Eccoci nuovamente sul percorso della Via Francigena,
questa volta nella parte più settentrionale d'Italia, la Valle d'Aosta.
Come si vede dalla cartina, questo importantissimo percorso stradale che
univa Roma a Canterbury passava anche da qui, con le direttrici per
Svizzera e Francia. Il tracciato, riscoperto di recente, è sia percorso
culturale che spirituale e si sovrappone a quello del 'Chemins des
Vignobles' (alla scoperta delle vigne, ovvero un'offerta escursionistica
turistico - agricola).
Issogne
dista da Aosta una trentina di chilometri, e si trova di fronte
all'imbocco della Val d’Ayas; è un piccolo borgo della bassa Valdaosta
collocato alla destra orografica della Dora Baltea, ai piedi del costone
del Creton e circondato da boschi. Il suo clima è mite, cosa che ha
favorito l'agricoltura fin da epoche antiche (sono noti i vigneti dei
romani lungo la piana della Dora). Lungo la strada, che oggi si
percorre comodamente in auto, l'occhio cattura paesaggi d'altri tempi,
d'altri sogni, e del resto questa è famosa per essere la regione dei
castelli, d'arme e d'amore...
Il forte di Bard (XIX
sec.)
Il castello medievale di Verrès
Al
centro del paese sorge il castello, uno dei più famosi della regione e
che è quello che, sostanzialmente, ci hanno fatto pervenire i suoi
proprietari più famosi, i Challant.
Ed
è proprio il loro lo stemma che vediamo sul portone con profilo a
chiglia, delizioso, che affaccia sulla piazzetta (di fronte alla
Parrocchiale); questo portale era l'antico ingresso che immetteva
direttamente nel celebre portico, nel cortile e nel giardino, e quindi si
saliva alle sale da pranzo e alle cucine. Attualmente i visitatori entrano
un po' più avanti, dal bel viale-giardino che offre una vista bellissima
sulle montagne; per terra sono disposte alcune antiche macine e già
l'atmosfera frenetica della vita quotidiana è totalmente scomparsa, come
fossimo entrati in un mondo a parte.
Come
è nostra consuetudine, non intendiamo essere una replica delle guide che
si trovano in loco, o nel sito ufficiale, molto ben fatto (tanto più che
la visita al castello è obbligatoriamente guidata su percorsi
prestabiliti). I nostri 'due passi' sono andati ad indagare dietro le
quinte del maniero, situato in un paesaggio di esaltante bellezza e in un
punto ritenuto quasi certamente sacro fin dai tempi più remoti, cosa
suggerita dal fatto che è centrale rispetto al borgo (anticamente, il
'centro' rappresentava la sede della divinità; non è improbabile che
dove oggi sorge la chiesa parrocchiale, vi fosse un edificio di culto
'pagano' e chiesa e castello sono situati di fronte uno all'altro).
Apprendiamo così che dove oggi sorge il castello, in epoca romana vi era
una domus, situata al di sotto della manica verso valle. Qui hanno
puntato gli scavi archeologici della campagna svoltasi tra marzo
e luglio del 2003, che hanno inoltre interessato l’interno di parte dei vani
interrati del maniero. Ciò ha
permesso di eseguire un'analisi stratigrafica che ha consentito un
miglioramento delle conoscenze circa la sequenza costruttiva che ha
insistito sull'area, mettendo in evidenza un’articolazione strutturale in buona parte diversa rispetto a quanto fino ad
ora era stato proposto(1).
Prima
della 'domus' romana non sappiamo cosa sia stato trovato, e non si hanno
notizie sull'uso dell'are in epoca seguente, altomedievale. Le notizie
disponibili ci informano che nel XII secolo d.C. vi era l’ ”episcopalem domum”,
trasformata poi in casa-fortevale a dire di un' abitazione dotata di sistemi
difensivi, appartenente al vescovo di Aosta, che possedeva diritti sulla zona almeno dal 1152)
alla prima metà del secolo successivo. La famiglia Challant entra
in gioco più tardi, con Ybleto, cui si deve la maggior parte delle
strutture che costituiscono il castello ancora oggi, ma certamente il più
determinante per le sorti del maniero fu Giorgio di Challant,
priore della Collegiata di Sant'Orso ad Aosta e governatore di
quella città. Ai nostri lettori suonerà forse familiare questo luogo,
perchè nel 'lontano' 2002 ci recammo in visita per documentare lo
straordinario Rotas/Sator circolare che era venuto alla luce
nell'area dell'altare della chiesa della Collegiata stessa. Vi siamo
ritornati, non temete, e vi daremo le ultime notizie; ma qui ad Issogne
dovevamo documentare l'esemplare di Sator che viene spesso- a
sproposito- collegato con quello di Aosta, ponendo come filo di
collegamento proprio il priore Giorgio di Challant. Cercheremo di capire
qualcosa di più.
