Occuparsi in un articolo di
una città famosa in tutto il mondo come questa, ricca di tesori artistici,
architettonici e di storia, è pressochè impossibile. Ma secondo i nostri
proverbiali 'due passi' ne percorriamo gli aspetti meno noti e insoliti, che
pure non sono pochi. Nelle nostre brevi visite, che si sono
diversificate nel corso del tempo, abbiamo potuto conoscere alcuni dei
luoghi più splendidi, eleganti e forse ineguagliabili del capoluogo di
regione toscano. Ma sempre con quell' occhio di riguardo ai particolari che
le guide classiche non menzionano quasi mai e che passano inosservati o
classificati superficialmente. Per tutto il resto esiste appunto una
bibliografia sconfinata che ciascun turista può facilmente reperire.
Firenze sorge sulle
rive del fiume Arno (che nel 1966 causò con la disastrosa alluvione
gravissimi danni) ed è circondata da verdi colline; era abitata già nel I
millennio a.C. e, sotto i Romani, prese il nome di Florentia. Conobbe
la dominazione bizantina e longobarda e, nel 1125, divenne libero Comune.
Qui inizia una storia che non può disgiungersi dai monumenti e dai quartieri
in gran parte visibili ancora oggi. Come non ricordare i Guelfi(filo-papali)
e i Ghibellini(filo-imperiali) tanto studiati sui libri scolastici?
Sul finire del XII secolo il governo della città venne formato da
rappresentanti delle sette arti maggiori, di cui si possono scorgere gli
stemmi su qualche edificio cittadino tutt'oggi: medici, mercanti, banchieri,
lanaioli, setaioli, industriali e commercianti (il 'popolo grasso') che per
un secolo resse la Repubblica fiorentina. Ma questo stato di florido
equilibrio venne messo a dura prova da successive suddivisioni che portarono
a scontri faziosi finchè all'orizzonte comparve una famiglia destinata a
lasciare indelebilmente il segno:i
Medici.
Il mistero delle palle
A proposito, c'è un
piccolo mistero sull'origine dello stemma Mediceo e, ancor più, sul suo
variare negli anni; all'inizio i Medici hanno undici palle rosse in campo
d'oro (la storia
malignamente dice che fossero pillole medicinali ma tale versione pare
un'invenzione della corte francese del XVI sec. per dileggiare la regina
Caterina dè Medici); in seguito, sotto Cosimo il Vecchio (1384-1464),
le palle diventano otto e scendono a sette sotto il governo di suo figlio
Piero il Gottoso, che ne volle sei disposte a triangolo ed una azzurra
al centro, dipinta con i gigli di Francia, privilegio accordatogli dal re
Luigi XI per la sua opera diplomatica). Sotto Lorenzo il Magnifico
(1449-1492)
le
palle sono sei, di cui quella azzurra trasportata superiormente;
Cosimo I
(1519-1574), fondatore della dinastia di Granduchi, le
dispone a ovale e tali rimarranno.
Dallo stemma che abbiamo fotografato sul retro della Basilica di S. Croce,
che reca otto palle (ormai i colori sono scomparsi), possiamo dedurre che
risalga al tempo di Cosimo il Vecchio. L'altro, affisso su un edificio poco
distante, è più elaborato e sormontato dalla corona regale (un granduca era
paragonato a un re)e ne reca sei, disposte a ovale:dovrebbe essere il
periodo di Cosimo I. Facile!
Ma,
passatemi il termine, perchè questo 'giramento
di palle'?
Il
mistero del 4 luglio 1442
Sempre
sotto Cosimo il Vecchio venne realizzato un misterioso affresco a
tema astronomico sulla volta della cupola emisferica della Sacrestia
Vecchia nella chiesa di San Lorenzo, alle quali lavorarono anche
i celeberrimi Michelangelo e Brunelleschi. Abbiamo potuto vederne una
riproduzione nell'allestimento della mostra
Galileo:dall'antichità al telescopio e
si può notare come siano dipinti con sorprendente esattezza la sfera
celeste, le sue costellazioni, le linee astronomiche di riferimento, Sole,
Luna e anche i pianeti. L'opera fu realizzata da
Giuliano d’Arrigo, detto
il Pesello, su indicazioni forse di Paolo dal Pozzo Toscanelli.
E'
chiaro che si volesse immortalare un preciso evento accaduto a Firenze alla
corte del duca, ma quale? E quando? Studi condotti dall'equipe
dell'astronomo G. Forti (Oss. Astr.di Arcetri) nel 1986 hanno portato a
capire che il 'cielo' raffigurato è quello del 4 o 5 luglio 1442 ma non il
motivo che spinse ad un'esecuzione tanto accurata e costosa in questo luogo
specifico. Si ritiene che esso si leghi alla città e non tanto all'edificio
in se stesso, anche perchè sulla coeva cupola della cappella Pazzi nel
chiostro della basilica di S. Croce, è dipinta la stessa porzione di cielo.
Come mai?
