Se vi trovate al n. 40 di Karlovo
námĕsti fate attenzione: è chiamata la ‘casa di Faust’ (Faustův
dům), personaggio ricollegato alla goethiana opera, quel Fausto
che strinse una sciagurata alleanza con il demonio ma in realtà la dimora
non avrebbe nulla da spartire con il diavolo. La settecentesca dimora
appartenne all’alchimista inglese Edward Kelley, che era stato,
oltre un secolo prima, al servizio dell’imperatore Rodolfo II
(1552- 1612); nell’ Ottocento il romanticismo stimolò una connessione
con il medico e astrologo tedesco Georg Faust e ancor più con i Faustbücher
tardo-cinquecenteschi. Ma già all’epoca,quando in quella casa prese alloggio Kelley, si intensificarono le
leggende, rappresentando il sapiente boemo - esperto in magia nera-
sorvolante l’Europa, acavalcioni
in groppa a Mefistofele trasformato in cavallo volante[1].
L’altra casa che Kelley acquistò non era certo meno…invidiabile, in
quanto situata in uno dei luoghi satanici di Praga, Dobytčí trh,
il Mercato del Bestiame, ma anche il quartiere delle forche…”I suoi
sottosuoli ispirano il terrore, li si immagina pieni di prigioni segrete,
di antri di congiurati e di supplizi, di sepolture e si sotterrati vivi”…,
scrive la Dauxois. Anche l’inquilino non godette di una vita lunga: dopo
uno strabiliante successo alla presenza di Rodolfo II, nel suo laboratorio
alchimistico, ottenne l’oro e grandissime concessioni, ma a soli 42 anni
persa fama e favori perché incapace di portare avanti l’Opera, cadde in
disgrazia e si fece avvelenare dalla moglie per evitare ulteriori
sofferenze fisiche e morali.
Parlando
di Rodolfo II d’Asburgo è impossibile non parlare di alchimia e
cabalismo. Il sovrano, che trasferì la capitale dell’impero asburgico
dalla detestata Vienna all’amatissima Praga nel 1583, fondò un’
“accademia alchimistica”, chiamando a raccolta nomi eccellenti della
sua epoca. Più che a questioni di regno, il sovrano manifestò interesse
per la ricerca dell’eternità che, secondo il suo modo di pensare, si
sarebbe concretizzata attraverso due vie parallele, quella delle arti e
quella delle scienze. Voleva un regno pacificato che gli permettesse di
condurre le ricerche, l’unica cosa che per lui contava davvero, per dare
pace a se stesso e consolidare le sue convinzioni. Sotto il suo regno, la
città di Praga allargò la propria fama, secondo le profezie di Libuše,
diventò una grande capitale ma anche il ritrovo delle stranezze, poiché
si diceva che il sovrano ‘amasse le bizzarrie’; in realtà egli era
assetato di conoscenza e non badò a spese per avere tra i suoi cortigiani
i migliori scienziati, come Tycho Brahe e Giovanni Keplero,
due astronomi che hanno lasciato fondamentali tracce nell’astronomia, ma
accolse anche pittori come Arcimboldo, artigiani, poeti, musicisti,
artisti, astrologi, alchimisti e si valeva del suo medico personale, Šimon
Tadeáš Hájek (o Taddeus Hagecius) per smascherare gli imbroglioni
che ambivano ad avere un posto di alchimista imperiale.
Ma dove si trovavano i
laboratori di alchimia sotto il suo regno? Nel Castello sono due i punti
più ‘incriminati’: il primo sarebbe –senza prove- il celebre Zlatá ulička o Vicolo d’Oro (o degli Alchimisti),
alle spalle del monastero di san Giorgio,sotto le mura settentrionali del castello, dove si dice che vi
fossero cantine deputate alle operazioni ‘filosofiche’. Si narra che
di notte si vedessero fumi salire dai camini, che scomparivano al mattino.
Ilnome del vicolo,
ufficialmente, deriverebbe da alcune botteghe di battiloro che vennero
aperte nel XVII sec., e solo in seguito fatte passare per laboratori
d’alchimia.
Uno
scorcio della casette del Vicolo d’Oro di Praga
Oggi visitare il Vicolo
d’Oro è un’impresa di per sé ardua: straripante di gente attratta
dalla sua fama, si deve sgomitare per percorrerla e soprattutto per
entrare nelle sue abitazioni. La sua particolarità sta nelle case a
misura di lillipuziano, piccolissime, che quasi si può toccarne il tetto;
colorate e vicinissime le une alle altre. Al n. 22 visse, per cinque mesi,
lo scrittore Franz Kafka (tra il 1916- 17). Molte sono state adibite a
botteghe artigianali, alcune hanno mantenuto l’aspetto originario
conservando, all’interno, alcuni attrezzi del mestiere che vi si
svolgeva.
