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                                                                                                  L’ASTRONOMIA DEI CELTI

                                                      di

                                                           Adriano Gaspani

                                                  I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica

                                                          Osservatorio Astronomico di Brera - Milano

                                                      adriano.gaspani@brera.inaf.it

La capacità di percepire i ritmi della natura e di vivere in armonia con essa fu un fatto essenziale nel mondo preistorico e protostorico.  Fu così anche per i Celti, come per altre popolazioni dell’Età del Ferro, essendo la loro, una società la cui economia era prevalentemente rurale.  Il Sole e la Luna con i loro movimenti ciclici furono fondamentali dal punto di vista della divisione del tempo e dello sviluppo del calendario.  In questo modo la Luna permetteva di dividere il tempo in settimane, quindicine e mesi, mentre al Sole spettava il compito di scandire l’anno.  Il Sole, a causa del suo moto, sorge ogni giorno un poco più tardi rispetto alle stelle, quindi una stella sorge e tramonta circa quattro minuti prima rispetto al giorno precedente.  Ciò significa che una costellazione che in un determinato periodo dell’anno sorge e tramonta assieme il Sole non è visibile.  Sei mesi dopo essa sorgerà dodici ore prima del Sole e sarà quindi visibile durante tutta la notte.

 

 

                         Spada lateniana con incisi il Sole e la Luna.

 

 

                    Spada lateniana con incisi i simboli del Sole e della Luna.

 

 

Per questa ragione tutte le costellazioni vicine all’eclittica sono visibili in media per sei mesi all’anno. Potremo quindi parlare di costellazioni “estive” e “invernali”.  Anche i pianeti si spostano nel cielo, Mercurio e Venere percorrono le loro orbite tra la Terra e il Sole rimanendo sempre abbastanza prossimi ad esso e si possono osservare alternativamente verso est subito prima dell’alba e verso ovest subito dopo il tramonto.  Marte, Giove e Saturno percorrono le loro orbite oltre quella della Terra quindi possono essere visibili per lungo tempo durante tutta la notte.  Anche loro anticipano ogni giorno la loro levata, ma talvolta a causa del moto retrogrado sembrano invertire la direzione del loro moto per sorgendo in ritardo rispetto al giorno precedente.

I Celti facevano riferimento a corpi celesti quali la Luna e le stelle.  L’importanza della Luna è stata documentata da molti autori latini e in maniera oggettiva dalla struttura del calendario celtico di cui un esempio è inciso sui frammenti di una tavola di bronzo trovata a Coligny (regione dell’Ain, nella Francia meridionale) nel 1897.  Prima di parlare del ruolo delle stelle conviene ricordare le conoscenze astronomiche dei Celti a partire dalle feste che essi celebravano durante l’anno.

 

  •  Le Feste Celtiche

 

L’esistenza, durante l’anno celtico, di molte festività è un fatto noto e ben documentato dai reperti archeologici, dalla storiografia antica e dalle tradizioni che ancora oggi vengono celebrate in svariate località dei paesi europei, soprattutto in Bretagna e in Irlanda.  Tra le feste che venivano celebrate durante l’anno, quattro di esse rivestivano un particolare significato sia dal punto di vista della solennità che della ritualità. Tali feste erano, in ordine cronologico lungo l’anno celtico, Trinvxtion Samoni, Imbolc, Beltane e Lughnasa. La festa di Trinox Samoni, o meglio Trinvxtion Samoni, letteralmente: “le tre notti di Samonios”, primo mese del calendario, corrispondeva all’inizio dell’anno. La festa inaugurava il periodo durante il quale era la notte a prevalere sul giorno, le bestie venivano radunate e chiuse in recinti per svernare.  Le altre tre feste corrispondevano ciascuna alla celebrazione di una ben determinata divinità. La festa di Imbolc era dedicata alla dea Brigh, cioè la dea Belisama, ispiratrice delle arti e dei mestieri. Brigh o Bricta sono il nomi che in celtico hanno entrambi il significato di “luminosa”, mentre presso i Britanni essa era denominata Brigantia, che significa “altissima”. Gli antichi racconti descrivono Brigh in modo ambiguo, con il volto per metà bellissimo e per metà orrendo e con la capacità di suscitare e guarire le malattie. Imbolc segnava l’allentamento della morsa invernale, in questo periodo nascevano gli agnellini e le pecore avevano latte.  Durante la festa di Beltane era venerato il dio Belenus, conosciuto anche con i nomi di Borvo e Grannos a cui venivano attribuite capacità mediche.  In quei giorni le mandrie erano condotte nei pascoli estivi, gli ultimi freddi erano terminati e si poteva far ingrassare il bestiame.  La festa di Lughnasa era ritenuta la più importante di tutte in quanto era celebrato Lug, chiamato anche Lugus, considerato la maggiore divinità venerata dai Celti come testimoniano molti reperti archeologici e molti toponimi. Sono infatti state ritrovate quasi cinquecento iscrizioni votive, oltre trecentocinquanta monumenti figurati e per almeno ventisette città europee il nome deriva dal termine gallico Lug-dunum.  Il termine gallico “Lug” significa nuovamente “brillante” o anche “luminoso”.  I suoi attributi principali erano le competenze nel campo militare, artigianale e sacerdotale. Il termine Lughnasa significa “raduno di Lug” e in Gallia tale festa coincideva generalmente con il grande raduno annuale delle tribù galliche che veniva celebrato nei mesi estivi a metà strada tra il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno. In questa occasione si concludevano trattative diplomatiche e contratti matrimoniali.

La festa di Trinox Samoni (letteralmente TRINVXTION SAMONI SINDIVOS: le tre notti di Samonios cominiano adesso) veniva celebrata in un periodo grosso modo equivalente all’inizio del mese di novembre nel calendario giuliano.

Questa scelta concorda bene anche con le tradizioni irlandesi. Questo comporta che i periodi dell’anno in cui le altre tre feste erano celebrate, secondo il calendario giuliano, siano rispettivamente: febbraio-marzo per Imbolc, maggio-giugno per Beltane e luglio-agosto per Lughnasa. Questo implica una distribuzione all’incirca simmetrica delle feste durante l’anno.

Le feste sono stagionali, ma collocate in corrispondenza di quattro date intermedie rispetto ai solstizi e agli equinozi quindi esse non sono da ritenersi feste di ispirazione solare, ma basate su altri criteri di natura astronomica.