Sepolcri alchemici
Sempre nella chiesa di San Lorenzo ma nella Sacrestia Nuova c'è
dell'altro. E' risaputo che la corte medicea di Firenze si circondò di
umanisti e artisti di eccellente preparazione e sovvenzionò le loro opere,
favorendo inoltre il progredire di molte scienze. Alla corte di Lorenzo
dè Medici, detto il Magnifico, ci fu tra gli altri
Michelangelo Buonarroti (sepolto nella navata destra della già citata
basilica di S. Croce, legata a quanto pare a doppio filo con tutta la vita
passata e presente della città). In un ambiente intriso di concetti
filosofici dell'antichità classica e ai suoi rimandi alla mitologia
ermetica, non è improbabile che egli abbia li interiorizzati perchè in
alcune sue opere è possibile ravvisarli. Per la cupola della Sacrestia
Nuova della Chiesa di San Lorenzo, dove trovano posto i sepolcri
di Giuliano e Lorenzo dè Medici, notiamo come l'artista si sia ispirato
ai temi cabalistici e alchemici che rappresentavano in questo modo
l'universo e i 4 elementi attorno alla fascia zodiacale. Nell'opera
michelangiolesca le sette fasi dell'opus alchemico (calcinazione,
sublimazione, soluzione, putrefazione, distillazione, coagulazione,
tintura)sembrano sintetizzarsi nei percorsi concentrici che confluiscono al
centro del cerchio, essi sono infatti sette. Secondo gli studi di Maurizio
Calvesi, nella stessa Sagrestia Nuova possiamo ancora scoprire un
accostamento tra l'alchimia e l'opera di Michelangelo. I sepolcri di
Giuliano e Lorenzo dè Medici si trovano uno di fronte all'altro e ciascuno
reca due coppie di sculture. Quelle del Giorno e della Notte sono sul
sepolcro di Giuliano, duca di Nemours, quelle dell'Aurora e del
Crepuscolo su quello di Lorenzo, duca di Urbino. Anzitutto, sembra che
la figura di ogni duca sia legata virtualmente da un simbolico triangolo
con le statue soggiacenti al di sotto. La Notte e il Giorno si
voltano le spalle, alludendo alla condizione di separazione e di opposizione
di due diverse nature; tra l'altro la Notte appoggia il capo nella
mano proprio come la celebre Melancolia di Dürer, ad indicare che i due
atteggiamenti sono sinonimi (Notte=malinconia, nerezza, buio mentale e
materia primitiva). Sotto la scultura, schiacciato ma non domo, sembra
affacciarsi lo stesso volto del Giorno e alcuni volatili. Il
'Giorno' ha qualcosa di 'non finito' dal quale prorompe una luce
diffusa. Sul lato opposto, abbiamo l'altro gruppo marmoreo, che sembra più
aperto e consecutivo. Le statue appaiono in 'movimento' e 'allungate'
tese ad una unione:Crepuscolo e Aurora si 'aprono', per rinnovare il
miracolo della Creazione, ovvero garanzia di rinnovamento e resurrezione,
tema sottinteso trattandosi di due monumenti funebri. In quel periodo la
concezione dell'uomo in quanto capace di 'creare' al pari di un dio, era
sicuramente un motivo dominante tra gli artisti. L'arte era vissuta come
mezzo geniale per emulare la Creazione.
I Templari e i Giovanniti a Firenze
Abbiamo trovato diverse
testimonianze della presenza dell'Ordine del Tempio, in città. Una attigua
alla splendida chiesa di Santa Croce, dove la targa murata al muro
dice "Già Via del Tempio", significando- a meno di grossolani
abbagli- che lì si trovava il quartiere Templare. Ma le nostre ricerche
sulle tracce di questo mistero ci hanno portato a scoprire che dopo la loro
soppressione, venne fondata una Compagnia nel 1343, chiamata Compagnia di
Santa Maria Vergine della Croce al Tempio. Aveva questo nome perchè era
collocata vicino ai patiboli e assisteva i condannati, ma non in questa zona
bensì presso il Prato della Giustizia (in corrispondenza dell'odierna
piazza Piave), dove i Templari avevano gestito un hospitale. Ecco
perchè la compagnia aveva mantenuto l'aggettivo. Quando poi la compagnia si
spostò nella sede di via San Giuseppe, appunto nei pressi di S.
Croce, portò con sè il suffisso del Tempio, generando probabilmente
un 'qui-pro-quo'.
A meno di nuove notizie, questo è quanto sappiamo. Nella
zona comunque non abbiamo trovato nemmeno quello che oggi dovrebbe essere
rimasto, un oratorio sconsacrato che si dice conservi ancora degli
affreschi. Dietro la chiesa di S. Croce si possono vedere comunque le sue
meravigliose absidi, un cortile con alcuni pezzi litici messi qui e là, e un
paio di lapidi iscritte, di difficile interpretazione. Un altro quartiere in
cui, invece, pare certa la presenza dei Templari nel medioevo, è quello
nell'attuale centro storico di Firenze, non lontano da Ponte Vecchio. Si
tratta della chiesa di San
Jacopo in Campo Corbolini (nome
derivante da una famiglia, i Corbolini, che aveva case nella piazzetta, o
campo, oggi chiamata Madonna degli Aldobrandini). Della chiesa si sa che fu
fondata il 3 maggio 1206 e appartenne all'Ordine Templare dal 1256;
alla loro soppressione passò ai Cavalieri di San Giovanni dei quali resta
una croce nei capitelli del piccolo portico. Per via di una cancellata che chiude 'da sempre' il
portichetto, la chiesa è nota ai fiorentini anche come San Jacopo dei
Cancelli. Nel 1311 venne annesso un piccolo ospedale militare. Nel
1808 venne soppressa dai francesi di Napoleone e venne acquistato dai de
Piro, di Malta, i quali non la curarono e finì per cadere in disuso. La
"scuola Lorenzo dè Medici" ha recentemente provveduto al suo recupero
dopo 40 anni di chiusura. L'Ordine dei Gerosolimitani, invece, gestivano
anche altre chiese in Firenze:quella dei Santi Simone e Giuda e
quella di San Giovannino dei Cavalieri. E' quest'ultima degna di
interesse perchè connessa con l'enigmatica vita di papa Celestino V,
al secolo Pietro da Morrone che, nel 1274 (non ancora papa) fece
tappa a Firenze mentre si recava al Concilio di Lione, non sappiamo se per
incontrare i Templari locali ma sicuramente le cronache affermano che
suscitò molto entusiasmo tra la popolazione. L'Ordine di monaci che fondò, i
Celestini, pose piede a Firenze verso il 1326-'27 stanziandosi
inizialmente nell'oratorio di S. Maria Maddalena in via S. Gallo. I
monaci da lui fondati, i Celestini, arrivarono a Firenze verso il 1326-27.
