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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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(parte seconda- di Michele Trapani) Visitare
il museo Whitaker, sito nell’isola di
Mozia (o Motya), è un’esperienza così ricca ed
affascinante che appare impossibile esaurire l’argomento in un solo
articolo. Riprenderemo dunque il lavoro da dove lo abbiamo lasciato
sperando di fare cosa gradita e di fornire delle notizie utili e
stimolanti la riflessione di ognuno. Proseguendo
nella nostra visita ci siamo imbattuti a più riprese nel misterioso
simbolo della dea Tanith, la divinità madre dei Fenici. L’immagine
è così frequente che una sua analisi, parlando di questo antico popolo,
ci sembra d’obbligo. L’emblema
della Dea, nella sua accezione più generale, presenta una forma grafica
molto semplice. E’ costituito da un triangolo equilatero ed un cerchio;
tra le due figure geometriche abbiamo un tratto orizzontale. Molti
scorgono in questa rappresentazione una figura stilizzata femminile. Ovviamente
costoro non hanno torto anche se ci sembra davvero un peccato esaurire la
questione in un sol rigo, in semplicità e scioltezza, è vero, ma anche
con una certa dose di indifferenza nei confronti di una simbologia sacra. Indi
cercheremo di andare oltre, alla ricerca dei significati riposti in questa
rappresentazione che ha tanto affascinato i nostri antenati Fenici. Come
nostro costume utilizzeremo alcuni passi presi a prestito dal “De
Iside et Osiride” di Plutarco giudicando questo documento
(ed annesso autore) assai degni di fiducia. <<
I Pitagorici hanno assegnato nomi divini anche a certi numeri e a certe
figure geometriche. Il triangolo equilatero lo chiamavano Atena
corrufagena (nata dal vertice) e tritogenia (nata dalla triade) perché
viene suddiviso esattamente in parti uguali dalle tre perpendicolare
condotte da ciascuno dei tre angoli >>. Altrove il
nostro autore asserisce che <<
Iside viene spesso chiamata col nome di Atena, perché esso significa
qualcosa come “venni da me stessa”, allude quindi a un moto spontaneo >>. Questa
citazione, or dunque, sembrerebbe stabilire un legame tra la dea Iside e
Tanith per mezzo del nostro triangolo equilatero. Già altrove ci siamo
soffermati a considerare l’assai frequente adozione, da parte dei
Fenici, di iconografie e simbologie religiose di chiara origine egizia,
pensiero qui ulteriormente confermato. Tornando
alle nostre Dee, le due figure rappresenterebbero una stessa verità
fondamentale, idea che viene poi chiarita dallo stesso sacerdote greco: <<
Iside è il principio femminile della Natura, quello cioè che accoglie
nel suo seno i germi vitali dell’intero universo. Platone la chiama
“nutrice e grembo che tutto riceve”>> Sebbene in
molti sarebbero tentati di rispondere affermativamente alla questione noi
non potremmo essere dello stesso avviso. Anzi, giureremmo d’aver visto
l’emblema di questa Regina (o meglio una sua “evoluzione”) a bella
posta su musei, banche e, in generale, su edifici comunali, provinciali e
regionali siciliani… persino sulle divise della polizia municipale.
