www.duepassinelmistero.com

 

TEMATICHE:

Aggiornamenti

Alchimia

Antiche Civiltà

Archeoastronomia

Architetture

Colonne e Nodi

Due passi nell'Italia nascosta

Due passi nei misteri esteri

Fenomeni Insoliti

Interviste

L'Uomo e Dio

Maestri Comacini

Medioevo e...

Mistero o Mito?

Personaggi

Simbolismo

Simbologia e Cultura Orientale

Storia e dintorni...

Templari "magazine

Ultimi Reports

UTILITY:

Archivio reports

Bacheca

Collaboratori

Extra sito

Libri del mese

Links amici

Ricerca veloce titoli per argomento

SERVIZI:

FORUM

Newsletter

Avvertenze/ disclaimer

 

 

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

           

                                      Il Ponte della Regina

      e la viabilità antica nel territorio di Lemine in età romana

                                                                 ( di Alessandra Facchinetti)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VIABIL~1.JPG (149006 byte)

Da V. Gastaldi Fois, ‘La rete viaria romana nel territorio del Municipium di Bergamo’ in ‘Rendiconti dell’Istituto Lombardo’, 105, 1971

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In evidenza, la struttura muraria del pilone presente sulla sponda almennese. Sullo sfondo fa capolino il campanile della chiesa della Madonna del Castello di Almenno S.S., nei cui pressi si ritiene fosse ubicato il pagus Lemennis, uno dei distretti amministrativi con cui i romani divisero la bergamasca. Tale zona fu sede di una prestigiosa villa-mansio, come attestato dai rinvenimenti di circa mille frammenti di intonaco dipinto, una vera rarità nel panorama bergamasco (foto Maurizio Scalvini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


E' con l'autunno, con le prime nebbie, il sole pallido, il lieve fruscio delle foglie sotto i piedi, che il fascino del luogo e della sua storia colpiscono il visitatore e la sua immaginazione. Nell'immagine, i resti dei piloni sulla sponda di Almè e, in evidenza, le parti originali dell'antico manufatto (foto Maurizio Scalvini) 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ponte romano di Alcantara, età traianea. Molti ricercatori si sono occupati del manufatto cercando di ricostruirne l'aspetto. Operando un confronto con il ponte di Alcantara, effettuando rilievi sui reperti e ragionamenti costruttivi, il Fornoni ipotizzò una soluzione, vicina a quella già prospettata dal Lupo, ancora oggi ritenuta valida

 

  
Ricostruzione del ponte di Lemine di Elia Fornoni, 1894

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Perchè ponte "della Regina"?
Il ponte, dalla sua costruzione e per tutto il Medioevo, era conosciuto e denominato nei diversi atti a noi pervenuti, con il nome di "Ponte di Lemine".
E' Bortolo Belotti, nella sua "Storia di Bergamo e dei Bergamaschi", ad informarci che un codice del 1493 lo descrive come "[...] ponte di Almenno, fabbricato ha più di mill'anni", certificandone così, fino a tale data, non solo il nome d'uso ma anche l'attribuzione della sua costruzione ai romani.
Fu solo dopo il suo crollo, avvenuto nel 1493 che il manufatto cominciò ad essere indicato con il nome di "Ponte della Regina". 
Il mito e la credenza popolare erroneamente attribuirono i suoi resti a una regina Longobarda, da alcuni individuata in Teutperga, la moglie ripudiata del franco Lotario II, e, dai più, in Teodolinda.
A tale proposito, è ancora Bortolo Belotti a scrivere che quando del ponte rimasero solo "le solitarie rovine e nuovi passaggi si stabilirono, era anche naturale che da quelle rovine fosse colpita la immaginazione popolare, la quale, facile creatrice di leggende, ricorse a una regina".
 Verosimilmente, la leggenda che si vuole riferita alla regina Teodolinda, o Teutperga, potrebbe alludere ad un intervento in epoca longobarda sul ponte.
Va aggiunto, però, che alcuni hanno ravvisato nella denominazione di "Ponte della Regina" una interpretazione popolare della parola “Rezìa” la zona della alpi (retiche, appunto) verso cui conduceva la strada romana che attraversava il ponte sul Brembo.

