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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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L’ASTRONOMIA
DEI CELTI
di
Adriano
Gaspani
I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica
Osservatorio Astronomico di Brera - Milano
adriano.gaspani@brera.inaf.it La
capacità di percepire i ritmi della natura e di vivere in armonia con essa fu
un fatto essenziale nel mondo preistorico e protostorico.
Fu così anche per i Celti, come per altre popolazioni dell’Età del
Ferro, essendo la loro, una società la cui economia era prevalentemente rurale.
Il Sole e la Luna con i loro movimenti ciclici furono fondamentali dal
punto di vista della divisione del tempo e dello sviluppo del calendario.
In questo modo la Luna permetteva di dividere il tempo in settimane,
quindicine e mesi, mentre al Sole spettava il compito di scandire l’anno.
Il Sole, a causa del suo moto, sorge ogni giorno un poco più tardi
rispetto alle stelle, quindi una stella sorge e tramonta circa quattro minuti
prima rispetto al giorno precedente. Ciò
significa che una costellazione che in un determinato periodo dell’anno sorge
e tramonta assieme il Sole non è visibile.
Sei mesi dopo essa sorgerà dodici ore prima del Sole e sarà quindi
visibile durante tutta la notte.
Spada lateniana con incisi il Sole e la Luna.
Spada lateniana con incisi i simboli del Sole e della Luna. Per
questa ragione tutte le costellazioni vicine all’eclittica sono visibili in
media per sei mesi all’anno. Potremo quindi parlare di costellazioni
“estive” e “invernali”. Anche
i pianeti si spostano nel cielo, Mercurio e Venere percorrono le loro orbite tra
la Terra e il Sole rimanendo sempre abbastanza prossimi ad esso e si possono
osservare alternativamente verso est subito prima dell’alba e verso ovest
subito dopo il tramonto. Marte,
Giove e Saturno percorrono le loro orbite oltre quella della Terra quindi
possono essere visibili per lungo tempo durante tutta la notte.
Anche loro anticipano ogni giorno la loro levata, ma talvolta a causa del
moto retrogrado sembrano invertire la direzione del loro moto per sorgendo in
ritardo rispetto al giorno precedente. I
Celti facevano riferimento a corpi celesti quali la Luna e le stelle.
L’importanza della Luna è stata documentata da molti autori latini e
in maniera oggettiva dalla struttura del calendario celtico di cui un esempio è
inciso sui frammenti di una tavola di bronzo trovata a Coligny (regione dell’Ain,
nella Francia meridionale) nel 1897. Prima
di parlare del ruolo delle stelle conviene ricordare le conoscenze astronomiche
dei Celti a partire dalle feste che essi celebravano durante l’anno. L’esistenza,
durante l’anno celtico, di molte festività è un fatto noto e ben documentato
dai reperti archeologici, dalla storiografia antica e dalle tradizioni che
ancora oggi vengono celebrate in svariate località dei paesi europei,
soprattutto in Bretagna e in Irlanda. Tra
le feste che venivano celebrate durante l’anno, quattro di esse rivestivano un
particolare significato sia dal punto di vista della solennità che della
ritualità. Tali feste erano, in ordine cronologico lungo l’anno celtico, Trinvxtion
Samoni, Imbolc, Beltane e Lughnasa. La
festa di Trinox Samoni, o meglio Trinvxtion
Samoni, letteralmente: “le tre notti
di Samonios”, primo mese del calendario, corrispondeva all’inizio
dell’anno. La festa inaugurava il periodo durante il quale era la notte a
prevalere sul giorno, le bestie venivano radunate e chiuse in recinti per
svernare. Le altre tre feste
corrispondevano ciascuna alla celebrazione di una ben determinata divinità. La
festa di Imbolc era dedicata alla dea
Brigh, cioè la dea Belisama, ispiratrice delle arti e dei mestieri. Brigh o
Bricta sono il nomi che in celtico hanno entrambi il significato di
“luminosa”, mentre presso i Britanni essa era denominata Brigantia, che
significa “altissima”. Gli antichi racconti descrivono Brigh in modo
ambiguo, con il volto per metà bellissimo e per metà orrendo e con la capacità
di suscitare e guarire le malattie. Imbolc segnava l’allentamento della morsa
invernale, in questo periodo nascevano gli agnellini e le pecore avevano latte.
Durante la festa di Beltane era venerato il dio Belenus, conosciuto anche
con i nomi di Borvo e Grannos a cui venivano attribuite capacità mediche.
In quei giorni le mandrie erano condotte nei pascoli estivi, gli ultimi
freddi erano terminati e si poteva far ingrassare il bestiame.
La festa di Lughnasa era ritenuta la più importante di tutte in quanto
era celebrato Lug, chiamato anche Lugus, considerato la maggiore divinità
venerata dai Celti come testimoniano molti reperti archeologici e molti
toponimi. Sono infatti state ritrovate quasi cinquecento iscrizioni votive,
oltre trecentocinquanta monumenti figurati e per almeno ventisette città
europee il nome deriva dal termine gallico Lug-dunum.
Il termine gallico “Lug” significa nuovamente “brillante” o anche
“luminoso”. I suoi attributi
principali erano le competenze nel campo militare, artigianale e sacerdotale. Il
termine Lughnasa significa “raduno di
Lug” e in Gallia tale festa coincideva generalmente con il grande raduno
annuale delle tribù galliche che veniva celebrato nei mesi estivi a metà
strada tra il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno. In questa
occasione si concludevano trattative diplomatiche e contratti matrimoniali. La
festa di Trinox Samoni (letteralmente TRINVXTION
SAMONI SINDIVOS: le tre notti di Samonios cominiano adesso) veniva
celebrata in un periodo grosso modo equivalente all’inizio del mese di
novembre nel calendario giuliano. Questa
scelta concorda bene anche con le tradizioni irlandesi. Questo comporta che i
periodi dell’anno in cui le altre tre feste erano celebrate, secondo il
calendario giuliano, siano rispettivamente: febbraio-marzo per Imbolc,
maggio-giugno per Beltane e
luglio-agosto per Lughnasa. Questo
implica una distribuzione all’incirca simmetrica delle feste durante l’anno. Le
feste sono stagionali, ma collocate in corrispondenza di quattro date intermedie
rispetto ai solstizi e agli equinozi quindi esse non sono da ritenersi feste di
ispirazione solare, ma basate su altri criteri di natura astronomica. Le
feste erano celebrazioni rituali legate alla vita agricola e sociale della
comunità quindi esisteva presso i Celti la necessità di correlare le quattro
feste con l’andamento delle stagioni climatiche più che di quelle
astronomiche. Infatti
l’agricoltura dipendeva strettamente dai cicli stagionali legati alle
variazioni del tasso di piovosità, della temperatura, dell’umidità e questi
fattori climatici, alle latitudini in cui i Celti vissero non sono esattamente
correlate con le stagioni astronomiche che vanno da equinozio a solstizio e
viceversa. Una
società prevalentemente rurale come lo era quella celtica, doveva considerare i
ritmi stagionali per dividere l’anno, piuttosto che eseguire una divisione
teorica e convenzionale come quella attuale puramente basta sulle posizione
estreme e intermedie del Sole sull’eclittica.
