Occupandoci della presenza
dellaTriplice Cinta in Italia
(1), una visita ad
Alatri è d'obbligo.
In questa ridente cittadina del frosinate, nella Ciociaria storica, è
infatti facile imbattersi nel
triplice quadrato concentrico inciso sui gradini della chiesa di San
Francesco e di S. Lucia, nell'architrave del portone di accesso
alla chiesa di S. Silvestro, sul parapetto della cattedrale di San Paolo (eretta
nel mezzo dell'Acropoli) e, ancora, su una delle mensole in facciata.
Ma ci mancava un esemplare inedito, scoperto dal sig. Ornello Tofani e dal
dr. Gianni Boezi
(2) su un masso 'fuori contesto' nell'area dell'Acropoli
stessa. Siamo andati dunque a prenderne visione, accompagnati dal cortese
sig. Tofani, della storica tipografia omonima locale, e da una sua gentile
collaboratrice. Ci siamo beati alla vista del bell'esemplare, inciso
profondamente nella roccia e che risulta l'unico tra tutti gli altri massi
presenti all'intorno. Ornello Tofani ci dice che è perfettamente orientato
ai quattro punti cardinali e si dichiara convinto che l'esemplare stesso sia
coevo all'Acropoli (per lui antica di oltre 3.000 anni). Ci mostra anche
l'enigmatica presenza di una sorta di 'freccia', in corrispondenza di uno
dei segmenti perpendicolari, tracciata apposta per indicare qualcosa, una
posizione precisa, dice lo studioso. Non sveliamo il seguito, poichè
sappiamo che ulteriori e affascinanti studi di approfondimento sono in corso
da parte del Tofani, tuttavia non possiamo dirci affatto sicuri della
datazione proposta, in quanto mancano dati. E' l'eterno problema delle
incisioni!
L'autrice mentre osserva la triplice cinta dell'Acropoli
Origini misteriose
L'occasione della visita
è stata fonte di ulteriori e sorprendenti scoperte, perchè la cittadina
sembra essere un magico cappello a cilindro, dal quale fuoriescono segreti e
misteri poco noti e ancora irrisolti. A partire dal toponimo:Alatri. Da dove
arriva questa denominazione? Se svariate ipotesi sono state avanzate, quella
che ci ha colpito maggiormente è contenuta in un gruppo di tavolette d'argilla mesopotamiche, in
caratteri cuneiformi, note come 'Archivi di
Mari'
(3),
scoperti nel 1934.. In una di esse, risalente al 1700 a.C., è riportata una
lettera che il re di Mari, Shamsi-Adat, inviò al figlio Yasmakh e... non vi
sarebbe nulla di strano, se non fosse che in detta lettera vengono citate le
poderose fortificazioni di Alatri, intesa come città mesopotamica.
Della quale si sono perse completamente le tracce...! La tavoletta che
riporta il nome della città di Alatri è contrassegnata con la sigla ARM I
39, linee 1-16 e IV 28, linee 1-25 ed è scritta nel seguente modo
A-la-at-ru-ù, A-la-at-re-e (Alatrù)(4)
Che nesso può legare quella
remota città al borgo del frosinate di cui ci stiamo occupando?
Armando Frusone in "Conoscere Alatri" (Arti Grafiche Tofani,
1998) scrive "Sarebbe
dunque esistita in Mesopotamia una città di nome Alatri i cui abitanti, in
età lontanissima e per ragioni sconosciute, avrebbero raggiunto i nostri
monti per edificarvi una possente acropoli che nel nome e nella struttura
potesse onorare e perpetuare le proprie origini". Il condizionale è più
che mai d'obbligo, se pensiamo che non esiste alcuna prova sull'origine nè
del nome nè dell'Acropoli alatrense. La cui presenza, che lo si voglia o no,
suscita tanti interrogativi.
Vederla
dal vivo è un'esperienza grandiosa e permette di rivedere i molti assunti
storici che la vorrebbero realizzata dai Romani, cosa che francamente è
incondivisibile. La tecnica è diversa, l'impiego di enormi monoliti (che è
ancora possibile vedere alla base delle mura perimetrali e soprattutto nella
Porta Maggiore) impostati uno sull'altro senza uso di malte o collanti, è
appannaggio di misteriose culture della pietra, le cui tracce si
ritrovano in diversi luoghi del pianeta. Civiltà cosiddette 'megalitiche',
che anche in Italia (senza andare troppo lontano) hanno lasciato numerose
testimonianze, le quali attendono non solo risposta ma soprattutto interesse
da parte degli addetti ai lavori.