 

Lemine (o, nelle sue varianti, Lemmenne, Leminne, Leminis, Lemennis), è il toponimo con cui nel Medioevo si individuava un vasto comprensorio territoriale ad occidente del fiume Brembo che aveva costituito una corte regia longobarda.  
La geografia territoriale di Lemine viene delimitata ad oriente, dalla sponda occidentale del Brembo, a settentrione dall’attuale Val Taleggio, ad occidente da una linea arretrata della sponda orientale dell’Adda, e a meridione dal territorio di Brembate.

Antropizzato sin dalla protostoria, il territorio di Lemine, che per secoli mantenne una posizione di preminenza su tutto il territorio circostante, fu teatro di una storia segnata dalla dominazione di culture molto diverse fra loro.
L’era iniziata con i Galli Cenomani (tribù di origine celtica la cui presenza è documentata da Tito Livio e da Strabone), continuata poi con i Romani, passata per il Regno Longobardo, il dominio Franco, l’età comunale e quella signorile, si concluse con la divisione nei comuni di Almenno San Salvatore e Almenno San Bartolomeo nel 1601, frutto dell’esistenza di due parrocchie ormai da tempo divise.
Va detto però che sull'etimologia di Lemine, se alcuni autori hanno ravvisato la radice di termini celtici indicanti laghi o boschi, altri l'hanno derivata da termini romani come limen o limes


L’area della Provincia bergamasca risulta attraversata, fin dalle epoche più antiche, da percorsi che permettevano passaggio di persone e traffici di merci. Già in età preistorica vennero maturando precise gravitazioni territoriali e in questo contesto, entro la prima metà del I millennio a. C., nella bergamasca si consolidarono itinerari commerciali più antichi, che attraversavano il territorio.
Il percorso che qui c'interessa seguiva la linea "pedemontana" e connetteva l’area del Comasco al Bresciano, passando ai margini dei rilievi, altre direttrici volgevano invece verso la pianura.

Alcuni di questi itinerari vennero confermati nelle epoche successive.
Il tracciato della Pedemontana di golasecchiana memoria (1), importante direttrice di traffico che in direzione E-O, metteva in comunicazione Como (nel V secolo punto di mercato in cui si incontravano gli itinerari commerciali fra i popoli transalpini e quelli dell’Etruria centro Italica) con Brescia via Bergamo, passante per Almenno (nel territorio di Lemine), venne riconfermato, in particolare per quanto riguarda il territorio bergamasco, entro la prima metà del I millennio a. C.

Benchè non ancora perfettamente individuato, il tracciato di questa direttrice, via militare romana nota come Strada della Regina, congiungeva l'antica Aquileia, nel Veneto, con la Rezia (2), passando per Verona, Brescia, Bergamo e Como.

Il tratto che da Bergomum procedeva in direzione di Comum e quindi alla Rezia passava per Lemine, un territorio immerso in un'area militarmente turbolenta, occupato da diversi presidi militari, in quanto crocevia militare e commerciale verso l'Europa.
  

In età imperiale, la Strada della Regina dovette conquistarsi sempre più importanza, fino a che, probabilmente nel II secolo d.C. con l’imperatore Traiano, venne supportata, lungo la direttrice Bergamo-Como, dalla realizzazione di un ponte monumentale per l’attraversamento del Brembo all’altezza di Almenno S. Salvatore, per permettere un passaggio rapido e sicuro agli eserciti diretti verso le Rezie: il ponte di Lemine, noto come Ponte della Regina,  un'opera le cui grandi dimensioni costituivano un esempio di quella capacità costruttiva romana della quale si trovano tracce in varie parti dell’impero.
 
