La
mitica città perduta di Bessinia
potrebbe essere sepolta nella fantastica località che oggi
visitiamo? Il Parco Archeologico -Naturalistico della Bessa è una
vasta ‘pietraia’ che era nota in epoca romana perché sede di un’
importantissimo giacimento di sabbie aurifere, che si dice abbiano
fruttato almeno due tonnellate d’oro ai romani che vi si insediarono,
avendo la meglio su una popolazione locale semisconosciuta e di stirpe
Celtica, i Vittimula o Victimuli
(Salassi). Questi ultimi, a dispetto del loro aspetto primitivo, pare disponessero di
tecniche avanzate nell'estrazione dei metalli, specie l’oro. Ma c'è chi
dice che questo popolo non sia mai esistito e c'è chi ha voluto verificare
l'attendibilità di tanti 'luoghi comuni' che si sono creati attorno
all'oro della Bessa, dovesi troverebbero chilometri di muretti a secco, massi incisi, gallerie,
pozzi accuratamente scavati, scale a chiocciola,
cunicoli(1)... Per conoscere meglio questo mistero, andiamo a farvi due passi!
La...
febbre dell'oro
Arrivando
nella zona, si nota l'ingresso con la scritta 'Victimula', la leggendaria
città abitata dai Victimuli o Salassi, di stirpe celtica. Si nota subito
l'Arena Polivalente dell'Associazione Biellese Cercatori d'Oro,
nata nel 1997 dalla volontà di riportare in Italia competizioni a livello
internazionale in una localizzazione che seguisse le regole della World
Goldpenning Association. Su un masso erratico ritrovato nell'area
svetta il simbolo dell'Associazione. L'Arena comprende, tra le altre
cose, 30 postazioni di lavaggio, tribune con 400 posti per il
pubblico, un totem di legno con la storia della ricerca aurifera nel
mondo. le competizioni dei 'cercatori d'oro' della Bessa si tengono tra
Aprile e Ottobre e sono aperte a tutti. L' area è mantenuta e conservata
dai soci volontari; ha accolto i campionati mondiali Biella 2009.
Ma perchè
qui si viene a cercare l'oro nelle sabbie del torrente Elvio?
Evidentemente perchè qui l'oro c'è e ve n'era tantissimo, millenni fa.
Un prodigio della Natura che ha origini davvero remote. Una 'manna dal
cielo' che costò un lavoro immane e che resta in parte ancora avvolto nel
mistero...
Già, perchè
sull'oro della Bessa, sulle sue origini, sui materiali ritrovati, sulle
epoche, sulle gallerie, sulle scale a chiocciola e sui tanti aspetti 'enigmatici'
che fanno la gola di molti palati, sono aperte opinioni divergenti anche
tra gli studiosi. Consigliamo un' attenta lettura del lavoro del dr.
Giuseppe Pipino (Museo dell'Oro
italiano) dal titolo "Emergenze
Archeologiche, vere e presunte nelle Aurifodine della Bessa". In
esso, egli lamenta la faciloneria con la quale perfino gli addetti ai
lavori (v. Soprintendenza) possano aver preso delle cantonate. A
suo dire, il popolo dei Vittimuli non sarebbe mai esistito, anzitutto;
inoltre si sarebbe esagerato sull'antichità di alcuni manufatti
(coppelle, presunti castellieri, stele 'antropomorfa',ecc.).
