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Il Computo del tempo e l’architettura medievale
Rapidi accenni
di Carlo Valdameri
Evocare l’importanza, nell’architettura medievale, di un fattore come l’orientamento rispetto ai punti cardinali, significa citare un dato di fatto ampiamente noto e riconosciuto in ragione delle ampie e numerose testimonianze riportate da antichi testi, nonché dei dati ricavabili da verifiche sui monumenti,.
La disposizione “orientata” degli edifici consacrati era infatti considerata necessaria per sottolineare il significato simbolico delle strutture degli edifici stessi.
Si assecondavano così le consuetudini liturgiche del tempo che volevano, ad esempio, che il fedele rivolgesse “ad orientem” le sue preghiere mentre, tendenzialmente, sempre “ad orientem” era impostato l’intero percorso liturgico all’interno delle chiese determinando a sua volta la disposizione degli arredi sacri.
Tuttavia, sempre a proposito dell’architettura religiosa medievale, occorre segnalare come, oltre al significato strettamente simbolico, l’orientamento degli edifici, sapientemente definito e modulato, avesse fondamentali conseguenze sul piano pratico, in particolare in funzione del computo del tempo.
Dobbiamo infatti ai rari documenti noti ed a lavori come quello di M. Pejakovic, che ha comparato alcune chiese della costa dalmata, la dimostrazione di come fosse possibile calcolare i tempi importantissimi delle ore canoniche proprio grazie all’orientamento delle pareti e delle aperture delle chiese.
Per definire meglio questo punto, senza naturalmente addentrarci più di tanto in un argomento così vasto come quelle delle ore canoniche, è comunque qui il caso di indicare come, appunto, per ore canoniche si intendano quelle che prendono il nome dai corrispondenti Uffici Divini, ovvero dai momenti di preghiera giornalieri previsti, appunto, dalla cosiddetta Liturgia delle Ore.
Questa Liturgia, le cui origini risalgono al primo diffondersi del Cristianesimo, deve alla Regola di S. Benedetto (VI° secolo) l’impostazione e l’organizzazione che la caratterizzarono e che scandirono quindi i ritmi della vita religiosa ed anche civile durante tutto il medioevo ed oltre.
I momenti di preghiera diurni previsti da questa Liturgia avevano ed hanno i nomi di Mattutino, Prima, Terza, Sesta. Nona, Vespri e Completorium per essere celebrati appunto, nelle omonime ore canoniche.
Per quanto riguarda i momenti di preghiera notturni, la Regola prevede invece le Vigilie .
Va aggiunto inoltre che, sino all’introduzione degli orologi meccanici sui campanili (fine XV° secolo in Italia), le ore canoniche erano calcolate sulla base di quelle “temporarie” di origine romana, che si ottenevano dividendo in dodici parti il periodo che va dal sorgere del sole al suo tramonto ed in altrettante parti il periodo che finisce al sorgere successivo.
In questo modo si ottenevano ore diurne che tendevano sempre più ad allungarsi man mano che ci si avvicinava al solstizio estivo ( 21 Giugno, giorno più lungo dell’anno, durata dell’ora, per 44° di latitudine, maggiore di 76 minuti), mentre tendevano sempre più ad accorciarsi appropinquandosi al solstizio invernale (21 Dicembre, giorno più corto dell’anno, durata dell’ora di luce: 43 minuti). Il discorso inverso, valeva, naturalmente, per le ore della notte.
Le ore del giorno avevano durata equivalente a quelle notturne agli equinozi (21 Marzo e 23 Settembre, durata dell’ora: 60 minuti).
Per ottenere i tempi delle ore canoniche sulla base di quelle temporarie bastava, allora, dividere queste ultime in sei gruppi1, di solito uguali tra loro, secondo lo schema qui sotto riportato.
Per completezza, va aggiunto a quanto detto sinora che la Regola di S. Benedetto ebbe, nel corso dei secoli, interpretazioni diverse nonché adattamenti a realtà di vario genere anche se, come si è già accennato, i rintocchi delle campane che annunciavano le celebrazioni degli uffici divini rimasero comunque, per lungo tempo, nelle campagne e nelle città, i riferimenti principali nello scorrere giornaliero delle ore.