Ma chi abitava il territorio
prima dell'arrivo dei Romani? Anzitutto la presenza umana risale all'Eneolitico,
circa 2.000 anni prima di Cristo, e testimonianze di una civiltà stanziale
se ne hanno a partire dal X secolo a.C. Dal secolo seguente, in epoca
protostorica, appaiono gli
Ernici, che vengono genericamente
classificati come arcaiche popolazioni 'italiche', che potrebbero avere una
continuità con la mitica stirpe dei
Pelasgi. Si crea la prima società
urbana attorno all'VIII sec. a.C. e, dal VI sec. a.C., si hanno i primi
contatti con Roma. Fermiamoci. C'è qualche possibilità che una di queste
civiltà abbia realizzato l'opera poligonale alatrense? Anche città vicine
presentano analogie con Alatri e, secondo un assunto mitico, esse vennero
fondate da Saturno (Atina,
Arpino, Ferentino ed Anagni). Tra l'altro ne parlò anche
la principessa
Marianna Candidi Dionigi (1756-1826), appassionata di archeologia (di
cui fu una precorritrice), nella sua opera di divulgazione "Viaggio in
alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno", nella quale
ebbe cura di inserire vedute delle città megalitiche laziali, che realizzava
personalmente.
Lo storico tedesco
Ferdinand Gregorovius
(1821-1891), visitando
l'Acropoli di Alatri, dichiarò di esserne stato più stupito che per la
visita al Colosseo o alle mura dionisiache di Siracusa e scrisse "[...]
Qui, davanti a noi, vi sono mura dove ogni pietra non è un grosso quadrone,
ma un blocco di roccia dalle pareti appianate, di forma irregolare a più, a
molti angoli; e se, meravigliati, domandiamo quale arte meccanica fosse in
grado di sovrapporre pezzi di roccia tanto grossi, ancor meno comprendiamo
come tale arte fosse in grado di connettere tali massi pluriangolari l'un
l'altro con tanta precisione da evitare il minimo vuoto fra di essi e da
costruire il più perfetto mosaico gigante".
A rendere ancora più fitto
il mistero delle sue origini, contribuisce il fatto che il progetto
architettonico fu orientato astronomicamente (l'allineamento
principale della città era orientato verso il sorgere del sole al solstizio
d'estate), e furono calcolate con precisione aperture, spigoli, porte, come
è stato verificato da alcuni studiosi. Curioso notare come la costellazione
dei Gemelli ricordi la forma dell'Acropoli in modo impressionante, come si
fosse voluto replicare il cielo in terra.
La presenza di un' arcaica
scultura alla base dello spigolo destro del muro est dell'acropoli (detto
del 'Pizzale') è anch'essa oggetto di oscure interpretazioni. Sembra
raffigurare un'aquila con le ali spiegate, forse un'aquila bicipite,
tuttavia ha subito deturpamenti da parte del tempo e intenzionali, che non
ne permettono un'adeguata lettura.
Il
perimetro delle poderose mura misura 4 chilometri, interrotti da sei porte
di accesso. Nei secoli la muraglia è stata riadattata a seconda del
conquistatore di turno. Si può dire che verso nord c'è la città romana e
verso sud quella medievale.
La
Porta Maggiore, a sud, è costituita da otto macigni sapientemente
incastrati e sovrastati da un architrave monolitico lungo 4 metri, si
calcola che pesi attorno alle 27 tonnellate ed è apparentemente priva di
incisioni ma reca i fori di alloggio dei cardini di una porta o cancello.
Sul lato destro è visibile una cisterna di epoca romana. Una scalinata
coperta in opera poligonale conduce alla spianata dell'Acropoli.
La
Porta Minore è di dimensioni molto inferiori alla precedente e si
trova sul lato opposto, a nord-ovest. Sono quattro i macigni che la
compongono, sovrastati anche in questo caso da un architrave che reca
scolpiti 3 falli, simboli ancestrali di fertilità connessi ai riti
misterici (culto itifallico). Poco più in basso vi sono dei residui
epigrafici, di controversa interpretazione. Anche questo accesso è munito di
una scalinata, la cosiddetta 'galleria ascensionale', coperta di monoliti in
progressivo aggetto. Ma al momento della nostra visita, non è stato
possibile accedervi in quanto la porta è chiusa da inferriata.
