La Rotonda di San
Galgano e le chiese a pianta circolare
(di Paolo Galiano)
Nell’ambito
di uno studio sul piano architettonico ma anche mitico-cavalleresco della
Rotonda di San Galgano a Montesiepi (foto sopra) presso Siena (P. Galiano
“Galgano e la Spada nella roccia”, ed. Simmetria, Roma 2007) ho fatto una
ricerca, di certo non esaustiva, sulle chiese a pianta circolare in Italia e
in Europa, per verificare l’eventuale esistenza di analogie di significato e
di tecnica costruttiva con questa Rotonda, al centro della quale il
Cavaliere Galgano infisse la sua Spada nella roccia.
Ho estratto
dal saggio citato qualche esempio di queste chiese, alcune delle quali già
presentate in Duepassinelmistero, in particolare quelle che mi sono
parse più interessanti nel raffronto con la Rotonda di Galgano, chiesa e
mausoleo al tempo stesso, costruita probabilmente per motivi che andavano al
di là dell’esclusivo significato religioso.
Dal punto di
vista architettonico la maggiore particolarità della Rotonda è data dal
fatto che, pur essendo di pianta circolare, nessuno dei suoi elementi (porte
e finestre) è in asse con qualcuno degli altri, fatta eccezione per due dei
quattro oculi posti al sommo del cilindro, diretti sul tramonto dei due
Solstizi (foto seguente):
Oltre a
suddividere le chiese a seconda della data di fondazione in preromaniche e
romaniche, ho fatto altresì una distinzione fra chiese “a pianta rotonda o
circolare” e “chiese tipo Anastasis”, perché, anche essendo le seconde a
pianta centrale (circolare o ottagonale), il loro significato è del tutto
differente: l’Anastasis è la chiesa costruita da Costantino sul Sepolcro del
Cristo, quindi legata al fondamentale evento cristiano della Morte e
Resurrezione del Dio fattosi uomo, e il gran numero di chiese di questo tipo
in Italia e in Europa è legata alla volontà dei pellegrini di ritorno dalla
Terra Santa di perpetuare nella loro terra il ricordo del divino
Sacrificio; per tale motivo le ho considerate una “categoria” a sé stante.Mi
auguro che questa breve trattazione sia di stimolo per qualche volenteroso
lettore ad approfondire l’argomento, che ritengo sia di grande interesse per
la particolare valenza di questo tipo di chiese.
a) Il periodo Preromanico
Un esempio
particolare e poco conosciuto è rappresentato dalla Santa Sofia di
Benevento, costruita nel 762 dal Duca Arechi II, nella quale la forma
circolare si unisce a quella stellare con l’aggiunta di tre absidi e un
duplice ordine interno di colonne, nell’insolito numero rispettivamente di
dieci e di sei (foto seguente):
Nella
Cattedrale di Reggio Emilia in tempi recenti gli scavi hanno messo in
luce sotto la pavimentazione attuale una poderosa struttura circolare dello
spessore di circa 1,10 metri (una misura simile a quella delle pareti della
Rotonda di Montesiepi) con tracce di nicchie all’interno del muro
perimetrale, il tutto connesso forse ad un piccolo cimitero, data la
presenza di quattro tombe del tipo “a cappuccina” rinvenute addossate
all’esterno della costruzione, che si suppone essere un mausoleo del IV-V
sec. Di particolare interesse la piccola chiesa di Sacerno (foto sotto)
presso Calderara sul Reno a Bologna, risalente al V-VII sec., che oggi fa
parte del complesso della chiesa di Sant’Elena: è di forma perfettamente
circolare con diametro interno di 4,90 metri, presenta otto nicchie
semicircolari separate da sottili colonne e armonicamente inserite nello
spessore del muro perimetrale, le quali si originano da un muricciolo
recingente la base interna dell’edificio, in modo da configurarsi come veri
e propri sedili o stalli di un coro; esternamente il muro presenta otto
lesene che suddividono lo spazio cilindrico in uno pseudo ottagono (A. Serra
Romanico emiliano: Bologna e Modena a confronto, tesi di laurea anno
1987-1988).
