste sorge o
tramonta esattamente a sud fatta eccezione, in teoria, per una stella la
cui declinazione è esattamente pari alla co-latitudine del luogo, ma
anche così gli effetti dovuti alla rifrazione e all’estinzione
atmosferica avrebbero reso talmente aleatoria la visibilità dell’astro
all’orizzonte astronomico locale, da precludere completamente qualsiasi
tentativo di determinare la direzione della linea meridiana in questo
modo.
In
alternativa sarebbe stato possibile osservare la posizione del Polo Nord
Celeste
che durante l’età del Ferro era posto presso la stella Kochab
(Beta
Ursae Minoris).
La
posizione del polo nord celeste non era talmente vicina a Kochab
da poter essere considerata, dal punto di vista pratico, coincidente con
essa. Ne distava alcuni
gradi, quindi la stessa Kochab
descriveva un arco ampio alcuni gradi intorno ad un punto del cielo
apparentemente privo di stelle. La
determinazione della linea meridiana con il fine di orientare lungo essa
alcune strutture, doveva quindi essere eseguita utilizzando qualche metodo
geometrico.
Qualche
tecnica di natura geometrica poteva essere comunque nota in ambito
golasecchiano, se non altro ne abbiamo testimonianza nella disposizione
dei recinti tombali nel sito meridionale del Monsorino a Golasecca in cui
l’uso del triangolo pitagorico sembra documentato in maniera
ragionevolmente sicura.
I
siti in cui è possibile rilevare l’esistenza di orientazioni meridiane
sono abbastanza numerosi, tra di essi possiamo rilevare il recinto tombale
del Vigano, la congiungente i centri dei due circoli litici presenti al
Presualdo, l’asse del corridoio annesso ad uno dei recinti litici del
Monsorino, la congiungente i centri di alcune coppie di circoli tombali
pesenti nello stello sito e altri.
Presso
Como rileviamo un’orientazione meridiana in uno dei lati della struttura
litica di Prestino, in prossimità del luogo dove fu rinvenuta la barra di
arenaria con la famosa iscrizione redatta in alfabeto leponzio.
Ancora nei sobborghi di Como rileviamo la presenza di una struttura
litica monumentale il cui asse risulta orientato parallelamente al
meridiano astronomico locale.
Allo
stadio attuale delle conoscenze non ci è dato di sapere quale fosse il
significato pratico o rituale delle direzioni parallele all’asse di
rotazione della Terra, per i Golasecchiani, e neanche secondo quali
tecniche esse furono tracciate, ma è un fatto sperimentale che esse si
rilevino direttamente sul terreno eseguendo accurate misure sia sui siti
ancora esistenti sia su quelli di cui esiste un’accurata mappatura a
livello archeologico eseguite dal personale specializzato delle
Sovrintendenze Archeologiche della Lombardia e del Piemonte.
Allo stesso modo rileviamo una rilevante frequenza degli
allineamenti posti parallelamente alla direzione equinoziale.
Tra i
siti analizzati rileviamo la presenza di allineamenti posti lungo la
direzione est-ovest astronomica nel complesso litico del Vigano, in quello
del Monsorino, in quello della Garzonera a Vergiate, quello delle
Cornelliane a Sesto Calende e, presso Como, il lato della struttura litica
monumentale di via Mantegna a Como.
La
determinazione della direzione equinoziale avrebbe potuto richiedere la
determinazione dei punti di levata del Sole ad almeno uno dei due
equinozi, ma tale determinazione era, con le risorse a disposizione
durante il I millennio a.C., notevolmente complessa e difficile da attuare
praticamente. Nel momento
dell’equinozio, il centro del Sole si trova posizionato sull’equatore
celeste e la durata del giorno è uguale a quella della notte.
In quei giorni la declinazione dell’astro diurno è vicina a
zero, ma la sua variazione nel tempo è la massima possibile, quindi
durante una giornata essa varia di ben 24’ che corrisponde grosso modo a
¾ del diametro del disco solare.
In
quei giorni i punti di levata e di tramonto all’orizzonte astronomico
locale cambiano, di giorno in giorno, molto rapidamente rendendo quindi
difficile stabilire quale fosse il giorno in cui gli equinozi avevano
luogo e di riflesso quale fosse la corretta posizione dei punti di levata
e di tramonto equinoziali.
A
disposizione dei Golasecchiani esistevano grosso modo due metodi, basati
sull’osservazione, utili per determinare la data di equinozio, senza
ricorrere a costruzioni geometriche sul terreno, giustificabili però
ammettendo l’esistenza della reale necessità di conoscere le date di
equinozio, cosa che, dai dati in nostro possesso non sembra esistere.
Il primo era cercare di determinare il giorno in cui il punto di
levata e quello di tramonto erano diametralmente opposti rispetto
all’osservatore, ma questo era reso difficile dal fatto che il metodo
funzionava solamente potendo eseguire osservazioni a livello
dell’orizzonte astronomico locale, mentre le ondulazioni dei rilievi che
costituivano l’orizzonte naturale locale potevano compromettere
completamente i risultati ottenibili da questo tipo di osservazione.
L’altro
metodo poteva essere quello di rilevare gli unici due giorni, durante
l’anno, in cui l’estremità dell’ombra di uno gnomone verticale,
oppure il pennello di luce che viene proiettato in un ambiente buio, su un
piano orizzontale, da un foro illuminato dal Sole, procedono in linea
retta da ovest verso est.
