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Il Reno: frontiera tra la spiritualità germanica ed il pragmatismo romano (a cura di Enrico Pantalone) Il
Reno questo gran fiume da sempre frontiera naturale fin dai tempi antichi, era
considerato sacro dai Germani ed avamposto militare per i Romani. Del
resto sulla sacralità del gran fiume non fa mistero neppure Giulio Cesare,
che descrive il territorio esplorato come sinistro e oscuro:
che Cesare avesse paura è francamente inconcepibile, ma indubbiamente egli
comprendeva che l'insieme del territorio (fiume + foreste) rappresentava
qualcosa di nuovo a cui i Romani andavano incontro ed egli, infatti, prontamente
descrive minuziosamente le differenze tra Galli (diciamo uomini addomesticati) e
le popolazioni germaniche ancora da conoscere a fondo. Non
dobbiamo nemmeno dimenticare che per una buona fase dello spazio temporale che
stiamo visitando, le popolazioni d'oltre Reno sono ancora in una fase storica
arretrata rispetto al mondo romano, ellenico e mediterraneo; gli spostamenti
sono all'ordine del giorno, ed il fiume grande è inteso anche come confine del
mondo, del loro mondo. Tacito, parlando delle terre germaniche oltre il Reno, sottolinea che in pratica in questi territori non esisteva pressoché nessun insediamento urbano degno di questo nome, le popolazioni non vivevano in case e nuclei addossate l'un l'altra e addirittura era difficile trovare case adiacenti. (siamo nel I secolo AD quindi non al tempo di Cesare).
Probabilmente
nell'interesse di Roma si rinunciò nel proseguimento delle campagne per la
conquista dei territori d'oltre Reno in maniera definitiva, sotto Tiberio,
quindi nel momento in cui Germanico celebrava il suo trionfo alquanto spento e
sicuramente non di portata eccezionale. La cosa più importante è che Roma facendo uso della sua più accorta diplomazia stese intorno a questa regione una fitta rete di stati “satelliti” formati dalle varie tribù che permettevano di utilizzare i loro guerrieri in funzione anti-invasori orientali formando- possiamo dire- una catena lunga dalla Germania nord-occidentale alle ragioni danubiane che scemavano verso sud-est. La cartina illustra l'ipotesi più diffusa circa l'area del primo stanziamento celtico nell'Europa Centrale(verde)
In
effetti, il periodo a cui io faccio riferimento va da Giulio Cesare a Tiberio,
sostanzialmente, o poco più: in altre parole era il confine renano vero e
proprio, con tutte le sue problematiche indubbiamente minori rispetto al
limes allargato del periodo successivo ,spostato nel tempo più in là e
rivolto a popolazioni sempre di ceppo germanico, ma indubbiamente, come si dice
a Milano, più "gnucche" e più palesemente meno
addomesticabili... Un
testo di capitale importanza a questo proposito fu quello d’Augusto, il
Rex Gestae, che egli preparò prima della sua morte e databile
intorno al 14 AD, in cui egli tranquillamente (e forse con un po' di buona
superbia romana) diceva: Insomma,
delle popolazioni germaniche si conosce abbastanza, erano già presenti secoli
prima che Roma nascesse ed avevano le loro brave fortificazioni e villaggi, che
si chiamassero Celti o con altri nomi,e combattevano ancora prima
che un solo romano avesse tenuto in mano un gladio… La
sacralità del territorio renano per i germani era sottolineata palesemente da
Cesare quando ci descrive come venivano assegnati i terreni da coltivare alla
popolazione, modo invero assai singolare: erano dati in base ai componenti della
famiglia e ciò determinava mutamento d’anno in anno della quantità e del
tipo di terreno stesso e d’un attaccamento incredibile allo stesso in termini
spirituali. Insomma,
il Reno rappresentava non solo la frontiera tra civiltà e barbarie (almeno così
ci fu tramandato), ma anche e soprattutto la frontiera tra due modi di
vivere: la razionalità ed il pragmatismo romano contro la superstizione e la
spiritualità germana. |