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IL
CALENDARIO CELTICO
di
Adriano
Gaspani
I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica
Osservatorio Astronomico di Brera - Milano A
Coligny, nella regione dell’Ain (sud della Francia), antica terra Il
calendario viene fatto risalire al II secolo d.C., in piena epoca gallo-romana,
ma gli studiosi sono concordi nel ritenere che esso sia stato inciso
prevalentemente per scopi liturgici pagani e quindi possa riprodurre fedelmente
il calendario tradizionale celtico correntemente in uso alcuni secoli prima. I
druidi non utilizzavano la scrittura, per cui il fatto di aver ritrovato un
calendario scritto, per di più in lettere latine, non può essere spiegato che
con gli effetti dell’occupazione romana su un insegnamento che era sempre
stato trasmesso per via orale. Il
calendario di Coligny contiene la rappresentazione di una sequenza di cinque
anni lunari completi, ciascuno composto da 12 mesi alternativamente lunghi 29 o
30 giorni, più 2 mesi supplementari, ritenuti essere mesi intercalari
introdotti per rendere lunisolare il calendario. La
sequenza dei mesi rappresentati è la seguente: Samonios (30),
Dumannios (29), Rivros (30), Anagantios (29), Ogronios (30), Cutios (30),
Giamonios (29), Simivisonios (30), Equos (30), Elenbiuos (29), Edrinios (30),
Cantlos (29). Il
numero tra parentesi si riferisce al numero di giorni che compongono il mese. Ciascuno
dei 12 mesi elencati iniziava la notte in corrispondenza della quale la Luna
assumeva la fase di primo quarto. Essi
erano divisi in due parti di 15 più 15, oppure 15 più 14 giorni ciascuno in
modo tale che se la prima quindicina era vincolata dalla fase di primo quarto,
l’inizio della seconda doveva coincidere con la Luna alla fase di ultimo
quarto. I
mesi le cui quindicine erano complete (30 giorni) sono classificati come MAT cioè
fortunati (MATV in lingua gallica), mentre quelli con 29 giorni sono
etichettati con il termine gallico ANMAT
che significa infausto. Fa eccezione
il mese di Equos che è un mese “Anmatv” ma dura 30 giorni.
La prima quindicina, durante la quale la Luna raggiungeva il plenilunio,
era ritenuta un periodo di luce, mentre la seconda quindicina centrata sul
novilunio era ritenuta un periodo di buio. Le
due quindicine sono separate dalla parola gallica ATENOVX
(ritorno al buio, rinnovamento). La
quindicina posta dopo ATENOVX comprende il novilunio e quindi di fatto è il
periodo dell’oscurità, mentre la prima quindicina comprendendo il plenilunio
era il periodo di luce. Il
calendario di Coligny è suddiviso quindi in cinque anni lunari composti da 5
sequenze dei 12 mesi sinodici più due mesi supplementari di 30 giorni ciascuno
per un totale di 62 mesi.
I frammenti del calendario di Coligny collocati nella loro giusta posizione reciproca La
struttura di questo particolare calendario solleva alcuni interrogativi.
Perchè i Celti divisero l’anno lunare in 7 mesi da 30 giorni più 5 da
29 ottenendo 355 giorni e non la soluzione bilanciata di 6 mesi da 29 e 6 da 30
che avrebbe permesso loro di ottenere una valutazione migliore della lunghezza
media del mese sinodico lunare e la corretta lunghezza dell’anno lunare, cioè
354 giorni? Perchè
i druidi decisero di codificare un ciclo lungo 5 anni?
Da dove derivò la necessità di introdurre due mesi addizionali da 30
giorni ciascuno rappresentati sulla tavola uno ogni 30 mesi sinodici lunari?
Per quale motivo i druidi utilizzavano anche un superciclo di 30 anni?
