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TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
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difficile imbattersi oggi in qualcuno che sia completamente all’oscuro del
“mistero di Rennes-le-Château”. Editoria e televisione non hanno fatto che
riproporlo con particolare insistenza. Il romanzo Codice da Vinci, che ha
venduto 20 milioni di copie, ne ha variato i contenuti rendendoli ancora più
popolari. La fantarealtà, la storia incantata, come l’ha definita Giuseppe
Romano, impera, ma “essa non suscita alcun dibattito riguardo
all’attendibilità storica”. Indagando i giudizi della gente si osserva che
per lo più “l’apprezzamento per il libro non contiene alcun distinguo fra
interesse della trama, fondatezza dei riferimenti, messaggio culturale e qualità
della scrittura. Bensì riguarda l’opera nella sua integralità, presa alla
lettera: come se tutto ciò che vi è contenuto fosse oro colato”.[1]
Fiction e storia sembrano, in ultimo, essersi fuse in un’unica
corrente. Questo fenomeno, alla
lunga, può diventare molto pericoloso. Il
romanzo di Brown, apparentemente, si appoggia su di una “base” storica che
dovrebbe, in qualche modo, ratificarne valore e credibilità: il cosiddetto
“mistero di Rennes-le-Château”. E dunque conviene gettare luce in questa
direzione. L’origine di questo “mistero” è comunemente attribuita ad un
“terribile” segreto scoperto da don Bérenger Saunière (1852-1915), un
sacerdote francese nato e vissuto nell’estremo lembo Sud del paese, l’Aude,
non lontano dal confine con la Spagna. Secondo l’ipotesi più diffusa egli
avrebbe trovato qualcosa che proverebbe “inequivocabilmente” che Gesù
sopravvisse alla croce e generò figli con Maria Maddalena. Tuttavia, non
mancano alternative che ipotizzano che il segreto possa essere d’altro genere:
il tesoro del Tempio di Gerusalemme, la coppa del Graal, un procedimento per
diventare immortali, la memoria di una catastrofe ciclica, e molto altro. In
ogni caso Saunière sarebbe venuto a parte – forse inavvertitamente forse no
– dell’esistenza di una società occulta, ramificata e potente, il Priorato
di Sion, (di cui sarebbe stato parte Leonardo da Vinci in ottima e qualificata
compagnia), che avrebbe avuto lo scopo di gestire il segreto. Tutto ciò sarebbe
provato da una complessa rete di iscrizioni su pietra, messaggi inseriti in
quadri, pergamene, lettere, annotazioni e libri. Sin dall’inizio sono alcune
pergamene cifrate, fotografate e poi sparite, cuore di una macchina narrativa a moto
perpetuo, ad essere al centro di ogni speculazione.
Di
questo mito, che ha alimentato e alimenta tanta letteratura New Age, e
magico-esoterica, non c’è praticamente nulla di vero. Ovviamente alcune
affermazioni che riguardano Gesù e la sua vita privata – anche astraendosi
dalle questioni di fede – sono del tutto indimostrabili, sia in negativo sia
in positivo, tanto più se sostenute da documenti fasulli, fabbricati e spesso
esaminati soltanto da chi è interessato ai dividendi dell’industria del
“mistero”. Per quanto possa apparire bizzarro, i documenti storici più
affidabili su Gesù, Maria e gli altri personaggi evangelici sono proprio i
Vangeli. Questo lo afferma una rigorosa e secolare scienza biblica che si fonda
sul metodo storico in ogni sua specializzazione. Don Bérenger
Saunière è diventato, suo malgrado, il personaggio principale del mito che ha
avuto tre fasi principali: la prima, alimentata nel corso degli anni Dieci e
fino ai Trenta dallo scrittore francese Maurice Leblanc (1864-1941); la seconda,
fra i Cinquanta e i Settanta, da un trio di scrittori e avventurieri francesi
(G. De Sède, P. de Chérisey, P. Plantard); la terza, sviluppata da tre inglesi
(M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln) che hanno rimaneggiato lo schema
depositandolo nel brodo di coltura del New Age, dove si è ulteriormente,
quasi mostruosamente, sviluppato come storia alternativa o controstoria, in
spregio ad ogni procedimento razionale di verifica di fatti e affermazioni. Ogni
