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ESCLUSIVO:                                                                                                                       

  Il Sator di Todi e le sue  implicazioni magico-cristiane

(Marisa Uberti - Riccardo Scotti)

                                                                                 

Chi ci sta leggendo proverà un certo stupore (come è stato per noi) apprendendo che nella cittadina umbra, in provincia di Perugia, esattamente nel Museo Lapidario che è allestito nell’ex complesso monastico delle Lucrezie, è conservata una lastra di pietra su cui sono incise le cinque “magiche” parole SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Un esemplare che, almeno finora, è rimasto praticamente sconosciuto. Eppure se ne merita parecchia, di attenzione, a nostro avviso. La Ricerca serve a trovare sempre nuovi elementi e, diffondendola, si possono ottenere (lo speriamo) notizie preziose, laddove esiste ancora una lacuna da colmare. Per questo crediamo doveroso soffermarci ad analizzare la ‘lastra di Todi’ (rimandando il lettore che fosse digiuno dell’argomento “Sator/Rotas” alla nostra sezione dedicata all’argomento, dove si troverà anche un nutrito censimento di esemplari italiani e stranieri, sempre in movimento dinamico).

 

La lastra di Todi: considerazioni epigrafiche

Questa lastra, forse, è mancante della porzione superiore, che poteva riportare una data.

Il testo dell’epigrafe, scritto in latino, in alcuni casi è abbreviato con delle linee orizzontali interrotte da piccoli semicerchi, che sono poste sopra le sigle, è la sua trascrizione è la seguente:

 

+    _
R XPSREX
             _
VENITI PACE
  _
DSHOMOFC
 _
VSEST

◊SATORARE

 POTENETO

 PERAROTA

 S

La presenza dei segni a forma romboidale che intercalano le parole hanno, con ogni evidenza, una funzione di separatori (al posto dei più frequenti punti o croci). Notiamo, invece, che le cinque parole della seconda parte dell’epigrafe, che costituiscono il Sator, sono introdotte da un altro rombo, ma sono scritte una di seguito all’altra, senza divisione alcuna. Tale constatazione, se confermata da studi più mirati, potrebbe avvalorare il presumibile carattere magico della “formula”, che anche nel cabalismo ebraico è ripetuta di seguito, senza interruzioni di sorta (un po’ come avviene con la celebre frase Abracadabra).

 

                                                        

 

La scrittura per esteso della prima parte è:

REDEMPTOR CHRISTVS REX

VENIT IN PACE

DEVS HOMO FAC

TVS EST

Ovvero: “Il Redentore Cristo Re è venuto in pace, Dio si è fatto uomo”.

L’invocazione cristiana che precede il Sator può presentarsi, nei numerosi contesti in cui essa è presente, con talune varianti. La più diffusa tra di esse, al posto di XPS, comprende la sigla XHS, che comparve per la prima volta nel III sec. d.C., fra le abbreviazioni utilizzate nei manoscritti greci del Nuovo Testamento, chiamate Nomina sacra ed evidenziate dalla linea orizzontale che le sormonta.

I Nomina sacra delle iscrizioni cristiane si abbreviano con delle contrazioni grammaticali, che nel caso del nome di Gesù (in greco Iēsous) si presentavano come IH, IC o IHC, mentre nel caso di Cristo (in greco Christos), sono XC e XPC, dove la “C” è la lettera greca sigma con la forma di luna. Nelle trascrizioni latine, però, la lettera sigma si trascriveva pure in base alla pronuncia, determinando la scrittura delle sigle IHS e XPS, rispettivamente. Analizzando le epigrafi e le scritture antiche, pare evidente che le abbreviazioni riguardano principalmente e prevalentemente i Nomina sacra, piuttosto che le altre parole. Nel caso in esame, inoltre, davanti alla sigla XPS abbiamo la lettera “R” sormontata da una croce, che è raro trovare contestualizzata in orazioni analoghe, ma si tratta sicuramente della contrazione del termine Redemptor (che è un titolo divino), abbreviato in modo assai consistente e con l’aggiunta di un simbolo talmente esplicito (la croce) da non lasciare dubbi sul suo significato. Gli altri termini abbreviati nella frase, nel modo classico previsto fin dall’antichità, sono i nomi Christvs e Devs. Non dobbiamo pensare che l’abbreviazione di un nome sacro sia da considerarsi la dimostrazione di mancanza di rispetto, ma piuttosto l’esaltazione dello stesso che, senza bisogno di scriverlo per esteso, è immediatamente riconoscibile anche se contratto.