Tornando alle chiese medievali, vediamo allora come l’orientamento delle loro strutture fosse spesso indirizzato alla direzione dei raggi di sole nei momenti delle ore canoniche nei giorni fondamentali dell’anno come i solstizi e gli equinozi (vicinissimi per altro a feste importanti come il Natale, l’Annunciazione, i SS. Pietro e Paolo) e grande rilevanza era inoltre riservata al giorno dedicato al santo patrono.
Con questi riferimenti era allora possibile verificare il passare delle ore sia osservando lo scorrere delle luci e delle ombre sulle pareti esterne nei giorni soleggiati, sia regolarsi in base ai fasci di luce che le aperture orientate proiettavano comunque all’interno, di solito piuttosto buio, anche quando la luminosità esterna era scarsa ed il cielo nuvoloso.
I punti di riferimento principali, all’interno, erano principalmente ricavati nell’altare per le finestre dell’abside e sul pavimento, nel baricentro della chiesa, per quelle della navata. All’esterno, i riferimenti potevano essere diversi e vari .
Sempre a proposito dell’importanza dell’orientamento degli edifici medievali, ne va infine sottolineata la relazione evidente con l’iconografia scolpita ed anche dipinta negli edifici stessi .
In realtà, almeno a conoscenza di chi scrive, non esistono sinora su questo argomento studi completi e sistematici ma solo parziali ed occasionali e soprattutto frequenti accenni e indicazioni pressoché in tutti i testi che si occupano di iconografia medievale.
La carenza di studi su questo tema era per altro lamentata da iconografi ed iconologi sin dal secolo passato.
A questo punto, non rimanendo naturalmente che prendere atto della suddetta carenza, si vuole semplicemente evidenziare come, proprio all’orientamento delle aperture, siano generalmente riferite una serie di raffigurazioni che spesso circondano o comunque si trovano su bordi ed archivolti di finestre e feritoie nelle chiese medievali.
Si tratta di un’iconografia assolutamente varia e fantasiosa nella quale sono però ricorrenti alcuni simboli, spesso in associazione tra loro, che hanno per altro valenze “solstiziali” come la cosiddetta “rondella celtica” , o “equinoziali” come la stella a otto punte inserita in una circonferenza (derivata da un’antichissima iconografia del pianeta Venere) , o riferimento al raggio di sole ( inteso soprattutto come primo e ultimo raggio) come il giglio o fiordaliso.
Il Giglio
la Stella
la Rondella celtica
Per chiarezza è forse opportuno anche ricordare che, naturalmente, questi simboli si trovano, con una pluralità di significati diversi correlati tra loro, nei contesti più vari nei quali sono stati talvolta studiati e spiegati, senza necessariamente trovarvi relazioni con l’orientamento.
Si tratta infatti di raffigurazioni ampiamente diffuse e non è difficile rintracciarle, solo per fare alcuni esempi, in prossimità di porte (solstizi ed equinozi = porte del cielo) con valore semplicemente apotropaico o inseriti in cosmologie di vario genere .
Naturalmente le verifiche che si possono effettuare sul rapporto iconografia –orientamento delle aperture sui singoli monumenti, nella maggioranza dei casi non sono semplici e per lo più effettuabili sulla carta.
Ciò dipende principalmente dal fatto che, seguendo i dettami della Riforma Liturgica Tridentina e di quelle successive, la composizione e la posizione degli arredi liturgici che si ritrova ora all’interno delle antiche chiese è di solito stata radicalmente e ripetutamente modificata rispetto quella medievale; questo inevitabilmente comporta una difficoltà a rintracciare i punti di riferimento per la direzione dei raggi che, come si è detto, erano spesso indirizzati verso elementi importanti dell’arredo.
Altre difficoltà nelle verifiche possono dipendere dalle modifiche strutturali subite dagli edifici chiesastici nonché da interventi architettonici effettuati nel terreno circostante.
Venendo ora a mostrare alcuni semplicissimi esempi di ciò di cui si è appena parlato, pare importante sottolineare come ciò che segue non abbia alcuna pretesa di costituire neppure la premessa per discorso organico sul rapporto iconografia-orientamento-computo del tempo; si tratta invece di null’altro che esemplificazioni ricavate su alcuni monumenti che per relativa conservazione delle strutture, disponibilità di rilievi grafici sufficientemente precisi e, non ultimo, per la loro accessibilità permettevano una analisi che portasse a risultati attendibili, per quanto elementari. Si tratta in particolare, in entrambi i casi mostrati, di osservazioni che riguardano il mezzogiorno.