Le feste erano celebrazioni rituali legate alla vita agricola e sociale della comunità quindi esisteva presso i Celti la necessità di correlare le quattro feste con l’andamento delle stagioni climatiche più che di quelle astronomiche.

Infatti l’agricoltura dipendeva strettamente dai cicli stagionali legati alle variazioni del tasso di piovosità, della temperatura, dell’umidità e questi fattori climatici, alle latitudini in cui i Celti vissero non sono esattamente correlate con le stagioni astronomiche che vanno da equinozio a solstizio e viceversa.

Una società prevalentemente rurale come lo era quella celtica, doveva considerare i ritmi stagionali per dividere l’anno, piuttosto che eseguire una divisione teorica e convenzionale come quella attuale puramente basta sulle posizione estreme e intermedie del Sole sull’eclittica.  È quindi naturale avanzare l’ipotesi che le quattro feste potessero essere legate a particolari eventi astronomici, importanti per l’agricoltura, che annualmente si ripetevano i quali avessero a che fare con il Sole, ma anche con le stelle più luminose visibili nel cielo lungo l’anno.  Tali avvenimenti ne determinavano quindi la cadenza durante il corso dell’anno, con un buon accordo con le stagioni climatiche locali e le feste servivano da indicatori rituali e sociali del cambio stagionale.  Potremmo quindi supporre che fosse proprio la levata eliaca di talune stelle a determinare la data, nel corso dell’anno, in cui le feste dovevano essere celebrate o quanto meno la levata del Sole nei giorni in cui alcune particolari stelle levavano eliacalmente.

Esistono diverse testimonianze di altri popoli antichi che pianificarono le loro attività sulla base delle levate eliache delle stelle.  Gli Egiziani facevano iniziare il loro anno con la levata di Sirio, la quale nel 2500 a.C. coincideva praticamente con la data del solstizio estivo; circa quindici giorni dopo il Nilo straripava rendendo fertili le pianure.

Esiodo un poeta greco del VII secolo a.C., nella sua opera Le Opere e i Giorni, consigliava ai contadini del Peloponneso di seguire il sorgere eliaco di alcune stelle o costellazioni in quanto erano utili indicatori dei periodi adatti per andare per mare, per seminare etc.  Il metodo delle levate eliache è molto efficente in quanto permette una valutazione indipendente e univoca, entro qualche giorno, su un vasto territorio del periodo in cui una determinata festa doveva avere luogo.  Infatti il giorno di levata eliaca dipendendo dalla latitudine del luogo, varia di circa un giorno per grado di latitudine salendo da sud a nord nell’emisfero boreale.

Le levate eliache delle stelle potevano essere comodamente previste con notevole anticipo, il che rendeva facile iniziare per tempo i preparativi necessari allo svolgimento delle varie feste.

Nel corso delle migliaia di anni la data in cui una stella sorge in concomitanza con il Sole varia per effetto della precessione degli equinozi.  In vicinanza della festa di Trinox Samoni la stella in levata eliaca durante l’età del Ferro era Antares, una stella rossa di prima grandezza, la più luminosa della costellazione dello Scorpione.  Ad Imbolc invece era in levata eliaca Capella, una stella di colore giallo, anche essa di prima magnitudine, situata nella costellazione dell’Auriga.

 A Beltane sorgeva eliacamente Aldebaran, stella di prima grandezza e di

colore rosso che è anche la più luminosa della costellazione del Toro.  A Lughnasa invece era Sirio, la stella più luminosa del cielo, ad essere in levata eliaca.

Sirio è la stella principale della costellazione del Cane Maggiore, posta un poco a sud est della costellazione di Orione e il suo colore è bianco brillante.

È interessante notare che delle quattro stelle interessate solamente due, Aldebaran e Antares, sono stelle appartenenti a costellazioni zodiacali, rispettivamente al Toro e allo Scorpione.

Le altre due Sirio e Capella sono invece stelle posizionate lontano dall’Eclittica essendo rispettivamente nel Cane Maggiore e nell’Auriga.  La prima è situata molto sotto l’Eclittica e l’altra molto sopra di essa.  È probabile che le varie feste, esclusa tuttalpiù Trinox Samoni che richiedeva il rispetto anche di un vincolo lunare, venissero celebrate nei giorni di prima visibilità di queste stelle nei bagliori dell’alba.  Dai calcoli astronomici risulta che durante l’età del Ferro, Antares sorgeva con il Sole intorno al 16 Novembre, Aldebaran il 7 Giugno, Capella il 18 Marzo e Sirio il 25 Luglio.

Queste date sono riferite a una latitudine tipica dell’Europa centrale, circa 47 gradi Nord, per il 500 a.C e sono espresse rispetto al calendario giuliano.

L’esclusione di Trinox Samoni da questo criterio è motivata dall’esistenza di vincoli addizionali legati alla fase lunare da rispettare.  Se consideriamo le annotazioni incise sul Calendario di Coligny, siamo indotti a pensare che la festa di Trinox Samoni potesse essere celebrata solo quando anche la Luna si fosse trovata in una particolare fase, tra l’ultimo quarto il novilunio.

Quindi Trinox Samoni era la prima festa dell’anno celtico, che era iniziato con il mese di Samonios e con la Luna al primo quarto, dopo che era stata osservata la levata eliaca di Antares.

Considerando le luminosità della quattro stelle è facile notare l’esistenza di una correlazione tra l’importanza attribuita alle divinità celebrate durante le quattro feste e la luminosità delle stelle in levata eliaca in corrispondenza di ciascuna festa.

Prendendo in esame Sirio che è la stella più luminosa visibile ad occhio nudo nel cielo notturno, la si vede abbinata alla celebrazione del dio Lugh che era ritenuto il più importante nel pantheon celtico.  Ricordando anche che etimologicamente il termine Celtico “Lugh” significa “brillante” o anche “luminoso”, l’abbinamento con la levata eliaca di Sirio sembrerebbe essere più che giustificato.

Infatti il sorgere contemporaneo dei due astri più luminosi del cielo, il Sole e Sirio, escludendo la Luna la quale possiede altri ruoli nel calendario celtico, poteva essere facilmente associata ad una divinità con gli attributi di Lugh.

Nel periodo in cui veniva celebrata la festa di Lugh, il cielo notturno era dominato dalla presenza del “triangolo estivo” che è una caratteristica configurazione formata dalle stelle Vega, Deneb e Altair, le stelle più brillanti rispettivamente delle costellazioni della Lira, del Cigno e dell’Aquila.