Secondo Bruce Metzger (1914-2007), le 15 parole abbreviate con una linea sovrascritta e presenti negli antichi papiri greci corrispondevano a "Dio", "Signore", "Gesù", "Cristo", "Figlio", "Spirito", "Davide", "Croce", "Maria", "Padre", "Israele", "Redentore", "Uomo” di “Gerusalemme" e "Paradiso” (Manuscripts of the Greek Bible, Oxford University Press, 1981).

Le altre uniche parole abbreviate presenti nella lapide sono In e Factvs, che per la loro posizione nella composizione grafica (soprattutto la prima) possono essere giustificate.

Questo modo di procedere nella realizzazione delle epigrafi corrisponde precisamente alla norma consolidata storicamente, e adottata dalla scrittura onciale, che si caratterizzava proprio per le numerose abbreviazioni. Secondo chi scrive, la forma delle lettere può essere riconducibile alla cosiddetta scrittura “onciale latina”, usata dal III al VIII secolo, dai latini e dai bizantini, e fu la scrittura principale utilizzata nei codici miniati. Dopo il periodo in cui fu in auge, questa scrittura fu usata ancora, sebbene in misura inferiore, fino alla sua definitiva scomparsa con il sopraggiungere della stampa. I principali elementi caratterizzanti la scrittura onciale latina sono la forma prevalentemente arrotondata delle lettere, la coincidenza della “U” con la “V”, la mancanza di separazione delle parole (nella fase iniziale), la quasi totale mancanza della punteggiatura (a parte il punto), la mancanza di distinzione tra maiuscole e minuscole (mischiate tra loro), la presenza di abbreviazioni (soprattutto nei Nomina sacri). All’inizio del IX secolo, l’onciale fu gradualmente sostituito dalla scrittura carolingia, che fu molto apprezzata per la sua maggiore semplicità di realizzazione. La scrittura carolingia, si caratterizza per la forma regolare delle lettere, oltre all’eliminazione delle legature e delle abbreviazioni. Tali assunti, se comparati con l’epigrafe della lastra di Todi, trovano molta rispondenza e possono in via probabilistica aiutare a datare il reperto al periodo bizantino.

                                                        

            Particolare della lastra di Todi: la parola SATOR è preceduta da un rombo; si notino i caratteri enfatizzati tipici della scrittura onciale

 

Lorenzo Leoni (1824-1887)

Prima di procedere con ulteriori analisi, è bene affrontare un dilemma. Nella nostra ricerca abbiamo scoperto che l’erudito Lorenzo Leoni (cui è intitolata la Biblioteca tuderte, nonché una via cittadina) trovò una lapide recante il “palindromo” del Sator in una chiesa rurale nelle vicinanze di Todi, e ne scrisse al Cavaliere Gaetano Milanesi, per ricevere da lui un parere. Nel trascrivere la lettera, ci interroghiamo se sia effettivamente questa la lastra conservata oggi al Museo Lapidario:

«Todi, 14 maggio 1881

Pregiatissimo signor cavaliere ed amico carissimo, In una chiesetta di campagna ho trovato, non già murata, o sul piantito, ma sola, una pietra alta 52 centimetri larga 32 spessa 5 colla iscrizione seguente a caratteri belli del secolo XIV di forma gotica, le lettere sono alte 3 centimetri: sator, arepo, tenet, opera, rotas; mi pare formino uno di quei giuocchetti di parole che ora si vedono per i giornali; per qualunque verso si leggono ricorrono le parole “sator arepo tenet opera rotas” quell'arepo letto a rovescio da opera, e rotas letto a rovescio da sator. Le stesse parole tornano anco se le linee si leggono per lungo, ossia perpendicolarmente, ed orizzontalmente. Sarei curioso di sapere cosa sia questa pietra, e mi rivolgo a Lei perché voglia dirmene qualche cosa. Mi scusi, mi saluti il Guasti e mi creda suo obbligatissimo Lorenzo Leonii[1]