L’analisi
dei dati a nostra disposizione ha suggerito che con grande probabilità le
direzioni equinoziali rilevate nei siti golasecchiani non si riferivano al
Sole bensì alle stelle, nel senso che talune stelle la cui posizione i
cielo era, durante il I millenno a.C., molto prossima all’equatore
celeste, sorgevano e tramontavano all’orizzonte naturale locale, molto
vicine ai punti di levata e di tramonto del Sole agli equinozi.
Tali
stelle, alla latitudine dei luoghi golasecchiani e nel periodo in cui la
cultura in oggetto ebbe il massimo sviluppo, sono Spica,
Betelgeuse, Bellatrix, Markab e alcune
altre di cui però non si trova traccia di alcun allineamento nei siti
golasecchiani.
Queste
stelle erano importanti per altre ragioni, ma la loro posizione
equatoriale durante quel periodo le faceva sorgere e tramontare in
prossimità della direzione est-ovest astronomica.
I veri bersagli degli allineamenti equinoziali avrebbero allora
potuto essere state queste stelle le quali potevano rappresentare dei
riferimenti più validi dal punto di vista agricolo rispetto alla levata o
al tramonto del Sole equinoziale.
Da
tutto questo lavoro emergono alla fine alcuni fatti importanti che vale la
pena di mettere in evidenza.
Il
primo si riferisce al fatto che i “targets”
astronomici esistono e sono stati messi in evidenza con un rilevante grado
di significatività statistica. Il
secondo fatto è che gli astri che sono risultati essere oggetto degli
allineamenti rilevati nei vari siti analizzati sono grosso modo sempre gli
stessi, sia che si stia operando nel Varesotto, sia che si stia
analizzando un sito comasco o bergamasco.
Questo
è molto importante in quanto nonostante l’esistenza di qualche
differenziazione di abitudini, stile di vita e usanze funerarie tra le
varie comunità, sembrerebbe essere esistita una certa uniformità
relativamente agli astri che furono probabilmente ritenuti importanti e
quindi degni della realizzazione di alcuni allineamenti stabiliti nei
luoghi sacri. Il terzo fatto
è che gli astri ritenuti importanti sono sempre gli stessi lungo i
600-700 anni durante i quali la Cultura di Golasecca ebbe il suo sviluppo.
È
noto che la posizione degli astri nel cielo varia con l’andare del tempo
a causa del fenomeno della precessione degli equinozi e del lento
cambiamento dell’obliquità dell’eclittica.
Analizzando
gli allineamenti rilevabili nei siti osserviamo che taluni di essi, che
ebbero il loro sviluppo in epoche diverse differenziate di alcuni secoli,
includono alcuni allineamenti correlati con i punti di levata o di
tramonto di alcuni astri che rimangono sempre gli stessi anche dopo
qualche secolo.
Questo
fatto è molto evidente considerando le stelle ed è molto importante in
quanto con l’andare del tempo la longitudine eclittica di una data
stella cambia, per effetto della precessione degli equinozi, al ritmo di 1
grado in poco più di 72 anni, in direzione opposta a quella del moto
apparente del Sole, e quindi cambierà corrispondentemente anche la
declinazione della stella e infine anche il punto dell’orizzonte
astronomico locale in cui essa era vista sorgere oppure tramontare da un
determinato luogo. L’analisi
ha rivelato che siti golasecchiani diversi, collocabili cronologicamente
ad epoche differenti, contengono allineamenti correlati con le stesse
stelle anche se la posizione dei loro punti di levata o di tramonto
all’orizzonte sono, nel frattempo, variati di qualche grado.
Nei siti, gli allineamenti appaiono quindi ruotati concordemente
con il cambiamento di posizione della stella.
La
probabilità che questo fenomeno potesse avere origini casuali è
bassissima, praticamente nulla, quindi siamo indotti a ritenere che queste
stelle rappresentassero proprio gli obbiettivi dei vari allineamenti
diretti verso i loro punti notevoli all’orizzonte naturale locale.
Per quanto riguarda il Sole e la Luna, le loro posizioni di sorgere
e di tramontare sono esenti dal fenomeno della precessione degli equinozi,
ma risentono in maniera determinante del cambiamento di obliquità
dell’eclittica, cioè della variazione, nel tempo, dell’inclinazione
dell’asse terrestre. Questo
fenomeno è però molto lento, un’oscillazione periodica di qualche
grado in 41000 anni, di conseguenza i punti di levata e di tramonto del
Sole e della Luna cambiano poco in un millennio, quindi gli allineamenti
solari e lunari rilevati nei siti golasecchiani rimasero, contrariemente a
quelli stellari, praticamente gli stessi lungo tutto il periodo di tempo
coperto dallo sviluppo della Cultura di Golasecca.
Ultimo,
ma non ultimo, l’analisi globale ha messo in evidenza una marcata
somiglianza tra la funzione densità di probabilità ricavata
dall’analisi statistica delle direzioni rilevate nei siti golasecchiani
e quella, a suo tempo ricavata, dall’analisi di numerosi nemeton
celtici d’oltralpe, soprattutto francesi.
Questa
caratteristica appare molto evidente anche confrontando la casistica degli
astri che sembrerebbero essere stati importanti per i due insiemi di
popolazioni.
È
stato rilevato anche che il numero delle stelle preferite dai
Golasecchiani è decisamente più elevato di quello che è stato rilevato
nel caso dei Celti transalpini.
(conitnua-il
prossimo mese ultima puntata: "I Celti e la fondazione di Milano") |