Il piccolo Delùbro di Lizzano Belvedere del VII-VIII sec., situato anch’esso
nella valle del fiume Reno
era
parte di un complesso monastico, successivamente scomparso, dedicato a S.
Mamante, martire della Cappadocia, e aveva forma ellittica (3,85 x 4,40
mt.) con una piccola abside. Sia a Sacerno che a Lizzano venne eretto un
campanile nel XIV sec., che fortunatamente a Lizzano venne eliminato nel
XVII sec. per i pericoli di un crollo.
Queste due chiese del bolognese sono erette sulla via che in epoca
longobarda portava dall’Emilia alla Toscana; per quanto riguarda il Delùbro
di S. Mamante, la zona in cui esso sorge con il nome di “Massa di Lizzano” è
compresa in una donazione fatta nel 753 dal re longobardo Astolfo al cognato
S. Anselmo e, secondo taluni autori, sarebbe stato originariamente luogo di
culto romano, donde il nome di delùbrum.
Sarebbe suggestivo, data la loro semplicità di forma, ritenerle entrambe un
esempio per le maestranze che costruirono la Rotonda di Montesiepi, dalla
quale però differiscono per la sproporzione tra altezza e diametro del
cilindro e per la decorazione esterna ad archetti e peducci. Per altro è
certo che l’Abbazia di Nonantola, fondata da S. Anselmo ed alla quale
apparteneva il territorio di Lizzano, mantenne a lungo rapporti con la
Toscana.
b) Il periodo Romanico
In questo periodo troviamo in
Italia, come anche nel resto di Europa, numerose chiese a pianta circolare o
ellittica, alcune poco conosciute come Santa Maria Assunta di Gorga
(Roma), a pianta ellittica come il Delùbro di S. Mamante, ricostruita
ampiamente in forme neoclassiche alla fine del XIX sec. La chiesa di
San Tommaso o San Tomè ad
Almenno San Bartolomeo (Bergamo), costruita tra il 1130 ed il 1150, fa
parte delle chiese “tipo Anastasis”, ma presenta alcune interessanti
caratteristiche: la struttura, eretta su di un tempio precristiano, ha
pareti spesse 1,15 metri, misura comune alla Rotonda di Montesiepi come ad
altre chiese circolari, nelle quali sono ricavate sette nicchie, presentando
così una rassomiglianza con la struttura di Sacerno, ma in San Tomè esse
sono disposte irregolarmente, tre a sinistra e quattro a destra, ed in più
troviamo due scale per salire al matroneo.
Il
diametro della chiesa è di 9,90 metri, quindi di poco inferiore alla Rotonda
di Montesiepi e a San Giusto a Pievebovigliana, tutte e tre per altro di
gran lunga inferiori ad altre chiese a pianta circolare, come San Lorenzo di
Mantova
e il Duomo Vecchio di
Brescia (foto sotto), la cui misura è rispettivamente di 21 e di 35,50
metri.
Una struttura particolarmente interessante per le analogie con la Rotonda di
Galgano è la chiesa di San Giusto presso San Maroto (foto sotto),
frazione di Pievebovigliana (Macerata): la pianta è circolare con quattro
cappelle disposte simmetricamente, le pareti sono orientate sui quattro
punti cardinali e la cupola è a tholos, impostata direttamente sul
muro perimetrale e coperta all’esterno da un tamburo cilindrico (F. Mariano
Architettura nelle Marche, Cardini, Fiesole 1995 pag. 156).