gruppo ha introdotto nuovi elementi, impresso nuove direzioni alle
“indagini”, falsificato e ulteriormente inquinato la scena. Una processione
di centinaia di storici improvvisati si sono dati il testimone, inventando
“prove”, “contatti”, “reperti”, “testimonianze” strillando
scoperte su scoperte evitando però le uniche attività che dovrebbero
consentire la ricostruzione di vicende del passato: l’applicazione e il
controllo sulle fonti storiche, la verifica della loro attendibilità, il loro
inserimento nel contesto politico e sociale. Ed infine la loro meditata
interpretazione. La
buona fede tradita di troppi lettori, seriamente convinti di aver trovato una
“rivelazione” in questo mito e nelle sue successive metamorfosi (sino al Codice
da Vinci) dovrebbe far riflettere sull’intera vicenda. L’autore del Codice
da Vinci, da parte sua, sostiene in un’ormai celebre nota intitolata Informazioni
storiche di appoggiare la sua narrazione a “documenti e verità
storiche”, visto che, “documenti e rituali segreti” contenuti nel
romanzo “rispecchiano la realtà”.[2]
Ed è questo il punto ambiguo, contestabile e inquietante dell’intera
operazione. Perché quei documenti e quella presunta verità riposano su una
delle più elaborate truffe storico-letterarie dell’ultimo secolo. E quel
richiamo è fatto senza alcuna ironia, quell’ironia tipica nelle operazioni di
utilizzo scambievole di materiali letterari e materiali storici. Proprio
l’assenza d’ironia, implicita o esplicita, colloca l’operazione
all’interno della truffa stessa o almeno nell’area ambigua della connivenza.
Fortunatamente, oggi, ci si può accostare alla verità storica e non al suo
simulacro. Tuttavia, sui milioni di lettori che s’esporranno al romanzo,
saranno in pochi ad accostarsi alla ricostruzione razionale e documentata del mito
– non già mistero – di Rennes-le-Château. È
assodato che il Priorato di Sion – il presunto, millenario, custode dei
“segreti terribili” – sia stato un piccolo gruppo d’agitatori il cui
capo voleva presentarsi come l’ultimo esponente della dinastia dei Merovingi.
Tutti i presunti segreti presentati dal gruppo si basano su una complicato
disegno di intarsi letterari e storici, falsificazioni, mezze verità e
invenzioni che una macchina culturale insolitamente compiacente ha diffuso
soprattutto da circa cinquant’anni a questa parte. Questo corpus
controfattuale è rafforzato da interpretazioni volutamente aberranti di
monumenti, opere d’arte, simboli della religiosità tradizionale e passi
letterari. Abbiamo spesso visto nei film che, quando si vuole tenere qualcuno
lontano da una località, si cambiano gli orientamenti delle indicazioni
stradali. Quest’operazione, metaforicamente, è stata fatta in modo
sistematico in questa vicenda. Gli studiosi “seri” hanno per anni reagito
con sdegno alla neoplasia storica prodotta dal mito, ritardandone lo studio.
Questa volontà di non sporcarsi le mani fu spiegata da Massimo Introvigne,
l’unico ad averlo studiato: “le leggende che attirano i turisti a
Rennes-le-Château sono così estreme che gli stessi specialisti dell’esoterismo
[…] esitano a occuparsene, temendo di essere confusi con i mitomani e i
truffatori che hanno firmato un buon numero dei titoli sul tema”.[3] Don
Saunière e la storia del prete “dei miliardi” Il
“mistero” di Rennes-le-Château, con le sue propaggini che includono Nicolas
Poussin, Leonardo da Vinci, i Templari è composto da tante storie accostate in
modo artificioso, episodi spesso indipendenti “raccordati” con forzature,
omissioni e fabbricazione di falsi. Ma la sorpresa che sta emergendo oggi, con
un esame della vita delle persone implicate come personaggi (e non come persone)
in questa vicenda è che il gruppo di sacerdoti e laici al centro del segreto di
Rennes, dipinti come “occultisti”, “esoteristi” o “ermetisti”, parte
del segreto del Priorato di Sion, furono esattamente l’opposto. Combatterono,
cioè, le loro battaglie culturali, sulla barricata opposta a quella in cui sono