L’accuratezza raggiunta da questo calendario era adeguata per gli scopi
agricoli, sociali e rituali tipici della società gallica del tempo? La
decisione di utilizzare una sequenza di 7 mesi da 30 giorni e 5 da 29 giorni per
ogni anno fu una naturale conseguenza delle osservazioni astronomiche. La
lunghezza media del mese sinodico risultante da questa combinazione è 29.58
giorni. Dalle
loro misurazioni i Druidi si erano accorti che la lunghezza del mese sinodico
lunare sembrava fluttuare nel tempo intorno ad un valore medio, questo fatto lo
rileviamo sperimentalmente dal calendario di Coligny nel quale venne codificato
il valore sperimentalmente osservato e non il valore medio. Infatti
la lunghezza effettiva della lunazione variava durante l’età del Ferro tra
29.27 e 29.84 giorni solari con due periodi sovrapposti, uno di 3307 giorni
(circa 9 anni tropici) ed uno di 413 giorni (1.13 anni) che è esattamente 1/8
del periodo lungo. L’osservazione
delle fasi lunari portata avanti per lunghi periodi di tempo tendeva a
determinare un valore di 29.60 giorni, che è un pò più elevato della
lunghezza media della lunazione (29.53 giorni), ma che risulta in perfetto
accordo con quanto codificato nel calendario.
Quest’ultimo valore conduce in capo a 12 lunazioni ad assegnare 355
giorni alla lunghezza dell’anno lunare invece che 354.
Il valore 355 è proprio la durata dei tre anni ordinari indicati nel
calendario di Coligny e anche dei due rimanenti avendo l’accortezza di
trascurare il mese intercalare che li porta a 385 giorni ciascuno.
Dobbiamo ora chiederci perchè la tavola di Coligny riporta due mesi
addizionali da 30 giorni ciascuno, che vari studiosi hanno interpretato come
intercalari, elencati ogni 2 anni lunari e mezzo portando quindi a 385 giorni la
lunghezza complessiva del primo e del terzo anno rappresentati sulla tavola di
bronzo. I
druidi furono costretti ad introdurre due mesi addizionali con lo scopo di
intercalarli, seguendo qualche criterio, nel corso dei 5 anni lunari per
raggiungere dal punto di vista pratico un accordo ragionevole tra il computo
basato sul Sole e quello basato sulla Luna.
Infatti ogni 2 anni lunari e mezzo si perdeva circa un mese e solo dopo
30 anni si ritornava alle condizioni iniziali, cioè all’accordo tra il
calendario e la stagione climatica. Durante
quel periodo il calendario era retrogradato di un numero di giorni pari ad un
anno lunare. Ecco
quindi spiegata anche l’origine del ciclo trentennale (Saeculum) citato da
Plinio il Vecchio. In
questo modo l’accordo tra il computo solare e quello lunare poteva essere
mantenuto annualmente entro un errore massimo di 30 giorni a meno delle derive a
lungo termine. Il
calendario celtico rappresentò non solo uno strumento liturgico, ma anche un
dispositivo utile in alla pianificazione agricola che va soggetta ai cicli
stagionali in accordo con il Sole e così fanno anche le levate eliache delle
stelle che definivano la cadenza delle feste.
Il vincolo lunare era obbligatorio solamente nel caso della festa più
importante, quella di Trinvx(tion) Samoni che è l’unica espressamente
indicata sul calendario di Coligny in tutti i cinque anni rappresentati.
L’annotazione corrispondente compare in corrispondenza del secondo
giorno della seconda quindicina del mese di Samonios di ciascun anno, quindi due
giorni dopo l’ultimo quarto della Luna. Il
valore della lunghezza dell’anno solare tropico codificato nel calendario di
Coligny è sorprendentemente di 367 giorni.
L’anno di 367 giorni mostra un errore troppo elevato rispetto al valore
vero della lunghezza dell’anno tropico, pari a 365.2422 giorni, per essere
considerato come il valore correntemente noto ai Celti, anche perchè un valore
prossimo a 365.25 giorni era già noto da tempo presso quasi tutte le culture
del Mediterraneo con cui i Celti ebbero contatti fin dall’antichità. La
spiegazione di questo valore anomalo è da ricercarsi nel tentativo di ottenere
un accordo globalmente soddisfacente tra il Sole e la Luna come conseguenza
dell’uso di anni lunari più lunghi di circa un giorno rispetto al valore
corretto e nella necessità di intercalare due lunazioni complete durante i
cinque anni per mantenere l’accordo stagionale.