Sterminate distese di
ciottoli del 'Terrazzo'
Sterminate distese di
ciottoli del 'Terrazzo'
La
formazione geologica della Bessa aurifera
Dalla
fine del Pleistocene inferiore, i ghiacciai alpini della Valle d'Aosta si
espansero fino a raggiungere le pendici nord-occidentali delle pianure
piemontesi dove, incontrando il materiale detritico eroso, formarono un
complesso che va sotto il nome di anfiteatro morenico di Ivrea di
cui la Bessa fa parte, e si trova nella morena Donato -Mongrando
(formatasi all'incirca 800.000 anni fa). Quando la fase glaciale ebbe
fine, la zona esterna all'anfiteatro subì fenomeni naturali erosivi; il torrente
Viona smantellò parte dei depositi che occupavano tutta la Bessa e
liberò dai detriti i massi che, isolati o in piccoli gruppi,
sono sparsi lungo tutta la superficie del Torrazzo superiore
che appariva- prima dello sconvolgimento prodotto dall' uso della miniera
aurifera in epoca romana, alla stregua di un movimentato altopiano
ciottoloso inciso da vallette trasversali. E' in questo contesto che si
formò il giacimento aurifero: l'erosione e la ri-sedimentazione locale
dei depositi risalenti alla prima fase glaciale, produsse una
concentrazione dell'oro proveniente dai giacimenti primari della Valle d'Ayas.
L'evoluzione
conseguente alla formazione del giacimento, riguarda il modellamento della
nuova superficie del Terrazzo con la formazione, ad opera dei torrenti Viona,
Elvio e Olobbia, delle scarpate che lo delimitano su tre lati (2).
Questi fiumi, ancora oggi, contengono buone quantità di metallo in pagliuzze.
La
Bessa è oggi un altipiano di circa 1.100 ettari, di cui 780 compresi nel
Parco Regionale omonimo; dal punto di vista geologico è considerato un
altipiano alluvionale e in parte morenico. E', di per sè, un museo
geologico naturale, vista la grandissima quantità di materiale litico
presente (gneiss, micascisti, eclogiti, dioriti, ma anche quarzi e
calcescisti); l'ambiente secco e caldo creato da questi ciottoli è un
museo botanico all'aperto, usato per lo studio della colonizzazione
vegetale (dai muschi e licheni fino alle specie superiori). Gli
avvallamenti tra i cumuli detti 'bonde', essendo più umidi,
favoriscono una vegetazione molto fitta costituita da querce, ciliegi,
pruni, biancospini, ginestre, felci e piante più rare. Discreta la fauna
di piccoli roditori.
Morfologicamente
è suddivisa in due Terrazzi (superiore e inferiore) orientati NO-SE,
separati da una scarpata di una decina di metri.
Il
luogo restò 'incompreso' fino al XIX secolo quando Quintino Sella si
accorse della sua importanza
Come si
scoprì l'oro: le Aurifodinae e i grandi cumuli di pietre
Le ultime
stime ci dicono che i metri cubi del giacimento aurifero non erano 200
milioni ma 50 milioni...un numero comunque sbalorditvo!
Un paesaggio
impressionante, che iniziando in località Cruseta (comune di Zubiena),
percorrendo il sentiero dei 'Ciapei parfundà', ci conduce in un mondo
totalmente nuovo per gli occhi ma antico di millenni, in cui si trovano
cumuli di ciottoli e soprattutto le 'abitazioni' , murature a secco
ricavate all'interno dei ammassamenti di pietre, spazi di diversa
dimensione (da 1 dmq a decine di mq) e forma (prevalentemente rettangolari
o quadrate); la loro profondità varia da pochi decimetri a oltre due
metri, attribuibili ad insediamenti (abitazioni, depositi, focolari)
datati all'epoca romana. Scavi effettuati sui 'fondi di capanna'
hanno restituito molte ceramiche di età repubblicana e ceramica gallica.
Negli impianti di Cava Barbera di Cerrione furono ritrovati, tra il
1975-'82 sei picconi a una sola punta (di cui 4 si conservano nel Museo
Storico dell’Oro Italiano, assieme ad altro materiale della Bessa,
tra cui una piccola lucerna e due chiodi trovati decenni or sono in
località Riva del Ger, presso Vermogno, in vicinanza di un sito, oggetto
di scavi, che aveva restituito un tesoretto di monete romane repubblicane,
d’argento, associato a frammenti di ceramica, piccole lucerne e oggetti
metallici (CALLERI 1985) (3)
Si ritiene che queste 'abitazioni' temporanee venissero usate dagli operai
quando si trovavano a prestare servizio nel giacimento aurifero (mentre le
abitazioni 'fisse' le avevano nel paese, più a valle).