La collocazione degli antichi ponti e la loro permanenza sul territorio hanno in qualche modo favorito la formazione di diversi ed importanti stanziamenti: alcuni sono ancora oggi esistenti, altri sono scomparsi ma sono documentati dai reperti archeologici.

Analogamente, si pensa che anche il Ponte della Regina fosse difeso da un castrum (accampamento, fortificazione), che sorgeva in prossimità di un'altura e fu quasi certamente la presenza di questo ponte, per l'importanza strategica che rivestiva, a favorire la formazione di presidi militari e di insediamenti urbani nella zona (3), che dovevano essere costituiti da edifici realizzati con materiali poveri o ricavati dalle risorse locali (legno, pietre di fiume).

Ad Almenno sembrerebbe infatti accertata la presenza di una postazione romana sulle colline "Castra" e "Duno" (quest'ultima ritenuta originariamente baluardo gallico) dominanti gli accessi alle valli Imagna e Brembana, a protezione dalle incursioni (dovute alla resistenza indigena che continuò anche dopo la latinizzazione dell'ager bergomense) provenienti dalle valli. 

Un'altro ponte, sorto nelle vicinanze del ponte della Regina, e con questo messo in relazione dal Fornoni, lungo la via militare che da Bergamo portava a Lecco e alle Rezie (la Bergomum-Comum), è il Tarchì, o ponte del Tarchino, sul torrente Tornago, realizzato in epoca medievale, ma molto probabilmente come rifacimento di un manufatto romano.
Il ponte è ubicato in prossimità dello sbocco del Tornago nel fiume Brembo e nelle vicinanze dell’area della chiesa di S. Tomé, sorta su un luogo di sepoltura del I sec. d.C. (nella località attualmente denominata "agro di Almenno").

Varie ipotesi sull'effettivo itinerario in territorio bergamasco della Strada della Regina che attraversava tutto il territorio di Lemine e di cui non rimane traccia, si sono succedute nel tempo, anche seguendo le indicazioni fornite dalle fonti antiche, tra le quali la Tabula Peutingeriana (4), in cui risulta essere documentata.

Dal ponte della Regina verso Bergamo l'asse doveva dirigere in due direzioni: un tratto, inizialmente rettilineo, verso Petosino fino alla porta di S. Lorenzo; un tratto, via Sombreno, si dirigeva da Almè fino alle pendici del colle di Bergamo accedendo alla città attraverso la porta occidentale (porta S. Alessandro).

La strada che usciva da Bergamo dalla Porta di San Lorenzo, dopo avere attraversato gli attuali territori di Valtesse, Petosino, Almè, Almenno San Salvatore, Almenno San Bartolomeo, Pontida, Caprino Bergamasco, raggiungeva Cisano Bergamasco.
 
Il percorso successivo a Cisano è controverso: alcuni autori hanno sostenuto che dopo Cisano deviasse per la Val San Martino e, attraversati Olginate (5) (dotata, probabilmente nel III sec. d. C., di un altro ponte monumentale per l'attraversamento dell'Adda), Calolziocorte e Vercurago, raggiungesse Lecco e quindi Como; altri invece hanno sostenuto che dopo Cisano continuasse per Brivio, scavalcandovi l'Adda, per raggiungere poi Como, il che avrebbe costituito il tragitto più breve e veloce per raggiungere Como, essenziale per una strada militare (6).

Anche dopo la caduta dell'Impero Romano (7) il ponte mantenne la sua importanza - benchè ora prevalentemente viaria - di infrastruttura cruciale per tutto il territorio pedemontano, e continuò ad essere usato per tutto il Medioevo (8), come è provato dalle spese di manutenzione previste e imposte dagli statuti di Bergamo.


