Dopo
aver letto il report “Nigra sum”, convegno sulle Madonne nere svoltosi
ad Oropa a maggio 2010, e aver visionato diversi manufatti, mi preme
integrare quanto è stato esposto e dibattuto, con delle considerazioni di
stampo puramente tecnico. Va posto l’accento, infatti e a mio avviso,
sulle tecnologie utilizzate per la laccatura delle statue che hanno subìto
questo trattamento, a prescindere dalle ragioni storiche, ideologiche,
religiose e di culto.
La
prima valutazione che mi sorge osservando alcuni manufatti, è
l’altissimo livello qualitativo di finitura delle opere stesse.
Per
chi un po’ se ne intende, è facile capire la complessità delle
procedure e la indispensabile e profondissima conoscenza in materia di chi
ha eseguito quegli autentici capolavori.
Va
ben tenuto presente che qui si sta parlando di epoche che precedono di
diversi secoli la nostra. Gli artisti e gli artigiani di allora, non
avevano, tra l’altro, a disposizione le resine a base polimerica dei
nostri tempi sviluppate per velocizzare al massimo la produzione
industriale di oggetti e di mobili contemporanei, garantendo anche una
ottima qualità oltre alla quantità.
La
sostanziale differenza tra queste ultime vernici e lacche e quelle su basi
naturali usate in passato, è che le moderne non contengono solventi e il
processo di indurimento avviene o per polimerizzazione o per rifusione di
un termoplastico applicato a polvere.
Mentre
le vernici a base di solventi hanno una riduzione del volume che va anche
oltre al 70%, quelle moderne lo mantengono pressoché invariato anche dopo
il loro indurimento.
Questa
caratteristica fa si che lo strato applicato, dopo il suo distribuirsi e
lucidarsi, in fase liquida, grazie alle sue forze di viscosità interne
opportunamente impostate, rimane tale e quale anche dopo l’indurimento.
Le vernici indurenti a causa dell’evaporazione del solvente, invece,
ritirandosi mettono in evidenza, anche se in forma ridotta, la struttura
del supporto su cui sono state applicate.
Per
poter quindi arrivare ad un livello estetico e duraturo nel tempo, come in
diversi casi rilevato, occorreva allora, ancor più di oggi, un vero e
proprio progetto che doveva considerare globalmente tutti i fattori che
entravano in gioco. Proviamo pertanto a seguire passo passo, le fasi
salienti che doveva e deve affrontare chi si accinge a quest’opera,
pensando di usare le vernici e lacche tradizionali.
Definiamo,
ad esempio, l’obbiettivo di arrivare ad una verniciatura di nero
assoluto e semilucido, considerando che il lucido è un traguardo molto più
difficile ancora da raggiungere. La prima valutazione che l’artista deve
fare è in base al tipo di legno scelto per l’oggetto.
Qui
entrano in gioco variabili come la compattezza, resine residue presenti
nel legno, porosità della superficie e potere di assorbimento delle
fibre.
Una
volta inquadrate queste caratteristiche, si potrà scegliere la qualità
dei materiali da usare per la preparazione, la finitura e le procedure da
seguire.
Onde
poter arrivare al risultato perfetto visto in diversi casi, occorre una
accuratissima preparazione del fondo
da laccare. Se non si è particolarmente scrupolosi in questa fase,
è possibile, ad esempio, che con il tempo, possano diventare visibili i
segni del legno.
Per
togliere i piccoli, inevitabili difetti della superficie, la presenza di
nodi, crepe e salti di fibra, sono solitamente necessarie più mani di
stuccatura.
Gli
stucchi per il legno sono solitamente masse riempienti normalmente di
colore bianco. Questa acromaticità è necessaria in quanto non si rischia
di influenzare la tonalità delle eventuali vernici colorate che si
applicano poi eventualmente sopra.
Dopo
di che si passano diverse mani di cementite con carteggiatura e lisciatura
intermedie. Questi strati, di questa vernice solitamente bianca in quanto
fatta con pigmenti tipo il titanato di bario, chiude i pori del legno e
cementa gli inevitabili pelucchi della terminazione delle fibre del legno.
Sopra
a questo strato, che blocca bene anche eventuali trasudamenti di resine
del legno che potrebbero macchiare lo strato di vernice finale, spesso si
applica un altro strato che è più compatto della cementite e permette
una migliore lisciatura della superficie e un miglior aggrappaggio della
lacca. Questo strato può avere colori diverso dal bianco onde poter
essere carteggiato seguendo a vista la lavorazione, controllando col suo
schiarirsi, lo spessore che va a mano a mano diminuendo.
Nel
caso di una verniciatura finale di color nero, questo strato può avere
qualsiasi colore. Negli altri casi viene usato un colore simile a quello
che si vuol raggiungere alla fine.
Finito
questo passaggio, si può finalmente procedere con l’applicazione del
colore o della lacca finale.
La
procedura può qui variare molto in funzione del materiale scelto.
Si
applicano di solito più mani con essiccazione, pomiciatura e lisciatura
intermedia.
In
funzione della qualità finale progettata per l’oggetto, ci si può
fermare già alla seconda mano oppure arrivare anche fino a dieci
passaggi..
La
tecnica o l’arte della laccatura è molto antica e, in estremo oriente,
se ne parla già da circa 9.000 anni. In Cina e in Corea si usano ancora
lacche a base di Urushiol, ricavata da una resina di una pianta. Con
questa lacca di altissima qualità si è in grado di realizzare finiture
molto rigide e durevoli nel tempo.
Concludendo
ora questa sintetica esposizione, mi permetto di suggerire che per tentar
di capire bene quando e come certi manufatti siano stati laccati in una
determinata maniera, occorre fare -caso per caso- una approfondita analisi
integrata di tutti i fattori suesposti e, questa analisi, deve essere
supportata dalle considerazioni di un esperto in materia che conosca
quest’arte, specialmente dal punto di vista pratico.
Non
osservando questo semplice, logico ma determinante punto finale, si può
arrivare molto facilmente e conclusioni profondamente errate.
(Autore:Lorenzo
de Curtis, giugno 2010)
www.duepassinelmistero.com
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