L’altezza del cilindro è quasi pari al diametro della cupola (10,84 metri,
cioè 22 cubiti, calcolati secondo il Carnevale, Acquisgrana in val di
Chienti pag. 85, come un cubito arabo di 49,27 cm., poiché l’autore
ritiene che l’opera sia stata costruita da maestranze arabe al tempo di
Carlo Magno), per cui è possibile inscrivere una circonferenza quasi
perfetta che tocca l’apice interno della cupola e il centro del pavimento;
questa differenza tra altezza e larghezza, presente anche a Montesiepi, non
sarebbe casuale ma voluta secondo “una conoscenza molto approfondita
degli effetti della presenza di persone sulla vivibilità ed apparenza dei
volumi interni” (A Monelli San Giusto in San Maroto pag. 56-57 e
nota 3), in quanto un locale di altezza pari al suo diametro crea nei
presenti, secondo la psicologia applicata all’architettura, uno stato di
disagio e di isolamento che scompare se l’altezza dell’ambiente è inferiore
al diametro.
La cupola è separata dal cilindro mediante un toro che gira tutto intorno ed
è costituita per un terzo da anelli concentrici in pietra corniola locale e
per i restanti due terzi con spirali di calcare spugnoso più leggero (A.
Bittarelli Pievebovigliana e il suo museo, Iapadre L’Aquila 1972,
pag. 66 ss.). Uno studio delle fasi costruttive (Carnevale) dimostra inoltre
che, dopo aver realizzato le fondamenta, per prima cosa i costruttori
stesero il pavimento in lastroni di pietra e su di essi eressero in un
secondo tempo il tamburo: anche nella Rotonda di Montesiepi si osserva sul
lato sinistro rispetto all’ingresso la presenza di una pavimentazione posta
all’esterno e passante sotto il muro perimetrale.
Anche San Giusto presenta asimmetrie dell’asse est-ovest, anche se molto
minori rispetto alla Rotonda, con la porta d’ingresso leggermente spostata a
nord ovest e la finestra dell’altare principale spostata a sud est.
La disposizione delle finestre a doppia strombatura è anomala: sono una per
tre delle quattro absidiole (manca nell’abside di nord ovest, corrispondente
al tramonto del Solstizio d’Estate), una al centro di due delle quattro
pareti (rispettivamente quelle a nord e a sud) e due invece per la parete
est, ai lati della finestra dell’altare principale. In tal modo si hanno
cinque finestre ad est (tre sulla parete est ed una per ogni absidiola posta
all’estremità della parete), una per le pareti nord e sud e per l’absidiola
di sud ovest, per un totale di otto finestre.
Una tale disposizione consente alla luce di entrare con maggiore splendore
nella zona sud est della chiesa lasciando quasi in ombra la parte di nord
ovest (Monelli pagg. 72-73), con un chiaro simbolismo legato al Cristo vera
Luce che viene dall’oriente.
Esistono anche a San Giusto oculi aperti sulla cupola ma sono differenti per
forma: a nord rettangolare e a sud circolare (Monelli pag. 73), a
sottolineare il carattere terreno del nord e spirituale del sud; a
Montesiepi l’oculo posto a nord ovest (dal quale passa il sole nel tramonto
del Solstizio di Estate) è invece posto in risalto rispetto agli altri tre
per la presenza di un’elegante modanatura in marmo bianco sia all’esterno
che all’interno della Rotonda.
I particolari della tecnica costruttiva, la cupola poggiata direttamente sul
cilindro e costruita in spirale tale da simulare fasce concentriche, la
presenza di un toro di separazione tra cilindro e cupola, il diametro di
10,84 metri e lo spessore del muro di 1,48 metri (rispettivamente la Rotonda
di Montesiepi, secondo i calcoli di Pfister, ha diametro di 10,24 metri e
mura di 1,54 metri di spessore) la avvicinano notevolmente alla Rotonda,
della quale sarebbe coeva se si accetta la datazione tra XII e XIII secolo,
anche se alcuni autori come il Carnevale la retrodatano, facendola risalire
all’epoca carolingia ed attribuendole come uso originario non quello di
chiesa ma di casino di caccia di Carlo Magno.