Ma
andiamo per gradi, cercando di immedesimarci nella mentalità medievale,
quando il sapere si trasmetteva attraverso i simboli. Oggi si è
concordi nel riconoscere nell'apparato pittorico del castello non più una
semplice decorazione o impianto estetico di auto-esaltazione, ma
l'intenzione del priore Giorgio di Challant di trasfondere nel castello il
suo sapere, acquisito non soltanto nel monastero di Sant'Orso (sicuramente
una sede di cultura eccellente, che ne trabocca ancora oggi), ma
attraverso viaggi in Italia e in Europa, a contatto con la cultura più
raffinata dell'epoca. Molto probabilmente venne a contatto con quella che
chiamiamo la Tradizione ermetica, che comprendeva allora tutte le più
importanti discipline e scienze. Nel 1487 Giorgio si trova ad essere
tutore dei figli del suo defunto cugino Luigi, Filiberto e Carlo, avuti
dalla moglie Marguerite de la Chambre. I coniugi abitavano il castello di
Issogne e quando il priore si trova a divenirne mecenate, lo adatta a
dimora signorile, in cui collocare qui e là sicuri riferimenti simbolici,
camuffati da pregevoli affreschi dall'impatto familiare. Egli
probabilmente ricongiunse edifici di epoca diversa, con la realizzazione
di loggiati e corridoi. .
La
fontana simbolica del cortile
Superato
il cancello di ingresso al cortile, uno dei manufatti che attira
l'attenzione è la singolare fontana ottagonale che spicca nel mezzo; è
singolare poichè al centro diparte una pianta in ferro battuto,
che replica un melograno con foglie di quercia, e quattro zampilli
sgorgano dai suoi rami.. Una copia di questa fontana si trova nel borgo
medievale del Valentino di Torino. Sul bordo ottagonale di pietra sono
scolpiti gli stemmi della famiglia Challant. Quest'opera codifica diversi
messaggi simbolici, a partire dall'ottagono: questa è la forma dei
battisteri cristiani (ad immersione prima e poi trasformati in edifici
ottagonali), e rimanda all'Ottavo giorno, quello della Resurrezione o
rinascita tramite l'acqua battesimale, fonte di Vita eterna. Il melograno
è correlato alla fecondità, alla copiosità dell'Opera (alchemica),
coniugata alla stabilità (foglie di quercia). I quattro zampilli sono
come i fiumi dell'Eden, ma sono anche le quattro fasi alchemiche che
portano alla realizzazione dell'Opus e, nel complesso, il manufatto
potrebbe essere raffrontato alla 'fonte dell'eterna giovinezza' di cui
parlano i testi ermetici. Negli ultimi decenni la fontana è stata oggetto
di minuziose analisi, disposte dalla Soprintendenza dei Beni Culturali di
Aosta, al fine di verificare il suo stato di conservazione. Nel 1996
-volendo evitare delle radiografie - si era proceduto ad impiegare
tecniche locali quali eddy current, ultrasuoni a varie frequenze ed
endoscopia.
A causa però della presenza di forti rugosità superficiali , di strati
ossidati in superficie e di superfici di separazione molto irregolari, la
risposta delle strumentazioni non era stata quella sperata. L'intervento
è comunque servito per capire come procedere e alla fine si è optato per
l'impiego di tecniche
radiografiche di media ed alta penetrazione (nel link collegato è
possibile vedere la radiografia del corpo, dei rami e dei getti). Con
tecniche CAD si sono anche potuti ricostruire alcuni elementi tramite
computer grafica.
Sotto le
bellissime volte a crociera che costituiscono l'ossatura del porticato, si
ammirano degli affreschi la cui lettura -apparentemente banale- non è
invece così semplice. Troviamo scene che -stando alla critica - dovevano
testimoniare la tranquilla vita del feudo sotto i Challant: gli affreschi
sulla parete di fronte alla fontana ritraggono il mercato e le botteghe artigiane(beccaio,
fornaio, sarto, speziale, formaggiaio/salumiere) in
cui l'abbondanza trionfa ma altri elementi depongono per la
rappresentazione nascosta dei vizi (ira, gola, lussuria), tuttavia non
esiste ancora una lettura simbolica esaustiva (7 è un numero 'magico',
intanto, non casuale). Lungo la parete perpendicolare, è raffigurato il
Corpo di Guardia che, appese le armi alla parete, si concede a svaghi e
giochi.