Lungo le mura, non lontano
dalla Porta Maggiore, si aprono delle nicchie, destinate
probabilmente a contenere delle statue di divinità tutelari, con funzione
protettiva del luogo sacro. Lo studioso Mario Ritarossi ha messo in risalto
per primo il fatto che il rapporto tra l'altezza e la larghezza di queste
due Porte d'accesso è 'aureo' (divina proporzione).
Le chiese cristiane che
rimandano a culti primigeni
Giunti
alla sommità dell'Acropoli, si gode di uno spettacolare panorama, che spazia
sui Monti Ernici. Dove oggi sorge la cattedrale di San Paolo apostolo,
idealmente al centro dell'Acropoli, sorgeva un santuario di culto pagano,
anticamente, dove sembra si svolgessero anche cruenti sacrifici umani. Sul
fianco settentrionale l'edificio poggia su uno ierone ciclopico,
ovvero un'area sacra centrale che, si dice, sia il punto più esoterico,
caratterizzato da mura poligonali maggiormente levigate e dagli incastri
millimetrici. La
cattedrale svetta imponente come un faro a guardia del suo porto, celando
tutti i misteri che si sono accumulati sotto le sue fondamenta. Nei
sotterranei dell'attiguo Palazzo Vescovile, effettivamente, sono stati
trovati i resti di epoca altomedievale. In genere si assiste sempre allo
stesso fenomeno: una chiesa cristiana veniva costruita su un sito pagano,
del quale in tal modo veniva cancellata ogni traccia. E'
frequentissimo che, durante scavi per lavori di sistemazione delle chiese,
vengano fatte scoperte archeologiche di inestimabile valore sia culturale
che storico.
L'attuale
chiesa (1790-1808) è l'ultima risultante di una serie di sovrapposizioni e
rifacimenti. Le primissime notizie risalgono al 933, ma la sua importanza
comincia nel 1132, quando vennero qui traslate miracolosamente le reliquie
di San Sisto (pontefice, martirizzato nel 125 d.C. sotto l'imperatore
Adriano). Nel 1228 si verificò il prodigio dell'ostia incarnata,
fenomeno che accomuna Alatri ad altre località (sedi del medesimo evento),
come Lanciano e Bolsena, per dirne solo un paio (5).
Lasciati i gradini della
cattedrale, si osservano alcune incisioni della
triplice cintasui parapetti, mentre
una si trova sulla mensola della facciata.
Ci
attende un altro luogo carico di storia e di simbolismo:la splendida chiesa di
Santa Maria Maggiore, che affaccia sulla piazza omonima, nel cuore del
centro storico cittadino, dove in epoca romana era situato il Foro. Eretta
sulle rovine di un santuario di culto pagano (forse dedicato a Giove), si ha
notizia di una chiesa paleocristiana nel V secolo, dedicata alla Vergine del
Salvatore. Alla base del prospetto settentrionale, si notano avanzi di mura
poligonali e all'interno, incassata al rovescio, è stata reimpiegata una
lapide romana (età repubblicana), rinvenuta in loco, che cita due fratelli
(Marco e Caio Betilieno), funzionari del tesoro monetario che si conservava
nel tempio di Giove. La si vede benissimo, questa iscrizione capovolta,
nella parte bassa del primo pilastro della navata sinistra, messa in situ
durante il rifacimento medievale. Che non fu l'unico, poichè l'edificio subì
altri interventi di restauro.
Già
da lontano ammicca ai nostri occhi il famoso rosone(XIV sec.), che reca
centralmente un motivo troppo simile ad un 'tris' (meglio dire 'centro
sacro'), il quadrato con otto raggi che qui inscrive una croce conformata a
Nodo di Salomone. Il simbolismo sotteso riporta inequivocabilmente alla
centralità del Cristo, da cui tutto origina, attorno a cui tutto ruota e e a
cui tutto converge. Nel 1900 fu scoperta una misteriosa e indecifrataepigrafe su una delle pietre che chiudono in alto il traforo; alcune
parti sono illeggibili e, di quel che resta, è stata avanzata la seguente
interpretazione: Christus Rex Imperat Vivus (Cristo Re è vivo e regna), cui
segue un'altra frase: Notam Eius Voluntatem Alatrium Impleat (Possa Alatri
compiere la sua volontà che le è stata rivelata). Ma cosa significa questa
frase sibillina? Che verità è stata rivelata alla città di Alatri? Sembra
che nell'epigrafe si nasconda un compito affidato alla città, ma quale?