Sarebbe stato però più accurato intercalare due mesi da 29 giorni
ciascuno, oppure uno da 29 e uno da 30 giorni i quali avrebbero raggiunto
globalmente un’approssimazione migliore rispetto all’inserzione di due mesi
lunghi 30 giorni. L’ipotesi
che la progettazione del calendario sia stata eseguita su basi erronee è molto
difficile da accettare in quanto il calendario di Coligny è il prodotto del
lavoro di studio dei moti del Sole e della Luna e di analisi delle loro
periodicità portato avanti per secoli da persone, che erano rinomate per la
loro notevole conoscenza della natura e dei fenomeni, quindi è molto difficile
credere alla possibilità di una così scorretta valutazione della lunghezza
dell’anno tropico. Rimane
quindi solamente l’ipotesi che per qualche ragione fu conveniente inserire due
mesi intercalari lunghi proprio 30 e non 29.
Incomincia quindi ad emergere il sospetto che il calendario celtico fosse
qualcosa di più di un puro e semplice calendario come lo intendiamo oggi, ma
probabilmente esso doveva servire anche come efficace strumento di calcolo
astronomico. Una
ripartizione rigida come quella descritta non poteva essere considerata ottimale
in quanto il metodo era troppo impreciso per mantenere un accordo ragionevole
tra le stagioni e le fasi lunari per lunghi periodi di tempo.
Proprio a causa del fatto che i due mesi intercalari erano lunghi 30
giorni, in capo ad un Saeculum di 30 anni (6 cicli quinquennali) si ottiene un
disaccordo tra il tempo misurato dal calendario e il tempo realmente trascorso
equivalente a circa due mesi richiedendo la rimozione di una o due
intercalazioni per raggiungere nuovamente la fasatura stagionale.
Il calendario celtico così come è codificato sulla tavola di bronzo
trovata a Coligny pare essere stato messo a punto secondo una logica molto più
complessa di quella che usualmente rileviamo nella semplice struttura lunisolare
con intercalazione rigida. Quest’ultima
ipotesi è supportata da alcuni fatti che qui riassumiamo.
Le lunazioni intercalari comprendono 30 giorni ciascuna quando invece
sarebbe stato meglio aggiungerne due da 29 per ottenere un accordo migliore con
il computo solare. La
struttura dei due mesi intercalari è molto più complessa e ricca di
annotazioni rispetto a quella di ciascuno degli altri 60 mesi che fanno parte
del ciclo quinquennale. Infatti
i nomi dei 12 mesi dell’anno celtico sono annotati in successione cronologica
esatta accanto ai giorni compresi in questi mesi.
Sorge quindi il sospetto che essi non siano solamente semplici mesi
addizionali da intercalare periodicamente, ma qualcosa di più.
Infatti il calendario celtico non tenta solo di realizzare un accordo
ragionevole tra due periodicità fondamentali incommensurabili tra loro, ma è
in grado, mediante un determinato, algoritmo di generare il computo solare
partendo dal ciclo lunare. In
questo il calendario gallico si differenzia da tutti gli altri calendari antichi
oggi noti. Infatti
se da un lato la struttura lunisolare rigida garantiva che i mesi rimanessero
grosso modo coerenti con le stagioni, dall’altro lato era possibile usare la
stessa struttura in maniera più sofisticata per calcolare esattamente la
posizione del Sole e della Luna nel cielo durante qualsiasi giorno dell’anno e
dei “saecula”. L’evoluzione
del ciclo della Luna, fondamentale dal punto di vista rituale, permetteva di
fare previsioni relativamente ai cicli del Sole.
