IL SUO ULTIMO
ARTICOLO SULLA STATISTICA E LE SCIENZE SOCIALI: UNA NUOVA IPOTESI SUI
MOTIVI DELLA SUA MISTERIOSA SCOMPARSA .
(di Ignazio Burgio).
“...Non esistono in natura leggi che esprimano una successione fatale di
fenomeni; anche le leggi ultime che riguardano i fenomeni elementari
(sistemi atomici), hanno carattere statistico, permettendo di stabilire
soltanto la probabilità che una misura eseguita su un sistema preparato in
un dato modo dia un certo risultato, e ciò qualunque siano i mezzi di cui
disponiamo per determinare con la maggior esattezza possibile lo stato
iniziale del sistema...”. E' questo uno dei passaggi chiave dell'unico
articolo non strettamente scientifico di Ettore Majorana, il geniale
fisico catanese misteriosamente scomparso nel marzo del 1938. Insieme ad
altri concetti presenti nel lavoro, vale a farci intendere meglio anche
l'opinione che lo scienziato aveva dell'uomo e della sua libertà, e a
farci avanzare anche una nuova ipotesi di tipo psicologico sui motivi che
lo avrebbero indotto ad eclissarsi.
“Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali” -
questo il titolo esatto dell'articolo – non ha una data di redazione
precisa. Sicuramente venne scritto dal Majorana dopo il 1930, forse tra il
'34 ed il '37 e destinato ad una rivista di sociologia. Ma esso tuttavia
non fu mai da lui pubblicato, e venne tenuto nel cassetto fino al giorno
della sua scomparsa. Ritrovato dal fratello Luciano tra le sue carte,
venne finalmente pubblicato nel 1942 da Giovanni Gentile junior, amico
dello scienziato catanese, sulla rivista Scientia.
Il geniale fisico catanese venne indotto a scrivere questo articolo come
reazione ad una “tentazione” intellettuale della cultura del suo tempo,
vale a dire il determinismo scientifico, la pretesa di estendere metodi di
analisi e di previsione propri della fisica anche alle altre scienze,
comprese quelle sociali. “...E' a tutti noto che secondo la concezione
fondamentale della meccanica classica il movimento di un corpo materiale è
interamente determinato dalle condizioni iniziali (posizione e velocità)
in cui il corpo si trova e dalle forze che agiscono su di esso...è però
compito della fisica speciale lo scoprire volta per volta quanto occorre
per l'uso effettivo dei principi della dinamica, cioè la conoscenza di
tutte le forze in gioco...Secondo tale modo di vedere, che ha dato luogo
alla concezione meccanicistica della natura, tutto l'universo materiale si
svolge obbedendo a una legge inflessibile, in modo che il suo stato in un
certo istante è interamente determinato dallo stato in cui si trovava
nell'istante precedente; segno che tutto il futuro è implicito nel
presente, nel senso che può essere previsto con assoluta certezza purchè
lo stato attuale dell'universo sia interamente noto...Eppure il
determinismo, che non lascia alcun posto alla libertà umana e obbliga a
considerare come illusori, nel loro apparente finalismo, tutti i fenomeni
della vita, racchiude una reale causa di debolezza: la contraddizione
immediata e irrimediabile con i dati più certi della nostra coscienza...”.
Per sconfessare tale visione meccanicistica dell'uomo e della società,
Ettore Majorana si richiama innanzitutto al reale significato dell'uso dei
metodi statistici sia in fisica che nelle scienze sociali, cioè la
necessità di riuscire ad avere una visione macroscopica dello stato e
della dinamica di un sistema, che sia composto da atomi o da persone, dal
momento che è impossibile conoscere chiaramente la situazione di ogni
singolo atomo o di ogni singola persona. Il risultato è soltanto una
probabilità statistica che il sistema – fisico o umano – si comporti in un
certo modo. In secondo luogo fa appello alle recenti scoperte della fisica
quantistica, sintetizzate nel concetto da noi riportato all'inizio di
questo articolo, ovvero l'inesistenza in natura di leggi fatali circa la
successione dei fenomeni. Majorana riporta come esempio la trasformazione
degli atomi di sostanze radioattive: “...Esistono vari metodi per
l'osservazione, o anche per la registrazione automatica delle singole
trasformazioni che avvengono nel seno di una sostanza radioattiva, ed è
stato quindi possibile verificare, mediante dirette rivelazioni
statistiche e applicazioni del calcolo della probabilità, che i singoli
atomi radioattivi non subiscono alcuna influenza reciproca o esterna per
quanto riguarda l'istante della trasformazione; infatti il numero delle
disintegrazioni che hanno luogo in un certo intervallo di tempo è soggetto
a fluttuazioni dipendenti esclusivamente dal caso, cioè dal carattere
probabilistico della legge individuale di trasformazione...”.