Secondo lo studioso Padre Serafino da Collepardo, autore della verosimile
traduzione, questo testo sarebbe originale, cioè coevo alla realizzazione
della facciata romanica della chiesa, ma non solo: risulterebbe analogo
alle ben note iscrizioni che i Crociati usavano portare sui loro scudi,
durante le spedizioni militari in Terrasanta
(6).Templari? E' possibile, dal momento che in città erano presenti ospizi
per i pellegrini e una chiesa intitolata alla Maddalena, notoriamente cara
ai Cavalieri rosso-crociati.
Ci corre l'obbligo di
menzionare, tra le numerose opere d'arte presenti nella chiesa, un'opera che
ci ha affascinato più di tutte, fors'anche perchè si incontra appena si
entra, sulla sinistra, in una cappella protetta da una cancellata.
E'
la cosiddetta Madonna di Costantinopoli, opera lignea di influenza
bizantina, la cui datazione oscilla a cavallo del 1100-1200. L'autore è
ignoto. Il capolavoro si completa con due pannelli laterali che fungevano da
ante protettive della statua, quand'era conservata nella sua originaria
nicchia e dove veniva esposta alla venerazione dei fedeli. La Vergine con il
suo Bambino già grandicello e accolto tra le ginocchia, sono entrambi
incoronati. Il loro sguardo sembra fisso nel vuoto, in contemplazione del
Mistero della Trinità di cui è incarnazione. Diversi sono i dettagli che la
rendono speciale:
il velo quadrato che non
ricopre il capo (ma è ripiegato sulle spalle)
l'acconciatura, alla moda
delle matrone altomedievali
la 'Bulla' o sigillo
etrusco (poi passato ai Romani e da questi alle popolazioni
mediorientali), che indicava l'appartenenza ad un ceto sociale elevato.Al
contempo, questo era segno di sottomissione alla potestà paterna, forse
anche un contenitore di amuleti protettivi, e per una figlia femmina
diveniva garanzia della sua verginità. Il giorno del suo matrimonio,
veniva infranta e sostituita con l'anello nuziale. La Bulla che
porta la Madonna sul petto potrebbe indicare il suo stato virgineo,
nonostante il parto di Gesù il quale, invece, non porta alcun sigillo in
quanto 'non appartiene a nessuno'.
Ma l'elemento che richiama
fortemente il senso nascosto o esoterico di quest'opera mirabile è l'uovo,
che Nostra Signora tiene nella mano sinistra. In questo piccolo ma
fondamentale particolare, l'artista ha voluto estrinsecare un concetto
universale e primitivo, poichè l'uovo è un simbolo che in tutte le culture
simboleggia il Creatore. 'Con la parola uovo, i Saggi vogliono
indicare la loro amalgama, disposta nel vaso adatto, e pronta a subire le
trasformazioni che saranno provocate dall'azione del fuoco", scrive
l'alchimista Fulcanelli
(7).Numerose iconografie alchemiche mostrano l' uovo filosofico come
protagonista della cosiddetta Terza Opera (o Opera al rosso). "L'involucro
o il guscio racchiude in sè il rebis filosofale, formato dal bianco e
dal rosso secondo una proporzione simile a quella dell'uovo degli uccelli",
prosegue l'Adepto. Nell'antichità romana, durante le feste in onore della
dea Cerere (paragonabile all'egizia Iside) che si svolgevano dal 12 aprile e
duravano otto giorni, veniva portato in processione un uovo, simbolo
del mondo, e ad esso venivano sacrificati dei maiali. Troviamo molto
pertinente l'interpretazione che viene fornita sull'opuscolo-guida
dell'opera scultorea (8):
"La madre vergine (le acque originarie e quindi pre-esistenti) dà origine
all'uovo, che è simbolo di fertilità, questo si schiude e nasce il
Creatore[...]". Che è-aggiungiamo- la Pietra Filosofale o
LapisPhilosophorum. "Una vergine diviene madre e dà alla
luce Dio[...]a Terra-madre fecondata dall'alto ('Stillate, o cieli, la
vostra rugiada!, dice il profeta Isaia) deve schiudere il suo seno, perchè
il germe fecondato (l'uovo), possa svilupparsi e dare alla luce il
Salvatore. Il fatto che a Pasqua, termine che significa 'passaggio', sia
tradizione regalare delle Uova, rivela il sotteso e atavico simbolismo: il
mistero del passaggio dalla morte alla vita. L'uovo si configura come
sepolcro e germe di vita. Non possiamo soffermarci oltre, ma crediamo che
quest'opera debba essere considerata a pieno titolo come una 'dimora
filosofale' di fulcanelliana memoria.