Dopo l'epoca romana infatti, il ponte fu sottoposto a continue riparazioni se non a vere e proprie ricostruzioni.
Verosimilmente la struttura subì danneggiamenti durante le invasioni barbariche, ed è facile immaginare una mancata od inadeguata opera di manutenzione in particolare nella seconda metà del primo millennio.
In occasione delle scorrerie e distruzioni verificatesi nel Bergamasco alla fine del XII secolo, la struttura potrebbe essere stata sottoposta a gravi danni.


Il ponte della Regina rimase in uso fino al XV secolo, grazie a numerosi interventi di ripristino e restauro che in parte modificarono la forma e l’aspetto del ponte stesso, fino alla rovinosa alluvione del 1493 allorchè, a causa di un'eccezionale piena del Brembo che aveva colpito e devastato tutta la Valle Brembana, crollarono cinque archi e resistettero in piedi solo tre arcate centrali.


I tre archi centrali sostennero però l'urto delle acque per oltre tre secoli, come ci illustrano alcune immagini a noi pervenute, finchè, ormai logori per l'azione costante dell'acqua e ripetutamente colpiti dalle piene del fiume, caddero i piloni: un primo il 15 giugno 1783 e quelli rimanenti nel 1793.

Cent'anni dopo, il 28 marzo 1893, il Prefetto della Provincia di Bergamo accordava all'ing. Giuseppe Ceriani e C. di Villa d'Almè, la facoltà di eseguire la demolizione dei resti dell'antico Ponte della Regina, dal momento che tali resti costituivano un pericolo per le opere di presa sulla sponda sinistra.

Allo stesso tempo venne affidato all'ing. Elia Fornoni l'incarico di sovrintendere alle opere per lo studio del manufatto (richiedendo l'obbligo di un rilievo dettagliato) e per la salvaguardia delle parti d'epoca romana, con la "demolizione delle sole parti dell'èra media". 

Studiandone a lungo i resti, l'ingegner Elia Fornoni, operò un confronto con il somigliante ponte di Alcantara costruito sul fiume Tago (il fiume più lungo della penisola iberica), nello stesso periodo e meglio conservato.  
Effettuando rilievi sui reperti, il Fornoni ne ipotizzò l'aspetto originale e le deficienze strutturali che ne determinarono il crollo in tempi successivi. 
La soluzione così ipotizzata, vicina a quella già prospettata dal Lupo, è ancora oggi ritenuta valida (9).


Lungo 180 metri circa, il ponte era costituito da 8 arcate speculari con pilone centrale, con due raggiature diverse ma medesimo piano d'imposta.
Le pile dovevano essere munite da spalle formanti complessivamente una pianta esagonale: di queste solo quella centrale culminava fino al parapetto.

Su questo punto il Fornoni afferma: i cappucci di queste pile non dovevano naturalmente essere portati al parapetto senza uno scopo, e questo scopo ce lo fa conoscere appunto il ponte di Alcantara, poichè in esso i cappucci sorreggevano le spalle o piedritti di un arco trionfale dedicato a Trajano.

Alle estremità infine due esili spalle chiudevano la struttura e, benchè probabilmente il Fornoni non fosse a conoscenza del documento del 1250 (in cui si riferisce che venne realizzata una pillam....in medio ponte la quale, già nel 1273, risulterà essere multum smaganiata propter fondamentum...quod multum est cavatum sub glera ipsius Brembiegli suppose che il punto debole del ponte erano le spalle (10) che, troppo esili e fragili per sostenere gli otto archi lunghi 180 metri, furono le prime parti a cedere sotto l'impeto delle acque.

Il Fornoni suppose quindi che i nuovi archi furono poi impostati direttamente sulla roccia.

Successivamente, caddero alcune pile (11). Analizzando la disposizione della tessitura dei resti ritrovati, il Fornoni  ritenne che le nuove pile furono ricostruite poggiandole su quelle rovesciate, ritenute sufficientemente consistenti: il metodo risultava sicuramente economico per le casse comunali.

La maldestra riparazione e le periodiche turbolenze delle acque del fiume furono, secondo il Fornoni, le cause maggiori dei danni che via via si verificarono nel tempo.