Molti avranno già capito che ci stiamo riferendo al simbolo adottato dalla regione Sicilia altrimenti conosciuto come “Trinacria” (Omero, infatti, nella sua Odissea, chiama l’isola “Thrinakie”, che deriva da “thrinax” : dalle tre punte). Anche in
quest’ultimo caso abbiamo un triangolo equilatero con un volto femminile
tondeggiante ed alato posto nella sua porzione centrale ed ornato di
spighe di grano. In effetti
il nome “Sicilia”, secondo un ipotesi del filologo Carlo Pascal
(1905), deriverebbe dalla radice indo/germanica “sik”
significante “ingrossamento,
crescita”. Tutto questo metterebbe il termine in relazione alla
terra fertile dalla quale, per germinazione, derivano buoni frutti, fiori,
erbe e ovviamente le spighe di grano con le quali, poi, si fa il pane
eucaristico. La
nostra zucca, svuotata e fatta seccare, veniva utilizzata come borraccia
per l'acqua. E ancora:
“suke” (sukÁ), “fico”, pianta e sacra a Dioniso e connessa
al culto della dea madre i cui frutti stillano un emblematico succo bianco
e gommoso. Inoltre
“sigao” (sigaw) vuol dire “tengo segreto, taccio” ed infine
“Silenos” (Silhnoj) ovvero “Sileno, Satiro” in omaggio al
mirabile soggetto di un nostro
precedente lavoro. Se poi si
volesse prestar fede al parere di M. Adams (“Book of The Master of the
Hidden Places” - 1933) il nome dell’isola gli sarebbe stato dato dal
popolo dei “Sikeli”, termine quest’ultimo che, a sua volta,
deriverebbe da una parola egiziana che significa “figli
dell’angolo”. Il lettore
ricorderà che questo non è il primo riferimento al “vertice” (o
“angolo”) in cui ci siamo imbattuti in questa sede. <<
L’angolo è il gioiello che viene posto sulla mummia sacra… è il
pat-aik, “l’angolo d’oro”, il simbolo di cui potevano ornarsi
soltanto gli dei più importanti come Ptha, il quale aveva modellato
l’uomo con la creta… esso rappresenta la pietra angolare, ed è
chiaramente connesso con il simbolo massonico primario dell’angolo retto
>>. (M.Hedsel,
L’Iniziato) L’apposizione
di questo ornamento “angolare” sulla mummia ci farebbe scorgere un
collegamento con la “morte” e spiegherebbe come mai, nel nostro museo,
abbiamo notato un buon numero di steli (“pietre tombali”), rinvenute
nel tophet dell’isola, recanti immagini femminili che ricordano
fortemente la nostra Dea. Di poi un
altro simbolo, a nostro avviso, fortemente collegato sia a Tanith che alla
Trinacria è la famosa vergine nera di Notre Dame du Puy, nella quale
ritroviamo la stessa forma triangolare e delle decorazioni di spighe nella
veste analoghe, tra l’altro, a quelle dell’emblema siciliano. Impossibile
non notare un minimo comun denominatore, idea unica ed intima, fondamento
e radice protrattasi per millenni accomunante figure sacre e profane. Un’ultima
osservazione sul triangolo equilatero: sicuramente
ad i lettori più attenti non sarà sfuggito il fatto che tradizionalmente
il triangolo equilatero con il vertice verso l’alto viene associato ad
uno dei quattro elementi e precisamente al “fuoco”. Essendo che
il costituente igneo per eccellenza viene considerato come “attivo” e
maschile, questa elementare attestazione potrebbe apparire in aperto
contrasto con la figura invece femminile della Dea Madre. Ancora
una volta ricorriamo al prezioso aiuto di Plutarco: <<
Gli egiziani chiamano quindi la Luna “madre del cosmo”, e le
attribuiscono una natura androgina: fecondata e resa gravida dal Sole,
infatti, essa rilascia ancora nell’aria degli elementi germinali, e li
dissemina >>. Indi
se ne deduce che anticamente la Grande Dea veniva considerata come
fecondante e fecondata, come maschio e come femmina, unione dell’attività
ignea e dell’umidità terrestre. La doppia natura della nostra vergine
potrebbe farla confondere con la figura di Hermes (Mercurio per i Romani);
anche questo Dio, infatti, presenta contemporaneamente caratteri sessuali
maschili e femminili. Pur
tuttavia in una stele, conservata al Museo archeologico Baglio Anselmi a
Marsala, si può vedere che le due figure (Tanith ed il caduceo di Hermes
rispettivamente) sono rappresentate distintamente anche se in
“circostanze” comuni. Inoltre
l’ultimo passo plutarcheo citato, con il suo riferimento all’elemento
aereo, consente di comprendere come mai la figura della Madre si ritrova
spesso raffigurata su un Thymiaterion, ovvero un incensiere (brucia
profumi), oggetto rituale anticamente utilizzato dai sacerdoti.