È quindi naturale avanzare l’ipotesi che le quattro feste potessero
essere legate a particolari eventi astronomici, importanti per l’agricoltura,
che annualmente si ripetevano i quali avessero a che fare con il Sole, ma anche
con le stelle più luminose visibili nel cielo lungo l’anno.
Tali avvenimenti ne determinavano quindi la cadenza durante il corso
dell’anno, con un buon accordo con le stagioni climatiche locali e le feste
servivano da indicatori rituali e sociali del cambio stagionale.
Potremmo quindi supporre che fosse proprio la levata eliaca di talune
stelle a determinare la data, nel corso dell’anno, in cui le feste dovevano
essere celebrate o quanto meno la levata del Sole nei giorni in cui alcune
particolari stelle levavano eliacalmente. Esistono
diverse testimonianze di altri popoli antichi che pianificarono le loro attività
sulla base delle levate eliache delle stelle.
Gli Egiziani facevano iniziare il loro anno con la levata di Sirio, la
quale nel 2500 a.C. coincideva praticamente con la data del solstizio estivo;
circa quindici giorni dopo il Nilo straripava rendendo fertili le pianure. Esiodo
un poeta greco del VII secolo a.C., nella sua opera Le
Opere e i Giorni, consigliava ai
contadini del Peloponneso di seguire il sorgere eliaco di alcune stelle o
costellazioni in quanto erano utili indicatori dei periodi adatti per andare per
mare, per seminare etc. Il metodo
delle levate eliache è molto efficente in quanto permette una valutazione
indipendente e univoca, entro qualche giorno, su un vasto territorio del periodo
in cui una determinata festa doveva avere luogo.
Infatti il giorno di levata eliaca dipendendo dalla latitudine del luogo,
varia di circa un giorno per grado di latitudine salendo da sud a nord
nell’emisfero boreale. Le
levate eliache delle stelle potevano essere comodamente previste con notevole
anticipo, il che rendeva facile iniziare per tempo i preparativi necessari allo
svolgimento delle varie feste. Nel
corso delle migliaia di anni la data in cui una stella sorge in concomitanza con
il Sole varia per effetto della precessione degli equinozi.
In vicinanza della festa di Trinox
Samoni la stella in levata eliaca durante l’età del Ferro era Antares, una stella rossa di prima grandezza, la più luminosa della
costellazione dello Scorpione. Ad Imbolc
invece era in levata eliaca Capella,
una stella di colore giallo, anche essa di prima magnitudine, situata nella
costellazione dell’Auriga. A
Beltane sorgeva eliacamente Aldebaran, stella di prima grandezza e di colore
rosso che è anche la più luminosa della costellazione del Toro.
A Lughnasa invece era Sirio, la
stella più luminosa del cielo, ad essere in levata eliaca. Sirio è la stella principale della costellazione del Cane Maggiore,
posta un poco a sud est della costellazione di Orione e il suo colore è bianco
brillante. È
interessante notare che delle quattro stelle interessate solamente due, Aldebaran
e Antares, sono stelle appartenenti a
costellazioni zodiacali, rispettivamente al Toro e allo Scorpione. Le
altre due Sirio e Capella sono
invece stelle posizionate lontano dall’Eclittica essendo rispettivamente nel
Cane Maggiore e nell’Auriga. La
prima è situata molto sotto l’Eclittica e l’altra molto sopra di essa.
È probabile che le varie feste, esclusa tuttalpiù Trinox
Samoni che richiedeva il rispetto anche di un vincolo lunare, venissero
celebrate nei giorni di prima visibilità di queste stelle nei bagliori
dell’alba. Dai calcoli astronomici
risulta che durante l’età del Ferro, Antares
sorgeva con il Sole intorno al 16 Novembre, Aldebaran
il 7 Giugno, Capella il 18 Marzo e Sirio
il 25 Luglio. Queste
date sono riferite a una latitudine tipica dell’Europa centrale, circa 47
gradi Nord, per il 500 a.C e sono espresse rispetto al calendario giuliano. L’esclusione
di Trinox Samoni da questo criterio è motivata dall’esistenza di
vincoli addizionali legati alla fase lunare da rispettare.
Se consideriamo le annotazioni incise sul Calendario
di Coligny, siamo indotti a pensare che la festa di Trinox
Samoni potesse essere celebrata solo quando anche la Luna si fosse trovata
in una particolare fase, tra l’ultimo quarto il novilunio. Quindi
Trinox Samoni era la prima festa
dell’anno celtico, che era iniziato con il mese di
Samonios e con la Luna al primo quarto, dopo che era stata osservata la
levata eliaca di Antares. Considerando
le luminosità della quattro stelle è facile notare l’esistenza di una
correlazione tra l’importanza attribuita alle divinità celebrate durante le
quattro feste e la luminosità delle stelle in levata eliaca in corrispondenza
di ciascuna festa. Prendendo
in esame Sirio che è la stella più luminosa visibile ad occhio nudo nel cielo
notturno, la si vede abbinata alla celebrazione del dio Lugh che era ritenuto il
più importante nel pantheon celtico. Ricordando
anche che etimologicamente il termine Celtico “Lugh” significa
“brillante” o anche “luminoso”, l’abbinamento con la levata eliaca di Sirio
sembrerebbe essere più che giustificato. Infatti
il sorgere contemporaneo dei due astri più luminosi del cielo, il Sole e Sirio,
escludendo la Luna la quale possiede altri ruoli nel calendario celtico, poteva
essere facilmente associata ad una divinità con gli attributi di Lugh. Nel
periodo in cui veniva celebrata la festa di Lugh, il cielo notturno era dominato
dalla presenza del “triangolo estivo” che è una caratteristica
configurazione formata dalle stelle Vega,
Deneb e Altair, le stelle più brillanti rispettivamente delle costellazioni
della Lira, del Cigno e dell’Aquila. Il
fatto che il triangolo estivo fosse visibile alto nel cielo proprio nei giorni
della festa di Lug potrebbe essere significativo.
