Qualche riflessione sulla conversione al cristianesimo dei filosofi pagani nella Roma Imperiale
(di Enrico Pantalone)
Durante il II secolo Roma era invasa da filosofi o aspiranti tali, che si professavano studiosi per vivere a sbafo nell’impero, spesso nella sporcizia più pidocchiosa, mendicanti dei mendicanti, con la solo attrattiva di spillare denari dalla corte e dall’Imperatore.
Com’era lontano il tempo del filosofo stoico che nella sua interezza forniva un esempio da seguire: non che a Roma di filosofi ne fossero cresciuti tanti invero, il pragmatismo della politica ebbe sempre la meglio sulla ricerca idealistica, ma quei pochi furono certamente una guida spirituale di grande valore.
L’Impero viveva una seconda gran giovinezza, splendeva alto il vessillo delle legioni a nord, come a sud, ad occidente, come ad oriente, l’economia “tirava” e l’età degli Antonimi certamente può essere ricordata come una delle più floride, non solo dal punto di vista militare e finanziario, ma anche per il dirompente flusso di idee nuove che stavano circolando e che avrebbero determinato un cambiamento epocale ed una nuova fase spirituale.
Tra i grandi filosofi s’ergeva la figura di Giustino che affrontando ad uno ad uno i suoi detrattori in pubbliche dispute finiva per strapazzare ogni avversario, la sua querelle con Crescente fu famosa, e quest’ultimo più volte battuto sul piano delle spiegazioni si rifiutò di parlare davanti all’imperatore, il quale per evitare di dover proclamare Giustino il migliore, avallò questa richiesta preferendo ciarlatani anziché pensatori…
Per certi versi la vicenda della conversione di molti filosofi pagani al cristianesimo fu durante il II secolo un atto particolarmente strano e se prendiamo la figura dell’imperatore Marco Aurelio lo fu ancor di più considerando che egli pur professandosi filosofo cadeva continuamente in contraddizioni banali e tiranniche verso chi non lo incensava di continuo (pagano o no), al punto che il buon Antonino anni prima, dopo averlo adottato e nominato suo successore spesso dichiarava al proposito ”un suo maggior disinteresse garantirebbe una maggiore saggezza”.
La marea di filosofi stava lentamente iniziando il traghettamento dal paganesimo al cristianesimo…
Intendiamoci i filosofi dell’epoca, Tertulliano, Melitone, erano in ogni modo fermamente convinti che l’Imperatore fosse addirittura un protettore dei cristiani !
Lui finì per fare esattamente ciò che i filosofi cristiani s’aspettavano facesse per metterli in condizione di esercitare contro la società decadente il loro impulso morale e lui accecato completamente dal suo amor proprio continuò a vivere tormentato dal fatto che essi non lo temevano, ma anzi traevano vantaggi enormi dal suo comportamento.
Non era quindi un imputato, ma più semplicemente una vittima del sistema che egli stesso aveva contribuito a creare e che non sapeva dominare minimamente.
Molto più lucidi di lui erano appunto vari filosofi o scrittori come Tertulliano, saggi e certamente avanti anni luce rispetto a chi millantava la filosofia, cercavano di parare la disputa e difendere le proprie ideologie, e dovettero dare fondo a tutte le loro eccezionali risorse, che erano comunque immense, ma finirono ugualmente per passare il guado.
Luciano di Samosata, ugualmente libero pensatore parteggiò contro la cecità dell’imperatore, egli accettava i cristiani, non ne concepiva alcuni luoghi, ma comprendeva lo spirito con cui esercitavano la fede, che si sappia egli era contro di loro solo per alcuni esempi di pomposità durante il martirio.
Del resto Celso studiò attentamente in precedenza tutta la dottrina cristiana, ne confutò alcune
parti, ne testò delle altre, ma il risultato fu lo stesso: il filosofo pagano non comprendeva più la società dell’epoca, viveva come secoli addietro, non comprendeva il passaggio che stava avvenendo in quel mentre, forse avvolto più da un discorso giuridico che teoretico.
Adriano, già un secolo prima, dubitava molto dei filosofi pagani, e non aveva timore a dire che erano confusi, limitati e sterili nelle loro osservazioni: il suo dubbio era che mancasse l’intelligenza degli antichi o quantomeno fosse il carattere il loro punto debole, egli aveva totale sfiducia in loro.
I filosofi pagani che più riuscirono a restare al passo con i tempi, erano proprio coloro che sapevano osservare attentamente lo svolgersi della vita sociale intorno a loro, magari ai più sembravano frivoli e canzonatori oppure superficiali in realtà svolgevano un importantissimo compito di trade-union tra le parti che lascerà il segno anche nei secoli a seguire.
La realtà era che un filosofo pagano anche se ben motivato stentava a ritrovarsi nelle funzioni sintomatiche del cristianesimo, e per quanto si sforzasse alcuni punti erano per lui incontrovertibili e soprattutto senz’altro inaccettabili.