Il primo strettamente legato alla sfera di pertinenza divina, mentre il
secondo utile per scopi pratici agricoli. Il
computo lunare è esemplificato dalla pura e semplice successione dei mesi del
calendario, mentre il computo solare deve tenere conto anche della sequenza dei
giorni elencati negli intercalari e dalle annotazioni che li accompagnano. I
due mesi intercalari rappresentano quindi due tabelle di calcolo che possono
essere considerati come una sorta di memoria, analogamente a quelle dei moderni
computers, in cui è immagazzinata la differenza progressiva tra il computo
solare e quello lunare la quale può essere letta ogni qual volta è necessario
eseguire i calcoli astronomici relativi alla posizione dei due astri nel cielo. Il
calendario di Coligny è da intendersi quindi come un calcolatore analogico atto
a calcolare il computo solare partendo da quello lunare e un almanacco. Esso aveva quindi una triplice funzione: rituale, agricola e astronomica. I druidi potevano prevedere le fasi lunari utilizzando la base del calendario senza intercalari (uso rituale), ma nello stesso tempo avevano realizzato uno strumento lunisolare ordinario destinato alle attività quotidiane (uso agricolo) e usandolo come calcolatore potevano anche rendere conto in maniera accurata dei cicli stagionali in accordo con il Sole e provvedere esattamente alla predizione delle levate eliache e al calcolo delle date delle feste (uso astronomico). Osservando
attentamente le annotazioni in lingua gallica e i caratteri latini incise sui
frammenti di bronzo, si rileva che talune di esse si ripetono con precisa
regolarità in corrispondenza di determinate terne di giorni consecutivi. Le
terne con annotazione ripetuta, talvolta sono quaterne cioè le ripetizioni
compaiono in quattro giorni consecutivi. Inoltre
la loro distribuzione è intervallata attraverso i mesi e gli anni con notevole
regolarità. Ogni
singola annotazione si riferisce generalmente al nome di un mese dell’anno
ripetuto più volte, una volta per ogni giorno appartenente a ciascuna terna o
quaterna. Molto
spesso lo stesso mese viene usato in due terne successive declinato, in lingua
gallica, in casi diversi. Usualmente
i giorni interessati dalle terne sono i VII, VIII e VIIII di ciascuna quindicina
di ogni mese più qualche mese in cui si osservano le terne nei giorni I, II e
III della seconda quindicina, subito dopo ATENOVX, quindi sostanzialmente le
terne identificano le fasi lunari sizigiali cioè il plenilunio e il novilunio,
ma talvolta è marcato anche l’ultimo quarto. Questo
suggerirebbe che non solo le fasi di primo e di ultimo quarto erano importanti,
ma anche i pleniluni e i noviluni meritavano attenzione presso i Celti. Ricordiamo
che quando la Luna si trova alle sizigie, se anche il Sole è sufficentemente
prossimo ad uno dei nodi dell’orbita lunare, si possono verificare le eclissi. I
giorni possibili per il verificarsi delle eclissi sono proprio quelli marcati
sul calendario di Coligny con le terne. I
druidi sapevano certamente che quando la Luna raggiungeva la sua estrema
latitudine eclittica (positiva o negativa) durante il suo ciclo mensile e la sua
fase era contemporaneamente il primo oppure l’utimo quarto allora sette giorni
dopo era possibile il verificarsi di un’eclisse.
Se il giorno in cui la Luna era stata osservata alla sua massima distanza
dall’eclittica, cadeva il primo o il quindicesimo giorno di un mese
dell’anno celtico allora sette giorni dopo i druidi erano in grado di
prevedere con un buon margine di sicurezza un’ eclisse di Luna o di Sole.
L’eclisse di Luna era pressochè sicura, ma quella di Sole poteva
avvenire, ma non essere visibile nella località in cui il druida si trovava.
Il metodo basato sull’osservazione della posizione della Luna rispetto
all’eclittica funziona, ma è caratterizzato da un alto tasso di errore e dal
fatto che esso permette solamente di eseguire previsioni a scadenza breve,
solamente sette giorni di anticipo. I
druidi avevano certamente osservato che le eclissi di Luna si ripetevano
mediamente circa ogni 6 lunazioni (13 semiperiodi latitudinali) quindi bastava
semplicemente attendere che durante i giorni VII, VIII o VIIII della prima
quindicina di un mese qualsiasi del calendario avvenisse un’eclisse di Luna. Successivamente
l’applicazione della regola di aggiungere 6 lunazioni si concretizzava nella
previsione dell’eclisse di Luna per gli stessi giorni VII, VIII o VIIII del
sesto mese successivo e così di seguito. Il
calendario di Coligny indica quindi che le eclissi di Luna cadevano
alternativamente sempre alle stesse date di calendario lunare, mediamente sempre
il giorno VIII della prima quindicina di due mesi separati da mezzo anno
sinodico lunare. Occasionalmente,
ogni 30 mesi, l’introduzione del mese intercalare faceva retrogradare di un
mese la data prevista. Esistendo
una differenza di 0.3 giorni tra 6 lunazioni medie esatte e 13 semiperiodi
latitudinali avverrà che ogni tanto l’eclisse prevista mancherà
all’appuntamento, ma si verificherà nei giorni VII, VIII o VIIII della prima
quindicina del mese precedente. Questo
fenomeno si verificherà con periodicità pari a 41, 47 e 53 mesi del calendario
celtico, periodicità che potevano essere note ai druidi senza eccessiva
difficoltà. Un’altro
fenomeno è quello della ripetizione di due eclissi di Luna in due lunazioni
successive. Questo
fatto implica che in due mesi consecutivi del calendario celtico avvenissero due
eclissi di Luna distanti una lunazione, ma sempre nei giorni VII, VIII oppure
VIIII del mese. Questo
fenomeno avviene con periodicità pari a 53, 82 e 135 mesi del calendario
celtico. I
druidi potevano quindi prevedere agevolmente e con un errore relativamente
ridotto le eclissi di Luna che si verificavano in un dato luogo utilizzando
solamente il calendario e una semplice regola di calcolo mnemonico e di facile
applicazione pratica. La
previsione delle eclissi poteva essere eseguita con successo mediante la
ricorsività di 6 mesi di calendario, ma anche altre ricorsività potevano
risultare utili. Le
ricorsività di 6, 35, 41, 47, 53, 82, 88, 94, 129, 135, 223,...,358,...