Un cenno particolare meritano due chiese a pianta circolare della Sardegna:
Santa Sabina di Silanus (Nuoro) e Santa Maria de Mesumundu a Siligo
(Sassari). Santa Sabina (foto sotto) o in lingua locale Santa
Sarbana, costruita nella prima metà dell’XI sec., è formata da un edificio
circolare con piccola abside e portico con due aule rettangolari innestate
ai suoi lati, absidate anch’esse. La chiesa è costruita nella parte
inferiore di grossi conci in basalto scuro ed in quella superiore di calcare
chiaro, che nel punto di transizione formano alcune parziali fasce
alternate, più chiaramente evidenti nell’abside, che ricordano alla lontana
il paramento bicolore della Rotonda di Montesiepi. All’interno correva lungo
tutto il perimetro un sedile in muratura (simile a quello della chiesa di
Sacerno nel bolognese) che è stato di recente demolito. Nelle immediate
vicinanze della chiesa si trovano un nuraghe ed un pozzo sacro a tholos,
che testimoniano l’antica sacralità del luogo.
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Santa Maria de Mesumundu
o Santa Maria in Bubalis (foto seguente)venne
edificata nel VI-VII sec. su di un edificio romano, di cui sono stati
scavati i resti, forse da collegare ad un piccolo edificio termale annesso
ad una mansio (nella zona sono presenti numerose sorgenti termali di
acqua calda, utilizzate dai romani nel II e III sec. d.C.), ma senza
adoperarne le strutture, per cui la pianta circolare sarebbe da considerare
originale e non basata su di una preesistente esedra; scrive Maetzke, al
quale sono dovuti gli scavi archeologici nella zona: “la pianta rotonda
della chiesa non ha nulla a che vedere con la trasformazione del calidario
romano ma è un elemento nuovo che merita di essere studiato in sè stesso”
(F.A.Pittui in
www.siligo2000.it/architettura.htm).
L’edificio originale, nella ricostruzione di Mastino (A. Mastino Siligo
storia e società, ed. Democratica Sarda, Sassari 2003), sarebbe
costituito dalla sala circolare di circa 5,90 mt. di diametro con due
ambienti, l’uno con funzione di ingresso posto ad ovest e l’altro
rappresentante un’abside posta a sud; si tratta della stessa disposizione
che ritroviamo nelle piante di Sant Miquel di Pobla di Lillet e di San Pere
di Cervera in Catalogna, di cui parlerò più avanti.
La cupola è costruita secondo la tecnica romana in calcestruzzo direttamente
poggiante sul muro circolare, ed è fatta di piccole pietre disposte in
spirale a simulare una serie di cerchi concentrici, simile alla Rotonda di
Montesiepi, nella quale però il motivo ad anelli è perfettamente
eseguito; le mura della parte antica a sud e ovest sono in bicromia con
fasce alterne di pietra basaltica scura e mattoni rossi, a formare un
paramento bicolore più preciso rispetto quello di Santa Sabina (i corsi di
pietre a fasce bicrome sono una decorazione architettonica presente in molte
chiese del Nord della Sardegna, ove lavorarono maestranze toscane e
lombarde).
Santa Maria de Mesumundu venne in seguito ampliata nelle forme attuali intorno al 1060 dai
monaci benedettini provenienti da Montecassino, chiamati da Barisone signore
di Torres, ai quali sarebbero dovuti sia l’abside di est sia l’ambiente
rettangolare a nord.
L’elemento più interessante è costituito da una canaletta situata sotto il
pavimento della chiesa, la quale al centro di esso attraversa un pozzetto
quadrangolare di significato incerto. Ciò ha dato luogo all’interpretazione
della chiesa come una ecclesia baptismalis (Mastino), ed il nome di
essa, Mesumundu, sarebbe quindi da tradurre “(situata) in mezzo alla purezza
(delle acque)”, intese nel loro significato battesimale (altri la
interpretano come voce sarda per “cupola”: R. Coroneo Architettura
romanica, scheda 31, Ilisso, Nuoro 1993).