Allo stesso tempo si ipotizza che per dare continuità all'attraversamento venne costruita una struttura in legno o si formarono delle impalcate sopra i piloni.
La qualità dei materiali e delle tecniche impiegate nelle riparazioni doveva essere inferiore a quelle originali.
Si utilizzarono sassi di fiume e pietre di rivestimento più grezze, mentre l'impalcato fu realizzato con una larghezza minore.

Ancora nei due secoli successivi il ponte fu sottoposto ad altri interventi. Il degrado fu quindi continuo e incessante soprattutto perchè le riparazioni risultavano sempre più scadenti rispetto alle parti originarie, finchè la grande piena del 1493 non fece crollare 5 archi.

Resistettero in piedi solo tre arcate centrali sopra i quali rimasero trentasei persone in continuo batticuore....Durò la furia tre giorni, onde fu necessità gettar à quei miseri il pane con le fiombe per loro sostentamento, finchè poi calata l'acqua, con scale, e funi s'aiutarono.

Le valli S. Martino e Imagna rimasero prive di collegamenti con la città.
Probabilmente era nelle intenzioni del Comune di Bergamo elevare una nuova struttura, ma solo nel 1512 venne concesso ai signori d'Adda di gestire un porto per le valli Imagna e S. Martino. Una barca doveva collegare le due sponde finchè non si fosse realizzato il nuovo ponte, il quale fu realizzato solo nel 1628 su iniziativa dei Comuni della Valle Imagna.

La struttura, con impalcato in legno, fu costruita più a monte dell'antico tracciato (di proprietà della Serenissima, nel 1648 il ponte fu venduto a Girolamo Santino d'Adda e nel 1673 fu ceduto alla comunità della Valle Imagna).

Una nuova piena distrusse il ponte e dopo un periodo nel quale si passava con le barche, i D'Adda realizzarono una nuova struttura in legno. Il ponte di Lemine non venne più recuperato.

Solo verso la metà del XVI secolo i suoi resti furono coinvolti in un progetto di più larga scala, redatto dall'ingegnere idraulico veronese Isepo de li Pontoni, per la formazione di un canale anche parzialmente navigabile, derivato da fiume Brembo, diretto alla città di Bergamo in direzione Paladina-Curno-Broseta. Il progetto non venne attuato in quanto, in prossimità del ponte, si sarebbero dovuti realizzare costosissimi scavi nella roccia.

  • Attraverso il passato, ripensare il futuro...

Esempio della capacità ingegneristica romana della quale si trovano tracce in varie parti dell'impero e, insieme, manufatto di particolare impatto ambientale e paesaggistico, l'antico Ponte della Regina, si è costituito come perno su cui convergevano importanti direttrici stradali lungo le quali sorsero piccoli e grandi insediamenti, alcuni ancora oggi esistenti, altri scomparsi ma documentati dai reperti archeologici.

Come fu destino di altri ponti romani (12), costruiti a partire dal I secolo d.C. per attraversare stabilmente i fiumi lombardi lungo le principali direttrici di collegamento stradale, anche il Ponte della Regina ha favorito il sorgere, nel territorio circostante, di antiche emergenze architettoniche (torri, castelli, chiese, nuclei abitati), che, pur modificate nel tempo nelle loro strutture originarie, han trovato in molti casi la loro ragion d’essere proprio nella relazione con questo antico ponte.

La presenza del ponte fino al 1493 ha permesso una stretta relazione tra le due opposte sponde: sulla sponda destra con i centri romanici di Lemine e sulla sponda sinistra con la sede della corte regia di Almè, occupata poi dai Ghisalbertini, di cui restano tracce nel castello e nella chiesa di S. Michele.

Non è da sottovalutare poi che le direttrici provenienti da Bergamo (a monte del colle in direzione Petosino e a valle verso il crinale, che conduceva alla porta S. Alessandro e alla piana verso Mozzo) hanno condizionato fortemente l’assetto del territorio.