Tra
questi, si vedono benissimo il back-gammon e il 'filetto' (che per noi è
la 'nostra' Triplice
Cinta'). Si vedono due giocatori che stanno
disputando una partita su un tavoliere, nel quale compaiono pedine bianche
e nere. I loro abiti però non lasciano pensare a dei soldati, quanto più
dei ricchi nobili; forse questi ultimi si concedevano di svagarsi con le
guardie nei momenti...liberi. Comunque la circostanza relativa ad un gioco
tra soldati ci conferma tra l'altro quanto già appurato in altri luoghi,
dove incisioni di 'filetti' vengono ascritte a soldati che, tra una pausa
e l'altra, si dilettano a sfidarsi su questo tavoliere, dove lo scopo è
mettere tre pedine in fila (gioco di allineamento). Questo comunque apre
una parentesi sulla notorietà che questo gioco dovesse riscuotere
nell'ambiente dell'epoca. In questo contesto è innegabile che lo schema
rappresentato sia usato come ludus, tuttavia- conoscendo anche il
suo valore simbolico- ci può sorgere il dubbio che il committente abbia
usato un espediente scontato ed efficace per far pervenire un messaggio a
chi doveva arrivare.
I
graffiti e le scritte ovunque
Sul
dipinto appena visto sopra, un buon osservatore avrà notato la presenza
di numerosi graffiti (sul cappello blu del giocatore di spalle, in primo
piano, ad esempio, ma un po' sparsi sull'intera scena). E' la prassi, per
questo maniero: fin dall'ingresso, se si avrà cura di prestare
attenzione, si rileveranno scritte sui muri a profusione, sia incise con
punte metalliche che tracciate con pastello rosso o scuro. Perchè? Viene
spiegato in loco che era quasi una regola, tra nobili (castellani od
ospiti) si lasciavano scritte non per maleducazione ma come ricordo.
Nutriamo una certa perplessità, tuttavia è innegabile che alcune di esse
siano vergate con estrema eleganza e rappresentano una testimonianza della
vita del castello. Anzi, una di esse -considerata la più antica - risale
al 1489 e riferisce della costruzione stessa del maniero; una, del 1538,
fu lasciata da un tale Barbero che nella sala di Giustizia ci informa di
essere giunto al castello il 3 giugno 'più morto che vivo' (probabilmente
il suo viaggio fu estenuante, ma non sappiamo altro). Troviamo anche
figure araldiche, cuori trafitti da frecce, lance o spade; brani della
Bibbia, citazioni e notizie personali di chi scrisse, nomi, sigle e
date...
Altri
temi 'ermetici'
Premesso
che una lettura in chiave esoterica degli affreschi del castello andrebbe
eseguita con calma e tempo, ci permettiamo di osservare come talune
allegorie presenti in essi rimandino all'Alchimia; è il caso del
dipinto (situato all'oratorio al primo piano) dell'Assunzione della
Vergine e la leggenda di Santa Margherita, fagocitata dal drago e poi
risorta prodigiosamente grazie all'aiuto della Croce. Marguerite era anche
il nome della moglie del cugino di Giorgio di Challant, e fu lei- rimasta
vedova- a dare al priore stesso l'incarico di tutore dei figli, nonchè di
disporre del maniero a suo piacimento. Il drago è la 'materia nera' degli
alchimisti, i quali devono estrarre da essa
la 'bianca fanciulla'. La croce è il geroglifico alchemico del crogiolo,
dove la materia compie le sue trasmutazioni e si spiritualizza.
Nell'oratorio di Giorgio di Challant troviamo rappresentata la Passione di
Cristo nelle scene cruciali (Crocifissione, Pietà e Deposizione nel
Sepolcro, temi ovviamente cristianissimi (trattandosi, poi, di un
uomo di chiesa), ma innegabilmente allegorie pregnanti della realizzazione
della Grande Opera Alchemica.
Nelle
sale basse c'è anche un interessante paesaggio di Gerusalemme con il
Calvario che reca infisse delle croci vuote (interpretato come allusione
alla Resurrezione). Nella parte di cinta del giardino sono raffigurati filosofi e saggi
dell'antichità, che dovevano evocare le virtù della Tradizione antica.