Dunque il grande scienziato catanese capovolge tutta la questione,
dimostrando che in realtà anche nella fisica delle particelle elementari
nulla è rigorosamente causato e determinato, anzi l'imprevedibilità e la
casualità dei fenomeni è la regola anzichè l'eccezione. Considerazione
questa che potrebbe addirittura portare a vedere un'abissale differenza
tra l'analisi statistica applicata alla fisica delle particelle e quella
utilizzata nelle scienze sociali: “...Ma l'introduzione nella fisica di un
nuovo tipo di legge statistica, o meglio semplicemente probabilistica, che
si nasconde, in luogo del supposto determinismo, sotto le leggi
statistiche ordinarie, obbliga a rivedere le basi dell'analogia che
abbiamo stabilita più sopra con le leggi statistiche sociali. E'
indiscutibile che il carattere statistico di queste ultime deriva almeno
in parte dalla maniera in cui vengono definite le condizioni dei fenomeni:
maniera generica, cioè propriamente statistica, e tale da permettere un
complesso innumerevole di possibilità concrete differenti. D'altra parte,
se ricordiamo quanto si è detto più sopra sulle tavole di mortalità degli
atomi radioattivi, siamo indotti a chiederci se non esista un'analogia
reale con i fatti sociali che si descrivono con linguaggio alquanto
simile.“Qualche cosa a prima vista sembra escluderlo; la disintegrazione
di un atomo è un fatto semplice, imprevedibile, che avviene
improvvisamente e isolatamente dopo un'attesa talvolta di migliaia e
perfino di miliardi di anni; mentre niente di simile accade per i fatti
registrati dalle statistiche sociali. Questa non è però un'obiezione
insormontabile.
“La disintegrazione di un atomo radioattivo può obbligare un contatore
automatico a registrarlo con effetto meccanico, reso possibile da adatta
amplificazione. Bastano quindi comuni artifici di laboratorio per
preparare una catena comunque complessa e vistosa di fenomeni che sia
comandata dalla disintegrazione accidentale di un solo atomo radioattivo.
Non vi è nulla, dal punto di vista strettamente scientifico, che impedisca
di considerare come plausibile che all'origine di avvenimenti umani possa
trovarsi un fatto vitale egualmente semplice, invisibile e
imprevedibile...”.
In sostanza viene qui rivalutato anche il più semplice comportamento di
ogni singolo individuo che compone un sistema sociale, e dunque anche il
suo libero arbitrio, capace di promuovere reazioni a catena in tutto il
resto della società al pari di quanto riesce a fare la disintegrazione di
un singolo atomo. Di ciò, afferma Majorana a conclusione del suo articolo,
dovrebbero tenerne conto le stesse scienze statistiche per operare un vero
e proprio salto di qualità: “...Se è così, come noi riteniamo, le leggi
statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio, che
non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran
numero di cause sconosciute, ma soprattutto di dare della realtà una
testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede
un'arte speciale, non ultimo sussidio dell'arte di governo.” (Ettore
Majorana, Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze
sociali – in: G. Gentile junior, Scritti minori di scienza, fisica e
letteratura, 1943).
Per quanto se ne può dedurre, questo articolo di Ettore Majorana ci rivela
la sua profonda fede nella libertà umana, atteggiamento verso il quale non
era stata certamente estranea la sua educazione religiosa, e può inoltre
suggerirci sia la motivazione, sia la sua situazione psicologica, alla
base della sua decisione di abbandonare i suoi familiari, i suoi amici ed
il suo lavoro, e far perdere le sue tracce.