stati collocati nella ricostruzione di fantasia. Saunière, il protagonista, fu
un cattolico d’antico stampo, devoto al Sacro Cuore, al messaggio di Lourdes,
al messianismo monarchico. Così le altre persone a lui associate in qualità di
“maghi” e “misteriosofi”. Le loro presunte frequentazioni così spesso
ripetute, così spesso date per “assodate” con celebri uomini della cultura,
politici radicali e massoni e poi maghi, esoteristi di ogni fatta, sono del
tutto inventate. Deliberatamente, i creatori del mistero hanno fatto agire
personaggi reali come personaggi di fantasia, facendo loro dire, pensare e fare
cose che non hanno mai detto, pensato e fatto. Questa falsificazione è stata
così ben tessuta che per molto tempo, – complici l’inerzia degli storici e
il cinismo di certi editori, – essa non è stata intaccata. Vedremo ora quale
sia il senso e lo scopo di questa complessa operazione, dovendo anche ammettere
che la decostruzione di una simile “macchina”, in grado di produrre un tale
delirio mitologico-letterario, è un’attività affascinante. Occorre dunque partire dal contesto storico per
scoprire che, all’origine del mito di Rennes-le-Château, vi è una beffa
politica rivolta contro ben selezionati ambienti. In quegli anni, in Francia,
gli uomini di governo, radicali e socialisti in gran parte massoni del Grande
Oriente, propugnavano una politica avversa alla chiesa cattolica, ai sacerdoti,
ai costumi cristiani e alla monarchia. Smantellato il Concordato di Napoleone
del 1805, la chiesa si sentiva minacciata e vedeva ridurre le proprie libertà.
Lo scioglimento di istituzioni educative e religiose, la confisca degli immobili
e dei beni ecclesiastici, affidati in gestione ad enti terzi, provocò forti
reazioni nel mondo cattolico. Si organizzarono associazioni semi-clandestine di
laici e sacerdoti che si dedicarono ad azioni di contrasto culturale e politico.
La reazione cattolica si appoggiò, in parte, su preesistenti società segrete
fiorite la prima volta nel corso del Diciassettesimo secolo, e riorganizzate
dopo la Rivoluzione grazie all’opera dell’austriaco padre Diessbach e
dell’italiano padre Lanteri.
René
Goblet (1828-1905), ministro dell’Educazione, dell’Arte e del Culto e poi
primo ministro, negli anni 1885-1887. Deputato radicale, fu il primo ad
occuparsi del “nido di sovversivi” cattolici del Sud della Francia. Pretese
l’allontanamento di Saunière. È il primo atto di una commedia
politico-letteraria che arriverà sino ai giorni nostri, attraverso continue
metamorfosi. Esse si
diffusero ovunque organizzando, tra l’altro, azioni di controinformazione,
reti clandestine di distribuzione di libri e “buona stampa”, biblioteche
segrete, case editrici. Ma nella zona di Carcassonne, Narbonne e Tolosa, dove
queste attività furono particolarmente organizzate, capitò qualcosa d’altro
che coinvolse il grande storico Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), uno dei
riconosciuti leader di questa rete di volontariato politico e culturale. Guiraud,
nativo di un paesino che dista pochi chilometri da Rennes-le-Château, Quillan,
era legato ad una rete d’amicizie e frequentazioni che comprendeva coloro che
diventeranno personaggi e figuranti del “mistero”. Le sue attività
“antigovernative” diedero molto fastidio; organizzò scuole private dove si
adottavano libri di testo, scritti da lui, con interpretazioni storiche
divergenti da quelle imposte dalla storiografia repubblicana. Iniziò a
combattere a tutto campo e a viso aperto contro la politica anticattolica del
governo sia a Parigi sia a Quillan e nelle città del Sud, dove si recava ogni
estate con la famiglia. Nel
1913 pubblicò a Parigi, sotto lo pseudonimo di Jean Fabre, un libro, Un
initié des sociétés secrètes superieures: Franciscus eques a capite galeato,[4]
che provocò durissime polemiche fra il mondo cattolico e quello laico e
all’interno del mondo massonico. Lo scopo di questo libro era colpire il mondo
massonico-radicale rivelandone alcuni segreti. Forse è anche per via di
quest’azione che Guiraud, “dopo vari ammonimenti e il congelamento sia di