Caduto il ponte in rovina in seguito ad un evento naturale, ed abbandonato il percorso antico che su di esso si snodava, sono state trascurate, o sono andate perdute, tracce e riferimenti  che per più di un millennio avevano segnato questo ambito territoriale.

Le nuove direttrici, impostate più a monte, hanno guidato altrove le attenzioni. Il caso di Almenno è eclatante: nell’ampliamento del suo abitato, sulla sponda destra, non è stato pensato un adeguato riferimento alla presenza dell’antico ponte.

Sarebbe stato invece opportuno - e sarebbe tuttora auspicabile - rivalutare l'importanza storica dei resti del ponte e dell'antica direttrice, e il loro rapporto con il contesto. 


NOTE:

(1) La cultura di Golasecca, civiltà sviluppatasi nella regione dei laghi lombardi, tra il Po e l'arco alpino, si trovava in posizione di rilievo nei rapporti economici tra la civiltà etrusca e, oltralpe, quella celtica. Tale situazione, oltre al naturale sviluppo di una rete viaria locale, favorì il formarsi di direttrici di traffico comprese in lunghe rotte commerciali, sulle quali si attestarono anche centri urbani quali Como (nel V secolo punto di mercato in cui si incontravano gli itinerari commerciali fra i popoli transalpini e quelli dell’Etruria centro Italica), Bergamo e Brescia. Tra queste, vi erano quelle definite come la Transalpina e la Pedemontana. La Transalpina, in direzione NO-SE, congiungeva la valle del Reno con Felsina e l'area del Mincio seguendo il tracciato passo di S. Bernardino - Bellinzona - Canton Ticino - Como - Brembate - Fiume Mincio e Mantova. La Pedemontana, in direzione E-O, metteva in comunicazione Como, centro nodale per l'accesso a Nord, con Brescia via Bergamo (De Marinis annota che da Bergamo il tracciato forse si divideva in due direttrici: "a nord attraverso la valle S. Martino si perveniva a Chiuso e quindi a Lecco....a sud seguendo il corso del Brembo si poteva passare l'Adda all'altezza di Brembate e di Trezzo" e quindi proseguire per Como - cfr. R.C. De Marinis, 1995, p.4 -).
Fra il III e il II secolo a.C. si assiste a una decisa penetrazione romana verso Nord. La necessità di un controllo di un territorio più ampio e l'introduzione di una politica intesa al dominio disciplinato delle popolazioni autoctone viene attuata dalla repubblica romana, mediante l'imposizione di nuovi tracciati, la razionalizzazione di quelli esistenti, e l'applicazione del sistema di centuriazione. In area lombarda si favorirono i collegamenti di pianura. Questi privilegiavano i percorsi da Milano verso Novara, Pavia, Piacenza, Cremona, Brescia, Bergamo e Como.
La Pedemontana, in particolare nel territorio bergamasco, poteva ripercorrere l'originario tracciato Como-Bergamo passante per Almenno.
(2) La Rezia era una provincia romana (Raetia) situata nelle Alpi centrali in corrispondenza dell'attuale Canton Grigioni e del Tirolo.Venne soggiogata nel 16 d. C. da Tiberio e Druso dopo due lunghe campagne contro i rezi, i celti e i vindelici e denominata Raetia et Vindicia. Roma ne perse il  controllo nel IV sec. d. C. quando venne invasa dai alemanni, bavari e svevi.  
(3) Nel I sec. a. C. le vittorie sui Galli estesero la presenza romana nelle nostre zone portando una sorta di stabilità: nell'89 a.C. fu esteso il diritto romano alle città indigene transpadane, nel 49 a.C. Bergamo divenne municipium ma fu solo nel 43 a.C. quando le valli orobiche vennero assoggettate al dominio romano liberando tutta la fascia collinare dai rischi delle intemperanze degli avversari più irriducibili, che cominciò una lenta penetrazione dei coloni, insieme alla romanizzazione della popolazione locale e allo sfruttamento delle terre conquistate. Il “municipio” romano era diviso in distretti, a loro volta suddivisi in più piccoli insediamenti, dislocati in particolare lungo le vie romane nei punti strategici e militari.
Uno dei distretti amministrativi con cui i romani divisero la bergamasca fu appunto il pagus Lemennis, avente il centro amministrativo in Almenno S. Salvatore, presumibilmente nei pressi della Madonna del Castello.

