Un viaggio
all'Elba è un incontro tra due mondi: quello che è stato e quello che è. La
sua origine che risale a milioni di anni fa, le sue vicissitudini
geologiche, il suo popolamento arcaico, i misteriosi Etruschi, le ville
romane, la conquista pisana, genovese, turca, il Principato e il governo
degli Appiani, dei Medici, indicano che da sempre questa terra è stata al
centro dell'attenzione per la sua posizione strategica tra la Corsica e la
Toscana, per le sue floride risorse minerarie e il controllo delle rotte
militari e commerciali. Insieme alle sue chiese
romaniche, al periodo rinascimentale e napoleonico, troviamo aspetti culturali che si sposano
armonicamente con la bellezza del mare, con il contrasto dei paesaggi, con
la vita della gente. Dal nostro primo, breve, ma intenso approccio con
questa isola (la terza per dimensione in Italia, con i suoi 223,5 Kmq),
abbiamo saputo trarre una prima e stimolante conoscenza.
Caratteri
generali
L'isola dai
mille fuochi. Pare che gli
antichi naviganti notturni la soprannominassero così, perchè scorgevano innumerevoli luci sulle sue coste:
erano i rinomati forni in attività! Una leggenda racconta che i mitici
Argonauti, dopo aver attraversato il mar Ligure, approdarono all'Elba,
tappa legata al grande porto Argòo. Secondo uno scritto del IV sec. a.
C.(Pseudo Scilace), l'Elba a quel tempo era l'unica isola abitata
dell'Arcipelago Toscano.
L'Elba
appartiene, amministrativamente, alla provincia di Livorno; è divisa dalla
Toscana da 10 Km di mare, e dalla Corsica da un canale di circa 50 Km. E'
circondata dal mar Tirreno e milioni di anni fa faceva parte di un
continente comprendente la Corsica e la Sardegna, che sprofondò in epoche
remotissime e che il mito identifica con la Tirrenide. Alcune rocce
elbane hanno un'età che supera i 500 milioni di anni, verso la parte
orientale (Penisola di Calamita); dalla fine del Pliocene medio (4 milioni
di anni fa circa) ad oggi, l'isola è passata da condizioni di 'insularità' a
fasi di 'continentalità', fino a raggiungere- dopo la fine dell'ultima
glaciazione (attorno a 10.000 anni fa)- l'attuale configurazione. Durante il
Paleolitico, quando l'Elba non era un'isola ma era unita alla Toscana,
l'uomo preistorico era già attivo, come testimoniano i ritrovamenti di
capanne ed utensili lungo le coste, nelle pianure, nelle caverne alle
pendici dei monti, sulle colline e sulle montagne elbane. Si parla di
'industria musteriana', dalle caratteristiche evolute. Attorno al 12.000 a.C.,
un istmo di terra largo circa 5 km collegava ancora l'Elba al continente ma
poco dopo mille anni, il mare si era innalzato (scioglimento dei ghiacci),
ricoprendo la lingua di terra ed isolando l'Elba, che da allora divenne
un'isola a tutti gli effetti. Flora e fauna dovevano essere diverse da
quelle di oggi, Nella prima fase del Neolitico, arrivarono sull'isola nuove
genti, abili navigatori, richiamate dalla presenza dell'ocra e dei metalli,
di cui l'Elba era ricchissima. Dal 5.000-4.000 a. C si colloca l'Età del
Rame, ossia l'utilizzazione da parte umana di questo metallo che, dal
Vicino Oriente, si diffuse in area mediterranea. All'Elba ci sono
testimonianze dell'antico utilizzo di piccole vene minerarie cuprifere
(1) nei calcari termometamorfosati. Un migliaio di anni dopo la
scoperta della lavorazione del rame, si cominciò a produrre la sua lega con
lo stagno, il bronzo(2).