Il fatto che il triangolo estivo fosse visibile alto nel cielo proprio nei giorni della festa di Lug potrebbe essere significativo.  Infatti la sua apparizione in cielo già dal mese precedente poteve essere utile per annunciare che poco tempo dopo doveva aver luogo la festa di mezza estate cioè Lughnasa.

Infatti i Druidi usavano per determinare le date delle feste anche altri astri come punti di riferimento per monitorare il cielo, così altre costellazioni erano tenute sotto osservazione.  Durante l’età del Ferro la levata eliaca di Sirio poteva essere agevolmente predetta molto semplicemente determinando la data del solstizio d’estate, dopo un mese lunare esatto sarebbe avvenuta la levata eliaca di Sirio.  Se Sirio, la stella più luminosa visibile in cielo, aveva a che fare con il dio Lugh, una stella di luminosità un poco meno elevata, Capella sorgeva eliacamente nei giorni pertinenti alla festa di Imbolc in cui la dea Brigh era celebrata.

Capella è una stella di colore giallo e il giallo è anche il colore delle messi mature a cui la dea Brigh era simbolicamente abbinata.  La dea Brigh era, presso i Celti, la seconda divinità in ordine di importanza e quindi sembra non essere casuale il fatto che la sua festa fosse celebrata in coincidenza con la levata eliaca di una stella un poco meno luminosa di Sirio.

La festa di Beltane, dedicata al dio Belenus, era una celebrazione in cui il fuoco giocava un ruolo determinante.

La stella che levava eliacamente durante la festa di Beltane era Aldebaran.  Il colore di Aldebaran, quando è osservata ad occhio nudo è spiccatamente rosso e quindi risulta facile associarla al colore del fuoco.

 

  • Le stagioni

 

I Celti dividevano l’anno solamente in due stagioni, quella estiva e quella invernale.

La stagione estiva, andando da Beltane a Trinox Samoni, comprendeva l’estate vera e propria e gran parte dell’autunno, mentre la stagione invernale era composta dall’autunno e dall’inverno propriamente detto.  I Druidi dovevano conoscere perfettamente la posizione dei punti equinoziali e solstiziali, cioè le posizioni occupate dal Sole nel cielo in corrispondenza dei due equinozi e dei due solstizi, ma questi punti non furono ritenuti importanti per definire le stagioni.  Dal punto di vista climatico il transito del Sole attraverso l’equatore celeste o il suo posizionamento agli estremi dell’Eclittica non era di grande utilità pratica in quanto sul territorio in cui si sviluppò la cultura celtica non avvenivano variazioni climatiche apprezzabili correlate con questi eventi astronomici.

Al contrario variazioni di rilievo avvenivano in corrispondenza di date intermedie tra gli equinozi e i solstizi quindi l’uso delle stelle poteva invece essere più utile ai fini della divisione stagionale dell’anno.  Appare quindi del tutto naturale che i Celti utilizzassero le levate eliache di Antares e di Aldebaran al fine di stabilire l’inizio dei due periodi stagionali in cui l’anno celtico era diviso.  Infatti il levare eliaco di Antares indicava l’inizio della stagione invernale, mentre il levare eliaco di Aldebaran l’inizio della stagione estiva, quindi l’estate andava dalla festa di Beltane a quella di Trinox Samoni e l’inverno da Trinox Samoni a Beltane.  La differenza di circa 180 gradi in longitudine eclittica tra le due stelle implicava che nel cielo notturno visibile durante la stagione fredda brillasse Aldebaran, mentre durante la stagione calda splendesse Antares.

 A conferma di questa ipotesi possiamo considerare la tavoletta

d’avorio di Grand, sulla quale sono incisi dei simboli zodiacali oltre che a dei graffiti di stile egizio.

Lo Zodiaco di Grand, così come è conosciuto, risale al II secolo d.C e rappresenta l’unica testimonianza dell’esistenza di uno zodiaco presso le popolazioni celtiche.

La particolarità di questo zodiaco consiste nel fatto che esso è diviso in due parti che rappresentano il periodo estivo e quello invernale, ma soparattutto che i segni zodiacali con cui iniziano queste stagioni sono il Toro e lo Scorpione, vale a dire proprio le costellazioni a cui appartengono rispettivamente Aldebaran e Antares.

Secondo lo Zodiaco di Grand la stagione invernale inizia quando il Sole si trova nella costellazione dello Scorpione e quella estiva quando è posizionato nella costellazione del Toro.

Questo fatto è emblematico in quanto durante l’età del Ferro la posizione dei nodi dell’orbita terreste era tale che i due punti equinoziali si trovavano rispettivamente nelle costellazioni dell’Ariete (Equinozio di Primavera) e della Bilancia (Equinozio di Autunno), mentre le posizioni Toro e Scorpione erano valide nel periodo che andava dal 4000 al 2000 a.C.  La scelta di Toro e Scorpione come costellazioni demarcanti i periodi stagionali dovette essere con grande probabilità operata sulla base di un criterio differente da quello basato sulla posizione dei due punti equinoziali tra le stelle.

Il metodo delle levate eliache era più aderente alla realtà climatica del territorio europeo.

La divisione dell’anno operata dai Celti basandosi sulle levate eliache implicò una diversa durata dei due periodi stagionali.  Le stagioni astronomiche calcolate per il 500 a.C. sulla base delle date teoriche di equinozio e di solstizio duravano: Estate+Autunno: 180.58 giorni e Inverno+Primavera: 184.67 giorni, valori che hanno poco a che vedere con le variazioni climatiche stagionali centro-europee.  Calcolando invece la durata delle stagioni con il calendario di Coligny si rileva che la stagione estiva durava solamente 157 giorni in contrasto con la molto più lunga stagione invernale che durava 208 giorni solari medi.  Infatti nel IV secolo a.C. l’inizio della stagione invernale cadeva grosso modo il 17 Novembre del calendario giuliano e l’inizio della stagione estiva intorno al 10 Giugno.

Questi valori corrispondono molto bene con il ciclo climatico annuale tipico delle latitudini centro e nord europee dimostrando che la divisione dell’anno operata dai druidi sulla base delle levate eliache fu estremamente razionale e orientata ad una elevata efficenza in termini di pianificazione agricola.

