Osservare un oggetto d'arte
africana. Stupirsi. Emozionarsi. E' un'esperienza affascinante e
incantevole visitare un museo d'arte plastica africana, che racchiude in sè il più
grande dei misteri umani:la seconda vita dell'oggetto, come ha
affermato Pierre Restany (1).
Il Museo nasce ad opera dei Padri Passionisti che gestiscono il
Santuario Mariano,la cui prima pietra venne posata il primo maggio
1356, nel luogo in cui avvenne una 'apparizione della Vergine' e su
cui sorgeva anticamente una chiesa precedente.
La visita a questo museo mi ha permesso di conoscere un mondo che
mi era ignoto,di approfondirne gli aspetti storici,culturali e
mitico-religiosi, intrisi di una spiritualità particolare, di popoli che
non hanno mai avuto un ruolo di protagonisti nella Storia del mondo,ma che
hanno sicuramente una loro storia.
Questi oggetti mi hanno insegnato molte cose interessanti,
conducendomi in angoli remoti del nostro pianeta,in un continente che
continua ad affascinarmi,ora più di prima.
L'arte dell'Africa 'Nera' è ancora oggi in gran parte sconosciuta,
se
non per le innumerevoli riproduzioni per turisti e amanti del genere che
affollano bancarelle e bazar un po' ovunque. Essa si sviluppa a sud e a
ovest del Sahara, nei paesi costieri atlantici che condensano tremila anni
di storia raccontata attraverso l'arte, intesa sotto varie forme.
Tralasciando in questa sede gli interrogativi e le ipotesi che evidenziano
l'assenza di una tradizione plastica nell'Africa dell'est, ci si
domanda CHI abbia creato i manufatti sublimi che vediamo esposti. Non
siamo di fronte,effettivamente,ad una uniformità stilistica, ad una
cultura paragonabile per compattezza a quella che siamo abituati a
conoscere e studiare (per esempio l'arte egizia, greca, romana,
longobarda, etc.).
Nel'AFRICA nera le etnie sono state, e continuano ad essere,
diverse, forse stanziali, che si spostavano lentamente, frutto di
mescolanze continue attraverso i millenni e i secoli, con
sovrapposizioni di culture, predominanza di questo o quel gruppo sociale.
Ma un fattore comune,un denominatore che le accomuna tutte sembra esserci:
un dio unico, da cui origina la Vita.
Tutto quanto l'uomo modella per il culto, è necessario
all'interazione con Dio, e ogni azione è mirata a stabilire un perfetto equilibrio
di forze, a potenziare quelle positive o a debellare quelle
negative.
Le opere che sono giunte fino a noi, costituiscono un patrimonio
prezioso poichè superstiti di un clima e di un ambiente che non hanno
favorito in molti casi la loro conservazione. La produzione si ritiene
comunque che fosse molto rilevante e probabilmente ancora parecchio è da
riportare alla luce.
Nel caso di opere lignee, esse non superano in genere i duecento anni
di età, quindi parliamo di un'arte relativamente recente, a fronte di
reperti datati invece a duemila anni fa,in altro materiale, e ciò aumenta
il vuoto tra i due estremi cronologici:in mezzo che cosa c'è?
All'inizio del XX secolo, l'arte tradizionale africana cessa la sua
produzione, venendo a mancare le spinte motivazionali, la disgregazione di
un 'corpus' o tradizione in seguito allo sconvolgimento provocato dalla colonizzazione.
I portoghesi e poi altre spedizioni e i missionari, vennero a contatto
con l'arte africana, che venne portata in Europa rimanendo però per lungo
tempo conosciuta solo ad una ristretta cerchia di persone. In
genere si raccoglievano reperti più spinti dalla sete di curiosità; a
volte gli africani confezionarono modelli su commissione degli
europei, con un gusto occidentale.
Dall'inizio del XX secolo, l'arte africana viene resa nota al
pubblico attraverso le opere di molti grandi artisti d'avanguardia,
che ne erano rimasti colpiti e affascinati, e quindi appare
nelle esposizioni di tutto il mondo; cresce così l'interesse pluridisciplinare di accostarsi ad un mondo etnico ancora sconosciuto. Non
mancarono le depredazioni di molte opere d'arte, con conseguente
distruzione, a causa del proselitismo fanatico, che vi ravvisava
intenti 'sacrileghi'. La grande diffusione dell'Islam, inoltre, aveva
favorito il rigetto di qualsiasi rappresentazione artistica e
l'affievolimento del processo produttivo plastico.
Risultato di queste concause fu l'abbandono o la distruzione di
molti oggetti un tempo ritenuti sacri, che perdevano valore e
importanza anche agli occhi di chi li possedeva da tempo, inducendo così
alla loro vendita,per pochi soldi probabilmente, e forse anche a probabili
estorsioni.