Infatti la sua apparizione in cielo già dal mese precedente poteve
essere utile per annunciare che poco tempo dopo doveva aver luogo la festa di
mezza estate cioè Lughnasa. Infatti
i Druidi usavano per determinare le date delle feste anche altri astri come
punti di riferimento per monitorare il cielo, così altre costellazioni erano
tenute sotto osservazione. Durante
l’età del Ferro la levata eliaca di Sirio
poteva essere agevolmente predetta molto semplicemente determinando la data del
solstizio d’estate, dopo un mese lunare esatto sarebbe avvenuta la levata
eliaca di Sirio. Se Sirio,
la stella più luminosa visibile in cielo, aveva a che fare con il dio Lugh, una
stella di luminosità un poco meno elevata, Capella
sorgeva eliacamente nei giorni pertinenti alla festa di Imbolc
in cui la dea Brigh era celebrata. Capella è una stella di colore giallo e il giallo è anche il
colore delle messi mature a cui la dea Brigh era simbolicamente abbinata.
La dea Brigh era, presso i Celti, la seconda divinità in ordine di
importanza e quindi sembra non essere casuale il fatto che la sua festa fosse
celebrata in coincidenza con la levata eliaca di una stella un poco meno
luminosa di Sirio. La
festa di Beltane, dedicata al dio Belenus, era una celebrazione in cui il
fuoco giocava un ruolo determinante. La
stella che levava eliacamente durante la festa di
Beltane era Aldebaran.
Il colore di Aldebaran, quando è osservata ad occhio nudo è spiccatamente
rosso e quindi risulta facile associarla al colore del fuoco.
I
Celti dividevano l’anno solamente in due stagioni, quella estiva e quella
invernale. La
stagione estiva, andando da Beltane a Trinox Samoni, comprendeva l’estate vera e propria e gran parte
dell’autunno, mentre la stagione invernale era composta dall’autunno e
dall’inverno propriamente detto. I
Druidi dovevano conoscere perfettamente la posizione dei punti equinoziali e
solstiziali, cioè le posizioni occupate dal Sole nel cielo in corrispondenza
dei due equinozi e dei due solstizi, ma questi punti non furono ritenuti
importanti per definire le stagioni. Dal
punto di vista climatico il transito del Sole attraverso l’equatore celeste o
il suo posizionamento agli estremi dell’Eclittica non era di grande utilità
pratica in quanto sul territorio in cui si sviluppò la cultura celtica non
avvenivano variazioni climatiche apprezzabili correlate con questi eventi
astronomici. Al
contrario variazioni di rilievo avvenivano in corrispondenza di date intermedie
tra gli equinozi e i solstizi quindi l’uso delle stelle poteva invece essere
più utile ai fini della divisione stagionale dell’anno.
Appare quindi del tutto naturale che i Celti utilizzassero le levate
eliache di Antares e di Aldebaran al fine di stabilire l’inizio dei due periodi
stagionali in cui l’anno celtico era diviso.
Infatti il levare eliaco di Antares
indicava l’inizio della stagione invernale, mentre il levare eliaco di Aldebaran
l’inizio della stagione estiva, quindi l’estate andava dalla festa di Beltane a quella di Trinox
Samoni e l’inverno da Trinox
Samoni a Beltane. La differenza
di circa 180 gradi in longitudine eclittica tra le due stelle implicava che nel
cielo notturno visibile durante la stagione fredda brillasse Aldebaran,
mentre durante la stagione calda splendesse
Antares. A
conferma di questa ipotesi possiamo considerare la tavoletta d’avorio
di Grand, sulla quale sono incisi dei simboli zodiacali oltre che a dei graffiti
di stile egizio. Lo
Zodiaco di Grand, così come è
conosciuto, risale al II secolo d.C e rappresenta l’unica testimonianza
dell’esistenza di uno zodiaco presso le popolazioni celtiche. La
particolarità di questo zodiaco consiste nel fatto che esso è diviso in due
parti che rappresentano il periodo estivo e quello invernale, ma soparattutto
che i segni zodiacali con cui iniziano queste stagioni sono il Toro e lo
Scorpione, vale a dire proprio le costellazioni a cui appartengono
rispettivamente Aldebaran e Antares. Secondo
lo Zodiaco di Grand la stagione invernale inizia quando il Sole si
trova nella costellazione dello Scorpione e quella estiva quando è posizionato
nella costellazione del Toro. Questo
fatto è emblematico in quanto durante l’età del Ferro la posizione dei nodi
dell’orbita terreste era tale che i due punti equinoziali si trovavano
rispettivamente nelle costellazioni dell’Ariete (Equinozio di Primavera) e
della Bilancia (Equinozio di Autunno), mentre le posizioni Toro e Scorpione
erano valide nel periodo che andava dal 4000 al 2000 a.C.
La scelta di Toro e Scorpione come costellazioni demarcanti i periodi
stagionali dovette essere con grande probabilità operata sulla base di un
criterio differente da quello basato sulla posizione dei due punti equinoziali
tra le stelle. Il
metodo delle levate eliache era più aderente alla realtà climatica del
territorio europeo. La
divisione dell’anno operata dai Celti basandosi sulle levate eliache implicò
una diversa durata dei due periodi stagionali.
Le stagioni astronomiche calcolate per il 500 a.C. sulla base delle date
teoriche di equinozio e di solstizio duravano: Estate+Autunno: 180.58 giorni e
Inverno+Primavera: 184.67 giorni, valori che hanno poco a che vedere con le
variazioni climatiche stagionali centro-europee.
Calcolando invece la durata delle stagioni con il calendario di Coligny
si rileva che la stagione estiva durava solamente 157 giorni in contrasto con la
molto più lunga stagione invernale che durava 208 giorni solari medi.
Infatti nel IV secolo a.C. l’inizio della stagione invernale cadeva
grosso modo il 17 Novembre del calendario giuliano e l’inizio della stagione
estiva intorno al 10 Giugno. Questi
valori corrispondono molto bene con il ciclo climatico annuale tipico delle
latitudini centro e nord europee dimostrando che la divisione dell’anno
operata dai druidi sulla base delle levate eliache fu estremamente razionale e
orientata ad una elevata efficenza in termini di pianificazione agricola. I
Celti quindi adottarono una suddivisione dell’anno che corrispondeva meglio
alle loro necessità agricole e di allevamento.