Dato che il fondatore dell'Ordine si chiamava Morrone, i suoi frati erano
noti anche come del Murrone, denominazione che si estese anche al
convento e alla chiesa. Molto benvoluti, furono oggetto di elargizioni che
consentirono di arricchire la chiesa di opere d'arte; restarono qui fino al
1552, quando vennero spostati nella Chiesa di San Michele Visdomini perchè
Cosimo I concesse alle monache dell'Ordine di Malta il convento per le loro
opere di beneficenza e assistenza. Soppresso nel 1882, venne accorpato alla
chiesa di San Lorenzo e dal 1939 è divenuto parrocchia autonoma. Sulla
facciata fu posta, nel XVI secolo dalle cavalieresse, lo stemma dei
Cavalieri di Malta, una croce bianca in campo rosso, sostenuto da due angeli
in marmo.
La chiesa di Dante
(statua di Dante sul sagrato di S. Croce)
Poco distante da quella che
viene chiamata 'Casa-Museo di Dante' (in realtà una ricostruzione del Comune
di Firenze per omaggiare il 'sommo poeta'), c'è una piccola chiesetta
medievale che pochi conoscono. E' intitolata a Santa Margherita d'Antiochia
ma familiarmente chiamata dai fiorentini Chiesa di Dante, le cui
origini sono oscure. Se ne hanno notizie da un atto notarile dell' 11 maggio
1032. La sua particolarità è legata al fatto che secondo una tradizione
Dante avrebbe visto proprio qui, per la prima volta, Beatrice nel
1274 (quando avevano soltanto nove anni). Qui si sarebbe sposato con Gemma
Donati e qui giacerebbero le spoglie mortali della sua musa ispiratrice,
appunto Beatrice Portinari. Esiste infatti una lapide seplocrale
all'interno, entrando a sinistra, ma è del tutto
falsa, perchè non vi è prova che la donna sia stata qui sepolta. Anzi,
essendosi maritata con un Donati, il cui sepolcro è nella chiesa di Santa
Croce, è verosimile che anch'ella riposi là. La chiesa presenta all'esterno
una facciata a capanna, con due oculi bicromi bianchi e verdi come usa a
Firenze; sull'architrave del portale d'ingresso tre stemmi corrispondono
alle famiglie che ne ebbero il patrocinio: i Donati, gli Adimari e i
Cerchi. Dal 1280 divenne parrocchia e doveva essere una chiesa
importante, una delle 36 priorie della 'cerchia antica'. All'interno,
alquanto disordinato, oltre alla falsa lapide tombale di Beatrice (a
dispetto dell'iscrizione che la indica come vera), c'è -a destra- quella della
sua nutrice, Monna Tessa (forse una copia dell'originale, che
dovrebbe trovarsi nel chiostro delle Ossa dell'Arcispedale di S. Maria
Nuova). Pare che qui i Portinari avessero effettivamente i loro sepolcri,
come vi furono anche quelli della Venerabile Compagnia dei Quochi (con la
Q!)
dedicata a san Pasquale Baylon, patrono universale dei cuochi (davanti
all'altare maggiore è tuttora visibile lo storico sepolcro). Appena entrati,
a sinistra c'è un quadro di una pittrice inglese ottocentesca che ha
immaginato il primo incontro tra Dante e Beatrice, che qui sarebbe avvenuto.
Un vero mistero è la "grande pietra" (ma è piccolina) che sta
sull'altare, sostitutiva del trafugato tabernacolo, dice un pannello
informativo. La chiesa è ad aula unica, piuttosto esigua e pertanto è un
elemento che non sfugge all'attenzione di chi entra, men che mai a noi. Su
di essa qualcuno vi vede da lontano un ostensorio con l'eucaristia,
mentre da vicino i profili di Gesù e san Giovanni. Non abbiamo visto nè
l'uno nè gli altri. Ma non basta, perchè un altro pannello posto sopra i
gradini del presbiterio rievoca un episodio di violenza nei confronti di un
crocefisso che si doveva trovare nei locali annessi alla chiesa stessa. Le
braccia e le gambe di quel Cristo vennero disgraziatamente spezzate. Il
volto dell'Uomo allora, stando alle immagini e alle parole scritte sul
pannello, cambiò espressione, diventando mostruoso. Ne prendiamo atto,
credere che sia vero è un'altra cosa. Se vi capitasse di andarvi, dunque,
non mancate di farci caso.
Il biancone
Nella centralissima
Piazza della Signoria si trova, a nostro giudizio, la bellissima
fontana del Nettuno, detta dai fiorentini 'biancone', perchè
Michelangelo quando si apprestò a vedere l'opera realizzata dall'Ammannati
ebbe ad esclamare, secondo una tradizione, "O' Ammannato, Ammannato,
quanto marmo hai sprecato!", poichè la scultura non gli piaceva.
Dato che era tutta bianca, venne chiamata 'biancone'.In realtà è una
scultura densa di simboli allegorici cui andrebbe dedicata un' ampia
analisi.
Ciò che resta di
Savonarola
Di fronte alla fontana del
Nettuno c'è un tondo con un'iscrizione che ricorda come il 23 maggio
1498 il frate domenicano Girolamo Savonarola ' per iniqua
sentenza' fu impiccato e poi arso per eresia. Un punto un po' macabro ma già
che si è in zona, giusto notarlo.
Lo
Studiolo alchemico di Francesco I (1541-1587)
E'
situato sul lato sud al primo piano del Palazzo Vecchio o Palazzo
della Signoria, nella piazza omonima. Questo palazzo ha origini
medievali, architettato da Arnolfo di Cambio e in seguito ampliato. Vi ha
prestato la propria opera tutta la 'creme' di artisti rinascimentali della
corte medicea. Da una porticina del Salone del Cinquecento si accede
al misterioso e segreto studiolo del duca Francesco I che era
adiacente dalla sua stanza da letto e comunicante con lo studiolo del padre,
Cosimo I, che è pure un piccolo ambiente segreto. Ufficialmente lo
studiolo di
Francesco I, che non possedeva aperture, serviva per raccogliere il
materiale di studio e da collezione ma è oggi comunemente riconosciuto che
qui il duca conducesse ricerche magico -alchemiche, probabilmente soltanto
teoriche, in quanto la 'pratica'sperimentale doveva svolgersi presso il
Casino di San Marco. Commissionato nel 1570 all'intellettuale di corte
Vincenzo Borghini, ne fu affidata l'esecuzione pittorica al Vasari
che, aiutato dai suoi discepoli tra i quali Giovanni Battista Adriani,
lo completò nel 1572. Sulla volta campeggiano i quattro Elementi, che
sono le uniche pitture originali rimaste perchè dopo la morte del duca, il
suo studiolo venne prontamente smantellato e i pannelli alchemici che
ricoprivano armadi o porte finirono dispersi in altri palazzi di Firenze;
solo nel 1920 si decise di ricostruirlo fedelmente. Presso il museo di
Storia della Scienza, a Firenze, si può ammirare una interessante
ricostruzione del 'laboratorio alchemico', nei sotterranei. Pare che
Francesco I dè Medici avesse scoperto per primo il segreto per fondere il
cristallo di rocca facendone vasi; fondò una scuola per la lavorazione delle
pietre dure, che esiste tutt'oggi; fu tra i primi a produrre gemme
artificiali ed inaugurò proprio a Firenze la lavorazione della porcellana a
imitazione di quella cinese. Si narra che fosse riuscito a realizzare una
sorta di 'elixir vitae', un 'olio di vetriolo', potente afrodisiaco.