In effetti
Plutarco a tal proposito scrive: “L’atmosfera della quale e nella
quale viviamo non mantiene sempre una composizione costante: di notte si
raddensa e grava sul corpo, e porta l'anima alla depressione e
all’ansia, rendendola vorrei dire fumosa e pesante. Per questo, non
appena si alzano, essi (i sacerdoti) subito bruciano della resina
e in questo modo migliorano l’aria e la purificano rendendola più
leggera.” Questo
pensiero ci pare in perfetto accordo con quanto espresso, nel 1533, da Cornelio
Agrippa nel suo celeberrimo “De Occulta Philosofia”: “L’aria
è uno spirito vitale che penetra ogni essere e tutti li fa vivere,
agitando tutto e tutto riempendo di se… essenza che tonifica gli
ingranaggi della Natura. L’aria è
la prima a ricevere le influenze celesti, che poi comunica agli altri
elementi semplici e a quelli misti; essa riceve altresì, come uno
specchio divino, le impressioni di tutte le cose, naturali e celesti”. Ma chiudiamo
questa parentesi e torniamo alla nostra Dea androgina. A tal
proposito sappiamo che Venere anticamente (ed in particolare la Venere
siriana) veniva spesso rappresentata di natura androgina e la coppia
Afrodite/Efesto era considerata come un’unica divinità padrona del
cielo e della terra. Che vi sia
una correlazione tra Afrodite e la Dea Madre? Per
rispondere a tale singolare quesito torneremo all’effigie di Tanith
dalla quale siamo partiti. Fino ad ora, infatti, ci siamo occupati della
porzione triangolare del simbolo in questione, spendiamo dunque qualche
parola per quanto concerne gli altri due elementi, ossia il tratto
orizzontale ed cerchio posti superiormente. Ebbene
questi due elementi grafici ricordano molto da vicino l’Ank, o croce
ansata egizia, immagine connessa alla “vita eterna” dalla quale
deriverebbe l’attuale emblema del pianeta Venere.
Vediamo
dunque cosa scrive a proposito di questa simbologia Fulcanelli nella sua
opera, oramai consacrata, de “Il Mistero delle Cattedrali”. Il
nostro alchimista, oltre a fornire delle delucidazioni in merito all’Ank,
provvede anche ad un mirabile sunto di tutto ciò che sin qui ci siamo
sforzati d’esporre. <<La
pianta dei grandi edifici religiosi del medio evo, scrive il nostro
autore, con l’adozione di un’abside semicircolare o ellittica saldata
al coro, segue perfettamente la forma del segno ieratico egiziano della
croce ansata, che si legge ank,
ed indica la “via universale” nascosta nelle cose… d’altra parte
l’equivalente ermetico del segno ank è l’emblema di Venere o Cipride
(in greco kuprij, l’impura), il rame volgare che alcuni altri,
per nascondere ancora di più il senso, hanno tradotto con “bronzo” ed
“ottone”. “Imbianca l’ottone e brucia i tuoi libri” ci ripetono
tutti gli autori migliori. Kuprj è
lo stesso di Soufroj, zolfo, che
significa ingrasso, sterco, letame, immondizia. Il Cosmopolita scrive:
”Il Saggio troverà la nostra pietra perfino nel letame mentre
l’ignorante non potrà neanche credere ch’essa esista nell’oro”.
Così la
pianta dell’edificio cristiano, col segno della croce, ci rivela la
qualità della materia prima, e la sua preparazione; per gli alchimisti
quest’indicazione termina con l’ottenimento della prima pietra, pietra
angolare della grande Opera filosofale. >> In
questo nostro viaggio attraverso i secoli e da una simbologia ad un altra,
abbiamo cercato di rispettare, per il meglio che ci è stato possibile, la
legge dell’analogia, unica vera chiave che consente l’accesso al
santuario della Natura.
In
conclusione di questo nostro scritto, ci sembra doveroso rivolgere le
nostre preghiere e le nostre speranze alla misteriosa Regina del Cielo e
della Terra…
Sublime
Vergine ricoperta di lordura; Modello
perfetto di obbedienza e sacrificio; Alimento
vivo dell’universo; Nutrice del
nostro Sole; Santa madre
degli uomini; Sii nostra
guida nella notte oscurata dalle tenebre; Mostraci la stella affinché un giorno possiamo contemplare il frutto del tuo grembo venuto a liberare il mondo da tutti i mali. (autore:Michele Trapani)
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