A suscitare qualche dubbio in merito al fatto se Leoni si stesse riferendo alla lastra conservata al Museo delle Lucrezie è anzitutto la mancata citazione della frase che precede il Sator, in secondo luogo egli afferma che l’iscrizione è gotica del XIV sec., mentre, come abbiamo sopra evidenziato, essa è più aderente a quella onciale. Lo studioso afferma che le parole si leggono, con la loro caratteristica “inversione”, sia orizzontalmente che perpendicolarmente, cosa che nel presente caso non è possibile fare. Si stava riferendo al Sator “in generale” o all’esemplare che aveva documentato personalmente? In quest’ultima eventualità, non si tratterebbe dello stesso manufatto(in tal caso, quello trovato dal Leoni, dove sarebbe?). Egli annota inoltre un passo interessante, e cioè che quelle parole “si vedevano per i giornali”, forse alludendo ai giochi di enigmistica che ancora al giorno d’oggi alcuni quotidiani pubblicano. La risposta a questa lettera, che sarebbe stata interessante, non risulta essere stata inviata al Leoni da parte del destinatario. Nell'evenienza che l'esemplare descritto dal Leoni non fosse quello conservato nel Museo delle Lucrezie, è lecito ipotizzare che possa dunque esistere un'altra lapide recante il quadrato magico.

 

Un talismano di pietra?

Come il lettore più attento avrà già osservato, il Sator inciso sul manufatto in esame si differenza da tutti gli altri conosciuti per la forma in cui si presenta: distribuito su quattro righe, di cui le prime tre composte da otto lettere e l’ultima da una sola. Problemi di spazio non ve n’erano, per giustificare tale “bizzarria” da parte del lapicida anonimo, poiché è ben apprezzabile un’ampia porzione della lastra rimasta anepigrafe. Non è quindi possibile riscontrare le caratteristiche del Quadrato Magico classico, dove le parole stesse sono leggibili non solo nella direzione orizzontale ma anche verticale.

In questa forma della lastra tuderte non è così. Esiste un altro caso, relativo alla chiesa cimiteriale di San Giovanni, a Campiglia Marittima (LI), in cui le cinque parole sono disposte su tre righe orizzontali ma non vengono spezzate come nel caso presente. Inoltre, conosciamo anche i due esemplari in cui il Rotas/Sator è circolare (Collegiata di Aosta e Abbazia di Valvisciolo a Sermoneta, in provincia di Latina) e non rispetta la griglia quadrata.

                                                            

                                                                                       L'esemplare di Campiglia Marittima (LI)

Il Sator di Todi è un “unicum”, sotto il profilo epigrafico. Ci dobbiamo chiedere se la sua presenza è legata alla frase che lo precede, che è una preghiera ben conosciuta in ambito cristiano, essendo un’ invocazione contro ogni male.

L’orazione, nella sua forma più completa, è la seguente:

Jesus Christus Rex Gloriae venit in pace,

Deus Homo factus est

Et Verbum caro factum est.

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat,

Christus ab omni malo nos defendat.

La traduzione è:

“Gesù Cristo Re Glorioso è venuto in pace,

Dio si è fatto uomo

E il Verbo si è fatto carne.

Cristo vince, Cristo regna, Cristo comanda,

Cristo ci difenda da ogni male.”

 

Nel nostro caso, la prima parola è R (edemptor) sormontata da una croce, particolare che conferisce al testo un’importanza unica. Non è altresì presente l’intera orazione ma soltanto la prima parte, che è più frequente da trovare, rispetto a quella integrale.

