"Dolmen, Menhir...: pietre. Ma queste
pietre sono parole,
e raccontano qualcosa della nostra storia".
Così inizia la prefazione alla monografia di Paolo
Malagrinò 'Dolmen e Menhir di Puglia' (Schena editore, 1982).
Pietre che parlano, che per lunghissimo tempo hanno
rappresentato per gli uomini un elemento di connessione tra terra e cielo,
sia in senso religioso che astronomico; quanto è lontano dalla realtà
pensare che uomini di seimila anni fa abbiano faticato col fisico e con la
mente per erigere monumenti che avrebbero sfidato il tempo, con il solo
scopo di segnare un confine, una centuriazione (R. Ruta)!
I romani utilizzavano i più comodi cippi e le
pietre miliari, ed erano più che sufficienti.
Un menhir (pietra lunga) è un'altra cosa; alti da
80 centimetri a svariati metri (in Puglia i monoliti più alti raggiungono i
cinque metri circa), conficcati profondamente nel terreno, sembrano seguire
un ordine prestabilito capace di seguire gli spostamenti del Sole per
scandire il tempo, segnare solstizi ed equinozi, ma anche per dirigerne
l'energia nei luoghi prescelti.
Segnano inoltre uno o più percorsi a volte così
perfettamente allineati da far pensare ad una efficace forma di geografia
ante litteram.
A cosa servivano?
Tombe, altari, simulacri per i riti della fecondità, gnomoni astronomici o
segnalatori di epicentri geomagnetici?
Un'ipotesi abbastanza accreditata li individua come
rudimentali osservatori astronomici, gnomoni di una meridiana con cui
osservare, misurare, riconoscere e prevedere eventi astrali per legarli
significativamente ai tempi e ai cicli delle attività agricole.
La contemporanea presenza di monumenti megalitici,
falde acquifere sotterranee, ritrovamenti di icone protostoriche,
triplici cinte, simboli
esoterici tutti concentrati in un stesso luogo, come è successo a Sovereto
in provincia di Bari, ha rafforzato l'idea che potessero essere monumenti
sacri dedicati alla Grande Madre Terra, come scrive Aldo Tavolaro nel suo
libro 'Castel del Monte Scrigno Esoterico' (Laterza, 2001).
Anche Guénon sembra riconoscere, almeno in alcuni
menhir, un significato sacro: "Questa pietra poteva avere forme diverse e in
particolare quella di un pilastro; fu così che Giacobbe disse: „E questa
pietra che ho eretto come un pilastro, sarà la casa di Dio" . Molto spesso
queste pietre diventavano "pietre parlanti", pietre cioè che rendevano
oracoli o accanto alle quali venivano resi oracoli grazie alle influenze
spirituali di cui esse erano il supporto, come a Delfi.
Nel Salento la maggioranza dei menhir (pietrefitte
nell'allocuzione locale) ha la forma di un pilastro a sezione rettangolare,
alti da un metro e mezzo a cinque-sei metri ed infissi nel terreno per circa
un metro e mezzo; buona parte di essi è orientata con le facce larghe
rivolte rispettivamente a Est e Ovest, altri se ne discostano di alcuni
gradi. Sono sicuramente antecedenti ai dolmen, gli studi di datazione più
recenti (radiodatazione al C/14) li collocano in un periodo anteriore al
4000 a.C. nel neolitico medio.
Oggi in Puglia si contano 79 menhir, ce n'erano
altri 48 che l'incuria e l'ignoranza degli uomini ha provveduto a
distruggere. La fioritura di leggende locali, i culti pagani, la credenza di
proprietà taumaturgiche di questi monoliti erano così radicati e profondi
nelle popolazioni al punto tale da divenire un presupposto per la loro
stessa distruzione; l'imperatore Teodosio II nel 435 d.C. emanò un editto in
cui veniva considerato sacrilego il culto delle pietre (litolatria), e nel
452 con il successivo editto di Arles ne fu disposto l'abbattimento; anche
Carlo Magno ci mise del suo nel 789 ordinando la distruzione delle "pietre
venerate". Con tutto ciò è sorprendente trovare ancora tante testimonianze
di Pietra, ed è paradossale come la Chiesa sorta sul "Tu es Petrus" abbia
contribuito decisamente a questa forma di iconoclastia.
In tempi più recenti l'incuria, le leggende e le
superstizioni che raccontavano di favolosi tesori nascosti sotto i menhir,
lo smarrimento delle conoscenze di questi monumenti hanno prodotto altre
devastazioni, per esempio la loro inclinazione originaria sul piano del
suolo, variabile da 7 a 15 gradi, è stata spesso interpretata come un
sintomo di cedimento e per questo motivo sono stati raddrizzati.
Qualcosa di simile deve essere successo al menhir
"Aja della corte" di Lequile (LE) mio paese natale. I ricordi di questa
strana colonna pendente fanno parte della mia infanzia, quando molte cose mi
erano ignote, e l'immagine che conservo è quella di una pietra infissa nel
terreno che serviva per legarci asini e muli.
Quello che resta dell'originale
monumento è una vecchia fotografia e un disegno su cui ho riportato
l'orientamento e la primitiva inclinazione.
Il menhir si
trova a circa 200 m dalla Chiesa di San Nicola o del Redentore (1670) una
piccola chiesetta a croce greca con cupola rivestita di lamelle policrome;
il manufatto litico venne rinvenuto e riconosciuto nel 1922 da Mario
Bernardini, direttore del Museo Provinciale di Lecce .
