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                                         Le Grotte di Lascaux  e l’Astronomia del Paleolitico

 

                                                                                                               di 

                                                                                                 Adriano Gaspani

                                                                                 I.N.A.F - Istituto Nazionale di Astrofisica

                                                                               Osservatorio Astronomico di Brera - Milano

                                                                                         adriano.gaspani@brera.inaf.it

 

Le Grotte di Lascaux sono un sistema di caverne posto nella Francia sud-occidentale presso il villaggio di Montignac, nel dipartimento della Dordogne. Dal 1979 le grotte di Lascaux sono inserite nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità stabilito dell'UNESCO, insieme alle altre grotte che si trovano nella valle del fiume Vézère. Nelle grotte di Lascaux si trovano esempi di opere di arte parietale collocabili cronologicamente al Paleolitico superiore tra il 13.000 ed il 15.000 a.C. Il tema più comunemente rappresentato sulle pareti è quello di grandi animali dell'epoca, soprattutto l’auroch, cioè l’uro, un grosso bovino, oggi estinto, il quale costituiva una delle basi alimentari più importanti per le comunità paleolitiche che vivevano in quell’area. Le figure degli animali sono state dipinte con grande abilità e parimenti  con grande dovizia di particolari. Il complesso sotterraneo venne scoperto casualmente il 12 settembre 1940 da quattro ragazzi francesi: Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e Simon Coencas.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale le caverne vennero aperte al pubblico e rappresentarono una grande attrattiva turistica ed una rilevante risorsa economica per Martignac e i villaggi limitrofi, ma già nel 1955 ci si accorse che l’alto tasso di anidride carbonica prodotta da 1.200 visitatori quotidiani, che ristagnava nelle caverne aveva visibilmente danneggiato le pitture tanto che nel 1963 il complesso sotterraneo venne chiuse al pubblico e i dipinti vennero restaurati riportandoli al loro stato originale. Attualmente essi sono monitorati giornalmente per evitare un loro deterioramento, ma per non privare il pubblico della possibilità di ammirare i pittogrammi, nel 1983 è stata aperta Lascaux II, una replica solamente della grande sala dei tori e della galleria dipinta, situata a circa 200 metri di distanza dalle grotte originali e nel parco di Le Thot, ad alcuni chilometri di distanza da Montignac, sono esposte altre riproduzioni dei dipinti presenti sulle pareti delle grotte di Lascaux. La struttura delle grotte è tale per cui esistono quattro settori particolarmente importanti: la grande sala dei tori, il passaggio laterale, la lancia dell'uomo morto, la galleria dipinta e la camera dei felini.

                             Gli scopritori della grotta di Lascaux nel 1940

Sulle pareti, ma in particolare sul soffitto, sono rappresentati centinaia di animali, dagli auroch ai cavalli, dai bisonti agli stambecchi. La tecnica di esecuzione è quella tipica della pittura parietale preistorica: questa tecnica consisteva nello stendere i colori direttamente sulle pareti delle grotte. Non vi era preparazione ad intonaco della parete, per cui è assolutamente inesatto definire "affreschi" queste pitture essendo i colori stesi direttamente sulla roccia calcarea la quale riusciva a far penetrare in profondità il pigmento colorato, soprattutto se la grotta presentava un clima interno umido. In questo modo si realizzavano pittogrammi di grande durata, se la roccia fosse stata di altro tipo, la pellicola colorata avrebbe avuto scarsa aderenza alla superficie rocciosa e sarebbe sparita definitivamente nel giro di poche decine di anni. Se si considera che queste pitture giunte fino a noi hanno un’età compresa tra i 15.000 e i 17.000 anni, si può facilmente valutare l’eccezionalità e la grande importanza di questi ritrovamenti. Se queste pitture sono sopravvissute fino ad oggi lo si deve probabilmente al fatto che, per effetto di eventi sismici, le grotte sono rimaste occluse per millenni isolando l’atmosfera interna e provocando quindi una specie di conservazione "sotto vuoto" delle caverne, nelle quali l’assenza delle variazioni climatiche e atmosferiche ha prevenuto il deterioramento delle pitture nel tempo.  Tornando alle pitture parietali,  quello che appare subito evidente  è la grande abilità degli artisti che le produssero, nel rendere la descrizione naturalistica degli animali raffigurati. Essi non solo conoscevano bene la realtà, vivendoci a contatto quotidianamente, ma ne avevano chiara coscienza tanto che erano in grado di replicarne l’immagine con assoluta padronanza e sicurezza. Oltre al fatto squisitamente artistico bisogna prendere in esame anche il possibile significato simbolico di queste figure in rapporto al luogo dove esse sono poste. Se esse avessero avuto fini magici o propiziatori è difficile dirlo: cosa poteva simboleggiare la sequenza di figure di animali allineati lungo le pareti della grotta di Lascaux, la quale fu allegoricamente definita "la Cappella Sistina della preistoria"? Vari studiosi hanno cercato di dare una risposta adeguata a questa domanda la quale implica svariati risvolti fondamentali nell’ambito delle credenze religiose e magiche delle popolazioni del Paleolitico superiore. Questo sito archeologico rappresenta per gli studiosi un grosso enigma: quale fosse stato il motivo per cui quegli antichi uomini si fossero avventurati nelle profondità della Terra per realizzare quelle magnifiche immagini. L’ipotesi che va per la maggiore tra gli archeologi prevede che l'interno della grotta fosse un luogo sacro, dove gli sciamani si recavano per mettersi in contatto con gli spiriti delle divinità, dove forse erano praticati riti iniziatici e cerimonie propiziatorie per la caccia; ma anche semplicemente che quei capolavori fossero l'espressione del senso estetico degli uomini di quella remota epoca.