Il fiume Marecchia, prima di attraversare la città di Rimini e sfociare nel Mare Adriatico, percorre una valle ricca di testimonianze architettoniche medioevali.
Nella bassa valle, ad esempio, incontriamo, sotto l’abitato di Verucchio, la pieve di S. Martino in Rafaneto .
Si tratta di una chiesa che mostra strutture notevolmente antiche, alcune della quali forse realizzate anteriormente al XI° secolo.
Nelle murature a sinistra ed a destra dell’abside, è stato ricavato un notevole sistema di feritoie asimmetriche, certamente finalizzate al computo del tempo, delle quali sarebbe senz’altro interessante verificare l’orientamento.
Tuttavia è su un particolare dell’abside duecentesca che poseremo in questo caso la nostra attenzione.
Specificamente, vogliamo porre in evidenza una piccola sagoma scolpita sotto il terzo archetto, partendo da sinistra, nella serie di archetti gotici che percorrono la sommità del tamburo absidale.
Si tratta di un rilievo estremamente consunto e difficilmente distinguibile che comunque riesce ancora a rivelare la protome di un animale cornuto sormontato da una sporgenza che in alto è ricurva.
Questa raffigurazione si trova esattamente in direzione dell’Est rispetto al centro del semicerchio absidale e ciò significa che tutti i giorni soleggiati dell’anno l’ombra scorre dalla destra alla sinistra dell’abside, scandita dagli archetti, per incrociare la piccola scultura nel preciso momento del mezzogiorno astronomico giornaliero.
E’ allora molto probabile che la protome scolpita sia quella di un ariete ,ovvero si tratti del simbolo tuttora usato per indicare il cosiddetto “punto gamma”, ovvero il punto dell’orizzonte , coincidente esattamente con l’Est, ove il sole sorge agli equinozi, mentre per quanto riguarda l’oggetto ricurvo più in alto, potrebbe quindi essere un modo di simboleggiare la collina che impedisce la vista del mare e quindi dell’orizzonte dal luogo ove si trova la chiesa. S. Martino in Rafaneto
a destra: una rappresenzazione stilizzata della protome d'ariete di San Martino
S. Martino in Rafaneto
La protome di ariete come si ritrova sotto uno degli archetti dell’abside.
Questo segno indicava il punto dell’orizzonte in cui il sole entrava nel segno dell’ariete
All’inizio dell’alta valle del Marecchia è la pieve di S. Pietro in Messa, edificio databile al XII° secolo, sottoposto a pesanti trasformazioni e mutilazioni nel corso della sua storia, nonché ad un discutibile restauro nei decenni scorsi.
Sul lato Sud della navata, sono ancora visibili quattro feritoie murate, delle quali l’ultima a S-E, verso l’abside, ha l’architrave decorato con un simbolo di genere “solstiziale”* inclinato e due “pallini” in rilievo ai due lati del raggio inferiore della “rondella”.
In questo caso dovrebbe trattarsi di un modo di indicare che, come ora si può rilevare solo dalla carta, il sole, nel mezzogiorno astronomico in un giorno molto vicino al solstizio d’inverno faceva giungere da questa apertura la propria luce sino ad illuminare un punto coincidente con il baricentro della navata forse in antico evidenziato sul pavimento.
Si è voluto sinora evitare di entrare in complesse trattazioni sul significato dei simboli; basterà qui allora sottolineare come il mezzogiorno, che è culmine e quindi momento “di passaggio” principale del corso giornaliero del sole, sia da intendersi esso stesso come “momento solstiziale”.
Nel caso specifico si parla quindi di un “solstizio nel solstizio”.
La “rosa” inclinata rappresentata qui sotto nel disegno è quanto appare scolpito sopra l’architrave della quarta feritoia murata della parete esterna della navata destra della chiesa L’inclinazione dovrebbe essere un modo di rappresentare che si prende in considerazione un giorno solo vicino al solstizio invernale.
S. Pietro in Messa
 
  • Articolo pubblicato per gentile concessione dell'autore, Carlo Valdameri. Appassionato di iconografia medievale in generale ed in particolare di quella riferita all'orientamento. Si interessa anche a ciò che riguarda il medioevo della sua città che è Rimini, dove è nato e vive. Ha 39 anni e lavora presso un Ente pubblico.