Si colloca attorno alla fine del III millennio a.C. lo sfruttamento
sistematico all'Elba dei minerali per estrarne i metalli, con la cosiddetta
Cultura di Rinaldone. Ma, come è noto, l'isola è la patria del
ferro. E non si può parlare di ferro senza citare gli Etruschi,
misterioso popolo che fa la propria comparsa attorno all' VIII sec. a.C.
quando i Greci li menzionano, chiamandoli Tyrrenoi o Tyrsenoi,
indicandone l'azione di disturbo sui mari, esercitata nei loro confronti. In
realtà, gli Etruschi dovevano già abitare dal IX sec. a. C. tutti quei
villaggi situati in punti strategici, lungo 'itinerari naturali', adatti
all'agricoltura, allo sfruttamento delle miniere e agli scambi. Dall'
VIII-VII sec. a.C. e quasi senza soluzione di continuità fino al...1980(!),
sull'Elba sono stati estratti minerali di ferro da ematite e limonite; si è
calcolato che nei secoli, fino al 1952, sull'isola d'Elba sono stati
estratti 40.000.000 di tonnellate! Per difendere i giacimenti minerari
dalle razzie, gli Etruschi costruirono delle fortezze d'altura, a partire
dal V sec. a.C., attualmente ancora non adeguatamente scavate e studiate
(tranne che in due casi, quello di Monte Castello a Procchio e di
Castiglione di san Martino) ma una fonte preziosa di informazioni(3).
"I giacimenti di ferro dell'Elba - ci spiega un vero esperto, che
abbiamo incontrato sull'isola e che presenteremo tra poco- si trovavano
nella parte orientale e gli Etruschi avevano individuato delle vene di ferro
unico nel suo genere, puro al 97 % (esente, cioè, da inquinamenti di
Al(alluminio), S(zolfo), etc.) con un'alta percentuale di ferro
omogeneamente distribuito, Mn(manganese) e Si (silicio)". Gino Brambilla,
classe 1928 (82 anni portati un gran bene!), è autore di uno splendido libro
"Le impronte degli antichi abitatori dell'isola d'Elba. Dalla Preistoria
agli Etruschi" (Iuculano Editore, oggi esaurito) e siamo andati a
trovarlo nel suo 'laboratorio' situato di fronte alla banchina di
Portoferraio, all'Elba.
Gino
Brambilla e la riscoperta dei forni etruschi
Il suo cognome
ne tradisce la provenienza, che molti avranno già intuito. Infatti ' il
Gino', come ama essere chiamato dagli amici, è nato a Milano, ma si trasferì
presto, con la famiglia, nella zona di Moltrasio, sul lago di Como. E' il
caso di dire che la sua vita è stata costellata di grandi avventure, da
quella tristissima della II guerra mondiale, alla sua attività di 'contrabbandiere'
tra Italia e Svizzera, con tutti i rischi che questo comportava; dalla sua
abilità tecnica di soffiare il vetro, che lo ha condotto in giro per il
mondo, all'approdo all'Elba, nel 1962, da dove non se ne è più andato e dove
ha iniziato una 'carriera' nel mondo dell'archeologia. Lui, pregresso
contrabbandiere, si è guadagnato dalla Soprintendenza Archeologica
della Toscana il titolo di Ispettore Onorario! Ma questo merito gli
deriva da cinquant'anni di instancabile attività di scoperte e vigilanza sui
reperti che all'Elba vengono sistematicamente alla luce. Non sapeva nuotare
ed è stato capace, nel 1969, di individuare un relitto sottomarino vergine,
nelle acque antistanti S. Andrea a Marciana (sulla costa occidentale
dell'isola), e altri ritrovamenti sono seguiti in ogni zona dell'Elba
(sui fondali, in grotta o in collina, oppure in montagna, ovunque il fiuto e
lo studio della letteratura d'archivio lo abbia condotto), fino all'ottobre
del 2001, quando ha scoperto -a Campo all'Aia (Marciana)- a 73 anni suonati,
il relitto di un'imbarcazione etrusca carica di minerale. Una vera forza
della natura, il Gino! Che, tra tante cose che 'è' e che 'fa', ha fondato,
diversi anni or sono, il Gruppo Archeologico Naturalistico Elbano,
che ha sede a Portoferraio.