I Celti quindi adottarono una suddivisione dell’anno che corrispondeva meglio alle loro necessità agricole e di allevamento.  Per noi adesso può sembrare strano, ma per popolazioni la cui soppravvivenza era legata all’agricoltura sbagliare di un mese il periodo giusto per seminare poteva voler dire la carestia.  La struttura a due stagioni permette di ripartire stagionalmente i 12 mesi dell’anno Celtico.

La festa di Trinox Samoni cadeva ovviamente nel mese di Samonios, mentre

quella di Beltane doveva quindi cadere in corrispondenza del mese di

Giamonios.

A causa delle oscillazioni dell’inizio del mese di Giamonios rispetto alla data solare in seguito al vincolo di iniziare il mese in corrispondenza del primo quarto di Luna, qualche volta poteva capitare che la levata eliaca di Aldebaran cadesse nel mese di Simivisonios.

La ripartizione stagionale sarà quindi la seguente: Samonios, Dumannios,

Riuros, Anagantios, Ogronnios, Cutios e Giamonios sono da ritenersi mesi

invernali, mentre Giamonios, Simivisonnios, Equos, Elembivos, Edrinios e

Cantlos sono da ritenersi mesi estivi.

Il mese di Giamonios risulta citato due volte in quanto la festa di Beltane cadeva circa a metà di esso quindi metà mese era invernale e metà estivo.  L’uso delle levate eliache come mezzo per fissare una determinata data nel corso dell’anno corrisponde a definire un terzo sistema di misura temporale basato questa volta sull’anno siderale.

I primi due sistemi erano basati sull’anno solare e su quello lunare come mostrato dal calendario di Coligny.

Ricordiamoci comunque che l’uso delle levate eliache serviva per stabilire una data importante, per esempio quella di una festa, in rapporto ai cicli stagionali, quindi in accordo con la posizione del Sole sulla sfera celeste, ma l’effettiva data di celebrazione liturgica delle feste doveva tenere conto probabilmente anche della fase Lunare proprio per il fatto che le feste rivestivano un carattere religioso.

 

  • I Nemeton

 

L’analisi della struttura dei nemeton, cioè dei recinti sacri, costruiti dai Celti durante l’età del Ferro mostra che l’Astronomia rivestì un ruolo fondamentale sia nella scelta dei siti in cui furono edificati sia nella loro orientazione rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali sia nella definizione della loro struttura costruttiva.  Due esempi emblematici li troviamo in Boemia, a pochi chilometri da Praga.  Si tratta del Nemeton di Libenice e dell’Acropoli di Zavist entrambi risalenti al 500 a.C. circa.

Non solo i luoghi sacri mostrano chiare relazioni con l’Astronomia, ma lo stesso accade per taluni oppida, soprattutto quelli in cui era presente una classe druidica più avanzata come era ad esempio a Bibracte in cui una vasca rituale fu costruita tenendo conto di particolari criteri astronomici e matematici.

 

  • Il Nemeton di Libenice

 

Il nemeton di Libenice, vicino a Praga venne costruito e utilizzato dai Celti della tribù dei Boi che lo abbandonarono intorno al 400 a.C in seguito alle migrazioni che li spinsero verso l’Italia centrale.  Il santuario era un recinto rettangolare di 24m x 80m circa delimitato da un fossato.

Presso il lato sud-orientale era stata ricavata una zona infossata nel terreno, grosso modo a forma di 8, che è risultata essere di costruzzione germanica e quindi di epoca posteriore.

Già dalle prime analisi, condotte negli anni sessanta, l’astronomo cecoslovacco Holub mise in evidenza che la progettazione era stata eseguita sulla base di criteri astronomici.

Holub riconobbe alcuni elementi che suggerivano la presenza di possibili orientazioni verso il punto di sorgere del Sole al solstizio d’inverno.  L’asse del recinto rettangolare del nemeton nel suo complesso risulta orientato 24 gradi a sud rispetto alla direzione equinoziale (la Est-Ovest) calcolata per il V secolo a.C. nonostante che dall’analisi della topografia del luogo sia risultato che nessun impedimento geografico o topografico limitasse la costruzione del recinto sacro con l’asse maggiore rivolto verso altre direzioni.

Escludendo la costruzione e l’orientazione mediante criteri casuali in quanto era abitudine dei Celti utilizzare linee di riferimento rituali o magiche per le costruzioni dei luoghi sacri, allora il fatto di aver scelto un’orientazione intermedia tra la direzione di sorgere del Sole agli equinozi e quella dalla levata solare solstiziale invernale implica chiaramente che la direzione verso cui l’asse del nemeton di Libenice è orientato è astronomicamente importante, ma non di natura solare.  Dalle analisi condotte al computer è possibile mettere in evidenza che l’asse maggiore del santuario era orientato verso la direzione in corrispondenza della quale nel V secolo a.C. poteva essere osservata la levata di Rigel e Saiph due delle quattro stelle principali che costituiscono la figura antropomorfa della costellazione di Orione.  Per una curiosa coincidenza in quell’epoca l’azimut di prima visibilità di queste due stelle era praticamente coincidente.  Questo asterismo fu considerato tra i più importanti presso diverse civiltà antiche perchè veniva usato per indicare i diversi periodi dell’anno importanti dal punto di vista agricolo.  Gli Egizi per esempio, presso i quali il sorgere della costellazione di Orione all’alba poco prima del Sole preludeva alla levata eliaca di Sirio.  Qualche studioso ha proposto recentemente che la disposizione delle grandi piramidi costruite durante la IV dinastia sul terreno di Giza sia correlata con la disposizione delle stelle di questa costellazione.  La costellazione di Orione era utilizzata sia in Grecia che in Mesopotamia per indicare diversi periodi dell’anno importanti dal punto di vista agricolo.

Il recinto del nemeton di Libenice è stato costruito in modo da essere orientato verso la zona dell’orizzonte locale in cui poteva essere vista sorgere e salire maestosamente in cielo la grande costellazione di Orione.  Lungo una direzione molto prossima all’asse maggiore (Azimut circa 120 gradi) il Sole sorgeva nel V secolo a.C. il giorno in cui Antares era in levata eliaca, cioè il giorno di riferimento per la celebrazione della festa di Trinox Samoni.

Anche altre stelle importanti tra le quali Mira e Sirio sorgevano in quella direzione.