(4) Prendendo spunto dall'analisi della Tavola Peutingeriana, gli studiosi si  sono lungamente interrogati sul possibile errore di posizionamento della località Leuceri, identificata dal Rota con Lovere, dal Mazzi con Lecco, dalla Cantarelli e dal Manzoni con Chiari.
(5) Per alcuni studiosi, l'esistenza di un itinerario lungo la Val S. Martino sarebbe giustificata dalla presenza di tracce della strada, rinvenute nel secolo scorso, nelle campagne di Almenno, Barzana e Gromlongo, dall'ipotesi di una fondazione romana del ponte Tarchino sul torrente Tornago, ma soprattutto dalla testimonianza, poco distante, dell'antico ponte romano detto della Regina, nonchè le tracce di un altro ponte monumentale ad Olginate (risalente probabilmente al III secolo d.C.) per l’attraversamento dell’Adda, laddove per secoli il fiume era stato attraversato tramite un ponte di barche. Si ritiene che tale ponte poggiasse su 16-18 pilastri, per una lunghezza di 150 metri e una larghezza di 4.
(6) Una considerevole quantità di reperti e la verifica toponomastica, suggerirebbero la presenza di una seconda direttrice verso monte, lontano dal rischio di impantanamenti, attraverso le località di Palazzago, Burligo, Opreno e Torre de Busi.

(7) Dopo la caduta dell'Impero Romano il territorio di Lemine, scarsamente antropizzato, fu esposto a tutte le incursioni e invasioni germaniche che dilagarono al di qua delle Alpi. Subì il disastro della guerra greco-gotica e le successive carestie e pestilenze che ebbero conseguenze nefaste sul suo sviluppo demografico.
Con l'invasione longobarda del 569 guidata da Alboino e con il successivo consolidamento del nuovo dominio germanico, ottenuto con quella brutalità che caratterizzò tutte le conquiste longobarde, Lemine entrò nella storia documentata grazie a Paolo Diacono, che con la sua Storia dei Longobardi ci ha lasciato innumerevoli testimonianze. 
(8) Proprio nell'arco del XIII secolo le fonti cominciano a fornire alcune informazioni evidenziando il vero e proprio calvario per le casse del comune e dei villaggi fortemente interessati nel ripristinare al meglio la struttura.
Queste continue attenzioni sono dimostrate anche dal fatto che lo Statuto cittadino impegnava il Podestà alla verifica annuale dei ponti, (per il caso di Almè le ricognizioni vennero effettuate tre volte l'anno).
Nel 1208 il comune di Almenno dovette incontrare un prestito di 20 lire imperiali per ristaurare il ponte sul Brembo.
Il 19 novembre del 1250 i sovrintendenti al pontis novus de Lemen chiesero ed ottennero dai maestri che lavoravano al ponte l'opportunità di realizzare una pillam....in medio ponte.
Ancora nel 1273 il Comune di Bergamo mandò alcuni deputati ed il perito Bertramo de Forzella a vedere e riferire su una pila que est multum smaganiata propter fondamentum...quod multum est cavatum sub glera ipsius Brembi. I sovrintendenti riferirono poi sulla necessità di rimuovere alcuni resti rovesciati i quali, opponendosi al corso del fiume potevano danneggiare ulteriormente gli stessi piloni. Nel 1283 infine la vicinia di S. Pancrazio pagò quattro lire e mezza imperiali imposite ipse vicinancie pro Pergami occasione reformationis pontis de Lemine.