avanzamenti che di trasferimenti in sedi più prestigiose”, a causa delle sue
idee, nello stesso 1913 ricevette una disapprovazione ufficiale dal ministro
dell'Educazione Nazionale.[5]
Si scoprirà, anni dopo, che i documenti che avevano reso possibile questa
pubblicazione, erano stati sottratti ad una famiglia frequentata, in qualità di
istitutore, da Alfred Saunière (1855-1905), fratello di Bérenger. I due furono
implicati nel trafugamento dei documenti settecenteschi pubblicati nel libro del
1913, che provocò una sorta di “scandalo P2” ante litteram. La
pubblicazione di Fabre-Guiraud rivelava segreti che danneggiarono per anni la
causa della massoneria, rivelando liste di nomi e circostanze che dovevano
restare nascoste. Guiraud ebbe rapporti non idilliaci con il più noto
esoterista francese del Novecento, René Guénon (1886-1951), collaboratore come
lui alla rivista cattolica “Regnabit” cui contribuiva anche Hoffet. La
pubblicazione di Guiraud fece divampare polemiche per oltre un decennio causando
una tempesta di pubblicazioni e contropubblicazioni che impegnarono le penne più
prestigiose della polemica massoneria-antimassoneria della Francia di quegli
anni. A queste polemiche parteciparono personaggi allora prestigiosi come il
padre Anizan fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, monsignor
Jouin animatore della combattiva Revue internationale des sociétés secrètes
e, ancora, don Émile Hoffet, studioso divenuto, suo malgrado, “personaggio”
e “maschera” nel mito di Rennes. Guiraud fu persino lungamente legato agli
ambienti editoriali coinvolti nel “caso Léon Taxil”, presunto massone
convertito, una delle più celebri polemiche francesi della fine
dell’Ottocento assieme al “caso Dreyfuss”. Già Bérenger
Saunière, per le sue prediche infuocate e per contatti con monarchici
legittimisti, aveva attirato l’attenzione su di sé in gioventù, tanto che
René Goblet il Ministro dell’Educazione, dell’Arte e dei Culti in carica
nel 1886, ne aveva richiesta l’immediata rimozione al vescovo di Carcassonne.
Gli attacchi e la resistenza ai radical-socialisti, alla massoneria, a deputati
e ministri radicali provenivano da ambienti tradizionalisti e venati di
millenarismo. Due mondi opposti, inconciliabili, si scontravano e non si
comprendevano. Guiraud e molti dei suoi amici credevano nell’avvento del Gran
Monarque, il re messianico, restauratore della monarchia, della Francia
cristiana e del papa re. E sostenevano la dottrina del Regno Sociale di Cristo.
I cattolici del Midi erano implicati anche in attività “sovversive”
quale l’appoggio alla nobiltà che sosteneva i pretendenti al trono (se ne
succedettero diversi tra il 1883 e il 1909) i quali risiedevano fuori dai
confini della Francia. Oggi è dunque possibile sostenere, sulla base di
circostanze e documenti concordanti, che il mito di Rennes, originò da
un’aspra lotta politica, un duello di azioni e controreazioni, attacchi e
vendette. E proprio una sorta di vendetta, di presa in giro, di beffa,
escogitata da ambienti radical-socialisti e massonici ben individuabili, contro
i cattolici alla Saunière, Guiraud e Hoffet, fu la sua scaturigine. Una beffa ad
personam ma soprattutto una messa alla gogna del loro mondo ideale di fede,
profetismo, apparizionismo e del progetto politico che voleva la rinascita di
una società cristiana in Francia. Primo
tempo: Maurice Leblanc e Arsenio Lupin La
scoperta più singolare – dovuta ad alcuni autori francesi e soprattutto a P.
Ferté che tuttavia non ha portato alle estreme conseguenze la sua
brillantissima intuizione[6]
– è che il letterato che iniziò a farsi beffe di questi “cattolici del
Sud”, fu Maurice Leblanc (1864-1941), il creatore del ladro gentiluomo Arsène
Lupin. Egli venne a parte – sicuramente attraverso rapporti di polizia
fornitigli dal cognato, Ministro degli Interni, della Polizia e del culti,
successore proprio di Goblet – dell’attività degli attivisti cattolici e
cominciò a beffeggiare la loro mistica della Francia monarchica e
“cattolicissima”.