L’asse del nemeton quindi puntava verso una zona del cielo in cui durante l’anno potevano essere osservati molti eventi astronomici che potevano servire come riferimento per il calendario.

Al centro del tempio è stata scoperta una tomba nella quale sono state rinvenute le ossa di una donna, dal cui corredo funebre si è indotti a pensare che fosse la druidessa responsabile del culto.  La tomba mostra un’orientazione nord-sud molto accurata ed anche lo scheletro è stato ritrovato disposto lungo il meridiano astronomico con il teschio posto a sud in modo da guardare virtualmente il Polo Nord Celeste, punto intorno al quale ruota tutta la la sfera celeste durante il suo moto apparente durante la notte.

L’orientazione sia della tomba che dello scheletro risultano così accurate da escludere completamente il risultato di una disposizione fortuita, ma per orientare la tomba i Celti furono obbligati ad osservare la posizione delle stelle nel cielo per determinare le linea meridiana.  All’interno del recinto rettangolare sono state trovate oltre 35 buche nelle quali erano in origine infissi dei pali.

La disposizione delle buche, salvo qualche caso, non rappresenta alcun disegno regolare, per cui è escluso che esse potessero contenere pali atti a sostenere strutture abitative o architetturali.

La loro disposizione analizzata con particolari tecniche matematiche suggerisce che i pali in esse infissi potessero servire come mire per determinare talune direzioni astronomicamente importanti.  Dagli studi condotti con moderne e sofisticate tecniche di indagine archeoastronomica è stato possibile mettere in evidenza che coppie di pali definivano direzioni orientate verso taluni punti dell’orizzonte locale in cui sorgevano o tramontavano, a quella latitudine e intorno al V secolo a.C., diverse stelle tra cui quelle in levata eliaca alle date delle quattro feste durante l’anno celtico.

La stella Mira posta nella costellazione della Balena (Cetus) il cui cambiamento periodico di splendore è ritenuto dagli astronomi essere stato scoperto per la prima volta dal reverendo olandese Davide Fabricius nel 1596, pare invece che fosse stata già precedentemente individuata e osservata dai Celti Boi che allinearono diversi pali nel santuario di Libenice verso le direzioni di sorgere e di tramontare di questa stella.  Le stelle come Mira mostrano, nel tempo, periodiche variazioni di luminosità a causa del verificarsi di instabilità al loro interno, dovute alla loro struttura fisica, all’età e al particolare stadio evolutivo in corso.

L’instabilità provoca espansioni e contrazioni periodiche della stella con conseguente cambiamento del raggio, della temperatura fotosferica e quindi anche della luminosità.

Dal punto di vista osservativo, sulla Terra è possibile osservare che la luminosità di Mira varia dalla seconda alla decima magnitudine con un periodo di 330 giorni, di conseguenza l’astro rimane visibile per pochi mesi ad occhio nudo, si affievolisce nel giro di pochi giorni e poi scompare alla vista per sette-otto mesi.

Inoltre lungo un decennio Mira rimane invisibile per diversi anni a causa del fatto che il periodo di visibilità può capitare quando la stella è alta nel cielo di giorno, in tal caso Mira rimane completamente invisibile immersa nei bagliori della luce solare diurna.

Una stella di colore vividamente rossastro che appariva e spariva periodicamente poteva sicuramente attrarre l’attenzione dei druidi i quali non conoscendo ovviamente nulla di astrofisica potevano attribuire a cause divine la comparsa o la sparizione di una stella nel cielo tanto da marcare con dei pali le sue posizioni di sorgere e di tramontare all’orizzonte locale visibile a Libenice.

Un altro fatto molto interessante riguarda la particolare disposizione di alcune buche di palo le quali riproducono molto fedelmente sul terreno la disposizione delle stelle della costellazione del Cigno.  Questa costellazione a forma di croce era ritenuta importante presso molte civiltà antiche che la utilizzarono anche come indicatore della posizione del Nord astronomico.

Non dobbiamo dimenticare che durante l’età del Ferro, a differenza di oggi, il Polo Nord Celeste era situato ben lontano dalla stella Polare.  Infatti a causa della Precessione degli equinozi, il nord astronomico corrispondeva ad un punto privo di stelle luminose posto sulla sfera celeste a circa 7 gradi di distanza (grosso modo 14 volte il diametro della Luna piena) dalla stella Kochab (Beta Ursa Minoris).  Eseguendo al computer la ricostruzione dell’aspetto del cielo visibile dal nemeton di Libenice in corrispondenza delle date delle quattro feste celtiche principali si rileva che la costellazione del Cigno è sempre presente nel cielo, ma orientata secondo direzioni differenti.  Le direzioni dei quattro bracci se idealmente prolungate fin verso l’orizzonte di Libenice individuano grosso modo i punti dove avvenivano le levate eliache delle quattro stelle che identificavano le date delle quattro feste.

La costellazione del Cigno quindi poteva essere usata per prevedere in anticipo l’avvicinarsi dei giorni in cui le levate eliache delle quattro stelle avrebbero dovuto verificarsi.

Questo poteva rappresentare un utile strumento di pianificazione e di organizzazione delle feste.

Oltre a rappresentare accuratamente la forma della costellazione del Cigno, l’insieme delle buche nel suo complesso è tale da orientare l’intera figura in modo che la direzione risultante congiungendo la buca che corrisponderebbe alla stella Deneb con una buca situata a nord un paio di metri oltre il fossato che delimita l’angolo settentrionale del recinto, si realizza un allineamento diretto verso la posizione del Polo Nord Celeste durante il V-IV secolo a.C.

La direzione individuata risulta parallela sia all’asse della tomba della druidessa sia alla direzione dell’asse di rotazione della Terra.  Lungo questa direzione nel 500 a.C. sorgevano e tramontavano ben 13 stelle appartenenti alle costellazioni circumpolari cioè quelle che alla latitudine di Libenice non tramontavano mai descrivendo il loro arco diurno rimanendo sempre sopra l’orizzonte locale.

Si veniva così a formare in cielo una sorta di orologio siderale, che poteva essere usato per prevedere in anticipo le date delle levate eliache delle stelle.

In accordo con il fatto che i Celti non praticavano culti solari non sono stati rilevate orientazioni significative relativamente a fenomeni legati al Sole, mentre sono stati rilevati alcuni allineamenti verso i punti di levata della Luna ai lunistizi, punti in cui la Luna raggiunge le sue distanze estreme dall’eclittica e che risultano importanti per la previsione delle eclissi.