Che finisse per restare vittima dei suoi stessi preparati farmaceutici, che
esigeva di 'testare'in prima persona, non è certo ma probabile. All'interno
dello Studiolo, un
pannello intitolato Fucina o Laboratorio d'alchimia, dipinto
da
Giovanni Stradano,
ritrae il duca Francesco I, a sinistra, nelle vesti di un artigiano,
impegnato nel lavoro della fonderia; si dice per le sue attività
scientifiche trascurasse i doveri politica e cerimoniali di corte (ora
capiamo la fretta di sbarazzarsi delle sue... memorie!).
C'è un Ufo a Palazzo?
Rimaniamo all'interno di
Palazzo Vecchio e dirigiamoci nel Museo, al secondo piano,
ricchissimo di opere d'arte. Nella Camera di Ercole, presso il
Loggiato di Saturno, si trova un dipinto assai curioso, intitolato
Madonna Adorante il Bambino e San Giovannino, attribuito a
Filippo Lippi (XV secolo). Il dipinto ha fatto scrivere fiumi di
inchiostro per un particolare presente dietro le spalle della Vergine:un
oggetto non chiaramente riconducibile ad una nuvola o ad un uccello che
solca il cielo, mentre un uomo in piedi e il suo cane guardano in quella
precisa direzione. L'oggetto ha delle caratteristiche tali da ricordare
l'immagine 'classica' di un oggetto volante non identificato. L'uomo ha la
mano destra sugli occhi che indurrebbe a pensare fosse accecato da una fonte
luminosa mentre il cane sembra stia abbaiando all'oggetto. Tale 'stranezza'
venne notata casualmente dal prof. Daniele Bedini della cattedra di
architettura spaziale di Firenze (unica in Europa) che riconobbe che
l'oggetto non sembra avere una spiegazione in termini astronomici,
meteorologici, o di altro tipo conosciuto per l'epoca di realizzazione del
quadro. In seguito è stato analizzato con strumentazioni digitali da altri
studiosi che ne hanno permesso la migliore decodificazione dei contorni, la
quale contribuisce ad infittire il mistero. Gli scettici considerano
l'oggetto nell'ambito di una rappresentazione spiritual/celestiale
contestuale alla scena religiosa...Il dr. Roberto Volterri ha condotto altre
analisi sul dipinto scoprendo che c'è un altro personaggio, invisibile ad
occhio nudo, seduto (forse un pastore) sull'erba, sulla collinetta alle
spalle della Madonna (foto pubblicata nel libro "Narrano antiche
cronache..." (Hera Edizioni, 2002). Anch'egli sembrerebbe guardare in
direzione dello stesso oggetto in cielo.
I segreti astronomici del
San Giovanni
Meraviglioso edificio sito
nell'omonima piazza, il Battistero di San Giovanni risale nelle sue
origini ad un tempio romano dedicato al dio Marte. Le forme medievali
risalgono all' XI -XIII secolo ed è caratterizzato dalla forma ottagonale,
figura frequente per i battisteri cristiani primitivi, il cui rimando è al
simbolismo del numero otto, coincidente con il giorno della Resurrezione
(metaforicamente il battezzato rinasceva per mezzo dell'acqua sacra). E'
dotato di una copertura a piramide ed è scandito dal bicromismo di marmi
bianchi e verdi. La sua rinomanza nel mondo è data soprattutto dalla
presenza delle tre porte bronzee, in particolare quella del Paradiso
(appellativo datole da Michelangelo) ma all'interno vi è tutta una geometria
da osservare e innumerevoli simbolismi che non basterebbe una giornata
intera per decifrarli. I mosaici della cupola lasciano a bocca aperta e sono
articolati su sette livelli per circa due terzi mentre un terzo è occupato
da un Giudizio Universale in cui Gesù giganteggia al centro. In questo
edificio si trova la più antica testimonianza delle applicazioni
scientifiche fiorentine, risalente al Mille:un orologio solare che
restò in uso per tre secoli fin quando, nel corso del 1200, venne costruita
la lanterna che provocò l'oscuramento dell'ingresso del sole nell'edificio.
Un foro sulla cupola permetteva ai raggi solari di penetrare all'interno e
colpire i segni zodiacali presenti sul pavimento presso la Porta Nord, sulla
quale si trova ancor oggi un verso palindromo, meno noto del
Sator, ma
ugualmente intrigante: EN GIRO TORTE SOL CICLOS ET ROTOR
IGNE, posto attorno ad un Sole fiammeggiante. La lastra indicava
il luogo in cui il sole, entrando dalla sommità della cupola, sarebbe caduto
ogni anno a mezzogiorno del solstizio d’estate. In quella data, il 24
giugno, ricorreva (e ricorre) la festa di San Giovanni, che è patrono
di Firenze, con tutti i suoi attributi simbolici. Le lastre e il palindromo,
spostate in seguito al rifacimento del pavimento nel XIII secolo, sono tutt'oggi
visibili. I fonti battesimali furono distrutti nel 1576.