Per noi adesso può sembrare strano, ma per popolazioni la cui
soppravvivenza era legata all’agricoltura sbagliare di un mese il periodo
giusto per seminare poteva voler dire la carestia.
La struttura a due stagioni permette di ripartire stagionalmente i 12
mesi dell’anno Celtico. La
festa di Trinox Samoni cadeva ovviamente nel mese di Samonios, mentre quella
di Beltane doveva quindi cadere in corrispondenza del mese di Giamonios. A
causa delle oscillazioni dell’inizio del mese di Giamonios
rispetto alla data solare in seguito al vincolo di iniziare il mese in
corrispondenza del primo quarto di Luna, qualche volta poteva capitare che la
levata eliaca di Aldebaran cadesse nel mese di Simivisonios. La
ripartizione stagionale sarà quindi la seguente: Samonios,
Dumannios, Riuros,
Anagantios, Ogronnios, Cutios e Giamonios sono da ritenersi mesi invernali, mentre
Giamonios, Simivisonnios, Equos, Elembivos, Edrinios e Cantlos sono da ritenersi mesi estivi. Il
mese di Giamonios risulta citato due volte in quanto la festa di Beltane
cadeva circa a metà di esso quindi metà mese era invernale e metà estivo.
L’uso delle levate eliache come mezzo per fissare una determinata data
nel corso dell’anno corrisponde a definire un terzo sistema di misura
temporale basato questa volta sull’anno siderale. I
primi due sistemi erano basati sull’anno solare e su quello lunare come
mostrato dal calendario di Coligny. Ricordiamoci
comunque che l’uso delle levate eliache serviva per stabilire una data
importante, per esempio quella di una festa, in rapporto ai cicli stagionali,
quindi in accordo con la posizione del Sole sulla sfera celeste, ma
l’effettiva data di celebrazione liturgica delle feste doveva tenere conto
probabilmente anche della fase Lunare proprio per il fatto che le feste
rivestivano un carattere religioso.
L’analisi
della struttura dei nemeton, cioè dei recinti sacri, costruiti dai Celti
durante l’età del Ferro mostra che l’Astronomia rivestì un ruolo
fondamentale sia nella scelta dei siti in cui furono edificati sia nella loro
orientazione rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali sia nella
definizione della loro struttura costruttiva.
Due esempi emblematici li troviamo in Boemia, a pochi chilometri da
Praga. Si tratta del Nemeton
di Libenice e dell’Acropoli di Zavist entrambi risalenti al 500 a.C. circa. Non
solo i luoghi sacri mostrano chiare relazioni con l’Astronomia, ma lo stesso
accade per taluni oppida, soprattutto quelli in cui era presente una classe
druidica più avanzata come era ad esempio a Bibracte in cui una vasca rituale
fu costruita tenendo conto di particolari criteri astronomici e matematici. Il
nemeton di Libenice, vicino a Praga venne costruito e utilizzato dai Celti della
tribù dei Boi che lo abbandonarono intorno al 400 a.C in seguito alle
migrazioni che li spinsero verso l’Italia centrale.
Il santuario era un recinto rettangolare di 24m x 80m circa delimitato da
un fossato. Presso
il lato sud-orientale era stata ricavata una zona infossata nel terreno, grosso
modo a forma di 8, che è risultata essere di costruzzione germanica e quindi di
epoca posteriore. Già
dalle prime analisi, condotte negli anni sessanta, l’astronomo cecoslovacco
Holub mise in evidenza che la progettazione era stata eseguita sulla base di
criteri astronomici. Holub
riconobbe alcuni elementi che suggerivano la presenza di possibili orientazioni
verso il punto di sorgere del Sole al solstizio d’inverno.
L’asse del recinto rettangolare del nemeton nel suo complesso risulta
orientato 24 gradi a sud rispetto alla direzione equinoziale (la Est-Ovest)
calcolata per il V secolo a.C. nonostante che dall’analisi della topografia
del luogo sia risultato che nessun impedimento geografico o topografico
limitasse la costruzione del recinto sacro con l’asse maggiore rivolto verso
altre direzioni. Escludendo
la costruzione e l’orientazione mediante criteri casuali in quanto era
abitudine dei Celti utilizzare linee di riferimento rituali o magiche per le
costruzioni dei luoghi sacri, allora il fatto di aver scelto un’orientazione
intermedia tra la direzione di sorgere del Sole agli equinozi e quella dalla
levata solare solstiziale invernale implica chiaramente che la direzione verso
cui l’asse del nemeton di Libenice è orientato è astronomicamente
importante, ma non di natura solare. Dalle
analisi condotte al computer è possibile mettere in evidenza che l’asse
maggiore del santuario era orientato verso la direzione in corrispondenza della
quale nel V secolo a.C. poteva essere osservata la levata di Rigel e Saiph due
delle quattro stelle principali che costituiscono la figura antropomorfa della
costellazione di Orione. Per una
curiosa coincidenza in quell’epoca l’azimut di prima visibilità di queste
due stelle era praticamente coincidente. Questo
asterismo fu considerato tra i più importanti presso diverse civiltà antiche
perchè veniva usato per indicare i diversi periodi dell’anno importanti dal
punto di vista agricolo. Gli Egizi
per esempio, presso i quali il sorgere della costellazione di Orione all’alba
poco prima del Sole preludeva alla levata eliaca di Sirio.
Qualche studioso ha proposto recentemente che la disposizione delle
grandi piramidi costruite durante la IV dinastia sul terreno di Giza sia
correlata con la disposizione delle stelle di questa costellazione.
La costellazione di Orione era utilizzata sia in Grecia che in
Mesopotamia per indicare diversi periodi dell’anno importanti dal punto di
vista agricolo. Il
recinto del nemeton di Libenice è stato costruito in modo da essere orientato
verso la zona dell’orizzonte locale in cui poteva essere vista sorgere e
salire maestosamente in cielo la grande costellazione di Orione.