Maurice
Leblanc disseminò i suoi romanzi di allusioni che anticipavano il mito
di Rennes-le-Château, prendendo in giro, con velata ironia, i sovversivi del
Sud. Della sua cifratura letteraria si cercherà di fare “verità storica”
molti anni dopo. Leblanc,
autore del ciclo di romanzi dedicato ad Arsène Lupin, ragionò più o meno in
questo modo: “quei preti e laici illusi aspettano il Grand Monarque, il
Chyren, l’Henryc profetizzato da Nostradamus che porterà la
monarchia sul trono e instaurerà il Regno sociale di Cristo? Bene, dovranno per
ora accontentarsi come Grand Monarque del ladro Arsène Lupin”. Nei
suoi romanzi, da leggersi in chiave anticattolica, Leblanc prefigura molti
elementi del mito di Rennes-le-Château e incorona Lupin nientemeno che come
Gran Monarca messianico. Lo scrittore normando conosceva alla perfezione la
tradizione del profetismo cattolico, anche perché era nato vicino a Gisors,
luogo fondamentale della mistica nazionalista. Quest’ideologia nazionalista e
religiosa attribuiva alla Francia un valore messianico simile a quello
attribuitole durante la Rivoluzione, ma con segno controrivoluzionario. Ma il
suo gran monarca, beffardamente incoronato Re del Mondo, è un ladro gentiluomo
e luciferino: Lupin. Una ventina di romanzi di Leblanc contengono, con l’uso
della cabala fonetica, – usata in forma semplificata anche da Brown –
allusioni al mondo della rete cattolica e monarchica del Midi, arrivando
persino a far nomi di persone e località del futuro mistero (come quelli di
Boudet e di Gélis). La
canzonatura inizia nel romanzo del 1909, l’Aiguille Creuse. La vicenda
è ambientata nel 1895 e in essa Arsène Lupin scopre la “fortuna dei re di
Francia”, i Merovingi. Questa “guglia cava” richiama il misterioso cromleck
cui Henry Boudet – compaesano e certissimo conoscente di J-B. Guiraud –
faceva cenno con attitudine ben più seria di quella del burlone Leblanc nel
bizzarro libro, La vrai langue celtique et le cromleck de Rennes-les-Bains
(1880). Secondo leggende riportate anche da altri scrittori ottocenteschi,
questo misterioso cromleck (nei pressi di Arques) era cavo alla base e
nascondeva fortune immense, “miliardi”. Sono questi i primi mattoni di una
straordinaria costruzione imaginifica, che farà milioni di vittime gabbate dal
più puro ésprit de finesse. Si noti, nell’immagine, Lupin (saint-Lupin
è il santo di Carcassonne) che osserva una pergamena cifrata…
Arsène
Lupin osserva una pergamena cifrata che custodisce un segreto regale. Nel
corso di questo romanzo, ambientato nel 1895 Lupin scopre la “fortuna dei Re
di Francia” sotto una “guglia cava” (aiguille creuse) che richiama
irresistibilmente, attraverso allusioni, il cromleck di Henri Boudet. Secondo
tempo: quel furbo di Pierre Plantard Alla
fine degli anni Trenta, quando sia Leblanc che Guiraud erano ancora vivi, fu
cooptato in quell’ambiente di artisti, ermetisti, occultisti e alti funzionari
anche Pierre Plantard (1920-2000). Nel 1940, la massoneria fu vietata dal
governo di Pétain, e il giovane Plantard fu messo a capo di un’associazione
paramassonica come “uomo di paglia”. Fu lasciato libero di agire e
compromettersi mentre i suoi potenti ispiratori (tutti identificabili) restarono
nell’ombra. Fu arrestato, forse collaborò con gli occupanti, certamente si
“bruciò” in quegli ambienti che sembravano averlo accolto sino a quel
momento. Ma venne a parte di un
patrimonio d’allusioni, ricordi, cifrature beffarde. Seppe di quei vecchi
preti e laici che avevano “pestato i piedi” ad eminenti massoni e che si
erano inguaiati con la polizia. Seppe che un certo numero di cattolici, laici e
sacerdoti, tra i quali Bérenger e Alfred Saunière, monsignor Arsène Billard,
don Antoine Gélis, don Henry Boudet e anche un don Bigou (altro
“personaggio” della complicatissima costruzione) erano finiti nelle
allusioni di Leblanc. Lo fece capire chiaramente nella bibliografia alla
riedizione del libro eccentrico La vrai langue celtique del sacerdote
nato nello stesso villaggio di Guiraud, don Henri Boudet. Plantard cominciò a
giocare con questi temi: si spacciò per veggente, si fece chiamare Chyren
come il Gran Monarca di Nostradamus (e Leblanc), restò legato agli ambienti
misteriosofici di Parigi. Quindi l’invenzione della sua vita: nel 1956 fondò
il Priorato di Sion (un’associazione privata, regolata dalla legge del 1901)
con tanto di statuti e rivista. Arrivò anche un’intuizione: presentarsi come
l’erede dei Merovingi, eredità che gli avrebbe procurato un vantaggio
rispetto ai molti Gran Maestri di ordini concorrenti. Per far ciò s’inventò
la storia delle pergamene trovate da don Saunière, rielaborando letteralmente i
romanzi di Lupin. E inventò il personaggio del “curato dei miliardi”. I veri capolavori di Plantard sono i falsi (non
certo una novità; la storia dei movimenti magici ed esoterici è piena di
“patacche”). Gli “inquinamenti probatori” operati dall’intraprendente
parigino e dai suoi complici si basano su un’economia della falsificazione che
rasenta la genialità.