I quattro o cinque anni precedenti la sua scomparsa, avvenuta – lo
ricordiamo – tra il 25 ed il 26 marzo 1938, furono per lo scienziato
catanese, anni molto critici dal punto di vista psicologico, per diversi
motivi. Tra il 1932 ed '33 su sollecitazione di Enrico Fermi, aveva
effettuato un viaggio a Lipsia e Copenhagen dove era stato accolto molto
bene da fisici del calibro di Werner Heisenberg e Niels Bohr. Al suo
ritorno a Roma – dove viveva con la famiglia sin dal 1921 - cominciò a
manifestare disturbi di salute: una gastrite, forse contratta durante il
suo soggiorno all'estero (o forse anche di origine psicosomatica) che lo
accompagnò anche negli anni seguenti. L'anno successivo, il 1934, morì suo
padre, Fabio Massimo, e di lì a poco un altro evento drammatico turbò
tutta la famiglia. Come ricorda Laura Fermi: “Un bimbo in fasce, cugino di
Ettore, era morto bruciato nella culla, che aveva preso fuoco
inspiegabilmente. Si parlò di delitto. Fu accusato uno zio del piccino e
di Ettore. Quest'ultimo si assunse la responsabilità di provare
l'innocenza dello zio. Con grande risolutezza si occupò personalmente del
processo, trattò con gli avvocati, curò i particolari. Lo zio fu assolto;
ma lo sforzo, la preoccupazione continua, le emozioni del processo non
potevano non lasciare effetti duraturi in una persona sensibile quale era
Ettore”.
Sono tutti elementi questi che da soli possono spiegare l'abbassamento di
umore dello scienziato catanese dopo il suo ritorno dal viaggio in
Nord-Europa. Cominciò così a frequentare sempre meno l'Istituto romano di
Fisica teorica di Via Panisperna, e ad isolarsi sempre più a casa sua fino
a rifiutare anche le stesse lettere, sulle quali scriveva di suo pugno:
“si respinge per morte del destinatario”. Tutti i tentativi fatti dai suoi
colleghi ed amici, Giovanni Gentile jr., Emilio Segrè, Edoardo Amaldi ecc.
di convincerlo a tornare all'Istituto non sortirono alcun effetto. Pare
tuttavia che continuasse a studiare per conto proprio, anche se non
soltanto fisica ma – cosa piuttosto strana – anche filosofia, economia
politica, e persino le flotte delle varie nazioni. Non è escluso che con
la sua intelligenza avesse capito che l'Europa ed il mondo stavano per
ripiombare in un'altra catastrofica guerra, anche se l'ipotesi ventilata
da alcuni che avesse previsto in anticipo lo sviluppo e l'utilizzo delle
armi nucleari, non trova tutti d'accordo.
Nel 1937 venne bandito un nuovo concorso per assegnare almeno tre cattedre
di fisica teorica in altrettante Università italiane. Enrico Fermi e gli
altri colleghi fecero pressione su Ettore affinchè partecipasse al
concorso: tanto gli amici quanto i suoi familiari evidentemente dovevano
rammaricarsi che un geniale scienziato come lui non potesse lavorare in
maniera regolare in un istituto universitario. Fermi inoltre certamente si
sentiva moralmente obbligato ad aiutare l'amico: tra i membri della
commissione che nel 1926 gli aveva conferito la cattedra di Fisica Teorica
(la prima in assoluto in Italia) vi era stato anche Quirino Majorana, zio
di Ettore, docente di Fisica sperimentale e Presidente della Società
Italiana di Fisica. Nonostante tuttavia le insistenze di colleghi, amici e
familiari, Ettore inizialmente non ne volle sapere di partecipare al
concorso, limitandosi a pubblicare un altro articolo: “Sulla teoria
simmetrica dell'elettrone e del positrone” Poi però all'ultimo momento
decise diversamente scombinando tutte le carte in tavola del mondo
politico e accademico: “La terna dei vincitori era stata già
tranquillamente decisa, come d’uso, prima della espletazione del concorso;
e in quest’ordine: Gian Carlo Wick primo, Giulio Racah secondo, Giovanni
Gentile junior terzo. La commissione, di cui faceva parte anche Fermi, si
riunì a esaminare i titoli dei candidati. A questo punto un avvenimento
imprevisto rese vane le previsioni: Majorana decise improvvisamente di
concorrere, senza consultarsi con nessuno. Le conseguenze della sua
decisione erano evidenti: egli sarebbe riuscito primo e Giovannino Gentile
non sarebbe entrato in terna.”(Laura Fermi). Il ministro dell'Educazione
nazionale, il filosofo Giovanni Gentile (senior), padre del collega e
amico di Ettore, allora intervenne ed in base ad una legge antecedente
promulgata per Guglielmo Marconi, assegnò allo scienziato catanese la
cattedra di Fisica Teorica dell'Università di Napoli, per meriti speciali.
Dopodichè lasciò proseguire il concorso affinchè tutto andasse secondo le
previsioni accademiche.