Viceversa, l’abilità del filosofo cristiano fu proprio quella di giocare su questa scarsa motivazione religiosa alla base nella preparazione filosofica del prototipo dei secoli presi in oggetto, spesso neanche minimamente presente nello svolgimento rituale divinatorio.
Luciano di Samosata, era lungimirante e ragionava in termini reali e soprattutto come uomo libero al contrario di Marc’Aurelio che invece rimaneva vittima delle sue stesse paure e del suo modo d’interpretare la sovranità.
Il punto principale non fu la religione cristiana, che non era certamente tanto forte al tempo da imporsi, quanto la mancanza di preparazione dei filosofi che gravitavano intorno al potere e che a tutto pensavano tranne che a sviluppare idee.
Luciano di Samosata, pur pagano, era un esempio di come si poté intendere il modo d’essere cittadino romano nel mondo conosciuto, lo sviluppo della società civile era per lui fondamentale, non s’appassionava ad una religione, per questo riuscì brillantemente ad essere portatore di novità: eppure fu a lungo preso di mira da quei quattro filosofi da strapazzo che starnazzavano gaudenti nell’aia imperiale e che finirono mestamente per essere dimenticati.
Non dobbiamo scordare una cosa, chi ha agito per la società e nella società, fosse pagano o cristiano, è stato sempre ricordato da entrambe le parti con la stessa intensità proprio perché è riuscito ad essere sopra le parti: concetto che per ogni filosofo dovrebbe rimanere sempre come asse portante dei propri studi, cosa che penso sia avvenuta assai poco in quel tempo.
Origene, ovviamente rileggendo le azioni dei protagonisti in epoca posteriore, ebbe modo di valutare a fondo gli errori commessi da coloro che non avevano avvistato con lungimiranza il "pericolo cristiano".
Egli mette in luce come il passaggio di molti filosofi pagani al cristianesimo sia dovuto essenzialmente alla cecità cronica dei primi troppo devoti ad un tradizionalismo greco oramai desueto e poco inclini a valutare la profondità dello spirito umano e tutto ciò che riguardava la mente.
Giustino nella sua grandezza fece in modo che le tesi platoniche potessero essere ricostruite ed ampliate attraverso la religione cristiana, egli studiò profondamente il problema, non che questo riuscì perfettamente o forse non riuscì affatto, ma egli dimostrò che la nascente religione tendeva al dialogo con qualunque forma di pensiero cosa che i filosofi pagani di questi secoli non recepirono praticamente mai.
La loro ristrettezza mentale fu tale che toccò ad altri Imperatori, certo non cristiani, ma intelligenti e perspicaci il porre rimedio, giungendo ad accordi più o meno velati o ad una non-belligeranza: il filosofo greco dell’antichità era quindi finito, sepolto definitivamente.
Uno dei punti chiave quindi fu la reazione “pagana” (o come si vuole chiamarla) che di fatto determinò la fine di una civiltà ed il passaggio ad un’altra: nonostante essa fosse largamente maggioritaria nell’ambito del territorio non seppe adeguarsi alle esigenze della gente comune e s’arroccò in posizioni che rispondevano solamente all’oligarchia aristocratica e questo corrispondeva al distacco dalla società che si richiamava al lavoro manuale, solo la gran lungimiranza di alcuni imperatori impedì il crollo totale dell’Impero in questi secoli.
Giustino aveva aperto una strada che poteva portare ad un accordo che garantisse una continuità in termini d’azione e d’intendimenti, continuità che non fu nemmeno presa in considerazione, una presa di posizione ottimistica sul futuro: era evidente che l’ellenismo dei filosofi pagani dava più spazio alle parole che ai fatti concreti, sarà Giustiniano a fare giustizia definitiva dei molluschi parolai d’Atene.
I filosofi pagani non potevano certamente capire che la disciplina, la speranza e la forte coesione che sviluppava il cristianesimo, era una coscienza, un corpo unico, gente che si raggruppava.
Questa gente era indubbiamente diversa dai raggruppamenti che fino ad allora avevano permeato l’Impero e di fatto pur risultando dispersi nei territori delle varie province riuscivano ad essere sempre organizzati come se la filosofia che li accompagnava travalicasse dalle distanze che esistevano tra loro.
Tertulliano, una volta passato il guado, scrisse orgogliosamente:
“Noi formiamo un corpo, mediante la coscienza di una religione, l’unità d’una disciplina e il legame della speranza”, parole ancora più importanti perché dette da un filosofo che in gioventù fu un forte ed accanito anti-cristiano, ma che valgono per comprendere l’esatta dimensione in cui si trovavano coloro che oramai non credevano più ad arcaismi e cercavano il nuovo, un’ideologia forte su cui rifondare il decadente Impero.