Giovanni XXIII è
sepolto qui!
Ebbene si, un papa che si
chiamava Giovanni XXIII° come il Papa buono Roncalli, è esistito
molti secoli prima di lui. Per una damnatio memoriae, la Chiesa non
lo considera un papa ma un anti-papa e non è sepolto a Roma ma nel
battistero di San Giovanni a Firenze. Il suo sepolcro fu realizzato da
Donatello e Michelozzo ed è situato a destra dell'abside. Non si manchi di
osservarlo se si visita l'interno dell'edificio, unitamente ad un altro
bellissimo sarcofago in marmo scolpito, forse romano, collocato dalla parte
opposta.
Le due colonne e i
rettangoli
Due colonne in porfido,
spezzate, si trovano appena fuori dalla porta orientale o del Paradiso
(fatta da Lorenzo Ghiberti tra il 1425 e il 1452). Sono il dono che i Pisani
fecero alla città in seguito all'aiuto che essa aveva elargito nella guerra
contro i Lucchesi nel 1117. In quelle della porta meridionale (la più
antica, realizzata da Andrea Pisano) sono invece scolpiti due rettangoli ma
non hanno alcun mistero: sono le unità di misura in vigore nell'alto
medioevo, il il piede longobardo e quello fiorentino. Sul lato nord, poco
distante, si trova una colonna trecentesca sormontata da una croce fiorita,
è la colonna di San Zanobio. E a proposito di formelle della Porta
del Paradiso che tutti i turisti fotografano, si badi che non sono
quelle originali, invece conservate al Museo Diocesano, poco distante. Nella
foto: la Porta del Paradiso.
La colonna di San Zanobi
Nell'area del battistero è
ben visibile una colonna solitaria sormontata da una croce; anche se non
sembra, è molto antica, del XIV secolo. Indica il luogo dove un albero
miracolosamente rinverdì in pieno inverno, al passaggio delle reliquie di
San Zanobio che dalla chiesa di san Lorenzo venivano traslate nella chiesa
di Santa Reparata (che adesso è sotto il duomo). Oggi quelle reliquie si
trovano nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, eretta sopra la
precedente.
Gli strumenti astronomici
di S. Maria Novella
Di fronte alla stazione
ferroviaria di Santa Maria Novella si trova la magnifica chiesa omonima. E'
un capolavoro del gotico italiano, sorta su un oratorio di epoca precedente.
La tradizione la attribuisce a due frati domenicani, fra Sisto e fra
Ristoro. Nella piazza antistante si stagliano due obelischi di moderna
fattura. Nel recinto dell'edificio si trovano le sepolture delle famiglie
nobili cittadine, con numerosi stemmi visibili anche dall'esterno. Il
portale centrale e la parte superiore furono progettati da Leon Battista
Alberti e all'interno esplode la ricchezza di opere d'arte famose, da
Cimabue a Giotto, da Masaccio al Ghiberti, da Baccio d'Agnolo al Giambologna,
da Giuliano da Sangallo al Ghirlandaio, dal Bronzino al Brunelleschi ed
altri importantissimi artisti. All'esterno citiamo per la loro singolarità e
utilità pubblica degli strumenti astronomici voluti da Cosimo I e
realizzati da Egnazio Danti tra il 1572 e il 1575. Si tratta di un
quadrante astronomico, un'armilla equinoziale e una meridiana a camera
oscura, che dovevano consentire nuove osservazioni per riformare il
calendario, che di lì a poco avrebbe compiuto il pontefice Gregorio XIII
(dando vita alla cosiddetta Riforma gregoriana del calendario, usato tutt'oggi).
Il Danti venne allontanato da Firenze e non potè portare a termine la
meridiana che avrebbe indicato il mezzogiorno vero in ogni momento dell'anno
e si trasferì a Bologna, dove invece potè mettere in atto il progetto,
ancora oggi visibile nella cattedrale di San Petronio. All'interno di
S. Maria Novella vi sono dei pannelli che illustrano il funzionamento di
questi strumenti astronomici; la guida ci ha informato che un piccolo foro
nel rosone in facciata (ben distinguibile) produce un raggio di sole che
scandisce le ore all'interno dell'edificio mentre una placca metallica
bronzea situata superiormente al rosone, quando viene colpita dal fascio di
luce, produce lungo la navata centrale un lungo tappeto dorato che si
conclude all'altare. Una meridiana è presente anche nel duomo di S. Maria
del Fiore, opera settecentesca di Leonardo Ximenes. Già nel 1475
l'astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli aveva installato una lastra
bronzea forata sulla cupola, ultimata nel 1461, che convogliava i raggi del
sole sul pavimento. Qui un disco marmoreo indicava il solstizio d'estate.
Nelle foto sotto:gli strumenti astronomici di S. M. Novella.
Una chiesa nascosta sotto
il duomo
Anzi, quattro chiese si
celano nel sottosuolo di Firenze, nell'area dove sorge il maestoso duomo di
S. Maria del Fiore! Una originale e tre di rifacimento, così dicono le
guide. Non escluso un ancor più antico tempio 'pagano'. La prima chiesa
cristiana che vi sorse risalirebbe al V secolo d.C., in seguito, in epoca
carolingia, venne ricostruita e ampliata (dotandola di una cripta e un nuovo
pavimento) per i danni riportati nella guerra gotico -bizantina. Tra il
1050-1106 venne edificato un coro e una nuova cripta per conservarvi le
reliquie di San Zanobio, che fino a quel momento erano
nell'antichissima chiesa di San Lorenzo (oggi si trovano in
cattedrale). Nel 1296 Arnolfo di Cambio venne incaricato del progetto
di una nuova cattedrale, più grande e magnifica, i cui lavori si protrassero
per secoli e ad opera di importantissimi artisti. Oggi è la terza chiesa più
grande al mondo, dopo San Pietro in Vaticano e St. Paul a Londra; era la più
grande quando venne ultimata, nel 1412. Il suo nome, del Fiore,
allude al giglio, simbolo cittadino. Visitare gli scavi di Santa
Reparata, la chiesa che ha preceduto l'attuale cattedrale, è dunque un
penetrare nel grembo di questa chiesa madre. Oggi possiamo visitarli
accedendovi da una scala situata tra il primo e il secondo pilastro della
navata a destra. Gli scavi permettono di assaporare un'atmosfera
antichissima, in cui emergono avanzi di mura, pavimenti di case della
Florentia romana, mosaici (con splendidi colori e motivi, come molti
Nodi di Salomone), lastre tombali tra cui quella di Lando di Giano
(1353), e Filippo Brunelleschi. Rimangono dubbi sui sepolcri di due
papi, Stefano IX e Niccolò II (che fu anche vescovo di Firenze nel 1058)
mentre secondo la tradizione qui sarebbero stati sepolti Giotto, Arnolfo di
Cambio, Andrea Pisano, le cui tombe però non sono ancora state ritrovate.