                          Sviluppo planimetrico della grotta di Lascaux

 

Tra i vari studiosi anche alcuni etnoastronomi hanno cercato di formulare ipotesi esplicative in proposito; tra di essi la più nota è probabilmente Chantal Jegues-Wolkiewiez, la quale sostiene che la grotta di Lascaux contiene la più antica, forse la prima, raffigurazione astronomica prodotta dalla civiltà umana: ma vediamo in dettaglio l’ipotesi della studiosa francese. Secondo lei a Lascaux sarebbe stata rappresentata un'antica mappa del cielo.

 

                                      Prospetto della Sala dei Tori

 

In una recente intervista ella ebbe a dire: "Tutto è cominciato quando ho deciso di verificare una mia teoria, avevo misurato l'orientamento dell'ingresso della grotta e mi ero convinta che durante il solstizio d'estate i raggi del Sole al tramonto vi entrassero fino a illuminare i dipinti della grande Sala dei Tori. Per questo motivo il 21 giugno 1999, insieme a Jean-Michel Geneste, l'archeologo responsabile della conservazione di Lascaux, mi sono recata sul posto. Era proprio come pensavo. Questo dimostrava che essa non era stata scelta a caso. I dipinti della Sala dei Tori erano fatti in modo che venissero rischiarati dal Sole morente del solstizio, forse perchè‚ come ha dimostrato Alexander Marshak, nel suo libro “The Roots of Civiliation”, il solstizio d'estate era un periodo speciale, che serviva come punto di riferimento per la misurazione del tempo durante l'Era paleolitica". Partendo da questo primo dato sperimentale Chantal Jégues-Wolkiewiez è tornata diverse volte nella grotta con l’obbiettivo di determinare sapere se gli splendidi animali dipinti sulla volta e sui muri di Lascaux corrispondessero in qualche modo ad alcune costellazioni, in particolare alle costellazioni zodiacali le quali sono attraversate dal Sole durante il suo ciclo annuale dovuto al moto di rivoluzione della Terra. Per verificare la sua supposizione la studiosa francese elaborò una mappa del cielo relativa al 15.000 a.C. ottenuta al computer utilizzando un software commerciale di simulazione esaminando la levata delle stelle la sera del solstizio d'estate scegliendo come riferimento i punti più marcati che contrassegnavano i contorni degli animali dipinti sulla roccia quali le estremità delle corna, del muso, la posizione degli occhi constatando una certa rispondenza (lei in realtà parlò di “perfetta coincidenza”) tra questi ed alcuni punti  del cielo simulato per il 15000 a.C.

Il Sole al tramonto durante il solstizio d’estate illuminano l’attuale ingresso della grotta di Lascaux.