Chi e quando
per primo scoprì l'oro?
E' difficile da stabilire; tramite documenti romani veniamo a sapere che
gli indigeni (probabilmente i Salassi) erano già ben organizzati
nell'estrazione del prezioso metallo dalle sabbie aurifere nel IV sec.
a.C.
Ne parlarono,
molto tempo dopo, il geografo greco Strabone (64 a.C. - 21 d.C. ca),
oltre che Plinio (23- 79 d.C.), Cassio Dione (155 - 235 d.C. ca),
Paolo Orosio (fine IV - inizio V sec. d.C.), Messo
l'occhio su una possibile e succulenta fonte di reddito, i Romani con
un pretesto si immischiarono negli affari dei Salassi (143 a.C.),
apparentemente per pacificare una contesa sull'acqua, insorta tra tribù
vicine (Salassi e Victimuli o Ictimuli, come dicono alcuni
studiosi. Secondo Plinio il Vecchio gli Ictimuli erano probabilmente Salassi che avevano come centro di riferimento il villaggio
omonimo). Poco dopo (140 a. C.), i Romani attaccarono i Salassi,
senza che ve ne fosse motivo, appropriandosi dell'appalto della miniera
d'oro. Ma si era ancora lontani dalla conquista dei territori, che
avvenne solo sotto Augusto, oltre un secolo dopo, per cui si ritiene che
per tenere sotto controllo la situazione, che generò il malcontento tra
gli indigeni, ci dovesse essere l'esercito.
Nacquero
così le Aurifodinae,miniere a cielo aperto per la ricerca
dell'oro, e fu proprio questa attività che sconvolse tutta la zona.
Non sono
pervenute notizie dirette su come fosse organizzato il 'sistema' e non
sono rimasti gli impianti di lavaggio ma "secondo recenti studi riguardanti le miniere d'oro alluvionale del Nord Ovest della Spagna (che possiamo applicare anche alla Bessa) la coltivazione del giacimento procedeva da valle verso monte e dall'esterno verso l'interno del "placer”. Ne consegue che il canale principale di alimentazione doveva essere tracciato per intero all'inizio dei lavori. La rete idrica era probabilmente progettata da legionari in congedo che dopo aver acquisito le necessarie conoscenze durante il "servizio" passavano in seguito alle dipendenze, come tecnici, di imprenditori privati o dello
Stato" (4).
La
coltivazione del giacimento aurifero di origine alluvionale necessitava di
grandi quantità d'acqua per essere lavato dai depositi; l'oro era
presente sottoforma di pagliuzze o piccole pepite. Le fasi iniziavano
con lo scavo del sedimento, separando le sabbie aurifere dal pietrame e
dai ciottoli che costituivano il materiale di scarto più grossolano
derivante dall'estrazione dell'oro; questi materiali furono ordinatamente
impilati in cumuli alti anche fino a 10 m, alle spalle del fronte di
scavo. In tal modo prese origine il paesaggio più caratteristico della
Bessa, chiamato "Terrazzo superiore" che in dialetto
piemontese è noto come 'ciapei'(cioè rocce, pietre, pietraie),
che copre la maggior parte dei 4,5 Kmq del 'Terrazzo'.
L'acqua
veniva captata dal torrente Viona e fatta scorrere in un canale
probabilmente parallelo alla Morena Bornasco -Vermogno. Si possono vedere
i verosimili resti dei 'bacini di accumulo' nei quali si ritiene venisse
raccolta l'acqua da utilizzare durante le ore di lavoro (ampie aree
pianeggianti leggermente inclinate verso valle delimitate da murature a
secco, a volte a forma di imbuto).
Il materiale
di scarto più piccolo e le sabbie venivano invece collocati negli
avvallamenti e nei canali di lavaggio dove, attraverso l'acqua, si
eseguiva la selezione e l'estrazione dell 'oro.