Il nemeton venne completamente abbandonato intorno al 400 a.C.

 

  • L'Acropoli di Zavist

 

Un altro luogo molto interessante per il quale si sono condotte indagini di tipo archeoastronomico è l’Acropoli di Zavist o più specificamente la torre triangolare sita nel suo interno.

L’Acropoli di Zavist è situata all’interno di un sito fortificato risalente al VI-V secolo a.C. e posto a 391 metri di quota sul livello del mare a pochi chilometri da Praga.

La situazione dell’Acropoli nel periodo 550-500 a.C. era tale da comprendere un recinto quadrangolare di una ventina di metri di lato associato a case in legno allineate ai lati di una strada.

Nel V secolo a.C. l’acropoli venne ricostruita dopo essere stata distrutta, all’interno di un grande recinto quadrangolare di un centinaio di metri di lato.

Vennero costruiti un grande edificio rettangolare in legno a due navate di cui attualmente permangono le buche che contenevano i pali di sostegno, alcuni edifici monumentali e una torre a pianta triangolare in pietre a secco la cui altezza attuale è circa 4 metri dal livello del suolo, ma che si presume potessero essere sormontate da alcune sovrastrutture in legno che ne accrescevano l’altezza.

La torre in questione era un fabbricato rituale di circa 10 metri di lato ai cui vertici erano infissi nel terreno tre grossi pali in legno.  Dalla piattaforma posta a quattro metri di altezza dal suolo era possibile compiere osservazioni astronomiche.

Le analisi al computer hanno permesso di mettere in evidenza che lungo la direzione individuata da una coppia di vertici poteva essere osservata la levata eliaca della stella Capella.

Ciascuna delle tre coppie di vertici della torre permette di definire un settore di orizzonte entro il quale, nel V secolo a.C., potevano essere osservati svariati fenomeni astronomici.

Tra i più rimarchevoli osserviamo il sorgere del Sole agli equinozi, il sorgere e il tramontare del Sole al solstizio d’inverno, il sorgere e il tramontare della Luna ai lunistizi e più importanti di tutti, il sorgere eliaco di Antares, Aldebaran, Sirio e Capella, cioè le stelle fondamentali per la celebrazione delle quattro feste e per la determinazione delle date di inizio e termine delle stagioni.

Ritroviamo quindi anche a Zavist in questo luogo la possibilità di osservare i fenomeni astronomici fondamentali per la pianificazione agricola di una comunità rurale.

Analogamente a Libenice, anche Zavist venne abbandonata intorno al 400 a.C.

 

  • La nuvolosità del cielo

 

Durante l’età del Ferro le temperature medie estiva ed invernale nel centro Europa erano differenti da quelle del XX secolo.  La situazione climatica in Boemia, e più generalmente in Europa nella fascia che si stende da +30 a +60 gradi di latitudine nord, nel VI-V secolo a.C. può essere ricostruita sia sulla base dello studio dei resti fossili, quali pollini di piante che anticamente crescevano in quel determinato luogo, i quali possono fornire sia una buona stima della loro collocazione cronologica sia delle condizioni climatiche necessarie al loro sviluppo, sia calcolando la variazione dell’insolazione, cioè dell’energia ricevuta dal Sole in un dato luogo in conseguenza della variazione di orientazione dell’asse della Terra e dell’eccentricità della sua orbita.  Sappiamo dall’analisi dei reperti fossili compiuta dagli studiosi Overbeck nel 1957 e Frenzel nel 1966, che nell’Europa centrale nel 600 a.C. circa ebbe inizio una delle fasi climatiche molto umida che si ripetevano mediamente ogni circa 250 anni.

La temperatura estiva media andò soggetta ad un tendenziale aumento per tutto il primo millennio a.C. tanto che nel VI-V secolo a.C. in Europa centrale la temperatura estiva era maggiore di circa 3-4 gradi centigradi rispetto ai valori attuali.

Questo fatto implicava che il limite delle nevi sui rilievi fosse più alto dai 500 ai 700 metri rispetto ad ora favorendo il valico dei passi alpini da parte delle popolazioni celtiche dirette verso la pianura padana.  L’aumento combinato di temperatura e di umidità portò con sè, dopo un certo tempo, un forte aumento del tasso di nuvolosità del cielo come conseguenza, ma non solo, della maggior evaporazione dei mari.  Infatti tra il 600 a.C. e il 500 a.C. il tasso di nuvolosità media del cielo era un pò meno di quello attuale e il numero di notti serene annue adatte all’osservazione astronomica, a Libenice e a Zavist poteva essere compreso tra 120 a 160 a seconda anche del microclima locale.  Nel 400 a.C. la situazione era di molto peggiorata infatti il tasso di nuvolosità del cielo si era grosso modo raddoppiato arrivando,secondo i calcoli ad un massimo intorno nel 327 a.C.

A quell’epoca il numero medio di notti serene adatte all’osservazione astronomica si era ridotto a un numero oscillante tra 20 e 30 annue.  L’osservazione astronomica, soprattutto quella delle stelle, non poteva più essere agevolmente portata avanti nei luoghi in cui i druidi erano soliti osservare il cielo, quindi i santuari che erano anche veri e propri osservatori astronomici persero la loro importanza pratica e furono abbandonati.

Il tasso di nuvolosità del cielo è anch’esso un fenomeno quasi periodico per cui dopo il IV secolo a.C. il cielo ritornò progressivamente ad essere più frequentemente sereno fino a raggiungere un minimo di nuvolosità media durante il I secolo a.C., periodo in cui i druidi di Bibracte, presso l’attuale Mont Beuvray in Borgogna, costruiscono il loro Stagno Monumentale” basandosi su criteri astronomici e matematici.

 

  • Il Bacino Monumentale di Bibracte

 

Il “BacinoMonumentale” era una vasca in pietra di forma ellittica destinata a contenere dell’acqua e situata topograficamente al centro dell’Oppidum di Bibracte, la capitale dello stato degli Edui.  L’oppidum di Bibracte è stato frequentemente citato da Cesare nel Commentarii De Bello Gallico e per quanto ci è dato di conoscere, questa città era sede durante il I secolo a.C. di una scuola druidica tra le più avanzate della Gallia.

L’asse maggiore dello stagno monumentale è lungo circa 11 metri e il suo asse minore è lungo 4 metri.

