|
E’
con una certa emozione che mi accingo a scrivere, finalmente, un breve
articolo sul “duomo nascosto” di Bergamo. Nei miei viaggi ho potuto più
volte scendere nei sotterranei di alcune cattedrali, entrare nelle cripte
di numerose chiese, riempirmi di stupore davanti a ciò che antichi e
abili maestri hanno lasciato. Tesori che furono coperti da quintali di
terra, rinchiusi da strati successivi di materiale, sigillati per secoli e
che tornano alla luce a volte per caso, in occasione di lavori edilizi,
altre volte attraverso ricerche d’archivio e scavi archeologici mirati.
Il
più delle volte le chiese e soprattutto le cattedrali si elevano sullo
stesso luogo di un santuario pagano, antecedente all’arrivo dei Romani.
Perché anche costoro fecero propri certi “spazi sacri” continuando a
venerarli, sostituendo i nomi delle divinità ma lasciandola inalterata
nella sostanza. L’arrivo del Cristianesimo non fece che proseguire
questa “tradizione”, sostituendo ai templi dedicati alle divinità la
casa di Dio, la chiesa.
Il
duomo di Bergamo si trova nell’omonima piazza, adiacente al Palazzo
della Ragione e prospetta sullo stesso spazio della Basilica
di Santa Maria Maggiore, di cui in questo sito ci siamo occupati in
maniera approfondita diverso tempo fa. La Basilica era considerata il
monumento più antico della piazza (XII secolo) ma nuove scoperte hanno
consentito di ricavare nuove e importantissime informazioni.
Tutti
i monumenti che sorgono nella Piazza Vecchia (al centro della quale si
ammira la cinquecentesca Fontana Contarini) e in piazza Duomo si
impiantano sull’antico Foro Romano. Ormai questo è un dato assodato.
Gli scavi archeologici hanno permesso di ricostruire in parte
l’ubicazione di alcuni edifici di epoca romana; all'inizio del 2012
abbiamo visitato il nuovo Museo
dell’Età Veneta, nel cui vestibolo si vedono le rimanenze dei muri
perimetrali di alcune botteghe che affacciavano sull’antica via
commerciale romana. Molte testimonianze lungo via Colleoni, via Arena e la
stessa piazza Vecchia hanno portato alla luce preziosi frammenti di un
passato che sembrava sepolto per sempre.
Che
il duomo di Sant’Alessandro sorgesse su una chiesa più antica dedicata
a san Vincenzo, era cosa risaputa. Un’epigrafe affissa sul lato destro
dell’edificio lo attesta palesemente; tuttavia le notizie diventavano
incerte man mano ci si allontanava nel tempo. Si ventilava l’ipotesi di
una costruzione longobarda, che si sapeva poi ricostruita nel XII secolo,
nel XVI secolo e sul finire del XVII secolo. L’interno del duomo
attuale, seicentesco, non ci ha mai troppo entusiasmato: è un’unica
grande navata a croce latina (che conserva comunque opere di artisti quali
il Tiepolo, il Previstali e il Moroni) con sfarzosi marmi policromi. Nulla
a che vedere con la sobrietà delle chiese romaniche che amiamo tanto. Una
breve scalinata sotto l’altare porta alla cosiddetta “cripta dei
vescovi”, un ambiente asettico e moderno che conserva le spoglie di
diversi vescovi. Nessuno sapeva di ambienti da scoprire. Ma sotto il
pavimento del duomo si celava da secoli e secoli uno scrigno di tesori, di
mosaici, di tombe, di suppellettili, in una parola, di storia e verità
sepolte.
In
occasione di lavori per il riscaldamento della cattedrale, nel 2004 gli
scavi iniziarono a rivelare qualcosa di inaspettato: le tracce di un sito
romano, della Cattedrale paleocristiana di San Vincenzo e della successiva
cattedrale romanica, avvolte nella ricostruzione rinascimentale del
Filerete. Tutto concentrato nello stesso luogo, che in realtà era già
abitato dal X secolo a. C.!
Si
sono dovuti attendere ben otto anni perché le porte di quello
straordinario passato si aprissero ai visitatori. Gli scavi sono finiti
quest’anno e solo da pochi mesi il sito archeologico è stato
musealizzato e aperto al pubblico, grazie alla Fondazione Bernareggi.
L’ingresso è sotto la Loggia del Palazzo della Ragione, lateralmente e
inferiormente al lato destro del duomo (sotto le scale di accesso).
Scendendo, si lascia il profano vociare dei turisti all’esterno e si
prende coscienza di un mondo ipogeo che rappresenta un passato di memorie
per la città, di cui si devono comporre ancora molti tasselli.
Il
percorso espositivo permette di vedere, stando su appositi camminamenti,
diversi strati che si erano sovrapposti:
-
l'
impianto
di un quartiere romano (I sec. a.C. – IV sec. d.C.) che era
adiacente al Foro ed era attraversato da una strada commerciale sulla
quale affacciavano botteghe, laboratori artigiani e domus residenziali
dotate di ricchi apparati architettonici e decorativi. Sicuramente
questo livello era congiunto a quello di cui restano le rovine
nell’area del Museo dell’Età Veneta di cui abbiamo già accennato
l’esistenza. Di questo livello romano si possono ammirare i
frammenti musivi
appartenenti alla domus romana, in tessere bianche e nere, profilato
da tessere nere in doppia cornice; soglie in pietra con i fori per i
cardini delle porte e tracce di canalizzazioni per l’acqua corrente
-
La
costruzione della basilica paleocristiana (V sec. d.C.) dedicata al
martire Vincenzo rase al suolo le costruzioni precedenti. Con i suoi
24 m di larghezza e i 45 di lunghezza si imponeva come il più grande
edificio sacro della città. Si doveva anche far dimenticare il
ricordo dei grandiosi templi classici di epoca romana,
evidentemente… Sicuramente testimonia di come doveva essere cospicua
la comunità cristiana all'epoca. L’edificio, orientato sull’asse
E-O, era costituito da tre navate sorrette da due file di colonne; le
pareti avevano affreschi e la copertura era di legno. Ancora oggi
possiamo vedere i plinti di fondazione delle colonne, alcuni dei quali
conservati con le loro basi e grandi porzioni delle pavimentazioni in
pietra, lacerti musivi e lastre di marmi. Questa chiesa paleocristiana
era preceduta da un portico coperto (o nartece) e aveva un abside (che
si era già individuata durante campagne pregresse di scavo, nel 1905
e nel 1979).