Questa
frazione più fine (ciottoli piccoli, ghiaie e sabbie) fu fatta transitare
in canali artificiali e ri-sedimentò ai loro sbocchi formando una
sequenza di conoidi coalescenti anche questi compresi entro i confini
della Riserva Naturale Speciale istituita nel 1985.
L'oro della
Bessa venne estratto per un centinaio di anni ancora dalla sua 'scoperta'
da parte dei romani; quando Strabone ne scrisse, il sito era già stato
abbandonato e i Romani si avvalevano delle aurifodinae della Spagna
e della Gallia. Ma l'oro, alla Bessa, non si era esaurito: nei secoli ha
continuato ad essere estratto anche se non 'industrialmente' come allora,
e ancora oggi i 'cercatori d'oro' lo fanno, come vedremo.
Area insediativa
Resto di insediamento (dettaglio)
Resto
di insediamento (dettaglio)
Cavità delimitata da muri a secco
Ma a cosa e
a chi serviva l'oro dei Salassi?
Non è stato chiarito cosa
ne facessero i Salassi dell'oro estratto; non vi sono forni quindi il
materiale non era lavorato in loco (e non lo fu nemmeno sotto i romani,
che lo convogliavano e mandavano a Roma). Si ritiene probabile che lo
commercializzassero poichè il giacimento aurifero della Bessa si trovava
ai margini di una via di comunicazione che collegava la Pianura Padana con la valle del Rodano e con l'altopiano Elvetico attraverso il passo del Gran San Bernardo.
Un fortuito ritrovamento di una stele 'antropomorfa' (oggi collocata nella
Riserva Naturale della Bessa a Cerrione) nell'area del Terrazzo, ha suscitato confronti con
altri manufatti simili emersi in altre zone geografiche e la possibile
'via' dell'oro:
" Testimonianze evidenti dell'esistenza di questa "via" sono le steli antropomorfe che arrivarono nel corso del III millennio a.C. al seguito di correnti culturali provenienti dall'oriente Mediterraneo e dal Mar Nero lungo itinerari di penetrazione che in buona parte sembrano coincidere con il cammino dei miti di Giasone e di Eracle (Mezzena 1998). Le ritroviamo dapprima nella fascia pedemontana poi in Valle d'Aosta e, oltre il passo alpino, nel cantone Vallese in Svizzera. Nella necropoli megalitica di Saint Martin de Corleans (Aosta) abbiamo, con una magnifica serie di steli, una prova della fondatezza dell'associazione di queste culture al mito di Giasone, dato che il rito preliminare per il loro impianto é consistito nell'aratura del terreno e nella semina di denti umani uguale quindi a quello che celebrarono gli Argonauti prima di partire alla conquista del Vello d'Oro. Un probabile percorso risalì la Dora Baltea (testimoniato dalle steli di Vestigné) e passò a breve distanza dalla Bessa, possiamo quindi ragionevolmente pensare che questi "cercatori di metalli" (il Vello d'Oro altro non è che la pelle di animale attraverso la quale venivano filtrate le sabbie aurifere) abbiano avuto la possibilità di venire a conoscenza dell'esistenza di questo esteso e ricco giacimento di superficie e delle sabbie aurifere dei corsi d'acqua che lo delimitavano"
(5)
Non abbiamo visto la stele
in oggeto (solo in fotografia) ma possiamo dire di aver visto altre 'steli
antropomorfe' (esempio in Lunigiana,
ma anche nel Museo
Archeologico di Chieti) e non hanno nulla in comune con questa.
Se la stele fosse un semplice masso, tutta la teoria esposta sopra
cadrebbe. E, ritornando alla domanda, se i Salassi -che forse nemmeno
erano localizzati qui, stando ad alcune fonti (ma più su, in Valle
d'Aosta) - non lavoravano l'oro, è ipotizzabile che nemmeno lo avessero
mai estratto? Allora sarebbero stati i Romani, i primi a farlo?