E' un
parallelepipedo a sezione rettangolare di dimensioni 280 x 45 x 35 cm
orientato a NW-SE con le facce più larghe e inclinato di circa 15° verso NW,
alla base una chiave di ritenuta in pietra di 1 mq.
Costituisce la prima testimonianza di un
insediamento umano nel territorio che oggi è Lequile.
Questo menhir, viene ricordato da Furio Jesi "per
il suo inserimento perfettamente organico nelle consuetudini e nella vita
quotidiana degli abitanti moderni del luogo. Numerose altre pietrefitte
recano croci incise o croci di pietra alla sommità: l'acquisizione del
monumento megalitico da parte del nuovo gruppo è rimasta nell'ambito della
religione ( ... ). Qui, invece, a Lequile, la pietrafitta è inserita nella
vita del gruppo in modo assolutamente profano. Presenta, lungo gli spigoli,
numerosi intacchi incisi dai ragazzi per salire fin sulla cima; altri
intacchi, più profondi, furono praticati dai contadini per tenervi legati i
quadrupedi durante le soste dal lavoro di trebbiatura sull'aia immediata",
dalla quale il menhir ha preso il nome.
Oggi si erge diritto privo della sua preziosa
inclinazione anche se ben ambientato in un contesto che, rispetto al
passato, ne valorizza l'aspetto e spero lo preservi da altri interventi
inopportuni.
Secondo la versione ufficiale proprio durante la
riqualificazione della zona, uno slivellamento del terreno avrebbe provocato
il "raddrizzamento"; quello che resta inspiegabile è che l'inclinazione di
15° rispetto alla chiave di ritenuta non è più rilevabile.
Molti altri menhir sono stati invece
cristianizzati, sono stati trasformati in Osanna, simboli di giubileo e
dialettizzati in colonne "de lu Sanna". La Chiesa, non riuscendo a reprimere
il paganesimo delle devozioni popolari, li ha elevati a luoghi di culto
cristiani facendo collocare sulla loro sommità croci in ferro o facendo
incidere, a colpi d'accetta, altre croci sulle facce.
Giuseppe Palumbo pubblicò nel 1955 sulla " Rivista
di Scienze Preistoriche " un inventario dei monumenti megalitici del Salento
che descrive l'impressionante serie di distruzioni subita da questi
testimoni della nostra storia.
Tra le varie leggende che hanno contribuito ad
alonare di mistero queste pietre riporto la più antica raccolta da De Giorgi
nel 1879 secondo la quale:
"due sorelle, una nubile e l'altra maritata,
sarebbero venute un giorno a riposarsi a piè di questa colonna; ma ( ... )
ad un certo momento essa sarebbe caduta di schianto, schiacciando la
maritata, mentre l'altra donna avrebbe trovato sotto la pietra le molte
ricchezze nascoste ".
Anche Giuseppe Palumbo registrò un'altra leggenda,
secondo la quale " il monolito sarebbe stato piantato sopra un preziosissimo
tesoro costituito da monete d'oro, dì argento e da oggetti di alto valore.
Per venire in possesso di tali ricchezze, passate in potere del demonio,
sarebbe stato necessario operare nel seguente modo. Due innocenti bambini,
raggiungendo nel cuore della notte il luogo solitario, avrebbero dovuto
mettersi uno da una parte e l'altro dall'altra delle due facce larghe del
rustico obelisco. Il blocco si sarebbe subito abbattuto al suolo
schiacciando uno dei piccoli. Nella stessa notte il bimbo superstite avrebbe
potuto trovare e far propria l'"acchiatura" ossia il "ritrovamento". Si
vuole dal volgo che una certa pendenza la quale era visibile alla stele
fosse stata causata dal fatto che in un tentativo operato per venire in
possesso due del tesoro, mentre la pietra cominciava già a muoversi, quello
dei ragazzi che stava per essere sacrificato, si sarebbe dato a precipitosa
fuga verso il paese, per la qual cosa la colonna si sarebbe fermata dal
continuare a cadere, rimanendo invece pendula ". Il tesoro celato sotto i
megaliti è "del diavolo", che esige sacrifici cruenti o blasfemi per
concederlo, ma il diavolo è anche colui che garantisce la stabilità delle
pietre fitte.
Il fenomeno
megalitico nel Salento non si limita alla presenza dei soli menhir; dolmen,
specchie (grandi cumuli di pietre informi alti fino a dieci metri a sviluppo
conico e a base circolare o ellissoidale) e mura megalitiche segnano il
territorio ponendolo in stretto collegamento con i siti megalitici della
Sardegna, del Belgio, della Cornovaglia e della Bretagna.
La scoperta nel
1970 della Grotta dei Cervi di Porto Badisco sulla costa adriatica che da
Otranto scende a Santa Cesarea Terme, ricchissima di dipinti rupestri che
insieme a simboli lineari e complessi disegnano anche l'uomo del neolitico
impegnato nella caccia, testimonia la capacità espressiva anche simbolica
raggiunta da queste popolazioni che hanno continuato per lungo tempo ad
usare la Pietra come mezzo durevole di comunicazione.
"Qui, nel
Salento e nella Terra d’Otranto, la luce abbagliante si confonde con le
ombre e la realtà del presente con il silenzio del passato per diventare
mistero." (Giuseppe Maria Antonucci).
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