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“JANA” ED IL CULTO DEL DIO GIANO NELL’ANTICA “MATILICA”         (di Danilo Baldini)


In un mio articolo pubblicato lo scorso anno avanzavo la possibilità che il toponimo del monte “San Vicino”, potesse derivare da “Janus Vicilinus”, un appellativo che veniva dato alla divinità italica e romana Giano, adorato fin dall’antichità come “Ani” dagli Umbri e dagli Etruschi e che quindi la montagna stessa fosse in epoca antica consacrata a questa divinità pagana.
Qualche tempo dopo l’uscita dell’articolo, venni informato, da fonti certe, che anni addietro, in seguito a scavi clandestini eseguiti proprio sulla sommità del monte San Vicino, furono portate alla luce numerose monete di epoca italica e romana, raffiguranti il dio Giano Bifronte.
Questo fatto, di cui non ero a conoscenza, è un ulteriore contributo a favore della mia teoria sulla consacrazione della montagna al dio Giano che, lo ricordo, è anche la più antica delle maggiori divinità italiche e romane, in origine identificata con lo stesso Giove.
Ma nell’articolo accennavo anche alla presenza di altri toponimi nella zona che potevano essere riconducibili al culto di questa divinità. Uno di questi è la famosa “
Gola di Jana”, bellissima forra terminante con una suggestiva cascata, situata alle falde del monte San Vicino, pochi chilometri a Nord-Est da Matelica

La radice indoeuropea del suo nome “ia” allude al concetto di “passaggio”, come il gaelico “ya-tu” (guado) ed il sanscrito “yana” (porta). In effetti, il dio Giano era il “custode delle porte” (“Ianitor”, da “ianua”, in latino “porta”) e di ogni passaggio, quindi anche di ogni inizio (anno, mese, giorno ecc…).Giano era dunque una divinità solare che aveva il controllo delle “Porte del Cielo” (Januae caelestis aulae), aperte all’alba (Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente e “iani” in latino si chiamavano infatti gli archi di passaggio a forma di volta, simbolo della volta celeste. Questa tesi viene autorevolmente sostenuta anche dal Prof. Andrea Antinori, esperto geologo e docente di geografia, nel suo libro “I Sentieri del Silenzio”, il quale sottolinea, fra l’altro, come le varie “Valli di Jana” del nostro Appennino siano quasi sempre costituite da anguste forre e da pareti a precipizio che sembrano chiudersi come una volta o un arco, cioè come delle vere e proprie “Porte della Montagna”. 

A questo proposito vorrei far notare come la Gola di Jana sia, guarda caso, disposta in direzione Est-Ovest e corrisponda quindi perfettamente alla descrizione sopra riportata. Inoltre, vi è anche il fatto che, fin dall’antichità, questa valle era attraversata da un’importante strada che metteva in comunicazione l’Adriatico ed il Tirreno, utilizzata dai mercanti greci che, dagli empori di Numana ed Ancona, commerciavano con le città-stato etrusche. Ma Giano era anche colui che apriva e chiudeva ogni anno le Porte Solstiziali, che rivestivano un’importanza fondamentale in quanto erano i punti estremi di levata e tramonto del Sole, cioè quelli che segnavano il giorno più lungo e quello più corto dell’anno. 

  • A dimostrazione di ciò, osservando la levata del Sole nel giorno del Solstizio d’Estate (21 giugno) dal centro storico di Matelica (dal Palazzo delle Poste) ho potuto notare come esso sorga esattamente nella sella posta tra i monti Colle del Vescovo e Pagliano, che rappresenta appunto la “Porta d’Oriente” della Valle di Jana ! Viceversa, osservando da Jana o da Roti il tramonto del Sole nel giorno del Solstizio d’inverno (22 dicembre), si noterà come esso declini in direzione di Matelica e delle montagne situate a Sud-Ovest.

 

  In origine, quando il dio Giano veniva raffigurato bifronte su sculture e monete, le due facce erano una barbuta e l’altra no, forse a simboleggiare il “maschile” ed il “femminile”, quindi il “Sole” e la “Luna”. Anche Plinio il Vecchio lo rappresenta come un dio solare a due facce, mentre Macrobio nei Saturnalia dice che Gennaio (Januarius) era dedicato a Giano, dio con due facce, in quanto fuso con Jana, cioè Diana, chiamata da Varrone anche “Jana Luna”, la dea della luce lunare, protettrice dei boschi e delle fiere selvagge. Varrone sostiene anche che Janus era il vero “dio del cielo” e lo identificava addirittura con Juppiter, cioè con Giove stesso !
Janus, quindi, sarebbe il “doppio” o il “gemello” di Jana, (come Dianus di Diana), derivando i loro nomi dalla medesima radice ariana “Di”, che significa “risplendente di luce”. E’ chiaro, quindi, come nella “Matilica” antica fosse molto radicato il culto di questa divinità duplice della “luce” e, di conseguenza, anche nei confronti del Sole e della Luna. A questo proposito anche il toponimo del monte Argentaro potrebbe derivare dal culto della Luna, in quanto ho potuto più di una volta osservare come questa montagna, posta al lato sud della Gola di Jana, risplenda di color “argenteo” quando l’astro della notte sorge alle sue spalle. 

Ma che l’area fosse stata in antichità importante per i culti legati agli astri celesti è testimoniato anche dal toponimo “Roti”, da “rota”, cioè “ruota”, che in questo caso rappresenta un simbolo solare (i raggi del Sole), ma soprattutto il “ruotare” del Sole e della Luna nell’arco celeste. In effetti, sempre all’alba del Solstizio estivo, il disco solare nella sua ascesa al cielo sembra “rotolare” lungo il fianco del monte Pagliano, che delimita a sud la Porta d’Oriente della Valle di Jana e lo stesso effetto visivo, in maniera anche più suggestiva, è compiuto dal disco lunare, ma al Solstizio invernale. E’ certo, quindi, che in antichità fosse stato edificato in quell’area un tempio dedicato a questa duplice divinità “Giano-Jana”, “solare-lunare”, e personalmente ritengo che esso fosse ubicato nel luogo dove poi fu costruita l’Abbazia di Roti. 

Infatti, i grandi lastroni di pietra squadrata presenti nell’aia di fronte l’Abbazia, non appartengono al contesto architettonico del complesso abbaziale e potrebbero quindi essere stati il basamento del tempio pagano di Giano-Jana, poi distrutto dai primi monaci benedettini che edificarono l’Abbazia di Santa Maria de Rotis. Una tesi sostenuta autorevolmente anche dall’illustre latinista Don Amedeo Bricchi, autore di vari libri di etimologia del dialetto matelicese, il quale sosteneva appunto che il termine “rotis” indicasse la presenza in loco di un edificio pagano di culto solare, poi soppiantato dalla costruzione dell’Abbazia benedettina, come del resto avvenuto anche per l’Eremo di San Silvestro sul Monte Fano a Fabriano e in molte altre parti d’Italia.
In conclusione, quindi, l’area di Jana e di Roti rivestiva in antichità un’importanza fondamentale per la religione, la cultura e l’identità stessa della “Matilica” umbra, tanto da essere considerata un’area “sacra ed inviolabile” per i nostri antenati. Un motivo in più, quindi, per meritare oggi una tutela ed una salvaguardia totale mediante l’istituzione della Riserva Naturale Regionale di Roti, Acqua dell’Olmo, Canfaito e Valdiola !



(Autore:Danilo Baldini)

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                                                    febbraio 2007