Santa Reparata costituiva il più grande complesso paleocristiano della
Tuscia, a tre navate divise da eleganti colonnati marmorei, era arricchita
da un recinto con plutei mirabilmente scolpiti, in parte ancora visibili
anche se notevolmente deteriorati e frammentati.
Questa è la casa di Dio e
la Porta del Cielo...
Quante volte abbiamo
nominato la chiesa di S. Croce
in questa carrellata, davvero tante!
Essa è veramente un edificio straordinariamente bello, importantissimo
perchè accoglie i sepolcri di diversi personaggi celebri del calibro di
Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Michelangelo Buonarroti, e moltissimi
altri, sia all'interno che nel chiostro. Inoltre, vi è anche il cenotafio,
cioè la tomba vuota, del sommo poeta fiorentino Dante Alighieri, il quale
sarebbe sepolto a Ravenna, città che lo accolse, esule, e che non volle mai
cedere le spoglie a Firenze. Prima di ammirare tutta la magnificenza della
chiesa, sia esterna che interna, di accedere al museo e ai chiostri, si
faccia caso ad un piccolo particolare, una scritta in oro su fondo
rosso sopra il portale di sinistra. Essa è la seconda parte della biblica
frase "Terribilis est locus iste! HAEC EST DOMUS DEI ET PORTA COELI", che
significa "Questo è un luogo terribile!Questa è la casa di Dio e la Porta
dei Cieli". La frase trae origine dal sogno di Giacobbe, figlio di
Isacco e padre dei 12 capostipiti delle tribù d'Israele, citata in Genesi,
28-17; ripresa in 31,13 e 35,14. Rimandiamo alla
sezione apposita per il significato
simbolico. Qui ci limitiamo a farlo notare.
La gemella fiorentina
della statua della Libertà
Appena entrati in S. Croce,
a sinistra, si vedrà subito un bel sepolcro sormontato da una celebre
statua, che tutti conosciamo perchè è simbolo della città di New York: la
statua della Libertà. Ma che ci fa qui sopra una tomba? Ebbene, questa è
precedente all'epoca di esecuzione della statua newyorchese e non si
esclude che chi realizzò quella, possa avere attinto ai disegni preparatori
proprio di questa. Lo scultore fu Pio Fedi ne realizzò il modello in
gesso già nel 1872 dopo che i disegni preparatori erano circolati
precedentemente negli ambienti artistici del tempo. Nulla vieta che dunque
il modello americano non sia stato affatto un'idea originale ma 'ispirato',
diciamo così, proprio all'opera di Fedi. La statua fu commissionata nel
decennale della morte del patriota risorgimentale Giovan Battista
Niccolini (1782-1861) per onorarne degnamente la memoria. Venne
completata nel 1877, collocata in basilica e inaugurato nel 1183. Appare più
aggraziata della 'gemella' americana e con maggiore dolcezza di posa.
I misteri di San Miniato
al Monte
Appena fuori dal centro
cittadino, dal frastuono e dai colori urbani, salendo sul lieve declivio che
sta alle spalle della città, sopra Piazzale Michelangelo, si può vivere
un'esperienza indimenticabile, non solo per lo spettacolo di un panorama che
si offre in tutta la sua smagliante bellezza ma perchè c'è un posto magico
nel vero senso della parola, da visitare. E' San Miniato, iniziata
nell’anno 1013 sotto il vescovo Albrando, la chiesa dei misteri fiorentini,
secondo noi. Isolata, elevata, riservata, forse anche meno visitata dalla
massa, custodisce intatto un segreto o tanti segreti. Fatti di qualcosa o di
niente, non importa:per la sola colpa di esserci, così bella e
magica, san Miniato DEVE avere un segreto! E' troppo 'tutto': troppo
calcolata la sua posizione, al di sopra del mondo terreno e di ogni
sospetto, troppi i simboli di cui è cosparsa la mirabile facciata: croci,
pesci (oannes pagano?), centri sacri, fiori della Vita... E ancora il
contesto in se stesso, il monastero, il chiostro, l'interno oscuro e invaso
dalle tombe, con le loro croci (invariabilmente patenti e verdi su
fondo bianco) e dalle tarsie pavimentali simboliche. La cappella del
crocifisso con la volta arricchita dalle ceramica robbiana, il pulpito, il
presbiterio sopraelevato con quel silenzio, i mosaici, il colpo d'occhio
sulla platea: senso di onnipotenza. Bisogno di trovare risposte. La discesa
nella cripta, il reliquiario del santo. Miniato. Ha il nome di un codice. Ma
quale? A rendere le cose ancora più intriganti ci si mette una misteriosa
iscrizione, incisa sul pavimento, tra l’ingresso e la figura dello zodiaco.
Risale al 1207 e recita la seguente frase: HIC VALVIS ANTE / CELESTI NUMINE
DANTE / METRICUS ET IUDEX /HOC FECIT CONDERE IOSEPH / ERGO ROGO CRISTUM /
QUOD SEMPER VIVAT IN IPSUM variamente interpretata nel tempo. Ufficialmente
non avrebbe nulla di strano, si tratterebbe di un'epigrafe dedicatoria
recante il nome del committente. Vi si legge quello del giudice Sanzanome,
uomo politico e miles e quello di Giuseppe «iudex et metricus»,
l'artefice delle tarsie, che si stendono sul pavimento, come una guida verso
la redenzione. Ma lo scrittore Renzo Manetti, nel suo libro "Il segreto
di San Miniato» per la collana «La storia raccontata» della casa
editrice Polistampa, inscena una trama avvincente che parte proprio da qui.