Sono numerosissimi i luoghi sacri italiani e stranieri dove è attestata la medesima “invocazione” (o orazione “divotissima”), molto usata contro i terremoti, i tuoni, le saette, contro calamità naturali (e non solo, probabilmente). Si tratta, insomma, di una sorta di formula magica, un talismano protettivo o esorcistico, oppure un tipo di ex-voto con funzione di ringraziamento per qualche evento miracoloso che possa aver interessato il luogo in cui si trova collocata. In altri casi, ciò è noto perché è stato inciso nella frase.

Sappiamo pure che questa è una preghiera per ottenere una grazia e la misericordia di Dio contro ogni necessità, la peste e la fatica.

«Il Sommo Pontefice Pio IX, con un Rescritto dell’Eminentissimo Cardinale Vicario del 5 agosto 1854, conservato nella Ven. Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue a Roma,  concesse 100 giorni di indulgenza per ogni volta che, con cuore contrito e devozione, si recita l’orazione completa [2] così efficacemente insinuata dal Venerabile Giuseppe Benedetto Labre (1748-1783)». Questa figura di uomo pio, che la chiesa ricorda come santo, l’avrebbe scritta mentre si trovava in soggiorno nella cittadina di Fabriano (AN), alla presenza di una devota assemblea. L’orazione era diretta al Signore Gesù Cristo, e coloro che l’avrebbero recitata, avrebbero avuto la casa (e quelle vicine) indenne dal flagello dei terremoti, delle saette e dei fulmini. Pochi anni più tardi, le cronache agiografiche narrano che a Fabriano si verificò un gravissimo sisma, quando il Labre era soggiornante a Roma, e molte abitazioni andarono distrutte. Ma non quella dove era stata recitata l’orazione (e nemmeno quelle attigue), il che fu subito attribuito alla promessa fatta dal Santo poverello. Chiaramente l’invocazione non è così recente, ma è attestata da tempi remoti. Già nei Salmi (es. Salmo 71 (1-11)) è presente l’esaltazione del potere regale del Messia, mentre nel Vangelo di San Giovanni (unico dei quattro evangelisti canonici a parlarne) troviamo il riferimento al Verbo di Dio che si fa Uomo in Gesù Cristo.

Se consideriamo le tre acclamazioni più note contenute nella preghiera Christus Vincit, Christus Regnat, Christus Imperat, notiamo che si trovano su sigilli, medaglie, anelli  come motto della corona reale di Francia, fin dal tempo dei Capetingi (si usarono fino alla Rivoluzione Francese), a cominciare da Luigi VI, che nel 1137 lo fece mettere sulle monete. Ma già le Laudes Regiae, composte in Francia negli anni fra il 751 e il 754, cominciano con le stesse acclamazioni. Alle acclamazioni del papa che seguono, sono aggiunte le invocazioni degli apostoli, all'acclamazione del re le invocazioni degli angeli, all'acclamazione dell’ esercito franco le invocazioni dei martiri. Al tempo del re Pipino, s’intendeva incorporare totalmente il regno nella Chiesa, tanto celeste quanto terrestre [3].

Moneta del re di Francia Luigi XII (1498-1514): Croce di gigli; al centro un quadrilobo; (giglio coronato) XPS:VINCIT: XPS:REGNAT: XPS:IMPERAT; punto segreto: 18° lettera (fonte)

Pare che le stesse tre esaltazioni del potere Cristico fossero il Motto dell’Ordine Teutonico.

Ancora oggi, il Christus Vincit fa parte della liturgia gregoriana cantata nelle solennità pasquali.  Tenendo presente che le formule magiche “pagane” si basavano sulla sonorità della parola, i fedeli cristiani inconsciamente continuano a vivificare antiche tradizioni.

Va poi sottolineato come, nella Magia cerimoniale, ogni funzione assume le caratteristiche specifiche per le quali è espletata, ovvero una formula magica o un incantesimo letti in un verso, producono un effetto contrario a quello prodotto se letti nel senso inverso. Così potrebbe essere anche per il Sator, il quale, originariamente, cominciava con la parola Rotas (v. esemplari più antichi di epoca pre-cristiana), cui seguivano Opera Tenet Arepo Sator. Così come abbiamo già avuto modo di discutere nell’apposita sezione, stabilizzandosi la nuova religione cristiana, il Rotas è stato “girato”, invertito, ponendo il termine Sator come primo. In ogni modo, leggerlo in un senso anziché in un altro, in determinati ambiti e da persone preparate, potrebbe rivestire valenze divergenti. Forse tutto questo non è importante ma varrebbe la pena di rifletterci [4].