 

Ad esempio, secondo Chantal Jégues-Wolkiewiez uno dei grandi auroch è la rappresentazione della costellazione dello Scorpione, alcuni cavalli  invece  corrisponderebbero alla costellazione del Sagittario e così via in modo che tutto lo zodiaco vi fosse rappresentato.  Resta però da porsi la domanda più importante: per quale motivo gli uomini del paleolitico avrebbero dovuto raffigurare le costellazioni zodiacali sulle pareti della grotta. Secondo la Wolkiewiez il complesso pittorico era una ricostruzione del cielo stellato, in cui le costellazioni erano l'immagine delle loro divinità. La grotta era un luogo di culto in cui venivano celebrate particolari cerimonie religiose, riti d'iniziazione e invocazioni agli dei i quali erano celebrati in una sala della grotta piuttosto che in un'altra a seconda delle parti del cielo stellato che vi erano rappresentate. I riti erano motivati da un'idea di trasformazione e di rinascita, che avveniva dopo un percorso disseminato di prove rituali. Il cuore della grotta poteva simboleggiare sia il regno dei morti sia la madre terra dietro la quale al tramonto scompaiono i corpi celesti prima di risorgere alla successiva alba. L’ipotesi avanzata dell’etnoastronoma francese non è però l’unica presente sul panorama degli studi dedicati alle pitture parietali di Lascaux che abbiano a che fare con l’Astronomia.

 

       

 

I 29 punti scuri tracciati sotto la figura del cavallo sono stati interpretati come un computo dei giorni del mese sinodico lunare, ma in proposito dubbi sono molto forti.

 

Anche lo studioso tedesco Michael Rappenglueck è dello stesso avviso, ma addirittura egli è andato oltre riconoscendo analoghi elementi di simbolismo astronomico anche nelle pitture presenti  in altre grotte europee più o meno coeve a quella di Lascaux. Nel caso di quest’ultima egli propone anche che un cavallo marrone con la criniera nera dipinto sulla parete di roccia accompagnato da una sequenza di 29 punti neri posti al disotto delle zampe possa rappresentare il più antico calendario lunare conosciuto. Lo studioso tedesco propone che i 29 dischetti neri siano la trasposizione simbolica del conteggio dei giorni entro una lunazione, ma non è tutto: un altro dipinto che rappresenta un cervo è rappresentato sopra una sequenza di 13 punti scuri, anche in questo caso l’interpretazione prevede un computo lunare: i 13 punti altro non sarebbero che i giorni contenuti in mezza lunazione (anche se in realtà la mezza lunazione si compone di 14-15 giorni). Torniamo ora alle costellazioni zodiacali rappresentate sulle pareti della grotta: bisogna ora porsi il problema del “punto zero” dello zodiaco e cioè come “fasare” la successione delle costellazioni zodiacali poste sulla sfera celeste con la sequenza delle figure dipinte sulla  roccia.

 

 

Anche nel caso dei 13 punti tracciati sotto la figura di un grande cervo sono stati interpretati come segni di computo lunare; anche in questo caso sussistono forti dubbi.

 

A questo proposito è stato notato che sopra la figura del primo bovino della sala dei tori sono presenti sei punti realizzati con pigmento nero. Tale configurazione sembra accordarsi abbastanza bene con la rappresentazione delle Pleiadi mentre l’immagine del bovino con la costellazione del Toro, in particolare con le Iadi che materializzano l’immagine simbolica della testa e delle corna.

 

                     

 

La figura del grande Toro con i 6 punti neri che potrebbero essere la rappresentazione delle Pleiadi, mentre la testa del Toro potrebbe essere correlata con l’asterismo delle Iadi.

 

Questo è stato il punto di partenza per lo sviluppo della corrispondenza tra le stelle più luminose visibili ad occhio nudo e le figure dipinte. Anche sul territorio italiano, nel sito sotterraneo pugliese di Porto Badisco, sono state avanzate ipotesi astronomiche per spiegare parte di quanto vi è dipinto. Ma torniamo a Lascaux: anche il matematico americano Franklin Edge ammette che gli auroch della sala dei tori possano essere rappresentazioni dello zodiaco e in più egli mette in relazione la sequenza delle rappresentazioni delle costellazioni zodiacali con le successive posizioni raggiunte dalla Luna al plenilunio solstiziale estivo. In particolare secondo lo studioso americano ad essere importante era la posizione della Luna rispetto alle costellazioni zodiacali percorse una dopo l’altra ogni mese siderale ed in particolare la posizione dell’astro al plenilunio al solstizio d’estate che rispetto alle rappresentazioni di Lascaux avveniva, secondo Edge, in corrispondenza delle uniche due figure bovine che si fronteggiano testa a testa.

 

      

 

La Luna piena osservata attraverso l’imbocco di una caverna poteva costituire uno spettacolo impressionante per le popolazioni del paleolitico.