Il misterioso labirinto
Tanto avrebbe ancora Alatri
da mostrarci ma il tempo è tiranno. C'è solo la possibilità di accedere
privatamente, grazie all'amico ricercatore Giancarlo Pavat e all'Amm.ne
Comunale, all'affresco del labirinto, che negli ultimi mesi è
uscito prepotentemente alla ribalta e che si trova nella chiesa di San
Francesco, realizzata nella seconda metà del XIII secolo (ma
ampiamente rimaneggiata nei secoli successivi).
La chiesa, che è dotata di un
bel rosone che riproduce, in miniatura, lo stesso motivo della chiesa di S.
Maria Maggiore, presenta sui gradini esterni svariati schemi di filetto
incisi. All'interno, è custodita la reliquia del Mantello
considerato del Santo di Assisi.
A dire il vero, è stata la
curiosità di poter vedere dal vivo l'enigmatico labirinto, a
contribuire a spingerci qui, in quanto i nostri lettori ricorderanno che, in
questo sito, abbiamo dedicato più volte spazio agli studi di Giancarlo Pavat
(9),
volti a fare chiarezza sui misteri che avvolgono quest'opera, per
secoli dimenticata in un angusto cunicolo ubicato nella zona del chiostro.
Cunicolo -o più esattamente un' intercapedine adiacente alla chiesa- che fu
aperto solo in occasione di lavori di restauro e che destò impressione per
il fetore che emanava in quanto -essendovi un bagno oltre la parete- era
invaso fino ad una certa altezza da liquami e fanghiglia. Ma tra il
pestifero odore qualcuno si accorse che sulla parete in verticale era
visibile uno straordinario affresco, sbiadito finchè si vuole, ma ben
distinguibile, raffigurante un magnifico labirinto unicursale, con al
centro un Cristo Pantocratore, tunicato, i cui attributi visibili
sono un nimbo circolare, un anello sull'anulare sinistro e un libro chiuso
nella mano sinistra. La mano destra ne stringe un'altra, che spunta
misteriosamente da una delle girali labirintiche. Il resto della
parete, nella parte inferiore, è decorato con motivi geometrici e vegetali,
tra cui spicca il Fiore della Vita.
(foto di G. Pavat). L'ingresso
del labirinto è posto ad occidente, tradizionalmente associato alle tenebre,
da dove il neofita deve partire per dirigersi, attraverso un cammino
periglioso e irto di prove iniziatiche, verso la luce della salvezza. Questo
labirinto fu preparato incidendo nella parete dei piccoli e ravvicinati fori
che permettessero poi di far aderire meglio la pittura.
Ma la parete era vergine
quando fu dipinto o, sotto, c'è ancora qualcosa? Il volto dell'Uomo
centrale, identificabile con Cristo, a noi desta una certa inquietudine: ha
qualcosa di strano... forse è un effetto ottico, ma sembra di scorgere due
volti nello spazio racchiuso dal nimbo. Analizzando l'immagine con il
software per immagini 'Photoshop', sembrerebbero emergere dei lineamenti
forse disegnati prima del volto attualmente visibile del Cristo. Ammesso che ciò sia possibile e non
si tratti di una nostra momentanea allucinazione visiva, la cosa non
dovrebbe comunque destare sorpresa: con moderne tecniche di analisi stanno
emergendo dettagli anche nei dipinti di artisti rinascimentali, particolari
che il pittore di turno- in corso d'opera- decise di omettere, dipingendovi
sopra il colore, che li nascose alla vista. Nel caso del labirinto di Alatri
potrebbe trattarsi di scalfitture della parete, che non è liscia nè
omogenea, a far vedere ciò che non c'è. Ma potrebbe essere un ulteriore
spunto d'indagine, quanto meno per escludere completamente l'eventualità che
sotto l'affresco del labirinto non vi sia nulla.