 

Luoghi da proteggere

In virtù del fatto che il Sator di Todi si accompagna ad una invocazione cristiana così importante, nata probabilmente per ambienti nobili e poi passata nella società comune che l’ha infarcita di tradizioni locali e influssi scaramantici, si potrebbe ipotizzare che la lastra su cui fu inciso si trovasse in un luogo che si voleva proteggere, e con lui tutta la Comunità. Un luogo come può essere una chiesa (magari quella in cui il Leoni descrisse d’avere trovato proprio il Sator) e/o locali ad essa connessi. Se ammettessimo che il ritrovamento del Leoni è proprio questo, qualche elemento utile dovremmo tenerlo presente: fu trovata isolata, non impiegata come lastra pavimentale o nel piantito. In una chiesina di campagna, spazio rurale dove le superstizioni sono sempre state particolarmente accentuate, potrebbe bene contestualizzarsi. Il senso della presenza del Sator, dopo la litania a carattere magico, potrebbe anche avere avuto la valenza di Paternoster, a completamento dell’invocazione [5]. Tuttavia, il fatto che solo le parole contenute nella prima parte della scritta siano divise dai rombi, secondo chi scrive ha una rilevanza assai importante (tra l'altro il numero dei rombi, forse non casuale, è di otto nella prima frase e di uno nella seconda, in totale si conteggiano nove rombi). Un ulteriore dettaglio d’interesse è il fatto che la prima parte dello scritto, diciamo “celebrativa”, termina con un rombo, e la seconda parte, “scaramantica”, comincia con un altro rombo, così che le due parti sono doppiamente separate.

La lastra di Todi è probabilmente da collocarsi intorno all’anno Mille, periodo storico tra i più carichi di calamità e presagi che la storia abbia conosciuto. L’ipotesi di un’iscrizione realizzata in riconoscimento per una “grazia ricevuta” dalla Comunità potrebbe essere la più probabile, se vogliamo contestualizzare la scritta in un periodo di grandi difficoltà collettive, come le epidemie, le carestie, le guerre e i disastri naturali.

Sembra interessante far notare come invocazioni dello stesso tipo di quella incisa sulla lastra di Todi si ritrovino spesso sulle campane o su lastre murate nei campanili, che erano i soggetti più spesso colpiti da fulmini e saette e i primi a crollare in caso di forti terremoti. Avere questa protezione, a tutti gli effetti magica, scongiurava (nelle intenzioni) questo tipo di flagelli. 

Indicativo è il fatto che sulla campana della vetusta chiesa di Santa Maria in Plebis Flexiae (Marischio, nei pressi di Fabriano, AN, oggi in proprietà privata), si trovi inciso un Sator, con la data 1412 (sebbene i caratteri onciali depongano per una data anteriore). Il nostro corrispondente locale, sig. Balilla Beltrame di Fabriano, ci informa che: «Il SATOR sulla campana di S. Maria de Flexie, fu inciso in bassorilievo su una superficie rettangolare anziché quadrata, orientato verso Levante, Gerusalemme. Per gli appassionati del simbolismo dei numeri, diremo che il rapporto tra i lati genera il numero decimale periodico 0,77777… Un particolare degno di nota: la prima e l’ultima “S sono scritte chissà perché, in senso contrario. Il pievano fece incidere il SATOR verosimilmente come amuleto di antica memoria. Lo conferma, la dichiarazione di gratitudine a Dio riportata sullo stesso bronzo: Anno domini MCCCCXII mentem santam spontaneam deo et patriae liberationem».