Lungo una direzione molto prossima all’asse maggiore (Azimut circa 120
gradi) il Sole sorgeva nel V secolo a.C. il giorno in cui Antares
era in levata eliaca, cioè il giorno di riferimento per la celebrazione della
festa di Trinox Samoni. Anche
altre stelle importanti tra le quali Mira e
Sirio sorgevano in quella direzione. L’asse
del nemeton quindi puntava verso una zona del cielo in cui durante l’anno
potevano essere osservati molti eventi astronomici che potevano servire come
riferimento per il calendario. Al
centro del tempio è stata scoperta una tomba nella quale sono state rinvenute
le ossa di una donna, dal cui corredo funebre si è indotti a pensare che fosse
la druidessa responsabile del culto. La
tomba mostra un’orientazione nord-sud molto accurata ed anche lo scheletro è
stato ritrovato disposto lungo il meridiano astronomico con il teschio posto a
sud in modo da guardare virtualmente il Polo Nord Celeste, punto intorno al
quale ruota tutta la la sfera celeste durante il suo moto apparente durante la
notte. L’orientazione
sia della tomba che dello scheletro risultano così accurate da escludere
completamente il risultato di una disposizione fortuita, ma per orientare la
tomba i Celti furono obbligati ad osservare la posizione delle stelle nel cielo
per determinare le linea meridiana. All’interno
del recinto rettangolare sono state trovate oltre 35 buche nelle quali erano in
origine infissi dei pali. La
disposizione delle buche, salvo qualche caso, non rappresenta alcun disegno
regolare, per cui è escluso che esse potessero contenere pali atti a sostenere
strutture abitative o architetturali. La
loro disposizione analizzata con particolari tecniche matematiche suggerisce che
i pali in esse infissi potessero servire come mire per determinare talune
direzioni astronomicamente importanti. Dagli
studi condotti con moderne e sofisticate tecniche di indagine archeoastronomica
è stato possibile mettere in evidenza che coppie di pali definivano direzioni
orientate verso taluni punti dell’orizzonte locale in cui sorgevano o
tramontavano, a quella latitudine e intorno al V secolo a.C., diverse stelle tra
cui quelle in levata eliaca alle date delle quattro feste durante l’anno
celtico. La
stella Mira posta nella costellazione della Balena (Cetus) il cui cambiamento
periodico di splendore è ritenuto dagli astronomi essere stato scoperto per la
prima volta dal reverendo olandese Davide Fabricius nel 1596, pare invece che
fosse stata già precedentemente individuata e osservata dai Celti Boi che
allinearono diversi pali nel santuario di Libenice verso le direzioni di sorgere
e di tramontare di questa stella. Le
stelle come Mira mostrano, nel tempo, periodiche variazioni di luminosità a
causa del verificarsi di instabilità al loro interno, dovute alla loro
struttura fisica, all’età e al particolare stadio evolutivo in corso. L’instabilità
provoca espansioni e contrazioni periodiche della stella con conseguente
cambiamento del raggio, della temperatura fotosferica e quindi anche della
luminosità. Dal
punto di vista osservativo, sulla Terra è possibile osservare che la luminosità
di Mira varia dalla seconda alla decima magnitudine con un periodo di 330
giorni, di conseguenza l’astro rimane visibile per pochi mesi ad occhio nudo,
si affievolisce nel giro di pochi giorni e poi scompare alla vista per
sette-otto mesi. Inoltre
lungo un decennio Mira rimane invisibile per diversi anni a causa del fatto che
il periodo di visibilità può capitare quando la stella è alta nel cielo di
giorno, in tal caso Mira rimane completamente invisibile immersa nei bagliori
della luce solare diurna. Una
stella di colore vividamente rossastro che appariva e spariva periodicamente
poteva sicuramente attrarre l’attenzione dei druidi i quali non conoscendo
ovviamente nulla di astrofisica potevano attribuire a cause divine la comparsa o
la sparizione di una stella nel cielo tanto da marcare con dei pali le sue
posizioni di sorgere e di tramontare all’orizzonte locale visibile a Libenice. Un
altro fatto molto interessante riguarda la particolare disposizione di alcune
buche di palo le quali riproducono molto fedelmente sul terreno la disposizione
delle stelle della costellazione del Cigno.
Questa costellazione a forma di croce era ritenuta importante presso
molte civiltà antiche che la utilizzarono anche come indicatore della posizione
del Nord astronomico. Non
dobbiamo dimenticare che durante l’età del Ferro, a differenza di oggi, il
Polo Nord Celeste era situato ben lontano dalla stella Polare.
Infatti a causa della Precessione degli equinozi, il nord astronomico
corrispondeva ad un punto privo di stelle luminose posto sulla sfera celeste a
circa 7 gradi di distanza (grosso modo 14 volte il diametro della Luna piena)
dalla stella Kochab (Beta Ursa Minoris).
Eseguendo al computer la ricostruzione dell’aspetto del cielo visibile
dal nemeton di Libenice in corrispondenza delle date delle quattro feste
celtiche principali si rileva che la costellazione del Cigno è sempre presente
nel cielo, ma orientata secondo direzioni differenti.
Le direzioni dei quattro bracci se idealmente prolungate fin verso
l’orizzonte di Libenice individuano grosso modo i punti dove avvenivano le
levate eliache delle quattro stelle che identificavano le date delle quattro
feste. La
costellazione del Cigno quindi poteva essere usata per prevedere in anticipo
l’avvicinarsi dei giorni in cui le levate eliache delle quattro stelle
avrebbero dovuto verificarsi. Questo
poteva rappresentare un utile strumento di pianificazione e di organizzazione
delle feste. Oltre
a rappresentare accuratamente la forma della costellazione del Cigno,
l’insieme delle buche nel suo complesso è tale da orientare l’intera figura
in modo che la direzione risultante congiungendo la buca che corrisponderebbe
alla stella Deneb con una buca situata a nord un paio di metri oltre il fossato
che delimita l’angolo settentrionale del recinto, si realizza un allineamento
diretto verso la posizione del Polo Nord Celeste durante il V-IV secolo a.C. La
direzione individuata risulta parallela sia all’asse della tomba della
druidessa sia alla direzione dell’asse di rotazione della Terra.