Una delle sue
scoperte più importanti è stato capire il segreto della metallurgia
etrusca, ovvero il funzionamento dei forni usati dagli Etruschi per la
riduzione del ferro. Da quando si stabilì sull'isola, Gino aveva spesso
incontrato dei sassi scuri e molto pesanti, vicino alle spiagge,
domandandosi cosa fossero. I locali gli avevano detto che erano schiumuli,
scorie di quando gli Etruschi facevano il ferro. Ma quando Gino chiese come
costoro avessero fatto il ferro, nessuno seppe spiegarglielo. Da qui la sua
curiosità di trovare una risposta. Fatale fu l'incontro, tra realtà e
mistero, con un piccolissimo esserino che stava tutto nella sua mano,
di nome Aithalos, che gli avrebbe rivelato il segreto del ferro degli
Etruschi. Sta di fatto che dopo questo incontro, il Brambilla fu in grado di
costruire un forno etrusco alla regola d'arte ed un giorno, dopo ore che
lavorava alla produzione del ferro, una signora immortalò con la sua
macchina fotografica la scena. In fase di sviluppo della fotografia, si vide
che dal camino del forno usciva una figura antropomorfa, che al Gino parve
proprio Aithalos...
I forni
che Gino ha ricostruito sono fruibili per attività didattiche dalle
scuole, ma anche da visitatori interessati, presso il Parcolaboratorio 'I
forni etruschi' (loc. La Chiusa). Qui, in un'area di 5.000 mq, trovano posto
i forni in argilla e blocchi di arenaria, costruiti dal Gino nella forma e
nelle misure reali di quelli Etruschi, in base ai ruderi rinvenuti
sull'isola e da lui studiati, e che la gente del posto chiama 'fabbrichili'.
Quell'
ingegnoso popolo etrusco si costruiva piccoli forni per la riduzione
dell'ematite che erano strutturati nel modo seguente:
L'accensione
avveniva impiegando carbone di legna prodotto sull'isola e veniva utilizzato
il mantice, che veniva inserito nel boccame, un foro alloggiante il
tubo di argilla (ugello); in tal modo si otteneva un prodotto simile ad una
spugna, denominato appunto spugna di ferro, la quale veniva poi
trasformata in acciaio. Il Gino l'ha ottenuta, sostenendo che essa è
identica a quella prodotta 2.500 anni fa!
Il Gino ci ha
parlato del metodo della 'carbonaia', tutt'ora in uso, per ottenere il
carbone dalla legna e noto già nel Neolitico: distillazione a secco con
eliminazione di acqua, l'aceto ed il catrame di legna, conservando solo
carbonio. Il carbone era indispensabile per l'operazione di riduzione, che
era di tipo 'diretto', cioè riscaldando il minerale ad alte temperature
insieme al carbone di legna in un forno di argilla come visto, subiva un
processo chimico di riduzione dando origine al ferro metallico.
Ascoltare le
parole vivificanti del Gino è penetrare con lui in un mondo scomparso,
magico, ma che è esistito e che rivive grazie ai suoi 'esperimenti'.
Immaginiamolo al lavoro, mentre è intento al forno etrusco, operazione che
egli definisce 'un'esperienza indimenticabile'. "La bocca è posizionata
nella parte superiore del forno che, una volta acceso e ben caldo, viene
alimentato circa ogni mezz'ora con carbone di legna e frammenti di ematite.
L'operazione completa dura dalle 8 alle 10 ore, durante le quali -con
l'aiuto di un grosso mantice che eroga 160 mc d'aria/h (azionato da due
addetti, n.d.r.)-si raggiungono i 1300° , che sono indispensabili per la
riduzione del minerale". Quando il forno viene aperto, si trova il
frutto di tanto lavoro:il blumo, la cosiddetta 'spugna di ferro',
contenente il 90 % circa di ferro 'dolce', che ha lo 0,06 % di C (carbonio).
Il blumo o spugna viene successivamente scaldato in una forgia
(sempre alimentata a carbone di legna) fino a che assume una colorazione
bianca (1300°C) e martellato per liberarlo dalle impurità. "Dopo una
lunga serie di queste operazioni si ottiene un lingotto di duro ferro,
simile all'acciaio che può contenere fino allo 0,80% di carbonio. E' lo
stesso acciaio con il quale i Romani, partendo dalla spugna degli Etruschi,
fabbricavano il gladio, la famosa corta spada delle fanterie delle legioni
romane con la quale conquistarono il mondo di allora".