___ L’ultimo
romanzo del ciclo di Arsène Lupin (Les milliards d’Arsène Lupin,
1939) composto quando Plantard muoveva i suoi primi passi nel mondo della
politica ermetica. A destra, circa un quindicennio più tardi, il personaggio
del “curato dei miliardi”. Plantard
voleva spiccare affinché la sua filiazione fosse più prestigiosa di quella dei
Templari ai quali già si richiamava il massonismo scozzese. S’inventò allora
uno spin-off dei Templari, un super ordine preesistente e superiore agli
stessi cavalieri rossocrociati, la “tradizione segreta del Priorato di
Sion”, con tutti quei prestigiosi testimonial da Leonardo da Vinci a
Isaac Newton. In quest’opera fu aiutato da dotati amici: Philippe de Chérisey,
amatore d’arte, attore, nobile belga; e Gérard de Sède, giornalista radicale
e anticlericale. Il terzetto imbastì, a proprio uso e consumo, una
contro-storia supportata da genealogie segrete, documenti fasulli, pseudobiblia,
lapidi e steli ricostruite per congettura. Inventò relazioni, corrispondenze,
amicizie amorose fra persone che non si erano mai viste, un teatro d’ombre di
barocca ridondanza. Allestì, insomma, un capolavoro di disinformazione cui
parteciparono, in ruoli collaterali, anche alcuni giornalisti di quotidiani. La
storia ebbe il suo culmine nella riscoperta dei fratelli Saunière delle cui
marachelle qualcuno aveva serbato memoria. Plantard,
de Sède e de Chérisey fecero una sorta di società non ufficiale e scrissero i
primi libri che godettero di un notevolissimo successo. De Sède non poteva
trovare un soggetto migliore. Superò la dozzina di titoli basati su questo
soggetto. Plantard, da parte sua, riuscì in quello che “desiderava”: il
successo e la visibilità. Divenne, in un certo modo, una personalità, anzi
recitò lui stesso la parte del “personaggio”; rimase sulla cresta
dell’onda per almeno vent’anni, dagli inizi degli anni ’60 agli inizi
degli anni ’80. Durante questo periodo fu intervistato da radio, televisioni,
giornali; collaborò alla stesura di libri e fu considerato un uomo potente. Nel
1981 il presidente Mitterand, in giro elettorale, si recò a Rennes-le-Château
e si fece fotografare sul posto. Questo episodio sembrò confermare ciò che
Plantard andava dicendo, ma in realtà era soltanto indice della notorietà che
la storia di Rennes aveva guadagnato in Francia negli ambienti gauchiste
e radicali. Plantard, con tutto quel suo parlare di Templari e del Priorato di
Sion, come supersocietà segreta al di sopra di tutti, al di sopra delle
massonerie, si espose troppo. E arrivò “l’invidia degli dei” a punire la
sua “hybris”. Diede fastidio innanzitutto la sua iniziativa di farsi
chiamare Pierre de Plantard de Saint-Clair a partire dalla metà
degli anni Settanta. Così egli s’accreditava (illecitamente) come erede della
famiglia custode della cappella di Rosslyn, la chiesa vicino ad Edinburgo al
centro delle leggende di fondazione della massoneria “scozzesista”. Insomma,
non solo si faceva passare per erede dei Merovingi (e passi, è un tema
francese) e dei Templari (è in numerosa compagnia) ma azzardò d’appartenere
alla stirpe familiare che aveva favorito, secondo le leggende, la nascita della
massoneria speculativa. Terzo
tempo: la vendetta del Graal Era
troppo. Ecco allora che tre autori inglesi (gli ispiratori diretti di Dan Brown)
legati agli ambienti dell’esoterismo nutrito all’ombra di certi “Alti