Vi è invece chi vede in Santa Maria una sovrapposizione cristiana su di un
culto nuragico precedente: “Pittau pone l’icnografia dell’edificio in
rapporto con la pianta dei pozzi sacri nuragici, su uno dei quali si sarebbe
impostata la struttura” (Mastino).
Questa correlazione è di certo esistente a Santa Sabina nel pozzo nuragico
situato dietro la chiesa, espressione del culto delle acque presente nella
civiltà nuragica, poiché, come ricorda Lilliu: “i
monumenti di maggior rilievo dell’architettura religiosa dell’età nuragica
sono i templi a pozzo, o pozzi sacri”
(G. Lilliu
La Civiltà dei sardi, dal neolitico all’età dei nuraghi,
Torino 1975 pag. 316).
Non è fuor di luogo ricordare che ancora nel VI secolo la presenza pagana
nell’isola era fortissima, tanto da essere oggetto di preoccupazione per il
papa Gregorio Magno: “sia durante il periodo romano sia in età
tardoantica e altomedievale, sono sopravvissute nelle aree interne
dell’isola forme di culto primordiali…, che in Sardegna si esplicava
soprattutto nei santuari delle acque assai diffusi sin dall’età del Bronzo,
espressione dunque della civiltà nuragica. Gregorio Magno… esprime nelle sue
lettere una grande preoccupazione per la persistenza di sacche di paganesimo
nell’Isola, che riguardavano non solo genti ancora pagane, ma anche strati
della popolazione già cristianizzati, e pur tuttavia ancora dediti a riti
precristiani” (P. G. Spanu, in Pittui). Poiché ho ipotizzato per la
Rotonda di San Galgano un analogo riallacciarsi con culti non-cristiani,
portati dai Longobardi in Toscana, il rapporto tra le due chiese sarebbe non
solo sul piano architettonico ma anche su quello sacrale.
c) Chiese romaniche a pianta circolare in Spagna
In Spagna troviamo due chiese, situate nelle zone rurali della Catalogna
(così come la Rotonda di Montesiepi era anch’essa situata in periferia
rispetto ai centri urbani di Siena e di Volterra), le quali presentano la
maggiore somiglianza con questa, come ebbe a riconoscere la Bianchi già nel
1938: Sant Miquel de Pobla de Lillet e San Pere el Gros de Cervera.
La chiesa di Sant Miquel (San Michele) a Pobla de Lillet (foto sopra
la pianta; sotto l'aspetto esterno), venne eretta nel XII sec. forse come
chiesa palatina del vicino castello di Lillet, ha pianta circolare con
paramento esterno in pietra non bicromo ed abside semicircolare rivolta ad
est; un semplice motivo ottenuto con il diverso orientamento dei blocchi
decora la parte superiore del cilindro, subito al di sotto del tetto conico.
Presenta una curiosa asimmetria, essendo l’abside posto a circa 110°
rispetto alla porta, la quale risulta così rivolta verso sud ovest.
La chiesa di San Pere (San Pietro) a Cervera è del sec. XI (foto
13), di forma cilindrica con abside semicircolare, coperta da cupola al
cui centro s’innalza un semplice campanile; ha due sole finestre nell’abside
e l’interno è completamente spoglio come la Rotonda di Montesiepi. L’esterno
è in piccoli blocchi di pietra e non presenta traccia di fasce bicrome.
Rileviamo come probabile coincidenza il fatto che la festa che si celebra il
19 agosto a San Pere si apra con una sfilata di cavalieri che recano alla
chiesa recipienti contenenti un’acqua miracolosa in onore del Santo: le
chiese sarde che abbiamo segnalato sono ambedue connesse alla sacralità
dell’acqua e, poichè nell’alto Medioevo la Sardegna aveva stretti rapporti
con la Catalogna, le possibili connessioni storiche e rituali meriterebbero
un approfondimento che esula da questa sintetica presentazione.