. Non a caso si assiste ad un incremento nell'esportazione dei
manufatti di arte africana negli anni che precedono la fine della
colonizzazione e l'inizio dell'indipendenza di molti stati africani
(1960): aumenta il valore venale degli oggetti e gli indigeni partecipano
a questa apertura del mercato commerciale,attivamente o passivamente.
L'arte africana diventa quindi -in pochi anni- un patrimonio da
esibire nei musei di tutto il mondo, dall'Europa all'America, perdendo
così in patria il suo valore culturale importantissimo, che segna
il tramonto di valori etici e strutturali che avevano retto la
comunità nei secoli.
Fiera della propria cultura passata, con i suoi imperi e le sue
spinte animiste, le sue credenze e la propria storia, l'Africa nera
aveva rinunciato alla lotta di fronte alla tracotante Europa, conscia o
arresa di fronte a quella parabola che segna inevitabilmente il destino di
ogni grande cultura o società, che nella propria arte aveva saputo
esprimere sè stessa e il proprio potere creativo. Mancando la
motivazione, decadde la forza positiva che spinge alla creazione, in
favore di una negativa, che ha portato alla disgregazione.
Oggi non si può considerare del tutto scomparsa la produzione manuale
africana, ma sicuramente è diversa la spinta che la anima, forse è solo
un rifacimento formale di ciò che è stato, nel tentativo - in alcuni
casi-di continuare la tradizione.
Osservando i reperti presenti nel museo, si deduce che è preponderante
il richiamo ad un profondo legame tra l'uomo e il divino, che è il
substrato della filosofia esistenziale dell'uomo tribale, la quale -
non
essendo espressa tramite forme di scrittura, perchè ritenuta
superflua in tale contesto-si esplica attraverso le opere plastiche."Il
continuo dialogo con il soprannaturale nutriva una realtà talmente
complessa da non potere essere ridotta a immagine per mezzo di un
alfabeto.[...]Di conseguenza, l'artista doveva immettere nella sua
creazione qualcosa di recepibile come concetto, darle un peso di contenuto
ideale al di là dell'aspetto formale".
"Il non essere un mero esercizio di estetica, ma portare il
peso della 'condizione umana', di quell'uomo che si interroga, cerca di
ordinare il bene e il male, si oppone a ciò che gli è ostile e
attraverso le prove difficili della sua esistenza aspira a raggiungere una
pacata serenità interiore".(2)
L'arte africana plastica si presenta costituita da vari materiali: terracotta,
dalla quale si ottengono dati più attendibili nella cronologia, essendo
possibile datarla con il metodo della termoluminescenza; pietra, in
genere opere di piccole dimensioni, antropomorfe; avorio,
privilegiato in tutte le regioni in cui era facilmente reperibile, dal
Golfo di Guinea al Congo; anche se deperibile, veniva spesso usato per
l'arte di corte, o per piccole maschere e amuleti con distinte funzioni
secondo le etnie di appartenenza; metalli: oro(Ghana, Costa
d'Avorio soprattutto), ferro, molto diffuso e di uso antico, però
scarsamente resistente al clima umido di certe regioni africane, in cui
restano soltanto esemplari recenti(pochi secoli fa); bronzo, ottone,
rame, per oggetti ottenuti con la tecnica della cera persa, di cui ci sono
pervenuti esemplari straordinari e che fanno pensare come le nostre
conoscenze sulle culture antiche africane siano molto imprecise e
parziali, poichè l'archeologia in Africa riserva ancora molte sorprese;
il legno,di gran lunga il più diffuso ed usato in tutta la
produzione artistica plastica dell'Africa occidentale. Il limite è la
conservazione, che è ristretta a causa dei climi umidi e alle modalità .
Inoltre, la datazione al radiocarbonio è inaffidabile per pezzi di
età inferiore a 300 anni.Per questo, a volte, ci si affida a metodi che
anche se non possono essere definiti scientifici, offrono dei margini di
datazione abbastanza precisi, ad esempio la tradizione orale, l'essenza
del legno, lo stile arcaico della lavorazione, la conoscenza dell'ambiente
di conservazione.
Una certa 'rivoluzione' nelle credenze che gli occidentali nutrivano
nei confronti dell'arte africana, ovvero che fosse statica e isolata,
prodotta su commissioni ben precise e condizionata da canoni prestabiliti
(prototipi) senza processi evolutivi propri degli artisti che le
eseguivano, si sta avendo con nuovi studi e raffronti dei manufatti
ritrovati.