Gradi” lo contattano, lo intervistano, gli danno corda. Sono: Henry Lincoln,
che produsse tre famosi documentari della BBC e due esoteristi, Richard Baigent,
rispettato esponente della massoneria di Rito Scozzese ed editore di
“Freemasonry today” e il suo collega Richard Leigh. Nel giro d’alcuni anni
scrivono due bestseller, Il Santo Graal (1982) e
L’eredità messianica (1986), che centrano più scopi
contemporaneamente: ridicolizzano Plantard, gli rubano il “giocattolo” (la
sua creazione), e infine trasformano il mito asserendo che il segreto di Saunière
non era l’ascendenza merovingia di Plantard ma niente di meno che la
sopravvivenza di una “stirpe di Gesù”, il Sang Réal. Per costruire
i loro libri inseriscono capitoli sulla questione dei Vangeli Gnostici, il
“giallo” dei ritardi di traduzione dei Rotoli del Mar Morto, gli Esseni, i
Catari, il Concilio di Nicea, l’Inquisizione, il primato del papa, i santi, la
Madonna, la questione del celibato dei preti, il dibattito sulle ricchezze della
chiesa, le figure femminili nel cristianesimo, il Concilio Vaticano II, lo
scisma di Lefebvre (“reinventato” come custode del segreto e
ricattatore del papa). Questo schema verrà riproposto in più di quattrocento
libri di “ricerca storica”, in realtà “contro-fattuale”, e in
moltissimi romanzi fra i quali anche Il codice da Vinci. Nonostante
le sue grossolanità, oggi il mito di Rennes-le-Château è un tema culturale
usato da centinaia d’autori dei milieu magico-religiosi e persino dei
cosiddetti “culti dei dischi volanti”. È stato saldato a tutta la possibile
contro-storia, alle teorie della cospirazione e della contro-cospirazione e
soprattutto ad una produzione libraria che troppo spesso non ha rispetto
dell’intelligenza dei propri lettori, del loro diritto ad essere informati
sulla base di informazioni veritiere e non inventate. Dal mito traggono diretta
ispirazione fumetti, film, romanzi, videogiochi, centinaia di siti internet.
Saldato a molti sistemi mitici, è stato esportato in Nuova Zelanda, US.A.,
Canada, Sudamerica, Austria, Germania, Inghilterra, Italia. Sono stati creati
movimenti religiosi e magici che hanno trovato in Saunière un improbabile
ispiratore e maestro, che organizzano annualmente pellegrinaggi alla Chiesa di
Santa Maria Maddalena del villaggio pirenaico. Vi sono guide che, accanto a
Stonhenge e Giza, consigliano Rennes-le-Château come meta di sacred
pilgrimage. Tutto ciò, nella stessa zona di Lourdes. Davvero, si tratta di
un’operazione straordinariamente riuscita, andata oltre ogni rosea previsione
del gentiluomo scrittore, Maurice Leblanc. La fase finale, quella cui stiamo
assistendo da una ventina d’anni, è una montatura mediatica, con evidenti
fini di propaganda anticattolica. Al di là di questo aspetto, però, il fatto
più grave è lo scadimento del dibattito storico. Libri di pura invenzione,
scritti senza alcuno scrupolo né morale né scientifico, vengono spacciati per
serie indagini e collocati, nelle librerie e nelle biblioteche, negli scaffali
dedicati alla storia, accanto ad opere costruite su indagini serie e difficili.
Vittima di questa vicenda è soprattutto la seria, morale disciplina
della ricerca storica, i suoi procedimenti, la sua razionale richiesta di ordine
e verità. La storia è sicuramente un’attività soggetta
all’interpretazione ma l’interpretazione va fatta obbligatoriamente su fonti
veritiere e non false, non smaccatamente false.