 

Esiste però un problema: prendendo in esame le caratteristiche del complicato moto lunare ci accorgiamo che la Luna ritorna 255 volte al nodo ascendente della sua orbita ed anche 235 volte alle sizigie in 19 anni solari medi esatti a meno di un piccolo errore. Ciò implica che durante un periodo di 19 anni solari medi la Luna descrive 255 rivoluzioni draconitiche, ma anche 235 rivoluzioni sinodiche. Il ciclo di 19 anni solari medi fu scoperto nel V secolo a.C. da un astronomo greco di nome Metone da cui ne derivò la denominazione.  Un Ciclo Metonico può essere ottenuto sommando al Ciclo di Saros un anno lunare. Infatti: 18 anni e 11 giorni + 354 giorni = 19 anni solari medi e questo ci dice subito che ogni 235 lunazioni complete quello che si ripete alla stessa data è solamente una generica fase lunare, cioè una posizione reciproca del Sole, della Luna e della Terra, quindi dopo un Ciclo di Metone la Luna tornerà presso le stesse stelle di sfondo sulla Sfera Celeste presentando la stessa fase. Facciamo un esempio: prendiamo una generica  data di plenilunio solstiziale estivo, il successivo cadrà dopo 19 anni e così via. Non è chiaro perché agli uomini che dipinsero le pareti della grotta di Lascaux interessasse un fenomeno che si ripeteva approssimativamente 2 volte ogni generazione, considerata la vita media degli individui di quel tempo. Ora che abbiamo fatto il punto della situazione bisogna ragionarci un po’ su. Innanzitutto va ricordato che se taluni archeoastronomi sono entusiasti, il mondo degli archeologi lo è un decisamente meno, anzi esiste un diffuso scetticismo in relazione alle ipotesi astronomiche avanzate da Wolkiewiez, Edge e Rappenglueck in quanto le motivazioni addotte dai tre studiosi per supportare le ipotesi astronomiche sono decisamente carenti dal punto di vista del supporto dei dati archeologici sperimentali. In secondo luogo anche molti archeoastronomi, sono un po’ perplessi o quantomeno cauti nell’avvallare quanto sostenuto dai tre ricercatori, ma andiamo con ordine. La posizione geografica della grotta di Lascaux è: λ = 1° 10’ 34” E;  φ = 45° 02’ 57” N.; l’apertura della grotta verso l’esterno  ed il corridoio che conduce alla sala dei tori sono allineati lungo una direzione di azimut astronomico pari a 311°. Nel 15000 a.C. l’Obliquità dell’Eclittica, ovvero l’inclinazione dell’asse della Terra rispetto alla normale al piano orbitale, era pari a 23°,98578, quindi per un’altezza dell’orizzonte  naturale locale (il profilo delle colline di sfondo)  rispetto a quello astronomico pari a circa 1° o 2° è possibile calcolare che il Sole al solstizio d’estate tramontava dietro le alture ad un azimut compreso tra 306° a 303°, quindi sensibilmente fuori asse rispetto all’asse del corridoio che conduce alla sala dei Tori; tuttavia, se consideriamo lo spigolo meridionale dell’apertura d’ingresso osservato dal’interno della sala allora ci accorgiamo che tale direzione è caratterizzata da un azimut astronomico pari a 301° quindi i raggi del Sole morente al solstizio d’estate potevano entrare ed illuminare per poco tempo il muro settentrionale della sala, questo poteva avvenire da qualche giorno prima da qualche giorno dopo il solstizio.

 

 

 

L’imbocco della grotta di Lascaux risulta allineata verso il punto di tramonto del Sole al solstizio d’estate, ma nel 15000 a.C. non lo era esattamente tanto che a malapena la sala dei Tori poteva essere illuminata dai raggio solari.

 