 

L'esemplare inciso sulla campana di Marischio (vicino a Fabriano, AN)

 

Queste parole sono molto interessanti ai fini di contestualizzare la funzione magico- protettiva (o scaramantica) di questo Sator, funzione che potrebbe aver rivestito anche l’esemplare di Todi (che poteva essere collocato su un campanile). È risaputo che la naturale religiosità della gente di campagna accettava ogni tipo di protezione magico-sacrale. Comprendiamo bene, allora, le affermazioni del Beltrame, che riferendosi alla vita nelle campagne, conclude: «Durante la stagione dei raccolti c’era, ma forse c’è ancora, l’abitudine - addensandosi nuvole di piombo cariche di pioggia - di suonare a distesa i bronzi benedetti per “sciogliere” la grandine, indebolire la piovuta, difendersi insomma dalla carestia. Una campana che aveva oltretutto, il quadrato del sator, emanava una potenza moltiplicata contro i devastanti temporali dell’estate. È nato spontaneo e memorizzato da generazioni, il canto propiziatorio in dialetto: Signore fa che piôa senza viénto e senza grànnola e qué tampìri (Signore Iddio fai piovere, senza però il vento forte e la grandine, e che non faccia troppo caldo). I secolari assilli del contadino» (rif. http://www.lumornia.com/sator.htm)  

Vediamo adesso altri contesti in cui, nonostante non sia presente il Sator, vi è la frase che accompagna l'esemplare della lastra di Todi, ricordando che abbiamo scelto soltanto quelli in cui si trova la stessa dicitura, onde evitare di appesantire il presente lavoro:

- Su una tavoletta in marmo che era collocata nella parte superiore della torre del Faro di Genova, oggi visibile sul terreno alla base dell’edificio. La torre è stata colpita da un fulmine più volte nella sua storia: tra le più gravi, quella del 1481, che ha portato alla morte di uno dei suoi guardiani. Fu poi colpita nel 1602, con la distruzione di una parte della merlatura, e nel 1603, quando un fulmine colpì la lastra su cui è inciso il testo Jesus Christus rex venit in pace et Deus homo factus est. In questo caso, non sembra aver portato troppa fortuna…

- Sempre a Genova, sulla terrazza della torre civica (1307), che sarà poi chiamata Torre do Palasso o de Päxo, una lapide recita l’invocazione in modo esplicito: Iesus Christus rex gloriæ / venit in pace / et Deus homo factus est / et Verbum caro factum est / Christus imperat Christus vincit / Christus regnat / Christus ab omni malo / et tempestate / nos et nostra bona / defendat. Questa torre ospitò sempre una campana (campanone), che è stata ripristinata più volte: il quinto e pesantissimo campanone della serie, ivi collocato nell’anno 1570, fuso in Genova dal bresciano Giovanni Cattaneo, era ornato con graziosi mascheroni e con una striscia (alta 10 cm in corrispondenza del bordo) incisa con eleganti nereidi, tritoni, putti. Nel campo era una Madonna con Bambino in braccio che portava la scritta XPS · REX · VENIT · IN · PACE · ET · DEUS · HOMO · FACTUS · MENTEM · SANCTAM · SPONTANEA · M · HONOREM · DEI · PATRIS · ET · LIBERATIONEM, firmata DUX · GUBERNATORES · ET · PROCURATORES, e IOANNES · DE · CHATANIS · CIVIS · BRIXIÆ · FECIT. · MENSIS · OCTOBRIS · MDLXX.  Nonostante abbia servito quasi 300 anni, nel 1859 (suonata solennemente in occasione della vittoria della battaglia di san Martino e Solferino) iniziò a dare suoni di poca limpidezza. I più maligni sostennero che il declino di questa campana ebbe inizio con l’annessione del Regno di Sardegna (1815) e che ogni volta che la Storia avvicinava uno dei Savoia alla città,  il suono che emetteva si faceva stridulo come di “campana di terra cotta”! Smise così di essere suonata, e nel 1893 fu portata nella fonderia Muzio di S. Zita, e poi fu sostituita con un nuovo (il sesto) campanone [6].

- Troviamo l’orazione anche a Sutera (CL), presso la chiesa del Carmine (rione Rasatello), sul rinnovato campanile con l’orologio, che ospita due campane, una del peso di Kg 250 (fusa nel 1764), e l’altra del peso di Kg 165 (fusa nel 1521). Sulla campana più piccola è rappresentata l’immagine della Madonna con il Bambino in braccio, e reca la scritta (purtroppo non completamente decifrabile) XPS rex venit in pace Deus … Homo factus est anno DM … idem depalubo prior Andreas De Agarbato Tec ….