L’indizio del mistero inizia dal doppio significato di termini quali «valvis»
(che può significare sia «valve» che «battenti») e «ipsum», presente nella
riga finale e che può riferirsi sia a Cristo che al tempio stesso. "Ma
soprattutto"- leggiamo- "a incuriosire l’autore, è il riferimento oscuro ad
un segreto, che sembra in grado di fermare la morte e lo scorrere del tempo:
le ultime due parole poste alla destra di ogni frase, compongono un’altra
frase di senso compiuto, che significa «queste cose preservano dal tempo e
dalla morte». Non si tratta di un’aggiunta successiva, lo dimostra il fatto
che la lastra di marmo è unica. Ma cos’è che impedisce alla morte e al tempo
di seguire il loro corso?" . D'accordo, è un romanzo, una storia inventata
ma se andrete anche voi a San Miniato, o se vi siete già stati, ne resterete
ammaliati. Un amico ci ha detto che il padre della regia moderna Edward
Gordo Craig realizzò- agli inizi del Novecento quando abitava a Firenze -
un'importante scenografia per fare uno spettacolo sulla Passione secondo
San Matteo di J. S. Bach, prendendo ispirazione proprio dalla struttura
romanica dell'interno.
Targhe famose o ...curiose
Perlustrando vicoli e
facciate di edifici frequentemente si incontrano curiose targhe, come
quelle qui riportate, che ci fanno tornare ad un tempo passato e diverso
Ma vi sono anche moltissimi
ricordi epigrafici di personaggi famosi che in quel determinato edificio
sono nati, passati o morti. A proposito, c'è una lapide particolare in
Santa Croce:appartiene ad un uomo che in vita seppe creare cose
meravigliose e terribili come la pietrificazione dei cadaveri. Il suo nome
era Gerolamo Segato(1792-1836), cartografo, naturalista, viaggiatore
ma anche molto di più. Veneto di nascita, andò in Egitto nel 1818 per
restarvi diversi anni, venendo a contatto con diverse figure di spicco
dell'archeologia pionieristica come Giovan Battista Belzoni, Ermenegildo
Frediani, un naturalista, Enrico Minutoli, Bernardino Drovetti, archeologo e
diplomatico italiano, tramite cui potè seguire degli scavi archeologici. Il
Segato lavorò molto sulle composizioni dei papiri e sui colori, oltre che
sui monumenti egiziani e si applicò allo studio delle mummie, dei segreti
della loro conservazione. Rientrato in Italia per problemi di salute, si
stabilì a Firenze nel 1824 fino alla morte, ideando a sua volta un sistema
originale per 'pietrificare' i cadaveri, sistema che non condivise con
nessuno. Un'epigrafe sulla sua tomba ricorda che il
segreto è infatti sepolto con lui, che mai rivelò i segreti dell'arte che egli solo
aveva scoperto. Presso
il dipartimento di Anatomia, Istologia e
Medicina Legale dell’Università di Firenze è possibile vedere alcune
delle sue 'opere'.
La Biblioteca Nazionale Centrale:un
pozzo di cultura!
Situata nel complesso
monumentale della basilica di S. Croce (ormai presenza fissa in
questa nostra relazione!), dalla parte rivolta al fiume Arno (che tanto
danno causò nell'alluvione del 1966), è un raro esempio di edilizia
bibliotecaria, realizzato nel 1911 su progetto di Cesare Bazzani, ed
ampliata da Vincenzo Mazzei. Dal piano superiore si accede (ma non il
pubblico) direttamente al secondo ordine del chiostro di S. Croce, del quale
si ha una splendida visuale.
Fino al 1935 la Biblioteca era ospitata nei locali del complesso degli
Uffizi. La sua storia è però ben più antica. Nel 1714 morì il
bibliotecario personale di Cosimo III dè Medici, Antonio Magliabechi.
A quel momento il numero di volumi da lui collezionati di aggirava sui
30.000, che volle donare a beneficio universale alla città di Firenze e
ancora oggi costituiscono uno dei più importanti pilastri della Biblioteca
Nazionale. In seguito venne ordinato che ogni opera stampata fosse
depositata qui, dapprima nella sola Firenze e poi in tutto il Granducato di
Toscana. L'apertura al pubblico avvenne nel 1747; il suo nome era allora
Biblioteca Magliabechiana. Il numero dei volumi aumentò nel 1771 quando
il granduca Pietro Leopoldo vi riunì la biblioteca
Mediceo-palatino-lotaringia e fu un'operazione particolarmente
appetibile poichè il granduca aveva decretato la soppressione dei monasteri
con l'incameramento dei mirabili volumi in essi contenuti, che confluirono
nella costituita biblioteca. Nel 1861, sotto il neonato Regno d'Italia,
venne decretato che la grande Biblioteca Palatina -che era stata
fondata da Ferdinando III di Lorena e sviluppatasi sotto il suo successore
Leopoldo II- venisse annessa alla Magliabechiana. La riunificazione portò
alla coniazione di una nuova denominazione, rimasta immutata, di
Biblioteca Nazionale (cui si aggiungerà 'Centrale' nel 1885), il
cui diritto a ricevere una copia di ciascuna opera pubblicata in Italia
venne ribadito con un Regio Decreto del 25 novembre 1869. Abbiamo potuto
avere il privilegio di visitare lo splendido complesso bibliotecario,
immenso (sono previste visite guidate su richiesta e prenotazione) che
conserva 6.000.000 volumi a stampa; 120.000 testate di
periodici di cui 15.000 in corso; 4.000 incunaboli, 25.000
manoscritti, 29.000 edizioni del XVI secolo e oltre 1.000.000
di autografi. Una mole così sconfinata di cultura occupa attualmente
120 Km lineari, che ogni anno aumentano di 1800 metri! Visitare questo
scrigno di Sapere è come tuffarsi in una dimensione diafana, assolutamente
unica e nella quale letteralmente si respira l'odore dei libri, se ne sente
il profumo mentre si percorrono queii locali nei quali normalmente è vietato
accedere. Molto suggestivo il 'pozzo' che però si sviluppa
verso l'alto per cinque piani, strutturato in forma circolare. Si tratta di
un ambiente in cui si conservano un milione di volumi.