Esiste però un elemento di cui si tenere conto e cioè che l’ingresso attuale della grotta non è quello di 17000 anni fa, gli scavi archeologici hanno messo in evidenza che l’antico accesso si trovava circa 4 metri più in basso. Questo implica che affinché la parete di fondo della sala dei Tori potesse ricevere i raggi solari, essi dovevano penetrare nella grotta con un’inclinazione di 4° rispetto alla linea orizzontale e per penetrare nel passaggio che conduce agli ambienti successivi l’inclinazione dei raggi solari doveva raggiungere un’inclinazione di 9°. Questi valori indicano l’altezza che il Sole doveva avere rispetto all’orizzonte astronomico locale per poter illuminare gli ambienti interni.  Il calcolo astronomico ci dice che per un’altezza di 4° l’azimut del centro del disco del Sole calante al solstizio d’estate era pari a 300°,7 quindi tutto sommato qualche raggio di luce poteva anche arrivare a colpire la parete dipinta, mentre nel caso del passaggio che si inoltra nel diverticolo assiale, esso non poteva essere raggiunto dai raggi solari in quanto ad un’altezza di 9°, l’azimut del Sole era pari solamente a 295°,3, piuttosto lontano quindi dall’asse della grotta. Ovviamente l’orientazione della grotta è del tutto naturale, ma forse questo fu proprio uno dei motivi per cui fu scelta per realizzare i pittogrammi, quindi dobbiamo riconoscere a Chantal Jègues-Wolkiewiez di aver visto giusto almeno per quanto riguarda l’orientazione solstiziale estiva. Lascaux non è un caso isolato: altre grotte frequentate in epoca paleolitica hanno l’ingresso orientato verso il punto di tramonto del Sole al solstizio d’estate, tra di esse la Grotte de la Foret, la Grotte  de Bernifal e la Grotte de Commarque, tutte poste in territorio francese. Occupiamoci ora delle stelle: qui il problema è rilevante in quanto nonostante che i fenomeni che fanno variare nel tempo la posizione delle stelle siano noti, principalmente la Precessione Lunisolare (o meglio in questo caso: la Precessione Planetaria, poiché su grandi intervalli di tempo anche le piccole perturbazioni dovute non solo al Sole ed alla Luna, ma anche agli altri pianeti del sistema solare, diventano rilevanti), ma soprattutto il moto proprio delle stelle, conosciuto solo con una certa approssimazione, il quale su periodi lunghi può sensibilmente modificare la forma delle costellazioni rendendo inaccurata la ricostruzione dell’aspetto del cielo molto antico. Gli archeoastronomi sanno molto bene che la ricostruzione accurata del cielo antico non è più possibile oltre il 5000 a.C. e da quell’epoca in poi la ricostruzione diviene sensibilmente meno sicura, ma qualcosa si può comunque ragionevolmente fare: ad esempio determinare la posizione del polo nord celeste il quale nel 15000 a.C. era posto tra Vega e Deneb presso la stella δ Cygni. Il solstizio d’estate avveniva con il Sole posto nella costellazione del Capricorno ed era invece l’equinozio di autunno ad essere posto nella costellazione dell’Ariete. A quei tempi l’equatore celeste transitava in prossimità delle Pleiadi. A questo punto l’idea che il Toro e le Pleiadi possano essere state rappresentate sulla parete della grotta di Lascaux può anche essere ragionevolmente accettata, mentre l’idea che vi sia la rappresentazione non solo simbolica, ma oggettiva delle costellazioni zodiacali, una dopo l’altra, con la corrispondenza precisa sostenuta dalla studiosa francese è decisamente più difficile da accettare. Questo non vuol dire che l’Uomo del paleolitico con osservasse il cielo. Da quando svariati milioni di anni fa gli ominidi africani evolsero verso quello che sarebbe stato l’Uomo, la struttura del loro corpo si modificò, la sua intelligenza migliorò e con essa anche la capacità di osservare la natura e di interpretare i suoi segni. Nel tempo le stagioni si alternavano e il clima variava, ma ciò che rimaneva sempre lo stesso era il ciclo del giorno e della notte, il sorgere ad est ed il tramontare ad ovest quotidiano del Sole e la successione delle fasi della Luna: queste furono per un paio di milioni d’anni le uniche costanti che egli ebbe, insieme al processo di nascita e di morte. Gli antropologi sostengono che l’idea dello scorrere del tempo fosse già presente nell’Homo Erectus tra i 700.000 e i 400.000 anni fa. A quel tempo l’uomo abitava i ripari sotto roccia e le caverne le quali essendo naturali avevano l’ingresso casualmente orientato rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali. Dall’interno della caverna era possibile vedere un segmento fisso di orizzonte naturale locale e quindi osservare in maniera del tutto naturale anche i fenomeni astronomici che avvenivano in quella particolare direzione. Se l’ingresso della caverna era orientato verso est allora era il Sole che sorgeva ad apparire, ma anche la Luna all’alba quando dopo l’ultimo quarto si avviava verso il novilunio. Se l’ingresso della grotta era orientato verso ovest allora era il tramonto del Sole a giocare il ruolo più importante e dal punto di vista lunare era la prima falce di Luna dopo il novilunio ad apparire di sera dopo il tramonto del Sole. Nel caso invece l’ingresso della grotta fosse stato rivolto a sud allora il panorama astronomico visibile era decisamente più ricco e complesso: uscendo dal buio della caverna era possibile osservare l’intero ciclo degli astri dalla levata al tramonto e rendersi conto che ciò che discendeva ad ovest al di sotto della terra risaliva ad est il giorno successivo. L’Homo Sapiens del Paleolitico superiore, quello a cui dobbiamo i pittogrammi di Lascaux, ma anche quelli più o meno coevi presenti in altre grotte, doveva essere quindi conscio dei principali fenomeni astronomici, soprattutto quelli solari e lunari. Soprattutto dal punto di vista dell’osservazione della Luna, i reperti archeologici oggettivi che mostrano la traccia inequivocabile del computo dei giorni del mese lunare sinodico espresso sotto forma di incisioni e tacche sistematicamente praticate nei manufatti in osso, in avorio ed in pietra, ed organizzate in gruppi di 7 sono molteplici: l’archeologo Alexander Marshack ne ha descritti decine nel suo volume “The Root of the Civilization” già citato in precedenza, quindi sappiamo che la Luna e le sue fasi erano correntemente osservate.  Tornando ora a Lascaux, la particolare orientazione dell’ingresso della caverna permetteva di osservare dall’interno solamente il tramonto del Sole al solstizio d’estate e il tramonto lunare nei periodi in cui la Luna raggiungeva la sua massima declinazione positiva sulla sfera celeste, cioè in prossimità del lunistizio estremo superiore: poche lunazioni ad intervalli di 18,61 anni solari tropici, ma per le stelle era un’altra faccenda. L’osservazione dei punti di levata e di tramonto delle stelle ed il loro ciclo notturno ed annuale richiede una maggior abilità rispetto all’osservazione dei fenomeni solari e lunari in quanto durante il ciclo dell’anno le costellazioni si alternano nel cielo anticipando giornalmente la loro levata di poco meno di 4 minuti rispetto al Sole per effetto del moto di rivoluzione della Terra. Questo conduce al cambiamento del cielo visibile da un determinato punto di osservazione durante il corso dell’anno e quindi era più difficile per l’Homo Sapiens seguire sistematicamente e comprendere la complessa ciclicità delle stelle. Ancora nel Neolitico, circa 10.000 anni dopo, i monumenti megalitici europei  mostrano allineamenti solari e lunari, ma quasi mai stellari, per l’utilizzo delle stelle è necessario attendere le successive età del Bronzo e del Ferro. Tuttavia il riconoscimento di particolari associazioni stellari fu molto probabilmente possibile anche durante il Paleolitico superiore e probabilmente avvenne, ma non fu la norma. Tra di esse la costellazione del Toro ed il piccolo asterismo delle Pleiadi che erano anche allora una delle configurazioni di stelle più facilmente identificabili nel cielo.