La Bessa
era interessata, nel Medioevo, da varianti della Via Francigena. Attraversati i passi della Valle d’Aosta un ramo scendeva ad Ivrea e qui si suddivideva: uno proseguiva verso Viverone, un altro attraversava la Serra per raggiungere la famosa abbazia di
S. Salvatore della Bessa (oggi in gran parte perduta) e ….. le sabbie aurifere dell’Elvo.
Su uno dei massi lungo il sentiero dei 'Ciapei parfundà' abbiamo
notato una vistosa croce incisa e, sotto, una C o G e una cifra, 84.
I
grandi massi e le incisioni a coppelle
Su
tutto il territorio del Terrazzo Superiore si trovano massi e su
57 di essi sono state scoperte delle incisioni rupestri prevalentemente a
coppella (indatabili) ma anche alcune 'a scudo'. La cosa curiosa è che questi si trovano per la maggior parte
tra le frazioni di Filippi e Vermogno (comune di Zubiena), cioè si
concentrano in 1/3 della superficie disponibile. Si ritiene che questa
posizione non fosse mai in ombra, ma sempre esposta al sole (superfici
orizzontali o inclinate verso il corso del sole) e nelle vicinanze del
centro abitato. Sul significato delle 'coppelle'
rimandiamo ad un altro articolo, mentre ci limitiamo qui a segnalare i
massi da noi visti, ricordando come questo Parco sia il regno della
pietra, un luogo dove in nessun altro ci è capitato di vederne così
tanta e tra le tante 'pietre', questi massi incisi sono pure oggetto di
discussione tra esperti. Chi li considera testimoni di un
culto litico ben antecedente all'arrivo dei Romani, ricollegato
a quei culti della Natura di arcaica memoria, e chi dissente da questa
ipotesi, spostando la cronologia delle incisioni ad epoche molto meno
lontane.
In
particolare, molto interessante è il cosiddetto 'Masso del Riparo',
costituito da un voluminoso masso (n. 56) sul cui dorso sono incise due
coppelle, e che 'copre' una piccola camera ipogea (scavata dall'Uomo o
naturale?) il cui interno si presenta grezzo.
Notevolissimo
il 'masso degli allineamenti', munito di una sorta di 'inviti' per
salirvi sopra, solo così infatti è possibile documentare la serie di
coppelle e canali che ne caratterizzano la superficie.
Il
masso n.34 è detto 'delle note musicali' poichè le coppelle sono
'prolungate' in una sorta di canaletto che ricorda vagamente la forma di
una nota musicale.
Da
segnalare poi che due massi sono situati alle due estremità dell'area dei
massi incisi. Il n.6 detto "Roc d'la Sguia" (roccia dello
scivolo), magnifico monolito carenato (quasi un gigantesco uovo) sul quale appaiono ancora le "strie" longitudinali dovute al trasporto nel ghiacciaio Balteo.
Ma la cosa più importante è che sulla sua superficie, arrotondata, oltre
alla presenza di formazioni coppelliformi, vi sono chiari segni di
'scivolate' prodotte dallo strofinio delle donne che cercavano si
propiziarsi la fertilità (come accaduto per altri massi presenti in tutto
il mondo in luoghi dotati di particolare 'energia').
.All'estremo opposto del benefico
Roc d'la Sguia è situato il masso n.50 detto "Roc
Malegn" (roccia maligna), enorme e spigoloso erratico spezzato in tre parti
il cui frammento dominante e meglio soleggiato è inciso da una consistente serie di coppelle in maggioranza collegate a due a due da un
canaletto. Non si sa come mai sia così negativa la sua fama (del resto il
'masso buono' deve avere un corrispettivo 'cattivo'), forse la
posizione in cui è collocato (prossima a pendenza) è stata causa di
scivolamenti e morti in epoche imprecisate, o forse vi crescevano erbe
velenose, o vi sono incisi degli allineamenti astronomici funesti che
restarono nella memoria collettiva, non si sa, sono solo supposizioni. Sta
di fatto che, ancora oggi, alcuni vecchi abitanti della zona preferiscono non frequentare e neppure
nominare quel masso.