Lungo questa direzione nel 500 a.C. sorgevano e tramontavano ben 13
stelle appartenenti alle costellazioni circumpolari cioè quelle che alla
latitudine di Libenice non tramontavano mai descrivendo il loro arco diurno
rimanendo sempre sopra l’orizzonte locale. Si
veniva così a formare in cielo una sorta di orologio siderale, che poteva
essere usato per prevedere in anticipo le date delle levate eliache delle
stelle. In
accordo con il fatto che i Celti non praticavano culti solari non sono stati
rilevate orientazioni significative relativamente a fenomeni legati al Sole,
mentre sono stati rilevati alcuni allineamenti verso i punti di levata della
Luna ai lunistizi, punti in cui la Luna raggiunge le sue distanze estreme
dall’eclittica e che risultano importanti per la previsione delle eclissi. Il
nemeton venne completamente abbandonato intorno al 400 a.C. Un
altro luogo molto interessante per il quale si sono condotte indagini di tipo
archeoastronomico è l’Acropoli di
Zavist o più specificamente la torre triangolare sita nel suo interno. L’Acropoli
di Zavist è situata all’interno di un sito fortificato risalente al VI-V
secolo a.C. e posto a 391 metri di quota sul livello del mare a pochi chilometri
da Praga. La
situazione dell’Acropoli nel periodo 550-500 a.C. era tale da comprendere un
recinto quadrangolare di una ventina di metri di lato associato a case in legno
allineate ai lati di una strada. Nel
V secolo a.C. l’acropoli venne ricostruita dopo essere stata distrutta,
all’interno di un grande recinto quadrangolare di un centinaio di metri di
lato. Vennero
costruiti un grande edificio rettangolare in legno a due navate di cui
attualmente permangono le buche che contenevano i pali di sostegno, alcuni
edifici monumentali e una torre a pianta triangolare in pietre a secco la cui
altezza attuale è circa 4 metri dal livello del suolo, ma che si presume
potessero essere sormontate da alcune sovrastrutture in legno che ne
accrescevano l’altezza. La
torre in questione era un fabbricato rituale di circa 10 metri di lato ai cui
vertici erano infissi nel terreno tre grossi pali in legno.
Dalla piattaforma posta a quattro metri di altezza dal suolo era
possibile compiere osservazioni astronomiche. Le
analisi al computer hanno permesso di mettere in evidenza che lungo la direzione
individuata da una coppia di vertici poteva essere osservata la levata eliaca
della stella Capella. Ciascuna
delle tre coppie di vertici della torre permette di definire un settore di
orizzonte entro il quale, nel V secolo a.C., potevano essere osservati svariati
fenomeni astronomici. Tra
i più rimarchevoli osserviamo il sorgere del Sole agli equinozi, il sorgere e
il tramontare del Sole al solstizio d’inverno, il sorgere e il tramontare
della Luna ai lunistizi e più importanti di tutti, il sorgere eliaco di Antares,
Aldebaran, Sirio e Capella, cioè
le stelle fondamentali per la celebrazione delle quattro feste e per la
determinazione delle date di inizio e termine delle stagioni. Ritroviamo
quindi anche a Zavist in questo luogo la possibilità di osservare i fenomeni
astronomici fondamentali per la pianificazione agricola di una comunità rurale. Analogamente
a Libenice, anche Zavist venne abbandonata intorno al 400 a.C. Durante
l’età del Ferro le temperature medie estiva ed invernale nel centro Europa
erano differenti da quelle del XX secolo. La
situazione climatica in Boemia, e più generalmente in Europa nella fascia che
si stende da +30 a +60 gradi di latitudine nord, nel VI-V secolo a.C. può
essere ricostruita sia sulla base dello studio dei resti fossili, quali pollini
di piante che anticamente crescevano in quel determinato luogo, i quali possono
fornire sia una buona stima della loro collocazione cronologica sia delle
condizioni climatiche necessarie al loro sviluppo, sia calcolando la variazione
dell’insolazione, cioè dell’energia ricevuta dal Sole in un dato luogo in
conseguenza della variazione di orientazione dell’asse della Terra e
dell’eccentricità della sua orbita. Sappiamo
dall’analisi dei reperti fossili compiuta dagli studiosi Overbeck nel 1957 e
Frenzel nel 1966, che nell’Europa centrale nel 600 a.C. circa ebbe inizio una
delle fasi climatiche molto umida che si ripetevano mediamente ogni circa 250
anni. La
temperatura estiva media andò soggetta ad un tendenziale aumento per tutto il
primo millennio a.C. tanto che nel VI-V secolo a.C. in Europa centrale la
temperatura estiva era maggiore di circa 3-4 gradi centigradi rispetto ai valori
attuali. Questo
fatto implicava che il limite delle nevi sui rilievi fosse più alto dai 500 ai
700 metri rispetto ad ora favorendo il valico dei passi alpini da parte delle
popolazioni celtiche dirette verso la pianura padana.
L’aumento combinato di temperatura e di umidità portò con sè, dopo
un certo tempo, un forte aumento del tasso di nuvolosità del cielo come
conseguenza, ma non solo, della maggior evaporazione dei mari.
Infatti tra il 600 a.C. e il 500 a.C. il tasso di nuvolosità media del
cielo era un pò meno di quello attuale e il numero di notti serene annue adatte
all’osservazione astronomica, a Libenice e a Zavist poteva essere compreso tra
120 a 160 a seconda anche del microclima locale. Nel
400 a.C. la situazione era di molto peggiorata infatti il tasso di nuvolosità
del cielo si era grosso modo raddoppiato arrivando,secondo i calcoli ad un
massimo intorno nel 327 a.C. A
quell’epoca il numero medio di notti serene adatte all’osservazione
astronomica si era ridotto a un numero oscillante tra 20 e 30 annue.
L’osservazione astronomica, soprattutto quella delle stelle, non poteva
più essere agevolmente portata avanti nei luoghi in cui i druidi erano soliti
osservare il cielo, quindi i santuari che erano anche veri e propri osservatori
astronomici persero la loro importanza pratica e furono abbandonati. Il
tasso di nuvolosità del cielo è anch’esso un fenomeno quasi periodico per
cui dopo il IV secolo a.C. il cielo ritornò progressivamente ad essere più
frequentemente sereno fino a raggiungere un minimo di nuvolosità media durante
il I secolo a.C., periodo in cui i druidi di Bibracte, presso l’attuale Mont
Beuvray in Borgogna, costruiscono il loro Stagno Monumentale” basandosi su
criteri astronomici e matematici. Il
“BacinoMonumentale” era una vasca
in pietra di forma ellittica destinata a contenere dell’acqua e situata
topograficamente al centro dell’Oppidum di Bibracte, la capitale dello stato
degli Edui. L’oppidum di Bibracte
è stato frequentemente citato da Cesare nel Commentarii
De Bello Gallico e per quanto ci è
dato di conoscere, questa città era sede durante il I secolo a.C. di una scuola
druidica tra le più avanzate della Gallia. L’asse
maggiore dello stagno monumentale è lungo circa 11 metri e il suo asse minore
è lungo 4 metri. Secondo
le misure di R.E. White, astronomo presso lo Steward Observatory in Arizona
(USA) l’asse maggiore è diretto 36.4 gradi ad est rispetto al meridiano
astronomico locale. Le
prime ipotesi indicarono la possibilità che l’asse minore della vasca rituale
fosse diretto verso il punto dell’orizzonte dove il Sole sorgeva al solstizio
d’inverno, ma da analisi più approfondite è risultato che l’asse minore
dello stagno puntava esattamente verso il punto di prima visibilità della
stella Antares quando era in levata eliaca nel I secolo a.C. cioè alla data
della festa di Trinox Samoni e il
conseguente inizio dell’anno celtico. Intorno
al 50 a.C. la levata eliaca di Antares
avveniva secondo i calcoli il 23 Novembre del calendario giuliano. Una
volta riconosciuta l’orientazione astronomica possiamo mettere in evidenza
quali furono i criteri costruttivi della vasca ellittica che sono emersi
analizzando le misure lineari dello stagno.