-
Del
periodo alto-medievale sono pervenute fino a noi alcune suppellettili
di grande pregio, che sono esposte nel percorso mussale sotterraneo al
duomo, come una croce detta di San Procolo (IX-X sec.), in argento
lavorato a sbalzo. Bellissima una superstite colonna con intrecci.
Sono esposti anche una borsa, un piviale e una pianeta dai preziosi
ricami; il sontuoso piviale è detto di San Vincenzo e ha un peso di
100 chili!
-
Per
cedimenti nella porzione N-O, nel XII secolo si attuarono profondi
interventi di ristrutturazione, che mutarono consistentemente
l’architettura dell’edificio ecclesiastico. Si crearono dei
contrafforti e si aggiunsero dei pilastri tra le colonne. Naturalmente
anche il gusto decorativo si adeguò allo stile romanico, con nuovi
arredi e rinnovati affreschi che, per la posizione in cui si vengono a
trovare, colpiscono il visitatore fin dall’ingresso in questo
“museo sotterraneo”. Si tratta di opere parzialmente conservatesi
(malauguratamente furono gravemente danneggiate per ricostruire la
chiesa di epoca successiva), della fine del XIII secolo, attribuite al
Maestro di Angera. I temi sacri si sviluppano sulla figura (piuttosto
rara) di Sant’Anna Metterza (cioè in cui sono
presenti S. Anna, Maria e Gesù Bambino), con due oranti ai lati;
altri affreschi ritraggono figure di santi (Giovanni Battista, San
Pietro, S. Caterina d’Alessandria).
Vi
è anche una Crocifissione di piccole dimensioni e una, più grande, è
stata rovinata (att. al Maestro dell’Albero della Vita). Questi
affreschi dovevano coprire la parete del presbiterio. In una cappella
adiacente ad esso, si riuniva la Confraternita di S. Maria della
Misericordia. Sotto gli affreschi si trovano degli elementi
decorativo-simbolici degni di attenzione.
Del
XII secolo si è trovata anche una tomba terragna. All’inizio del
percorso troviamo due sarcofagi, in cui vennero rinvenuti dei corredi
tombali (le figure maschili e femminili presentano in evidenza gli organi
genitali). La pratica di seppellire i defunti all’interno della chiesa
era frequente; questa chiesa era disseminata di sepolture, sia terragne a
camera che monumentali.
Da
rimarcare la lastra sepolcrale di Giovanni Bucelleni, originariamente
dotata di una targa che ne elencava le cariche ecclesiastiche. L’uomo
morì a 90 anni nel 1472 ma il suo sepolcro era già pronto quando il
religioso era ancora in vita: fu infatti realizzato nel 1468 da Jacopo
Filippo Conforti.
-
Del
1386 è la preziosa Croce di Ughetto, una croce usata nelle
processioni, eseguita da Ughetto Lorenzoni da Vertova su commissione
del Capitolo della chiesa. L’importanza del manufatto, veramente
splendido, era anche la presenza in origine di 34 reliquie miracolose,
sigillate in sette parti della preziosa oreficeria. Tra gli altri
cimeli, è presente anche un reliquiario della Sacra Spina (si
riteneva proveniente dalla corona di spine di Gesù Cristo).
-
Molto
intensa è la Madonna dei Canonici della Cattedrale, un’icona
di scuola cretese del XV secolo, nota anche come Madonna della
Consolazione (e assimilabile ad una Madonna Nera). Poco prima di
giungere al cospetto di questa bellissima iconografia, si attraversa
uno spazio le cui pareti presentano degli schizzi o bozze di disegni:
si tratta di uno spazio che era adibito a studio e architettura (dove
cioè i costruttori del XVII sec. preparavano i modelli in scala).
-
Nel
1459 Antonio Averlino detto il Filerete viene incaricato dal vescovo
Giovanni Barozzi di progettare una nuova cattedrale ma quando, nel
1465, il vescovo venne eletto patriarca di Venezia, l’architetto
lasciò i lavori interrotti.
-
Nel
corso del XVII secolo diversi architetti vennero chiamati ad occuparsi
dei lavori; nel 1613 Lorenzo Bingo con il Richino, l’anno seguente
Agostino Avanzi; nel 1688 Gio. Cristoforo Bettera; nel 1689 Carlo
Fontana, al quale si deve sostanzialmente l’aspetto odierno.
Entrano due scolaresche, l’atmosfera trascolora, si ritorna al presente.
Il percorso è compiuto, si getta un ultimo sguardo all’insieme, si
torna ancora un momento a perlustrare le zone più nascoste (sempre
seguiti dalla sagace custode…), a rimirare i colori ancora vivi degli
affreschi, ad immaginare lo svolgersi di una vita quotidiana al tempo dei
romani, a ripensare alla polvere che ricopre la verità delle Cose.
Che
prima o poi tornano sempre.
|
|