Ogni volta che
il forno viene utilizzato, si provvede ad un 'restauro'con un impasto
chiamato 'stip' (fatto di argilla refrattaria, renone e polvere di carbone),
che si impiega anche per la base interna della camera di combustione più
calda del forno, dove si deposita la scoria fluida prima di uscire dal
foro posto al centro della porta nella parte più bassa.
Il signor Gino
ha potuto collocare cronologicamente l'utilizzo dei siti per la riduzione
dell'ematite nel passato. Un primo in epoca etrusca, durato fino alla
conquista romana (II sec. a.C.ca) ed un secondo, che iniziò nel Medioevo (in
cui si assistette ad una fiorente ripresa dell'attività mineraria elbana) e
durò fino alla fine del XVIII secolo. In questo secondo periodo, i luoghi
lungo la costa dove in antichità era stato ridotto il minerale(riconoscibili
perchè vi erano residui di forni, di piccoli edifici e delle scorie di
fusione) venivano chiamati 'terrastrini'.
I siti per la
riduzione del minerale avevano delle caratteristiche
comuni: si dovevano trovare vicino alle coste, ma non distanti dai boschi, che fornivano carbone di
legna; terreni scoscesi idonei a posizionare i forni; sufficienti depositi
di argilla usata per costruirli. Il trasporto del materiale avveniva lungo
le coste tramite imbarcazioni, e poi veniva condotto ai forni tramite
torrenti che venivano mantenuti costantemente dragati. Il carbone vegetale
poteva anche essere reperito distante dal luogo dove si trovava il forno, in
tal caso si impiegavano asini guidati da schiavi, che lavoravano anche nelle
miniere.
I sagaci
Etruschi, dice il Gino, adottavano la rotazione ventennale nel taglio dei
boschi, per cui non può essere vero che essi smisero di produrre metallo per
mancanza di legname.
Il ferro che
gli Etruschi lavoravano era anche quello meteorico, ma soprattutto l'ematite
(ossido ferrico, Fe2O3); essi
lavoravano anche l'oro e il rame. Quest'ultimo si otteneva tramite un
processo chiamato desolforazione che, lo dice il nome, mirava ad eliminare
lo zolfo dalla calcopirite, che è un solfuro di ferro e rame, presente
in quantità all'Elba.
Il Gino ha ricostruito anche questo tipo di forni
etruschi, sulla base di quelli scoperti in Val Fucinaia (Campiglia
Marittima, LI) nel 1934, e si è accorto di un particolare molto
interessante: "E' probabile che gli Etruschi abbiano rinvenuto un primo
ferro, ricavato da una riduzione diretta, tra le scorie ferrose della
lavorazione della calcopirite. Si accorsero cioè che tra le scorie vi erano
dei nuclei di metallo malleabile che si poteva martellare:il ferro".
Uno speciale
ringraziamento all'infaticabile opera del sig. Gino Brambilla. Tutte le foto
sono dell'Autrice; i disegni della ricostruzione dei forni etruschi e alcuni
brani messi in corsivo sono stati tratti dal libro di Gino Brambilla "Le impronte degli antichi abitatori dell'isola d'Elba. Dalla Preistoria
agli Etruschi" (Iuculano Editore), e riprodotte per gentile
concessione dell'Autore.
Note:
1)- La produzione di rame avviene inizialmente a partire dal rame (Cu)
nativo, ossidi (cuprite, tenorite) e carbonati (malachite, azzurrite), e poi,
dal Bronzo Recente, anche dai solfuri (calcopirite, calcosina, etc.).
2)- I minerali utili allo stagno (Sn) sono la cassiterite e, in minore misura,
la stannite.
3)-Con la conquista romana (III sec.a.C.), le fortezze d'altura vennero
distrutte ed incendiate; in tal modo il grano presente in esse subì una
tostatura a causa del calore sprigionatosi e si è conservato fino ai giorni
nostri (è visibile nel museo archeologico di Portoferraio).