Tenendo conto del fatto che l’unità di misura lineare usata a per
progettare lo stagno valeva circa 2 metri ci accorgiamo che lo stagno misurava 6
x 2 unità. La
forma ellittica era stata ottenuta intersecando due cerchi di raggio pari a 5
unita ciascuno i cui centri furono posti a 8 unità di distanza l’uno
dall’altro. La
cosa stupefacente è che in questo modo la metà dell’asse maggiore della
vasca viene ad essere lunga 3 unità, la distanza tra il centro della vasca e il
centro di ciascuno dei due cerchi 4 unità e il raggio di ciascuno dei due
cerchi generatori vale 5 unità realizzando così il minimo triangolo rettangolo
pitagorico. Infatti
il triangolo rettangolo con cateti lunghi rispettivamente 3 unità e 4 unità
possiede l’ipotenusa lunga 5 unità. L’importanza
dello stagno monumentale di Bibracte risiede nel fatto che i druidi Edui
conoscevano la geometria pitagorica e la matematica necessaria per eseguire i
calcoli e le applicarono in connessione con le nozioni di astronomia a loro
note. Il
criterio di progettazione dello stagno monumentale di Bibracte fu quindi quello
di determinare inizialmente la direzione verso la quale era possibile osservare
visualmente la levata eliaca di Antares
più o meno nel periodo della festa di Trinox Samoni, quindi fissata su quella
direzione la posizione del centro dello stagno furono disposti, per tentativi, i
centri dei due cerchi generatori di raggio pari a 5 unità finchè venne
ottenuto il triangolo pitagorico “3,4,5”. La
figura risultante dell’intersezione tra i due cerchi fornì la forma ovale
della vasca rituale. L’analisi
delle monete celtiche da un certo punto di vista è più facile rispetto ad
altri reperti in quanto esaminando l’immagine raffigurata è possibile
risalire al periodo in cui furono coniate, con sufficiente precisione. Su
alcune monete coniate dai Celti durante il I secolo a.C. si notano alcune
incisioni importanti. Tra
la grande quantità di pezzi rinvenuti negli scavi archeologici sono da
ricordare le serie complete di monete Armoricane, cioè coniate dalle
popolazioni celtiche stanziate in Armorica, regione geograficamente
corrispondete all’odierna Bretagna, nella Francia settentrionale.
In particolare risultano di estremo interesse le monete coniate dalla
popolazione dei Coriosoliti. Le
monete dei Coriosoliti possono essere generalmente suddivise in sei classi sulla
base degli elementi stilistici presenti su di esse e tali classi seguono una
successione cronologica dovuta all’evoluzione di essi.
Se consideriamo ad esempio una serie di 6 classi di monete coniate
consecutivamente su un intervallo di pochi anni possiamo notare un fatto molto
interessante. Sul
dritto delle sei monete appare una testa umana variamente stilizzata, sul
rovescio invece è raffigurato un cavallo con un cinghiale tra le zampe, ma
solamente nella prima, nella quarta, nella quinta e nella sesta, mentre sulla
seconda e sulla terza appare la raffigurazione di una cometa vista sopra la
linea dell’orizzonte. L’ordine
cronologico delle monete è tale per cui il conio avvenuto durante il periodo di
visibilità della cometa riportò la sua rappresentazione, mentre quando la
cometa non fu più visibile ritornò ad essere rappresentato il tradizionale
simbolo druidico del cinghiale. Gli
archeologi datano questa serie di monete tra il 100 e il 60 a.C. di conseguenza
la cometa rappresentata dovrebbe essere quella di Halley osservata durante il
passaggio dell’anno 87 a.C.. I
Coriosoliti iniziarono a battere moneta dal 90 al 80 a.C. circa, periodo che
risulta in ottimo accordo con l’attribuzione dell’immagine riportata sulle
monete alla cometa di Halley. Durante
il passaggio dell’anno 87 a.C., la data del perielio fu il 6 Agosto del
calendario giuliano. Il
27 luglio precedente la distanza della cometa dalla Terra era, secondo i
calcoli, di 65.8 milioni di chilometri quindi la Halley era molto luminosa nel
cielo. Una
tavoletta babilonese incisa in quel periodo riporta che la cometa aveva una coda
estesa per oltre 20 volte il diametro della Luna piena.
Il periodo di massima visibilità della Halley corrispose più o meno
proprio ai giorni della festa di Lugnasad che tradizionalmente erano anche il
periodo della grande assemblea di tutte le tribù Galliche.
Nell’insieme
delle monete coniate dalle popolazioni celtiche stanziate nelle Channel Islands
esistono quindici classi differenti di monete su cui non solo è rappresentata
una cometa, ma si osserva anche il tentativo di rappresentare le stelle vicino
alla quale essa fu visibile. Rimanendo
nel campo delle monete celtiche Armoricane, possiamo considerare uno statere in
argento coniato tra il 100 a.C. e il 60 a.C. in cui sul verso potrebbe essere
rappresentata, sotto la figura del cavallo, l’immagine della cometa passata
nel luglio del 69 a.C. tra le stelle Alpha e Zeta Virginis (Spica e Heze).
Moneta
armoricana con rappresentata la cometa transitata nel 69 a.C. tra due stelle
della costellazione della Vergine. Un
altro caso molto interessante è rappresentato da una piccola moneta coniata tra
100 a.C. al 60 a.C. nuovamente dai Celti delle Channel Islands sulla quale sono
rappresentate 3 comete, una sul dritto e due sul verso e alcune stelle. Nell’anno
69 a.C. non era passata solo una cometa, quella già menzionata precedentemente,
in occasione dello statere d’argento, ma tre.