Nella
bellissima Cappella del primo piano, situata nel lato orientale del
castello, i temi centrali sono la Vergine e
l'infanzia di Gesù mentre di contorno stanno i Profetti, gli Apostoli e i
quattro Dottori della Chiesa, nonchè la rara raffigurazione della Morte
della Vergine. L'altare a sportelli, recuperato dall'ultimo proprietario,
Avondo, su un mercato antiquario, risale ai primi del 1500 (durante
l'epoca di Giorgio di Challanti), riporta -tra le altre-scene come l'Annunciazione,
la Natività, la Strage degli Innocenti, la visita dei ReMagi...
Nella Sala di
Giustizia, l'ambiente di rappresentanza principale del maniero, di
influenza franco-fiamminga, sontuosa e con un accogliente camino, Giorgio di Challant si fece dipingere come
Paride nell'affresco del Giudizio di Paride.Nella Camera da letto
del priore, campeggiano croci Mauriziane (da qui il locale era deto
'chambre de st. Mauris', camera di san Maurizio), simbolo dell'Ordine
Mauriziano legato ai Savoia. Lo stemma sul camino reca accanto due
esoterici animali, un leone e un grifone, emblemi di Giorgio
di Challant stesso.
Il
quadrato magico del Sator e un sorprendente dettaglio
Nei
numerosi articoli e libri che ci è capitato di leggere sul misterioso
quadrato magico del Sator, abbiamo sempre visto citato -quasi come
copia/incolla ormai tanto di moda - il Sator di Issogne relazionato a
quello presente nella Collegiata di Sant'Orso ad Aosta, almeno da quando
quest'ultimo venne scoperto alla fine degli anni '90 del XX secolo. Noi
andammo a documentarlo nell'agosto 2002 (senza presunzione diremo che la
nostra ricerca fu in seguito ispirazione per molti altri ricercatori). Del
Sator di Issogne però, pochissimi hanno saputo dire come veramente esso
fosse. Noi stessi ci siamo fino ad oggi limitati ad inserirlo nel
censimento, ripromettendoci di fare chiarezza appena fosse possibile. Per
toglierci lo sfizio, da buoni segugi, desideravamo documentarlo, anche per
capire meglio se un raffronto con quello aostano vi fosse, ma soprattutto
se il Sator stesso esistesse, da qualche parte nel castello di Issogne.
Possiamo dire di si, esso esiste davvero; è tracciato in verticale lungo
la scala a chiocciola ( o scala elicoidale, viret) che
collega il corpo centrale all'ala orientale del castello, ritenuta un
capolavoro di architettura rinascimentale. "La scala
a chiocciola in pietra rappresenta un capolavoro di maestria tecnica in cui i gradini hanno la sagoma di un
settore di corona circolare; lo spessore è equivalente all'altezza del gradino, ma nella parte più sottile termina
con un elemento cilindrico e la sovrapposizione dei gradini crea un allineamento in verticale degli elementi
cilindrici. La sovrapposizione di questi dà origine alla colonna centrale di sostegno con i gradini che si aprono
a ventaglio per dare vita alla scala. La loro sovrapposizione e l’incastro nella muratura dà un’immagine
prospettica particolare, rafforzata dal soffitto della rampa continua per cui la scala sembra formata da un unico
nastro che si dipana attorno alla colonna centrale"(2).
Non ha nulla
a che vedere con il Sator del mosaico pavimentale di Sant'Orso ad Aosta.
Questo è stato vergato in colore rosso, in maniera forse frettolosa o
comunque che non denota un'eleganza stilistica. Più che nella forma
quadrata, assume una disposizione rettangolare, a caselle 5 x5 classiche,
con il palindromo cominciante con la parola Sator, poi Arepo, Tenet,
Opera, Rotas. La forma classica, dunque. Ben visibili tutte e cinque le
parole, sommariamente, ma le ultime tre sono un po' più scolorite. Lo
schema è obliquo, non dritto e, cosa veramente unica per quanto attiene
alle nostre conoscenze, presenta una particolarità: nella parte
superiore si nota una sorta di 'appendice' che potrebbe far pensare ad una
sorta di maniglia, di pomolo, come quello di alcuni taglieri di legno, ma
vagamente ricorda anche un minuscolo collo con un altrettanto minuscolo
capo (che però non ha lineamenti). Noi ci vedevamo anche un 'braccio'
piegato a novanta gradi e appoggiato sul pomolo ma...mostrato a degli
amici che probabilmente hanno molte più diottrie della scrivente, si è
scoperto trattarsi della rappresentazione di un gancio (ad anello) che,
chiaramente virtualmente, è appeso ad un 'chiodo a rampino' che
-sempre virtualmente- entra nella parete. Un Sator da appendere,
dunque. Un simbolo di protezione o 'anti' qualcosa, visto in chiave
magica. Una cosa che sembra di poter affermare con certezza è
che lo schema del Sator e le curiose appendici siano stati fatti dalla medesima
mano, cioè pensati e realizzati unitariamente. Quando? Qui sembra
poter ravvisare un termine sine qua non, cioè oltre il quale non
si può andare ed è quando Giorgio di Challant fece eseguire le strutture
di collegamento tra i vari corpi dell'edificio, ovvero dopo il 1489.