Un nostro gentile
corrispondente (sig. Alessandro Falciani, che ringraziamo) ci ha
segnalato, nel gennaio 2015 (cioè alcuni anni dopo aver pubblicato questo
articolo) di essersi recato a Praga e di essere entrato in una delle prime
case all'inizio del Vicolo, la quale, attraverso delle scalette, conduce
ad una commercialissima "stanza delle torture"(all'esterno
comunque è indicata da un cartello e forse anche da un'armatura). La cosa
interessante è che sui muri del corridoio che porta a questa stanza ci
sono dei segni e scritte in rosso molto interessanti, in particolare un
Nodo di Salomone e una data (1596). Dalla foto si può vedere come il
simbolo sia contornato da molte altre scritte e simboli (sempre stesso
colore, che meriterebbero più attenta considerazione ma il flusso
continuo di persone lo impedisce). Il tutto è protetto da una lastra
trasparente, per preservare (con ogni probabilità) la memoria di questi
"segni" (lasciati forse dai prigionieri?).
Il Nodo di Salomone immortalato da A. Falciani
Dall’altra parte delle casette, si trovava la Fossa dei
Cervi, area riservata alla caccia dell’imperatore, ma secondo molti,
area di morte. In fondo al Vicolo d’Oro si stagliano infatti due Torri,
una bianca e l’altra nera. Nell’una venivano rinchiusi i ciarlatani,
tra cui Dalibor (che le ha conferito anche il nome omonimo), le cui
note del violino sembrano a tratti risuonare tra gli strumenti di tortura.
Sulla Fossa pendevano le gabbie dov’erano rinchiusi i condannati a
morte.
La Torre Nera o di
DaliborLa Torre Bianca
L’altro luogo papabile
per aver ospitato un laboratorio alchimistico è la Prašnà vĕž o Torre delle Polveri, situata alla
sinistra della cattedrale. Questo è descritto anche nelle guide ufficiali
che dicono che vi sono evidenti tracce di un crogiolo; effettivamente sul
pavimento è ben visibile un grande spazio circolare, pavimentato a cotto,
segnato centralmente con una croce. Il soffitto, cupoliforme, si presenta
molto annerito, per le parti verosimilmente originali che sono rimaste
(confronto al resto, che è rifatto). Si ritiene che qui vi fosse
installata la bottega alchimistica legata all’imperatore; egli autorizzò
pure la raccolta della diabolica Mandragora, sempre presente nelle
storie di stregoneria fin dalle epoche più remote. Rodolfo fu affascinato
dalle fasi interminabili dell’Opera, comprendendo che la fretta non
giova. Comprese bene i rituali che accompagnano la raccolta,
l’essiccazione e la conservazione di determinate erbe magiche
necessarie per l’alchimia; gli piaceva l’idea della loro relazione con
le stelle. Ogni 14° giorno della Luna Nuova, mandava i suoi alchimisti a
raccogliere le grosse spighe gialle dell’ Erba della luna o erba
dei serpenti per essere messa in vasi di coccio ben tappati, nascosta
sottoterra e da lì estratta dopo molti mesi, distillatain un alambicco di rame per ottenere il “Saturnino”,
indispensabile ingrediente dell’olio di sole o polvere di proiezione,
necessaria alla trasmutazione. Stando alle cronache, Rodolfo avrebbe
appreso tutte le operazioni necessarie al conseguimento dell’ Opus,
sperimentando in prima persona l’alchimia, della quale conosceva o
credeva di conoscere gli affascinanti segreti, rapito dal fatto che gli
elementi costitutivi dell’Opera potessero cambiare natura. Si narra che
si facesse fare l’oroscopo quotidianamente e su ogni questione, tanto da
prendere più decisioni senza aver prima consultato l’oracolo.
Resti del crogiolo
alchemico nella Torre delle Polveri del Castello
Il
manoscritto Voynich: un enigma acquistato da Rodolfo II per 600 ducati
d'oro...
Rodolfo II e la
mistica ebraica
Sul finire del XVI sec.,
Rodolfo II chiamò a corte il rabbino Jehuda Lőw ben Bezalel, noto come
Rabbi Lőw
(1512-1609), e
lo nominò Rabbino Capo della città ebraica di Praga, carica che questi
ricoprì fino alla morte. Jeuda fu Rettore della Scuola Talmudica di Praga e
autore di una serie di scritti religiosi e filosofici. Rodolfo II protesse
gli ebrei perché oltre alla loro sapienza erano anche formidabili
affaristi; il rabbino Mordecai Maisel (1528-1601) fu Ebreo di corte
e finanziere del sovrano.
Una leggenda narra che una volta Rodolfo II invitò Rabbi Lőw
al castello, insieme ad altri convitati e il rabbino -con una magia-
mostrò la proiezione di una processione degli antenati Asburgo, forse
usando una lanterna magica. Il fatto creò il panico tra gli astanti, ci
fu un parapiglia che portò anche ad un incendio...
Fu proprio sotto il
regno rodolfino che Rabbi Lőw, grande cabalista e sapiente paragonato
al biblico Salomone, creò il Golem (2).
Andiamo dunque a conoscere
meglio cosa si nasconde dietro il mito del Golem...
[1]
Jacqueline Dauxois “Rodolfo II, imperatore degli alchimisti”, Le
Vite, Rusconi, 1999, p. 164.
2)-
Secondo la tradizione leggendaria, il Golem venne creato nel 1580; a quel
tempo Rodolfo II era già imperatore ma non viveva ancora a Praga, dove si
trasferì nel 1583 e vi morì, nel 1612. E' sepolto nella cripta della
magnifica cattedrale di San Vito..