Segnaliamo
pure che quanto dicevamo nell'introduzione è vero: abbiamo visto pozzi,
fontane, vasche abbandonate, sicuramente il luogo era ricco di sorgenti,
anzi alcune risultano sicuramente ancora attive, altre interrate; esse
costituiscono, in molti casi, il “terminale” visibile dell’acqua che, infiltrandosi nei cumuli, percorre gli avvallamenti o si raccoglie in conche impermeabili.
Ed
è possibile che 'scavando scavando scavando' sotto le montagne di
ciottoli, non riemerga un giorno il 'cavallo d'oro' che i Victimuli,
subodorando la bramosia romana, avrebbero realizzato fondendo tutto il
loro oro e ben nascosto nel punto più alto della 'terra degli dei', come
l'abbiamo ribattezzata.
Peccato
che segni di forni di fusione non ne siano mai stati rinvenuti...Ma la
Ricerca potrebbe un giorno portare a nuove scoperte!
Le leggende della Bessa
Hanno tutte
in comune l'oro, naturalmente...! Le più comuni, oltre quella del
cavallo, sono:
1)-
"Pe' d'oca" (piedi d’oca) narra di stranieri alti, biondi e con occhi azzurri che giunsero nel territorio dell'attuale comune di Muzzano accolti benevolmente dalla popolazione perché promisero di insegnare l'arte di trovare ed estrarre l'oro dalle montagne e dai fiumi.
Le loro compagne erano straordinariamente belle e la componente maschile
della popolazione Muzzanese era ben favorevole ad accoglierle, con il
grande disappunto delle mogli o fidanzate. Una sera, durante un ballo dinanzi al fuoco, una giovinetta si accorse che sotto alle vesti lunghe fino a terra delle straniere spuntavano dei piedi
d'oca, e cominciarono a deriderle e a schernirle, cosa che non piacque
proprio agli aitanti loro mariti. In men che non si dica se ne andarono e
a nulla valsero le preghiere di farli ritornare indietro. Una Fata e da un grosso
serpente impedirono ai muzzanesi di riportarli indietro anche con la
forza. Gli stranieri portarono con loro il segreto dell'oro, senza
rivelarlo.
.
2)- Gli gnomi,
piccoli uomini benefici sbucherebbero, per fare il bucato, da una fontana situata nei pressi della fraz.
Riviera -S. Cassiano, a valle del quale vi é il masso con il maggior numero di incisioni a coppella della Bessa (n. 14).
Culti pagani,
leggende, vicende storiche...tutto si intreccia in questo paesaggio
spettacolare, dove l'eco delle favole invita a guardare nella loro valenza
simbolica e a rintracciarvi una sapienzialità nascosta, perduta, rimasta
nella tradizione popolare sottoforma di folclore, ma che è stata generata
da una elevata conoscenza dei segreti di Madre Natura.
A meditare sulla pietraia...
Masso 'degli allineamenti'
Masso degli allineamenti (dettaglio di 4 coppelle orientate in direzione
del tramonto del sole)
Masso delle 'note musicali (dettaglio)
Masso 'del riparo'
Muri a secco e antri
Pozzo con acqua
Pozzo per la raccolta dell'acqua (piovana?)
Vasca?
Come si
cerca l'oro
L'Associazione Biellese Cercatori d'Oro
è il punto di riferimento internazionale per la ricerca dell'oro in
Italia. Lontano dai laboratori alchimistici e dal fumo delle calcinazioni,
senza dover attendere che il 'piombo' si trasmuti nel metallo più nobile,
questi appassionati 'soffiatori' (come li chiamerebbe Fulcanelli) hanno
scelto di saltare tutte le operazioni 'filosofiche' e di puntare
direttamente all'oro.
L'Associazione ha acquistato nel 2000, nella piccola Frazione Vermogno di
Zubiena, il terreno dove sorge Victimula, il villaggio dei cercatori d'oro
italiani, che è definita la capitale della ricerca dell'oro alluvionale in Italia, con il Centro Visite della Riserva Naturale Speciale della
Bessa, l'antica miniera d'oro a cielo aperto di epoca romana, ed il Museo dell'Oro e della
Bessa (Ecomuseo).