Secondo le misure di R.E. White, astronomo presso lo Steward Observatory in Arizona (USA) l’asse maggiore è diretto 36.4 gradi ad est rispetto al meridiano astronomico locale.

Le prime ipotesi indicarono la possibilità che l’asse minore della vasca rituale fosse diretto verso il punto dell’orizzonte dove il Sole sorgeva al solstizio d’inverno, ma da analisi più approfondite è risultato che l’asse minore dello stagno puntava esattamente verso il punto di prima visibilità della stella Antares quando era in levata eliaca nel I secolo a.C. cioè alla data della festa di Trinox Samoni e il conseguente inizio dell’anno celtico.

Intorno al 50 a.C. la levata eliaca di Antares avveniva secondo i calcoli il 23 Novembre del calendario giuliano.

Una volta riconosciuta l’orientazione astronomica possiamo mettere in evidenza quali furono i criteri costruttivi della vasca ellittica che sono emersi analizzando le misure lineari dello stagno.  Tenendo conto del fatto che l’unità di misura lineare usata a per progettare lo stagno valeva circa 2 metri ci accorgiamo che lo stagno misurava 6 x 2 unità.

La forma ellittica era stata ottenuta intersecando due cerchi di raggio pari a 5 unita ciascuno i cui centri furono posti a 8 unità di distanza l’uno dall’altro.

La cosa stupefacente è che in questo modo la metà dell’asse maggiore della vasca viene ad essere lunga 3 unità, la distanza tra il centro della vasca e il centro di ciascuno dei due cerchi 4 unità e il raggio di ciascuno dei due cerchi generatori vale 5 unità realizzando così il minimo triangolo rettangolo pitagorico.

Infatti il triangolo rettangolo con cateti lunghi rispettivamente 3 unità e 4 unità possiede l’ipotenusa lunga 5 unità.  L’importanza dello stagno monumentale di Bibracte risiede nel fatto che i druidi Edui conoscevano la geometria pitagorica e la matematica necessaria per eseguire i calcoli e le applicarono in connessione con le nozioni di astronomia a loro note.

Il criterio di progettazione dello stagno monumentale di Bibracte fu quindi quello di determinare inizialmente la direzione verso la quale era possibile osservare visualmente la levata eliaca di Antares più o meno nel periodo della festa di Trinox Samoni, quindi fissata su quella direzione la posizione del centro dello stagno furono disposti, per tentativi, i centri dei due cerchi generatori di raggio pari a 5 unità finchè venne ottenuto il triangolo pitagorico “3,4,5”.

 La figura risultante dell’intersezione tra i due cerchi fornì la forma

 ovale della vasca rituale.

 

  • Le Monete Celtiche

 

L’analisi delle monete celtiche da un certo punto di vista è più facile rispetto ad altri reperti in quanto esaminando l’immagine raffigurata è possibile risalire al periodo in cui furono coniate, con sufficiente precisione.

Su alcune monete coniate dai Celti durante il I secolo a.C. si notano alcune incisioni importanti.

Tra la grande quantità di pezzi rinvenuti negli scavi archeologici sono da ricordare le serie complete di monete Armoricane, cioè coniate dalle popolazioni celtiche stanziate in Armorica, regione geograficamente corrispondete all’odierna Bretagna, nella Francia settentrionale.  In particolare risultano di estremo interesse le monete coniate dalla popolazione dei Coriosoliti.

Le monete dei Coriosoliti possono essere generalmente suddivise in sei classi sulla base degli elementi stilistici presenti su di esse e tali classi seguono una successione cronologica dovuta all’evoluzione di essi.  Se consideriamo ad esempio una serie di 6 classi di monete coniate consecutivamente su un intervallo di pochi anni possiamo notare un fatto molto interessante.

Sul dritto delle sei monete appare una testa umana variamente stilizzata, sul rovescio invece è raffigurato un cavallo con un cinghiale tra le zampe, ma solamente nella prima, nella quarta, nella quinta e nella sesta, mentre sulla seconda e sulla terza appare la raffigurazione di una cometa vista sopra la linea dell’orizzonte.

L’ordine cronologico delle monete è tale per cui il conio avvenuto durante il periodo di visibilità della cometa riportò la sua rappresentazione, mentre quando la cometa non fu più visibile ritornò ad essere rappresentato il tradizionale simbolo druidico del cinghiale.  Gli archeologi datano questa serie di monete tra il 100 e il 60 a.C. di conseguenza la cometa rappresentata dovrebbe essere quella di Halley osservata durante il passaggio dell’anno 87 a.C..  I Coriosoliti iniziarono a battere moneta dal 90 al 80 a.C. circa, periodo che risulta in ottimo accordo con l’attribuzione dell’immagine riportata sulle monete alla cometa di Halley.

Durante il passaggio dell’anno 87 a.C., la data del perielio fu il 6 Agosto del calendario giuliano.

Il 27 luglio precedente la distanza della cometa dalla Terra era, secondo i calcoli, di 65.8 milioni di chilometri quindi la Halley era molto luminosa nel cielo.

Una tavoletta babilonese incisa in quel periodo riporta che la cometa aveva una coda estesa per oltre 20 volte il diametro della Luna piena.  Il periodo di massima visibilità della Halley corrispose più o meno proprio ai giorni della festa di Lugnasad che tradizionalmente erano anche il periodo della grande assemblea di tutte le tribù Galliche.

 

               

Nell’insieme delle monete coniate dalle popolazioni celtiche stanziate nelle Channel Islands esistono quindici classi differenti di monete su cui non solo è rappresentata una cometa, ma si osserva anche il tentativo di rappresentare le stelle vicino alla quale essa fu visibile.  Rimanendo nel campo delle monete celtiche Armoricane, possiamo considerare uno statere in argento coniato tra il 100 a.C. e il 60 a.C. in cui sul verso potrebbe essere rappresentata, sotto la figura del cavallo, l’immagine della cometa passata nel luglio del 69 a.C. tra le stelle Alpha e Zeta Virginis (Spica e Heze).

 

 

         

 

Moneta armoricana con rappresentata la cometa transitata nel 69 a.C. tra due stelle della costellazione della Vergine.

 

Un altro caso molto interessante è rappresentato da una piccola moneta coniata tra 100 a.C. al 60 a.C. nuovamente dai Celti delle Channel Islands sulla quale sono rappresentate 3 comete, una sul dritto e due sul verso e alcune stelle.