In realtà, l'arte africana non è così imbrigliata da situazioni
contingenti, diciamo quindi che l'artista 'personalizzava' la propria
opera, conferendole sempre il messaggio di cui essa doveva essere
portatrice. Siamo di fronte, pertanto, a veri e propri artisti come
chiamiamo i nostri in occidente, artisti che sono anonimi. Permane una
pigra visione conservatrice, che non vuole staccarsi dai canoni stilistici
classicamente accettati.
Molte delle opere qui esposte si riferiscono a pratiche
'iniziatiche'
che probabilmente erano ben comprensibili a chi doveva capire, forse ad
una ristretta elite di persone.Assistiamo quindi anche in questo contesto,
ad una duplice visione:quella essoterica e quella esoterica. Gli
appartenenti al clan o alla tribù erano consci del fatto che certi
rituali andavano eseguiti, affidandosi a coloro che riteneva avessero le
qualità per fare da 'tramite' con il divino.
"Al di là delle differenze etniche,degli idiomi,delle
strutture societarie, qualcosa accomuna sempre le genti di questo
continente:una base di credenze religiose che assume, vista dall'esterno,
un'omogeneità quasi costante. Popolazioni delle savane, abitanti
delle foreste, sia dei tropici che dell'equatore,o dei grandi altipiani,
tutti elaborarono un poderoso complesso di miti a giustificazione della
presenza dell'uomo sulla terra, spiegandone i rapporti con ciò che lo
circonda, con una visione meno egocentrica di quella dominante nel nostro
pensiero.Una visione che accomuna tutto ciò che esiste e che
riconosce l'importanza vitale di ogni entità, sia essa umana,
animale, vegetale o minerale, ciascuna permeata da un'anima che è
particella di una sola anima universale"(3)
Quello che ho potuto vedere,quanto ho potuto apprendere dopo aver
cercato di conoscere meglio queste culture, attraverso le descrizioni
documentali, è che le credenze delle etnie dell'Africa nera non si
trovano isolate come crederemmo,ma sono comuni alle tante civiltà che ho
potuto incontrare nel mio modesto Cammino di Ricerca.
Presentando questi pezzi, soltanto alcuni di quelli presenti nel
museo,ovviamente, chi ha seguito certe tematiche, resterà sorpreso (ma
non stupito) di ritrovarvi concetti animisti che legano il
microcosmo al macrocosmo..
L'idea di un Principio Immanente,Trascendente, che stia 'al di
sopra di ogni cosa', e al quale l'uomo non può arrivare senza un 'tramite'
che faccia da intermediario tra il terrestre e il celeste, oppure
trasformando profondamente sè stesso; l'esistenza di un mondo invisibile
nel quale lo spirito continuasse a vivere e seguire la vita quotidiana.,la
convinzione che forze sconosciute stiano alla base del bene o del male, e
che sia possibile governarle da parte di uomini con particolari
facoltà, o da oggetti investiti di una carica magica,non è certo
una cosa che incontriamo per la prima volta. Fa parte di quella
spiritualità innata nell'uomo, nutrita dalla sua necessità di credere
che ogni suo sforzo terreno sia finalizzato verso il raggiungimento di una
dimensione 'divina'. In questo sito l'argomento è stato approfondito
qui.
Penso che questo 'bisogno' sia stato spesso anche 'strumentalizzato',
per ragioni politiche,religiose o socio-economiche, in Africa come
altrove.
Oggi questi manufatti sembrano inerti.Tolti dal contesto in cui
furono creati, dall'ambito per cui furono utilizzati e caricati di un
fascino enigmatico e 'magico', è difficile trovarvi un senso, una valenza
simbolica pregnante,come se fossero stati tutti staccati dalla fonte
luminosa che li animava e si fossero spenti.
Ma quando si comincia a rientrare nella loro storia,ad ascoltare l'eco
dei suoni antichi,a rivedere con gli occhi della mente i colori delle
danze, ad annusare il profumo delle misture, a seguire il vortice
frenetico dei rituali o ripensare al buio fitto delle grotte dove l'uomo
cercava il passaggio verso un altro sè stesso, allora essi ci appaiono
sotto una luce diversa, sicuramente imparagonabile a quella rivestita
nella loro originaria pratica cerimoniale, ma viva, come fossero davvero
dotati di un'anima, che è poi quella della cultura da cui hanno preso
forma, una forma di Pensiero che si esprime prepotentemente in ogni
oggetto esposto e che pare non arrendersi al fatto di essere ormai
solo, e interminabilmente, pezzo da museo.
Vai alla 2^ parte:
NOTE:
1-Pierre Restany,critico d'arte,presidente "Palais de
Tokyo",Parigi.
2. e 3.- Franco Monti in "Appunti per un Museo d'arte africana".E'
vice-presidente dell'Associazione Internazionale di Studi Etnografici,
membro-corrispondente della Camera Sindacale degli Esperti Professionisti in
Oggetti d'Arte e di collezione, Parigi.
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