Chiaramente
il sistema bibliotecario prevede precisi regolamenti per ogni aspetto
relativo alla fruizione del servizio da parte del pubblico: l'uso dei
cataloghi, dei repertori bibliografici, del data-base informatico anzitutto.
Un 'filtro' iniziale esiste già all'ingresso, per scoraggiare i perditempo e
indirizzare invece l'utente interessato in un ambiente efficiente, dove le
attività si svolgono rigorosamente preordinate. Le sale di consultazione
sono diversificate a seconda del tipo di necessità di ciascuno; oltre alle
sale cataloghi, vi sono sala di lettura e periodici, le sale di
consultazione, la sala manoscritti e la sala musica. Vi sono anche il
Gabinetto delle Stampe, e un Laboratorio di restauro (è possibile
consultare le opere alluvionate nell'inondazione del 4 novembre 1966).
Il Laboratorio è nato con il compito di porre rimedio ai gravissimi danni
provocati dall'Arno: furono quasi un milione le unità bibliografiche
coinvolte, che allora erano sistemate nel seminterrato, al piano terreno e
al piano rialzato dell'edificio e delle quali una parte consistente è andata
definitivamente perduta. Una targa sulla facciata esterna ricorda
dove arrivò il livello dell'acqua e un'altra ricorda gli aiuti dei
volenterosi (oggi noti come gli angeli del fango) che- istituendo una
vera e propria catena umana di solidarietà- lavorarono notte e giorno per
salvare il salvabile. Molti furono anche i tecnici e gli esperti che
arrivarono da molti paesi stranieri e fu subito chiaro che era
indispensabile la creazione di un Laboratorio per mettere a fuoco le reali
dimensioni della catastrofe. Vennero compromessi, tra gli altri, gli storici
volumi del fondo Magliabechiano e di quello Palatino, il prezioso fondo
delle Miscellanee. Ugualmente gravi furono i danni subiti da cataloghi e
inventari, strumenti indispensabili per la ricerca bibliografica,
calcolabili approssimativamente in sei milioni di schede alluvionate;
rovinati furono pure gli arredi. E' ormai abbastanza noto cosa successe in
seguito, perchè molti documentari hanno informato le generazioni successive
di ciò che avvenne: ci si rimboccò le maniche a più livelli per le
operazioni di recupero e restauro. Pochi però sanno che, a distanza di oltre
quarant'anni, il restauro dei libri danneggiati è ancora in corso. Ad
esempio, dello storico Fondo Magliabechiano, che constava di 52.583
volumi, ne restano da restaurare 15.396 (mentre 4.172 mancano o non è stato
possibile identificarli). Alle difficoltà naturali, si aggiunga che, nel
tempo, si è ridotto il numero dei restauratori... Comunque per chi la
visita, questa grandiosa Biblioteca Nazionale Centrale appare un elegante e
solido 'cantiere' in cui la cultura è viva e vegeta, pronta ad offrirsi a
quanti ne abbiano bisogno. Prima di allontanarci definitivamente, non ci
sfugge una figura decorativa molto simile alla
Triplice Cinta, inserita nella pavimentazione proprio davanti
all'ingresso principale. Ha tre quadrati, i segmenti perpendicolari e un
cerchio al centro. Un decoro alquanto simbolico. Per condire i nostri due
passi con un pizzico di mistero...
Ringraziamo vivamente la
nostra 'guida d'eccezione', il dr. Alessandro Sardelli. Il sito della BNCF è
http://www.bncf.firenze.sbn.it/
Ultima cena a
Firenze
Cosa c'è di meglio che
lasciare Firenze (augurandosi di ritornarvi) con dei capolavori
conviviali? Molto numerosi sono
i vari
'Cenacoli'
ovvero dipinti raffiguranti un' Ultima Cena e spesso
segnalati anche sulle Guide classiche. Tra i più rinomati quello del Museo
dell'Opera di S. Croce, di Taddeo Gaddi (1340 circa, forse la più
antica del suo genere a Firenze); quello dell'ex refettorio di Santo Spirito
del pittore Andrea Orcagna (1370 ca); quello conservato al Museo
del Cenacolo di Sant'Apollonia, di Andrea del Castagno (1450 ca); di
Domenico Ghirlandaio vi sono due importanti 'Cenacoli (XVI sec.)':nel
Borgognissanti e nel Museo di San Marco (nella piazza omonima, al numero 1).
Il Perugino ha eseguito un bellissimo dipinto attorno al 1495,
conservato nel Conservatorio di Foligno di via Faenza, 42.
Mentre il Cenacolo della Calza,
nella omonima piazza, accoglie il dipinto del Franciabigio, del 1514.
Alla periferia di Firenze, nell'antico refettorio della abbazia
vallombrosana in via San Salvi, 16, è conservata l'opera più splendida del
pittore Andrea del Sarto, quella che il Vasari non trovò
nemmeno le parole per definire "[...] in tanto che io non so che mi dire di
questo Cenacolo, che non sia poco, essendo tale che chiunche lo vede resta
stupefatto".
Venne realizzata tra il 1519 e il 1527.
Non proseguiamo oltre,
lasciando il piacere di scoprire ulteriori 'chicche' a ciascun visitatore.
Non dimentichiamo che del mistero delle cupole della cattedrale, vero
miracolo ingegneristico di Brunelleschi, e di altre 'cose fiorentine'
avevamo già parlato in una -più breve-
sezione. Concludiamo questi due passi in una Firenze insolita con
una galleria
fotografica di alcuni angoli celebri della città. Naturalmente non vi
diciamo cosa sono e dove si trovano: a voi svelare il mistero. Per non
sentirne troppo la nostalgia.
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