Nei pochi mesi che trascorse come docente a Napoli – dal gennaio al marzo
del 1938 – Ettore Majorana cominciò a sentirsi sempre peggio, specie per
ciò che riguardava – oltre alla gastrite che continuava a tormentarlo – il
suo umore cupo e depresso. A parte le lezioni faceva vita isolata e
ritirata nella sua camera all'albergo Bologna, dove aveva preso alloggio
al suo arrivo nella città partenopea. Il suo carattere tendenzialmente
chiuso e introverso non gli consentiva infatti di integrarsi in tempi
brevi in una nuova città. L'unico con cui sviluppò un rapporto d'amicizia
era il suo diretto superiore, Antonio Carrelli, docente di Fisica
Sperimentale e direttore dell'Istituto di Fisica di quella Università. Per
di più si rese conto che ben pochi degli studenti iscritti al suo corso
riuscivano a seguirlo e a capirlo, nonostante si preoccupasse di preparare
accuratamente le sue lezioni, cosa questa che, come poi riferì lo stesso
Carrelli, gli procurò molta amarezza e delusione.
Considerati tutti questi aspetti, la scomparsa del grande genio catanese
può essere vista sotto la chiave di una dolorosa fuga. I fatti sono ben
noti. Dopo aver svuotato il suo conto in banca e ritirato gli stipendi
arretrati, Majorana il giorno 25 marzo lascia una lettera indirizzata ai
propri familiari nella sua camera d'albergo, ed un'altra, indirizzata al
suo direttore ed amico Carrelli, la spedisce da Napoli prima di imbarcarsi
alle 22.30 sulla nave diretta a Palermo. In entrambe le lettere dichiara
propositi suicidi, ma è molto probabile che in realtà miri solo ad essere
creduto morto, dal momento che con sè oltre ad una rilevante somma di
denaro ha, a quanto pare, anche il passaporto. Tuttavia una volta giunto a
Palermo sembra ripensarci: telegrafa immediatamente a Carrelli pregandolo
di non tener conto della lettera speditagli il giorno prima. In un'altra
lettera con carta intestata dell'albergo palermitano dove prende alloggio
(il Gran Hotel Sole) lo informa della sua decisione di ritornare
l'indomani a Napoli; aggiunge anche la sua intenzione di rinunciare
all'insegnamento. Tuttavia questa lettera sarà l'ultima traccia ufficiale
di Ettore Majorana prima della sua scomparsa. Non è certo neppure che
abbia preso il 26 sera la nave per Napoli anche se alcuni testimoni
l'avrebbero riconosciuto. Il suo direttore Carrelli dopo averlo atteso
invano nei giorni successivi, il giorno 30 marzo lancia l'allarme.
Nonostante tuttavia, su sollecitazione dei familiari e dello stesso Fermi,
si sia prodigato lo stesso governo fascista, da allora non si è avuta più
alcuna notizia di lui, e le ipotesi sulla sua sorte si sono ridotte
fondamentalmente a tre: che si sia suicidato buttandosi in mare durante il
viaggio di ritorno a Napoli (la più improbabile); che si sia ritirato in
un monastero dalle parti di Napoli o anche in Sicilia; che infine sia
fuggito all'estero, forse addirittura in Argentina, come vorrebbero alcune
testimonianze.
Enrico Fermi paragonò la sua mente a quella di Galileo o di Newton: in
effetti la sua personalità sembrava proprio quella di un genio
rinascimentale, dallo spirito libero e allo stesso tempo tormentato,
incapace di legarsi stabilmente nè ad una donna e ad una famiglia nè ad
una cerchia di amici, ed impegnato tutta la vita a vagare di città in
città al servizio ogni volta di un principe o un mecenate diverso. Per
tale suo temperamento Ettore Majorana doveva sentirsi pressato e soffocato
da ogni parte, a cominciare da Fermi e dagli altri suoi colleghi che si
attendevano dal suo genio risultati prestigiosi per la scienza e per
l'Italia; ma anche dall'ambiente accademico troppo burocratico e
regolamentato per il suo spirito insofferente. La sua sparizione assume
quindi l'aspetto di una fuga in nome di quella libertà che, come aveva
scritto nel suo articolo sulle scienze statistiche e sociali, gli sembrava
possedessero anche le particelle più elementari della materia.
Fonti di Riferimento:
Ettore Majorana: Il
valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali
– in: G. Gentile junior, Scritti minori di scienza, fisica e
letteratura, Firenze, 1943.