 

 

Nel 15.000 a.C. il tramonto della costellazione del Toro all’orizzonte astronomico locale avveniva con un orientamento simile a quello della corrispondente figura dipinta sulla parete della grotta di Lascaux. Da notare la posizione del punto equinoziale autunnale posto nella costellazione dell’Ariete.

 

E’ interessante osservare che nel 15.000 a.C. il tramonto della costellazione del Toro avveniva in modo tale che data la sua particolare orientazione il suo aspetto fosse molto simile a quanto rappresentato sulla parete di roccia della sala dei tori a Lascaux. Possiamo quindi ragionevolmente accettare che il dipinto posto nella sala dei Tori possa rappresentare la costellazione del Toro e i 6 punti scuri le Pleiadi al tramonto lungo la linea equinoziale, quindi non visibile dall’interno della grotta, ma dall’esterno. Sicuramente possiamo anche accettare che ogni 19 anni la Luna si presentasse al plenilunio entro quella costellazione suscitando l’emozione di quegli antichi uomini, ma andare oltre con le speculazioni è decisamente molto rischioso poiché il rischio, sempre presente durante la ricerca astronomica, è quello di riflettere le nostre cognizioni astronomiche moderne nel limitato bagaglio culturale dell’Uomo del paleolitico superiore, riconoscendogli un’abilità che egli non aveva e che non possiamo ragionevolmente attribuirgli.

 

 (Autore:Adriano Gaspani, aprile 2008)

 

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