9) Secondo altre ipotesi, al momento del crollo, il ponte avrebbe avuto sette archi e sette piloni, senza spalle, la lunghezza di metri 209 circa, un altezza di 24 metri circa e la larghezza complessiva di 5,90 metri. 
(10) Spalle: strutture che danno sostegno all'impalcato alle sue estremità e che costituiscono elemento di transizione tra il ponte ed i tratti di strada ad esso adiacenti
(11Pile: piloni o pilastri, strutture a prevalente sviluppo verticale che danno sostegno alla travata in punti intermedi.

(12) Le principali direttrici viarie romane, documentate dagli “itinerari” del IV secolo d.C. e dalla “Tavola Peutingeriana” testimoniano la presenza di ponti lungo le strade di collegamento tra Bergamo, Milano, Como e Brescia. La strada per Milano passava l’Adda a Pons Aureoli (Canonica); quella per Como, il Brembo ad Almenno  (Ponte della Regina) e quella per Brescia il Serio a Gorle e l’Oglio sotto Cividino. Non restano tracce dei ponti romani di Canonica e di Gorle, sostituiti da successivi manufatti, mentre restano tracce dei piloni dei ponti di Cividino e di Almenno del quale, ancora in funzione nel XV secolo, si conosce l’architettura originaria.

 

  • Riferimenti essenziali:


 -La viabilità antica nel territorio bergamasco (di A. Facchinetti)
- A cura di Andrea, Luigia e Pietro Gritti, "Almè, l'antico nucleo e il territorio", 1997.  
  Nel testo, per gli studi sul sistema viario protostorico e romano in area lombarda, si rimanda alla seguente bibliografia:
 A. Mazzi, Le vie romane militari nel territorio di Bergamo, Bergamo 1875.
 L. Gallina, Le vie militari romane di A. Mazzi, Bergamo 1876.
 P. Gastaldi Fois, La rete viaria romana nel territorio del Municipium di Bergamo, in "Istituto Lombardo, Accademia di scienze e lettere", Milano 1971, pp. 211-223).
 FL. Cantarelli, Nuove proposte sulla problematica storica del territorio orobico in età preromana e romana, In AA.VV.,   "Carta Archeologica della Lombardia-Provincia di Bergamo", Saggi, Modena 1992, pp. 181-182.
P. Tozzi, Viabilità romana nell'Italia settentrionale, in AA.VV., "L'antica via Regina. Tra gli Itinerari Stradali e le Vie d'acqua del Comasco", Como, 1995, pp. 11-44.
R.C. De Marinis, Percorsi locali e grandi vie dei traffici nell'ambito della cultura di Golasecca, in AA.VV., "L'antica via Regina. Tra gli itinerari stradali e le Vie d'acqua del Comasco", Como 1995, pp. 1-10.M. 
Fortunati Zuccalà, Il tracciato Bergomum-Comun, in AA.VV., "L'antica via Regina. Tra gli Itinerari Stradali e le Vie d'acqua del Comasco", Como 1995, pp. 52-58.

  • Per Lemine

    Bortolo Belotti. Storia di Bergamo e dei bergamaschi. Bergamo, Bolis, 1989. 
    Elia Fornoni. Il Ponte di Lemine. Bergamo, 1824 
    Elia Fornoni. L'antica corte di Lemine. Il ponte sul Brembo. Bergamo, 1887.
    Elia Fornoni, Il Ponte di Lemine o della Regina. Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1894.
    Cesare Rota. Almenno e le sue vicinie. Fiorano al serio, 1912 


Le fotografie recenti sono di Maurizio Scalvini

Potrete trovare i reportages di Maurizio Scalvini  in ObiettivOrobie, all'indirizzo   www.pieroweb.com


 

Sezioni correlate in questo sito:

 

 

www.duepassinelmistero.com                                                                                                                                            Avvertenze/Disclaimer

                                                                                                          Gennaio 2012