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MONTE SAN VICINO: L’OLIMPO DEGLI DEI

(testo e foto di Danilo Baldini*)

Recentemente** è uscito un interessante articolo di Padre Umberto Picciafuoco sull’etimologia del nome “San Vicino”. Ricordo che già dai tempi in cui facevo parte dell’Archeoclub di Matelica, oltre 20 anni fa, mi occupai di questo singolare toponimo, molto particolare, anche perché nell’elenco ecclesiale dei santi, come confermato dallo stesso Picciafuoco, non esiste alcun santo di nome “Vicino”.
Dato che il monte San Vicino è la vetta più alta della nostra vallata, ed anche la maggiore della dorsale appenninica marchigiana (parallela a quella umbro-marchigiana), la montagna doveva avere avuto, sin dalla più remota antichità, una particolare importanza per le popolazioni che abitavano alle sue pendici. Il San Vicino è infatti visibilissimo sia che si arrivi da ovest, cioè dalla vicina Umbria o da est, quindi dalla costa del mare Adriatico, ma la sua sagoma è inconfondibile anche se lo si guardi da sud, cioè dai monti Sibillini, o da nord. La montagna, quindi, ha sempre rappresentato un importante punto di riferimento “visivo” per coloro che si spostavano a piedi o a cavallo lungo le vie di comunicazione tra gli empori della costa adriatica (Ancona, Numana ecc...) e l’Etruria. Ma il monte San Vicino ha anche un’altra particolarità: esso infatti, a seconda da dove lo si guardi, cambia aspetto! Visto da Matelica e dalla sua vallata ha una forma piramidale, se lo si guarda dal fabrianese o dal maceratese assume un aspetto “gibboso”, a gobba di cammello, infine dall’anconetano o dal mare esso ha una forma trapezoidale. 

 

Questa sua apparente “trasfigurazione” ha quindi contribuito ad assegnare alla montagna una componente “magica” e dunque “sacrale” per le antiche popolazioni umbre e picene, conservatasi poi in epoca romana e fino ai giorni nostri. 

 

Questa tesi è avvalorata dal ritrovamento, quando venne eretta la prima croce di legno sulla vetta del San Vicino, di idoletti e bronzetti votivi, ma, molto più recentemente, anche di altro materiale, fra cui spicca una moneta di “Apamea”, antica città della Frigia (odierna Siria). Ora ci si chiederà cosa ci facesse una moneta di una città asiatica tanto lontana sulla vetta del nostro San Vicino ? In seguito a mie ricerche, ho scoperto che nel II° sec. d.C., la città di Apamea venne occupata dalle truppe romane dell’Imperatore Traiano e da questi ricostruita nel 115 d.C., dopo che la stessa era stata completamente distrutta da un devastante terremoto. Ora sappiamo che molti romani dell’antica “Matilica” (tra cui il famoso Caio Arrio) vennero arruolati nelle legioni di Traiano e parteciparono a varie campagne di conquista di quell’Imperatore, sotto di cui l’Impero romano raggiunse la sua massima espansione. E’ più che plausibile, quindi, che uno di questi legionari, tornato in patria alla fine della sua carriera militare, sia salito in vetta al San Vicino e lì abbia sepolto una parte del proprio bottino di guerra, fra cui la suddetta moneta, come offerta di ringraziamento alle divinità che ivi dimoravano. Del resto, fino a non molti decenni orsono, era ancora in voga a Matelica partire la notte del solstizio d’estate per salire in vetta al monte San Vicino e da lassù osservare il sorgere del sole dal mare nel giorno più lungo dell’anno, probabile reminiscenza di qualche antichissima processione sacra che aveva proprio il San Vicino come meta e luogo di rito. Appurato quindi che il nostro monte sia stato in antico un luogo sacro, rafforzato anche dall’attributo “san”, cercherò ora di dare una spiegazione plausibile al termine “vicino”. Molti anni fa, sfogliando un vecchio vocabolario di latino, trovai la locuzione “vicilinus”, che tradotto in italiano significa “vigilante”. Esso era uno dei vari appellativi che venivano dati a Giano (Janus), la più antica delle maggiori divinità italiche e romane, più importante persino dello stesso Giove. Nella religione più antica, Giano era una divinità solare, associata all’alba, quindi al “principio” del giorno e, per estensione, all’inizio di tutto e per questo il primo mese dell’anno romano, Gennaio (Januarius), prese il suo nome. Essendo una divinità solare, legata al ciclo del giorno, Giano era associato anche alla “fine”, cioè al tramonto e per questo lo ritroviamo raffigurato con due teste, una che guarda ad est e l’altra rivolta ad ovest (Giano bifronte). Le porte del suo tempio a Roma si aprivano infatti ad est ed ad ovest. Essendo quindi una divinità collegata ai punti cardinali, essa era la protettrice degli incroci, delle strade e quindi dei viandanti, sui quali “vigilava”, la sua statua era infatti sempre presente in prossimità dei crocevia. Per estensione, Giano era anche la divinità che vigilava sui confini e, guarda caso, la catena del monte San Vicino rappresentava in antichità il confine tra le città di stirpe umbra (come Matilica, Tuficum ecc...) da quelle di origini picene, situate ad est della dorsale montuosa. D’altra parte che nella nostra zona il culto al dio Giano fosse molto diffuso ne abbiamo riprova in parecchi toponimi ad esso legati, come il fiume Giano che attraversa Fabriano e si immette nell’Esino in prossimità di Borgo Tufico (Tuficum), proprio ai piedi del San Vicino. Ma soprattutto nel toponimo della Gola di Jana (da “Janua”, “porta”), situata alle falde del monte e dove, guarda caso, sin da epoche remotissime, esisteva una strada che metteva in comunicazione l’Adriatico con l’Umbria e l’Etruria, esattamente con direzione est-ovest! Siccome la dimora delle maggiori divinità era l’Olimpo e questo solitamente era identificato nella montagna più alta della zona, non si può escludere quindi che le antiche popolazioni che abitavano alle falde del San Vicino identificassero la nostra montagna proprio come la dimora di “Janus Vicilinus”, termine poi trasformatosi nel corso dei secoli in “vicinus” e quindi in “vicino”.

(*si pubblica su gentile concessione dell'Autore. L'articolo** è stato pubblicato  nel 2006 sulla stampa locale-Matelica (MC).

 

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