Come scrivono infatti gli esperti che hanno eseguito le ricognizioni
archeologiche nel castello, la scala a chiocciola non doveva esistere
prima: "Un ulteriore importante elemento, che sulla base dei rapporti stratigrafici tra le murature limitrofe, non è riconducibile al momento costruttivo di Ybleto de Challant, è la caratteristica
scala a chiocciola. Essa costituisce,viceversa, l’ultima attività edilizia inserita nel corpo di collegamento tra la parte nobile, cosiddetta, e il nucleo antico. Osservando la parete verso il cortile si nota come i marcapiani tra i tre corpi non presentano la stessa quota d’orizzonte. L’edificio che costituisce il raccordo tra i due corpi, presenta una quota di marcapiano che tenta di raccordare i due blocchi cui si va ad appoggiare. Essa non
corrisponde a nessuno dei due, così come non è in asse con le quote delle finestre della scala a chiocciola. La scala a chiocciola mostra chiaramente, anche sull’intonaco esterno, il suo inserimento a
posteriori[...]), v. nota 1.
La parete su
cui è tracciato, però, poteva esservi? Secondo noi si, perchè è parte
della muratura dell'edificio, sulla quale si è impostata la scala. Ma non
siamo esperti per poterlo assicurare. L'esemplare non appare medievale; si
intravede una data, superiormente, dipinta in rosso, 1
8...milleottocento...o si tratta di un 5, dunque millecinquecento e...? Ma, ammesso sia così, può c'entrare qualcosa con
il Sator? La tinta rossa sembra la stessa, mentre si può dire che è
diversa da quella usata per tracciare la vistosa X che va parzialmente a
ricoprirne la parte sinistra (dunque la X è posteriore). Comunque lo
strano Sator 'appeso' è circondato da una serie di altre scritte notevole (ma come abbiamo già detto, è una caratteristica presente in
tutti gli ambienti dell'edificio), che vengono
datate dal XVI sec. in
poi. Chiara è una delle scritte posta più a destra, lungo la scala, che
reca la data 28 ottobre 1525.
Strutture
simili, dipinte in rosso su una parete, ne esiste almeno un'altra, a Castel
Mareccio (Bolzano), probabilmente del XVI secolo.
Da chi fu
tracciato questo Sator nessuno lo sa, almeno per nostra informazione.
Forse qualche ospite del castello, qualcuno che ne conosceva il senso
-indipendentemente dal fatto che nella Collegiata di Sant'Orso
si trovasse
un Sator (che risalirebbe al XII secolo e, nel XVI secolo, era ormai
nascosto sotto il pavimento del presbiterio della chiesa di
Sant'Orso). Il collegamento con Giorgio di Challant, pertanto,
potrebbe essere molto debole, tuttavia non
escludibile. Se ammettiamo il palindromo del Sator un sigillo magico,
usato in certe sfere 'colte' (è anche il presente caso)...Certo solo chi
aveva accesso al castello poteva notarlo (e oggi solo chi lo cerca come
noi), non chiunque.
Rimane tutto il
fascino arcano di questo esemplare, come se non vi fosse abbastanza mistero su un palindromo che è
capace ancora di stupirci e di donarci stimoli nuovi d'indagine.
Grazie, Issogne.
Piccola
galleria fotografica del borgo: visitatelo!
Note:
1)-
Per un esaustivo approfondimento dei risultati degli scavi si legga il
Bollettino della Soprintendenza ai Beni Culturali "Dallo scavo archeologico
all'analisi architettonico-strutturale: il caso del castello di Issogne" di
Gaetano de Gattis, Mauro Cortelazzo, Renato Perinetti, scaricabile al link: http://cortelazzomauro.it/pubblicazioni/castelli/castello_issogne.pdf