Dal loro sito web (v. nota
6), si apprendono le 'tecniche' e l'uso degli strumenti 'del mestiere':
"L’oro attualmente estratto dalle sabbie del torrente Elvo si presenta sotto forma di lamelle di dimensione non eccedenti i 2 mm. Gli attrezzi più comuni utilizzati dai moderni cercatori sono: la
“scaletta” e il “piatto” o “batea”.La “scaletta” è un asse lungo 80-90 cm., largo 40-50 cm. e dotato nel senso della lunghezza di un bordo alto 10. Il piano, liscio nella metà superiore, è provvisto in quella inferiore di scanalature orizzontali profonde 1,5-2 cm. Viene immersa nel corso d’acqua ed ancorata al fondo con inclinazione tale da essere percorsa da una debole corrente di 4-5 cm. di altezza che priva il sedimento aurifero, versato lentamente sulla superficie, della frazione più fine e leggera mentre la frazione pesante (magnetite, granati e oro) è trattenuta dalle scanalature. Il “piatto” (tradizionalmente in legno di pioppo, castagno, ontano) a fondo concavo e con diametro tra 30 e 50 cm., può essere usato in sostituzione della “scaletta”. In questo caso la separazione delle frazioni a diverso peso specifico avviene mediante movimenti di rotazione ed oscillazione durante l’immersione nella corrente. L’operazione mediante l’uso del “piatto” può anche costituire la fase finale del procedimento con la “scaletta”.
Abbiamo riportato il tutto
con l'intento di divulgare principalmente un luogo di eccezionale
importanza storico -archeologica e naturalistica e poi, se qualcuno
volesse cimentarsi con altri 'cercatori', chissà mai che ci scriva di
aver trovato un amico (che in molti casi vale più di un tesoro).
Buona cerca!
Note:
1)- "Nicolis di
Robilant affermava (1786): “...al Cerione s’hanno gallerie spinte nel vivo
de strati di que colli che furono gia ne tempi antichi condotte per l’oro....A Montegrande al di la
della Viona, sotto un colle aprico si vedono bocche di gallerie al posto detto il
Canei”; in una pubblicazione a stampa (1787) diceva ancora “...in queste colline, sotto
Cerrione, si vedono delle gallerie e dei pozzi che si pretende essere state delle miniere d’oro,
ma nessuno fino ad ora ne ha fatto la minima ricerca”. Quintino SELLA (1864) afferma che
“...Il sottosuolo della Bessa è in vari punti oggidì ancora traforato da molte gallerie alte e
vaste, che si possono percorrere per centinaia di metri”. ROLFO (1964) racconta che “...in più
parti della Bessa vi sono dei pozzi caratteristici profondi da 5 a 6 metri con apertura variabile
da 2 a 3 metri di diametro, costruiti accuratamente in pietra con scalinata laterale a chiocciola.
Giunti sul fondo e tolta una grossa pietra laterale, che serviva da porta d’ingresso, si dipartono
varie gallerie piuttosto strette con soffitto lastricato di pietre piatte mal
sicure”. Altre gallerie avrebbero invece collegato la Bessa con la Serra:
“...una di queste si trova poco dopo il
castrum di Mongiovetto e l’altra, detta della Piatola, oltre Cerrione”.
Marco (1940) ed altri Autori negano l’esistenza di gallerie, per non averne mai viste. La recente carta archeologica,
commissionata dalla Soprintendenza Archeologica, ignora completamente
l’argomento (tratto da Emergenze
Archeologiche, vere e presunte nelle Aurifodine della Bessa del dr. Giuseppe
Pipino, il quale ha potuto esplorare alcune delle gallerie realmente presenti
sotto i cumuli di ciottoli dell'intero territorio).
4 e 5)- http://www.bessa.it/
In merito alla 'stele antropomorfa' va segnalato che secondo il dr. Giuseppe
Pipino (v. nota precedente) essa non sarebbe altro che un masso in serpentinoscisto,
'confuso' con un manufatto preistorico