Nell’anno 69 a.C. non era passata solo una cometa, quella già menzionata precedentemente, in occasione dello statere d’argento, ma tre.  La prima cometa apparve nel cielo in direzione ovest a circa 30 gradi dal pianeta Venere, nel febbraio di quell’anno.

 

 

                                 

 

Moneta degli Abrincatui della Britannia con rappresentata la cometa transitata nel 69 a.C. tra due stelle della costellazione della Vergine.

 

 

La seconda cometa cometa passò il 69 a.C. tra Spica e Heze e la terza apparve in Agosto a nord est della costellazione della Corona Boreale muovendosi progressivamente in direzione sud.

 

 

              Moneta rappresentante le tre comete transitate nel 69 a.C.

 

Il 27 Agosto del 69 a.C. essa attraversò la parte meridionale della costellazione di Ercole presentando una coda bianca puntata in direzione sud-est.

Anche su alcune monete coniate dagli Edui è possibile riscontrare la presenza riferimenti di tipo astronomico.

Intorno al 100-60 a.C. gli Edui coniarono una moneta d’argento sul cui verso rappresentarono l’immagine di una stella sotto l’immagine del cavallo.  In questo caso l’astro rappresentato potrebbe essere stato una Nova o una Supernova invece che una cometa in quanto manca competamente qualsiasi accenno alla presenza di coda.

L’oggetto rappresentato potrebbe essere la Nova apparsa il 23 luglio del 69 a.C. nella costellazione della Vergine che mostrò uno spiccatissimo colore bianco, oppure la Nova apparsa nella costellazione dei Pesci nel maggio del 76 a.C. oppure quella apparsa tra i mesi di ottobre e novembre del 77 a.C. nell’Orsa Maggiore.

In tutti e tre i casi le apparizioni di nuove stelle luminosissime avvennero in prossimità di una delle feste celtiche.

La rappresentazione di oggetti stellari include un altro caso molto interessante dal punto di vista archeoastronomico.  Si tratta, in questo caso, dello Statere d’oro di Tincommius coniato in Bretagna e databile circa dal 20 a.C. al 5 d.C.  Su questa moneta è possibile osservare la presenza della immagine di una stella che potrebbe essere la Nova esplosa nel mese di Marzo dell’anno 5 a.C. vicino alla stella Altair nella costellazione dell’Aquila e rimasta visibile per circa 70 giorni oppure quella apparsa nel 10 a.C. vicino ad Arcturus nella costellazione di Bootes.

Un altro caso molto simile è quello della moneta di bronzo di Tasciovanus databile dal 20 a.C. al 10 d.C. in cui, nonostante il cattivo stato di conservazione, si può notare nuovamente la rappresentazione di un oggetto di aspetto stellare posto in alto sopra l’immagine del cavallo, sul rovescio della moneta.

Probabilmente, considerata la similitudine con lo statere di Tincommius e la datazione tutto sommato molto simile, l’oggetto rappresentato pare proprio essere di nuovo la stella rappresentata sullo statere di Tincommius.  Spostiamoci ora in Britannia, anche qui gli esempi interessanti non mancano.  Infatti era comunissimo anche presso le tribù britanniche il conio di monete sul cui verso era rappresentata l’immagine del Sole o di stelle poste analogamente alle monete galliche sopra o sotto l’immagine del cavallo o anche contemporaneamente in entrambe le posizioni.  Anche in Gallia furono coniate monete rappresentanti il Sole che sorge (o tramonta) all’orizzonte e spesso a questa immagine ne venne associata un’altra rappresentante un occhio posto sulla stessa faccia della moneta.

Oltre alla moneta d’oro fatta coniare da Vercingetorige intorno al 52 a.C., su cui è rappresentata la falce della Luna sopra l’immagine di un cavaliere, abbiamo una moneta d’argento risalente al I secolo a.C. sulla quale potrebbe essere rappresentata una congiunzione di cinque pianeti, molto luminosa verificatasi, il 28 Novembre dell’anno 47 a.C.  I pianeti interessati furono Mercurio, Venere, Giove Marte e Saturno, tutti riuniti in un settore di cielo ampio poco più di 9 gradi d’arco nella costellazione dello Scorpione vicino alla stella Antares, che come sappiamo era importante per i Celti. Siccome Mercurio non si allontana che pochi gradi al massimo dal Sole, i cinque pianeti coinvolti furono visibili prima dell’alba verso est poco prima del sorgere del Sole. In meno di un’ora fu possibile veder sorgere in sequenza Giove, Marte, Mercurio, Saturno e Venere. La stella Antares sorse subito dopo Marte e poco prima di Mercurio. Per ultimo sorse il Sole rendendo quindi invisibili tutti gli altri astri.  Il 28 Novembre corrisponde molto bene alla data di levata eliaca di Antares, inizio per i Celti della stagione invernale e occasione per la celebrazione della festa di Trinvxtion Samoni.

 

 

La moneta coniata durante il I sec. a.C.dalla tribù gallica degli Unelli stanziata nella penisola del Cotentin.

 

Un altro magnifico esempio di rappresentazione astronomica ci proviene da una moneta coniata dalla tribù gallica degli Unelli stanziata nella penisola del Cotentin nel nord della Gallia, attualmente disponibile in un unico esemplare la  quale sembrerebbe riferirsi esplicitamente all’eclisse di Sole del 6 Marzo 78 a.C.  Sul dritto è rappresentata, come di consuetudine, una testa maschile, ma il verso rappresenta un lupo a fauci aperte nell’atto di mordere il disco solare che assume quindi un aspetto falcato. In questo caso l’interpretazione diviene molto suggestiva in quanto se si avanza l’ipotesi che la falce non fosse quella lunare, ma l’immagine falcata della frazione di disco solare che rimane visibile durante un’eclisse parziale di Sole allora potremmo pensare che la moneta degli Unelli possa rappresentare e ricordare un’eclisse di Sole osservata nella Gallia del Nord durante il I secolo a.C.

 

Aspetto del cielo alla mattina del 6 Marzo 78 a.C. quando avvenne l’eclisse rappresentata sulla moneta degli Unelli.

 

 

Ricostruzione dell’eclisse del 6 Marzo 78 a.C. osservata dal territorio della tribù gallica degli Unelli.

 (continua con il Calendario di Coligny)

 (Autore: Adriano Gaspani)

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                                                                                                       Gennaio 2012