- Sulla vecchia campana della chiesa di S. Maria Assunta (ora all’interno dell’edificio), a Roio del Sangro (CH), la preghiera è riportata così: Mentem santam spontaneam Honorem deo et patriae liberationem xps rex venit in pace deus Et homo factus est.Verbum caro factum est Nicolaus de Crapracotta me fecit A.D 1566.

wpe7.jpg (38879 byte) Una delle campane della chiesa di San Giovanni ad Atessa (CH), riporta la stessa invocazione, XPS REX GLORIE VENIT I PACE DEUS HOMO FACTUS E A D MCCCCXXVII, accompagnata dal nome del fonditore (interessante il lavoro di censimento delle campane con formule propiziatorie di questo sito, che riporta anche documenti, notizie e tradizioni locali legate all'argomento).

-- Nella chiesa di San Pietro (risalente al V secolo d.C., ma rifatta nel XIV sec.), a Cusano Mutri (BN), sempre su una campana, la più grande di tre, posta sul campanile in uno dei tanti rifacimenti che il luogo sacro subì, e precisamente nel 1644,  era scolpita la medesima scritta, accompagnata dalle seguenti parole: Iesus + Maria + Petrus + Paulus Apostoli, Me genda defendat, Popolum Iesus XPS Rex venit in pace. + Deus Homo factus est + Verbum Caro factum est + Christus + Nobiscum state + A.D. MDCXXXXIIII - Victoria vocor De Cannelli Frassinensis fecit  (si notino le croci ad intercalare i termini). Nel 1688 la zona fu interessata da un terremoto ma dalle memorie di mons. De Bellis, che visitò la chiesa nel 1689, si apprende che l’edificio non subì danni, come del resto l’intera Cusano.

-L’erudito Angelo Mai, nel suo Scriptorum veterum nova collectio è Vaticanis codicibus (1831, vol. 5, parte I cap.1), riporta la presenza della stessa iscrizione ad Urbino, nel Palazzo Ducale, «in parete post- teatrum»  e a Roma, nel Museo Vaticano (senza ulteriore specificazione). La trascrizione è la seguente:

+ XPS.rex+

+vENIT.IN.PACE.+

+et.DEUS homo.+

+factus.est+

Notiamo che ci sono delle croci a separare le parole.

-Spostandoci un po' più a nord troviamo l'invocazione in molte zone della Lombardia (v. l'interessante sito dei campanari ambrosiani).

-Nell’antica plebania di Zoldo con Lavazzo (BL), il Tabià de Tamai di Bragarezza recava un’invocazione religiosa che a lungo restò incompresa: ST IN. S. MCC / MO FACTUS E / ET DEUS HO / VENIT IN PACE / XPS REX, finché Romano Gamba, nel 1971, la interpretò, vedendo che si leggeva dal basso verso l’alto: Christus Rex venit in pace et Deus homo factus est Incarnationis suae MCC (Gamba annotò che anche la campana vecchia di Fusine, asportata dagli Austriaci, portava la stessa iscrizione; e la stessa data del 1200?)
 

- Interessante è pure il caso della chiesa francese di Saint-André de Lherm (Alta Garonna), perché qui, su una lastra nel chiostro, è riportata l’invocazione «en belles majuscules onciales»  + XPS : REX : VENIT : IN PACE :DEUS : HOMO : FACTUS EST (notiamo i puntini separatori delle singole parole).