La prima cometa apparve nel cielo in direzione ovest a circa 30 gradi dal
pianeta Venere, nel febbraio di quell’anno.
Moneta
degli Abrincatui della Britannia con rappresentata la cometa transitata nel 69
a.C. tra due stelle della costellazione della Vergine. La
seconda cometa cometa passò il 69 a.C. tra Spica
e Heze e la terza apparve in Agosto a nord est della costellazione
della Corona Boreale muovendosi progressivamente in direzione sud.
Moneta
rappresentante le tre comete transitate nel 69 a.C. Il
27 Agosto del 69 a.C. essa attraversò la parte meridionale della costellazione
di Ercole presentando una coda bianca puntata in direzione sud-est. Anche
su alcune monete coniate dagli Edui è possibile riscontrare la presenza
riferimenti di tipo astronomico. Intorno
al 100-60 a.C. gli Edui coniarono una moneta d’argento sul cui verso
rappresentarono l’immagine di una stella sotto l’immagine del cavallo.
In questo caso l’astro rappresentato potrebbe essere stato una Nova o
una Supernova invece che una cometa in quanto manca competamente qualsiasi
accenno alla presenza di coda. L’oggetto
rappresentato potrebbe essere la Nova apparsa il 23 luglio del 69 a.C. nella
costellazione della Vergine che mostrò uno spiccatissimo colore bianco, oppure
la Nova apparsa nella costellazione dei Pesci nel maggio del 76 a.C. oppure
quella apparsa tra i mesi di ottobre e novembre del 77 a.C. nell’Orsa
Maggiore. In
tutti e tre i casi le apparizioni di nuove stelle luminosissime avvennero in
prossimità di una delle feste celtiche. La
rappresentazione di oggetti stellari include un altro caso molto interessante
dal punto di vista archeoastronomico. Si
tratta, in questo caso, dello Statere d’oro di Tincommius coniato in Bretagna
e databile circa dal 20 a.C. al 5 d.C. Su
questa moneta è possibile osservare la presenza della immagine di una stella
che potrebbe essere la Nova esplosa nel mese di Marzo dell’anno 5 a.C. vicino
alla stella Altair nella costellazione dell’Aquila e rimasta visibile per
circa 70 giorni oppure quella apparsa nel 10 a.C. vicino ad Arcturus nella
costellazione di Bootes. Un
altro caso molto simile è quello della moneta di bronzo di Tasciovanus databile
dal 20 a.C. al 10 d.C. in cui, nonostante il cattivo stato di conservazione, si
può notare nuovamente la rappresentazione di un oggetto di aspetto stellare
posto in alto sopra l’immagine del cavallo, sul rovescio della moneta. Probabilmente,
considerata la similitudine con lo statere di Tincommius e la datazione tutto
sommato molto simile, l’oggetto rappresentato pare proprio essere di nuovo la
stella rappresentata sullo statere di Tincommius.
Spostiamoci ora in Britannia, anche qui gli esempi interessanti non
mancano. Infatti era comunissimo
anche presso le tribù britanniche il conio di monete sul cui verso era
rappresentata l’immagine del Sole o di stelle poste analogamente alle monete
galliche sopra o sotto l’immagine del cavallo o anche contemporaneamente in
entrambe le posizioni. Anche in
Gallia furono coniate monete rappresentanti il Sole che sorge (o tramonta)
all’orizzonte e spesso a questa immagine ne venne associata un’altra
rappresentante un occhio posto sulla stessa faccia della moneta. Oltre
alla moneta d’oro fatta coniare da Vercingetorige intorno al 52 a.C., su cui
è rappresentata la falce della Luna sopra l’immagine di un cavaliere, abbiamo
una moneta d’argento risalente al I secolo a.C. sulla quale potrebbe essere
rappresentata una congiunzione di cinque pianeti, molto luminosa verificatasi,
il 28 Novembre dell’anno 47 a.C. I
pianeti interessati furono Mercurio, Venere, Giove Marte e Saturno, tutti
riuniti in un settore di cielo ampio poco più di 9 gradi d’arco nella
costellazione dello Scorpione vicino alla stella Antares,
che come sappiamo era importante per i Celti. Siccome Mercurio non si allontana
che pochi gradi al massimo dal Sole, i cinque pianeti coinvolti furono visibili
prima dell’alba verso est poco prima del sorgere del Sole. In meno di un’ora
fu possibile veder sorgere in sequenza Giove, Marte, Mercurio, Saturno e Venere.
La stella Antares sorse subito dopo
Marte e poco prima di Mercurio. Per ultimo sorse il Sole rendendo quindi
invisibili tutti gli altri astri. Il
28 Novembre corrisponde molto bene alla data di levata eliaca di Antares,
inizio per i Celti della stagione invernale e occasione per la celebrazione
della festa di Trinvxtion Samoni.
La moneta coniata
durante il I sec. a.C.dalla tribù gallica degli
Unelli stanziata
nella penisola del Cotentin. Un
altro magnifico esempio di rappresentazione astronomica ci proviene da una
moneta coniata dalla tribù gallica degli Unelli stanziata nella penisola del
Cotentin nel nord della Gallia, attualmente disponibile in un unico esemplare la
quale sembrerebbe riferirsi esplicitamente all’eclisse di Sole del 6
Marzo 78 a.C. Sul dritto è
rappresentata, come di consuetudine, una testa maschile, ma il verso rappresenta
un lupo a fauci aperte nell’atto di mordere il disco solare che assume quindi
un aspetto falcato. In questo caso l’interpretazione diviene molto suggestiva
in quanto se si avanza l’ipotesi che la falce non fosse quella lunare, ma
l’immagine falcata della frazione di disco solare che rimane visibile durante
un’eclisse parziale di Sole allora potremmo pensare che la moneta degli Unelli
possa rappresentare e ricordare un’eclisse di Sole osservata nella Gallia del
Nord durante il I secolo a.C.
Aspetto del cielo
alla mattina del 6 Marzo 78 a.C. quando avvenne l’eclisse rappresentata sulla
moneta degli Unelli.
Ricostruzione
dell’eclisse del 6 Marzo 78 a.C. osservata dal territorio della tribù gallica
degli Unelli. Sezioni correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer Gennaio 2012
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