Una
sorta di arco rampante divide il locale del labirinto da un secondo vano,
attiguo, che è ad un livello leggermente più basso, ma c'è da chiedersi
quale fosse il piano di calpestio originario, in quanto il pilastro non
presenta una vera base, la quale potrebbe trovarsi in realtà molto più in
basso. Per saperlo con certezza è necessario fare dei saggi tecnici (con
il georadar?) o di scavo.
I primi rilievi del
labirinto vennero effettuati nel 1996 dal dr. Gianfranco Manchìa, che
curò anche una pubblicazione
(10)
ma da allora, senza che ne conosciamo il motivo, le ricerche vennero
sospese, forse in attesa di reperire i fondi per un doveroso restauro.
L'umidità e altri fattori deleteri sono i nemici costanti di questo
affresco, che peggiora anno dopo anno; malauguratamente potrebbe gonfiarsi e
staccarsi, con la conseguenza di perderlo per sempre. L'attuale
Amministrazione Comunale si è data l'obiettivo di risanare il locale che
ospita il labirinto, facendo apposite richieste di intervento alla
competente autorità dei Beni Culturali. Una prima operazione è stata quella
di sensibilizzare l'opinione pubblica che, grazie ai lavori di G. Pavat e
altri ricercatori, ha proposto fino ad oggi convegni e dibattiti sul tema,
pubblicazioni virtuali e cartacee e ha destato l'attenzione perfino della TV
di stato (11).
Il fatto è che questo affresco -alla luce delle conoscenze disponibili- è un
'unicum', reso ancor più speciale dal fatto che la sua struttura sarebbe
sovrapponibile a quella del celeberrimo labirinto della
cattedrale di Chartres e a quella di
Lucca.
Cosa lega le tre opere?
Quando, da chi e per
chi è stato realizzato l'affresco del labirinto di Alatri?
A cosa era destinato il
locale su cui venne dipinto?
Da quanto tempo è
segregato nell'intercapedine?
E perchè fu tenuto
nascosto e dimenticato?
Sono solo alcuni degli
interrogativi che aleggiano intorno ad esso e che, con il coinvolgimento di
discipline scientifiche, potranno trovare un'agognata risposta.
In via subordinata, dobbiamo
dire che è stata un'autentica sorpresa scoprire che la notizia della nostra
visita è apparsa in un trafiletto del quotidiano locale, 'Ciociaria oggi',
cosa che per noi equivale ad un enorme risalto! Siamo grati al giornalista
Massimiliano Pistilli, e lo ringraziamo di questo. Tra l'altro è sua la foto sottostante, che
ritrae la scrivente tra Giancarlo Pavat, in piedi, e Giulio Coluzzi.
Del medesimo fotografo, è
anche la foto seguente:
Da parte nostra garantiamo
di seguire gli sviluppi di questi studi.
Note:
1)- M. Uberti- G. Coluzzi 'I
luoghi delle triplici cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un
gioco senza tempo?", Eremon Edizioni, 2008
6)- Vedasi Mario Ritarossi "Aletrium,
una visita al centro storico di Alatri", p. 20, Tofani Editore, 1999
7)-Fulcanelli "Il mistero delle
cattedrali e l'interpretazione esoterica dei simboli ermetici della Grande
Opera", Edizioni Mediterranee, 2001, p.149.
8)- "La Madonna di
Costantinopoli. Una statua che è...un libro di teologia", Santa Maria Maggiore,
Alatri, Antica Stamperia Tofani, opuscolo estratto dal libro di don Giuseppe Capone
"Santa Maria Maggiore. Storia di una chiesa e della vita religiosa di Alatri.
Dal Protocenobio della Regula Magistri al sec.XIV"
10)- G. Manchìa "Cristo nel
labirinto:comunità giudeo-cristiana o presenza Templare?" in Antichità
Alatrensi, Quaderni del Museo Civico di Alatri, Assessorato alla Cultura,
2002
11)- La troupe della
trasmissione 'Voyager', diretta da Roberto Giacobbo, ha realizzato un filmato
sull'argomento, che andrà in onda prossimamente su Rai2.
Giancarlo Pavat,
Giulio Coluzzi, Ornello Tofani, il direttore della Biblioteca di
Alatri, dr. Agostini, per il copioso materiale fornitoci, l'assessore
alla Cultura, dr. Rossi, il giornalista Massimiliano Pistilli e le sue foto!