  - Un caso ancor più interessante è quello della chiesa francese medievale di san Giovanni (proprietà dei Cavalieri di Malta) ad Aix. In questo contesto, la preghiera si trovava nella parte più alta del campanile ma in doppia copia, una collocata sul lato meridionale e l’altra su quello settentrionale. Le lastre  furono trovate durante la riparazione in seguito ai danni causati da un fulmine (sono ancora visibili a occhio nudo ma leggibili con un binocolo, dal basso), e le parole sono:

XPS (christus) REX VENIT IN
PACE DEUS HOMO
FACTUS EST

- Per concludere questo sintetico exursus nei meandri di un’invocazione che era assai nota e usata, ci è gradito fare un riferimento alla nostra vicina chiesa di San Fermo e Rustico a Caravaggio (BG), dove, sul fregio della campana vecchia, si trova la scritta della lastra di Todi, ma con l’abbreviazione XHS anziché XPS: S. FIR. RUST. ORATE PRO NOBIS. MCCCCC XVIIII - XHS REX VENIT IN PACE ET DEUS HOMO FACTUS EST, che tradotta in italiano è: “Santi Fermo e Rustico, pregate per noi. 1519 - Cristo Re è venuto in pace, e Dio si è fatto uomo”.

Da tutti gli esempi menzionati, emerge che in nessun caso sono presenti i rombi quali segni di separazione tra le parole, e ci sembra un altro piccolo mistero. Così come è chiaramente emerso, campane e campanili furono i soggetti prediletti ai quali affidare l’orazione “divotissima”.

Auspichiamo di aver fornito materiale stimolante per approfondire il mistero del Sator di Todi, sul quale, appena avremo ulteriori notizie, torneremo.  

                                                                                                                                                                                      (Uberti, M.- Scotti, R.)

NOTE:

[1] Riportato da  ‘Laboratorio delle Arti Visive’, piazza dei Cavalieri, 8 56126 Pisa; rif. Web: http://www.artivisive.sns.it/milanesi2/editatesto.php?id=613

[2] Jesus Christus, Rex gloriae, venit in pace. Jesus Christus, Rex gloriae, venit in pace.

Deus homo factus est. Deus factus est homo

Verbum caro factum est. Verbum caro factum est

Christus de Maria Virgine natus est. Christus de Maria Virgine natus est

Christus per medium illorum ibat in pace. Christus per Ibat illorum medie ritmo.

Christus crucifixus est. Crucifixus Christus est

Christus mortuus est. Christus mortuus est

Christus sepultus est. Christus est sepultus

Christus resurrexit. Christus resurrexit.

Christus ascendit in coelum. Christus ascendit in coelum.

Christus vincit. Christus vincit.

Christus regnat. Christus regnat.

Christus imperat. Christus imperat.

Christus ab omni malo nos defendat. Christus ab omni malo nos defendat.

Jesus nobiscum est. Gesù nobiscum est.

Pater, Ave, e Gloria. Pater, Ave e Gloria. [Seguono poi invocazioni all’Eterno Padre affinché liberi da vari tipi di mali]. Questa orazione fu stampata e sparsa in Fabriano, vivendo ancora Benedetto.

[3] E’ singolare che solo nel 2007 sia giunto in Italia uno studio mirato del medievalista tedesco Ernst Kantorowicz (1895- 1963) che chiarisce: «Una delle preghiere più virili, infiammate e potenti della Chiesa cattolica, le Laudes regiae, nacquero in piena epoca carolingia come invocazioni per affermare la derivazione divina del potere civile, esaltando il culto del sovrano». Oggi fanno da refrain ai buchi di palinsesto della Radio Vaticana: «Christus vincit, Christus regnat, Christus Christus imperat!» ma un tempo questo “ritornello” era parte fondamentale delle Litanie Cesaree, riservate all'incoronazione rituale di re e imperatori: ogni sovrano, dal Sacro Romano Impero in poi, fu incoronato al canto delle Laudes, di cui non si poteva assolutamente privare. Al giorno d’oggi, si usano quando è eletto un nuovo Papa (a questo link, le Laudes salmodiate per l’elezione di Benedetto XVI: http://it.gloria.tv/?media=68647).

[5] Le 25 lettere che compongono il palindromo, furono interpretate come l’anagramma del Paternoster da F. Grosser, il quale vedeva il magico quadrato in chiave enigmistica: in esso distinse una crux dissimulata, un sigillo nascosto, in uso tra i primi cristiani ai tempi delle persecuzioni.

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                                                                                               Febbraio 2012