Il
metodo di Brown Essendo
consapevole che il mito di Rennes-le-Château, così come viene presentato è
una montatura, Dan Brown afferma nel testo che il suo lavoro è basato su
“fatti storici” e ne ha difeso i contenuti anche “nell’ambito della
realtà”. Il romanziere Brown e il polemista Brown si servono entrambi della
“prova” dell’esistenza “verificabile” del Priorato di Sion. La sua
macchina letteraria, per i delicati argomenti che sono in gioco, non è messa in
moto dal gioco letterario (per definizione ambiguo) ma dalla menzogna. Il Codice
da Vinci è un romanzo a tesi, un pamphlet non dichiarato. Questo è
stato notato da molti commentatori, ma i più hanno sorriso e alzato le spalle
giustificando erroneamente l’artificio come un “espediente letterario”.
Molti romanzi (si pensi allo “scartafaccio” dei Promessi Sposi o al Manoscritto
trovato a Saragozza) imprimono moto alle loro macchine narrative ricorrendo
a espedienti simili. Però il caso di Brown è diverso: la sua enunciazione non
viene velata d’alcuna ambiguità, la sua diegesi è costruita per apparire
veritiera e persino vera. I Dossiers segreti, apocrifi depositati
nella Biblioteca Nazionale di Parigi, che proverebbero l’esistenza del
Priorato di Sion e del suo scrigno di baluginanti segreti, sono presentati come
autentici nel libro di Brown esattamente come in centinaia di volumi poco
onesti. L’operazione di Brown – in sé non illecita perché letteraria –
piega presunte verità documentarie con fini di propaganda ideologico-religiosa.
Per questo motivo l’operazione di Brown (e di coloro che stanno dietro di lui)
non è innocua né innocente, ma usa con cinismo dei falsi per rafforzare la
tesi extradiegetiche dell’“autore”. Non a caso, Mariano Tomatis, ha
richiamato, mutatis mutandis, per quest’uso spregiudicato del vero e
del falso, i Protocolli dei Savi di Sion.[7]
La prudenza dei tempi e l’esperienza del passato consiglierebbe di velare
d’ambiguità pamphlet su argomenti tanto delicati. Ultimamente,
il mito di Rennes-le-Château risultava sfibrato dalla continua erosione di
veridicità. Gli ultimi, fra i testi che lo hanno riproposto, mostrano
un’estrema stanchezza d’inventiva. Occorreva “rilanciare” l’offerta
rinnovando il prodotto. Occorreva tornare al romanzo da cui si era partiti (con Les
Templiers sont parmi nous, del 1962 di de Sède). Un’agenzia editoriale ha
scelto l’autore complottista Dan Brown per la bisogna, già autore di Angels
and Demons (dove si allude ad una cospirazione universale le cui fila sono
tirate dal Vaticano), scrittore molto esplicito sui suoi fini, (una visita al
suo sito personale può risultare molto istruttiva). Prossimamente, un kolossal
hollywoodiano potenzierà ancor di più il Kulturkampf implicito in
queste operazioni: riscrivere la storia con la spensieratezza dei rotocalchi,
piegarla alla facilità dei talk-show. Con buona pace dei tanti ingenui e
appassionati del romanzo che, riuniti in un forum, hanno salutato,
finalmente, l’arrivo dell’era “della verità”, della “radical truth”,
nella storia. Si può
star certi che il sorriso beffardo di Maurice Leblanc non si è mai spento. NOTE: [1]
La storia incantata in “Domenicale”, n. 42, (2004). [2]
Brown D., Il Codice Da Vinci, trad. it., Mondadori, Milano 2003, p.
9. [3]
Introvigne M., Dalla farsa alla tragedia, in Cardini F. -
Introvigne M. - Montesano M., Il Santo Graal, Giunti, Firenze 1998,
pp. 147-159 (ivi p. 147). [4]
Fabre B., Un initié des sociétés secrètes supérieures: Franciscus
eques a capite galeato, La Renaissance Française, Parigi 1913. [5]
Messori V., “Prefazione” a Elogio della Inquisizione, Leonardo
Editore, Milano 1994. [6]
Ferté P., Arsène Lupin, supérieur inconnu. La clé de
l’oeuvre codée de Maurice Leblanc, Guy Trédaniel, Parigi 1990 [7]
Conferenza The Da Vinci Hoax, World Skeptics Congress, Abano Terme
ottobre 2004.
Rennes-le-Chateau,
una decifrazione. La genesi occulta del mito (edizioni Sugarco, Milano 2004)
Templari, il martirio della memoria. Mitologia dei cavalieri del Tempio (Sugarco Edizioni,2005) Sezioni correlate in questo sito:
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