mesi del erano tutte utili previsori compresi in un “Saeculum” e forse erano parimenti note ai Druidi che se servivano
per il calcolo per lo meno delle eclissi di Luna. Osservando
la struttura del calendario di Coligny ci accorgiamo che il “Saeculum” di
Plinio vale praticamente quanto un ciclo di 358 lunazioni, quindi il periodo
trentennale del calendario celtico sembrerebbe calibrato su uno dei cicli
fondamentali delle eclissi. L’importanza
di una rilettura della tavola di bronzo di Coligny risiede nel fatto che alla
luce di questi fatti è richiesta una differente valutazione delle conoscenze
astronomiche e matematiche dei Celti le quali risultano decisamente ricche e
accurate. Dobbiamo
comunque ammettere che il calendario così strutturato doveva essere per forza
di cose gestito esclusivamente dalla classe druidica e dai suoi membri che ne
fecero anche uno strumento di potere. L’algoritmo
base per usarlo è mnemonico quindi non esisteva la necessità di scriverlo, in
accordo con le usanze dei Druidi che ritenevano fondamentale tramandare le
conoscenze solo oralmente. Il fatto
che nel secondo secolo dopo Cristo il calendario fu redatto in forma scritta
potrebbe essere il segno che dopo l’invasione romana la classe druidica si
dovette accontentare di pochi allievi, in quanto la maggioranza della gioventù
appartenente all’aristocrazia gallica preferiva studiare il latino e il greco
presso i Romani e non più la scienza dei padri presso i druidi. Essi
furono quindi costretti a scrivere ciò che aveva sempre tramandato oralmente in
quanto la complessità del meccanismo di gestione calendariale era era ormai
tale da essere oltre le usuali abilità del clero rurale del tempo. Da
queste e da altri studi tutt’ora in corso incomincia ad emergere un’altra
immagine del popolo dei Celti. L’immagine
dei barbari viene via via smantellata è sostituita con quella di un popolo
dedito allo studio, all’osservazione e all’interpretazione della natura. Gli
studi e le nuove scoperte che verranno fatte riguardo ai Celti dovranno essere
interpretate, d’ora in poi, con questa nuova chiave di lettura. Una
delle abitudini tipiche degli studiosi del mondo celtico è sempre stata quella
di fare riferimento al mondo irlandese antico per almeno due motivi. Il primo è
relativo al fatto che l’Irlanda non fu invasa dai Romani, quindi le antiche
tradizioni celtiche non subirono l’effetto della “romanizzazione”
come invece avvenne nel caso del resto dell’Europa celtica. Il
secondo motivo è che parallelamente all’archeologia e’ possibile far
riferimento ad un esteso corpus di leggende, tradizioni e tutta una serie di
testi mitologici che furono accuratamente e ripetutamente trascritti, commentati
ed accuratamente glossati dai primi monaci cristiani irlandesi i cui manoscritti
sono giunti in gran parte fino a noi. E’ quindi necessario confrontare quanto
noto per i Celti di Gallia, con quanto sappiamo dei Celti d’Irlanda, nel campo
della misura del tempo e del calendario. (Autore:Adriano Gaspani)
Sezioni correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com Avvertenze/Disclaimer Gennaio 2012
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