Sui due cofanetti pseudo templari di Essarois e di Volterra
di P.Galiano e A. De Luca
Alcuni
amici, dopo aver letto i precedenti articoli (1)
sul giardino iniziatico di Villa Vigodarzere-Valmarana a Saonara, hanno
domandato maggiori informazioni a proposito della citazione da noi riportata
del saggio di Giovanni Cittadella in cui si parla, a proposito della statua
del Baphomet presente nella terza grotta dei Templari, del “prototipo
della fede ofitica che il Jappelli accortamente volle espresso in caratteri
arabici.. perché l’orientale favella ci fosse velame a troppo liberi sensi”.
Questa
iscrizione in “caratteri arabici” di cui parla Cittadella è stata
sicuramente ripresa dallo Jappelli da un’incisione raffigurante il Baphomet,
che venne per la prima volta pubblicata da von Hammer Purgstall in
Mémoire sur deux coffrets gnostiques du moyen-âge, du cabinet de M. le duc
de Blacas, Dondey-Dupré Parigi 1832 (reperibile presso la Biblioteca
Nazionale di Francia cat. N° FRBNF30572982). L’incisione che abbiamo
riportato nel nostro articolo (FIG. 1) è tratta dal Die
Schuld der Templar di von Hammer, pubblicato a Vienna nel 1857 (testo
disponibile sul web tramite Google libri).
La ricerca
di von Hammer su questi cofanetti venne ripresa in due saggi da Prosper
Mignard (Monographie du coffret de m. le duc de Blacas, Dumoulin
Parigi 1852, reperibile presso la Biblioteca di Storia Moderna di Roma inv.
N° 001215340 e Suite de la monographie du coffret de m. le duc de Blacas,
Dumoulin Parigi 1853, reperibile presso la stessa Biblioteca inv. N°
000640063), i quali ne costituiscono la naturale prosecuzione.
Poiché la
traduzione del testo “in caratteri arabici” da parte di ambedue gli
autori ci è parsa parzialmente inesatta sia nella disposizione delle parole
arabe sia nel significato in sé, con l’aiuto del coautore del presente
articolo, Alberto De Luca, proveremo a darne una versione più corretta.
Chi ha fatto
incidere questa scritta in “caratteri arabici” nel giardino di
Saonara? Von Hammer era stato a Venezia tra il 1819 e il 1821 e quindi in
tale periodo poteva aver conosciuto personalmente lo Jappelli, architetto e
progettista del giardino di Saonara, o il suo committente, il conte
Vigodarzere, ma poiché in tale data il von Hammer aveva pubblicato il
Mysterium Baphometis revelatum, Schmid Vienna 1818 (una copia del quale
si trova a Roma alla Biblioteca Universitaria Alessandrina inv. N° LA
1023749), in cui non è presente la litografia in questione ma una tavola
contenente altre figure ritenute da von Hammer come “idoli gnostici” (FIG.
2), non fu probabilmente in questa occasione che lo Jappelli potè
venire a conoscenza della litografia del Baphomet.
Fu
invece probabilmente l’erede di Vigodarzere, il conte Andrea Cittadella, il
quale, come riferisce il cugino Giovanni ne Il giardino di Saonara
(Alvisopoli, Venezia 1838), ampliò proprio la grotta dei Templari in un
periodo tra il 1833 (data di pubblicazione di un resoconto di visita al
giardino scritto da Tullio Dandolo in cui non si parla del Baphomet) e il
1838 (data in cui Giovanni Cittadella stampò il suo testo), ad avere modo di
conoscere le Memoires sur deux coffrets gnostiques, pubblicate come
si è detto nel 1832.
Bisogna
quindi supporre che Andrea Cittadella avesse ragioni particolari per volere
questo specifico monumento nella Grotta dei Templari, anche se su ciò si
possono fare, a quanto noi ne sappiamo, solo congetture.
POSSIBILI
ETIMOLOGIE DEL NOME BAPHOMET
Prima di
parlare dei due cofanetti in questione e delle scritte presenti su di essi,
vogliamo soffermarci su di alcune possibili etimologie del nome Baphomet.
Nel Medio
Evo la parola Baphomet si ritrova in alcuni testi dell’epoca come corruzione
del nome di Maometto (Mafomet): si veda ad esempio la sirventese Ir'e
dolors s'es dins mon cor asseza scritta tra il 1265 e il 1266 proprio
dal templare Ricaut Bonomel: “Bahometz peut mettre en
oeuvre toute sa force car il sait faire agir pour lui son
Melicadeser”, cioè Maometto (Bafometz) mette in opera tutta la sua
potenza per mezzo del califfo Baibars (Melicadeser); in senso lato Baphomet
indicherebbe un demone o un dio malvagio.
La parola potrebbe trovare la
sua etimologia dal greco βαπτις e μητις “battesimo di giustizia”,
uno dei nomi con cui veniva indicato da alcune sette gnostiche cristiane il
Battesimo amministrato ai loro adepti, etimologia ripresa anche dal
Fulcanelli tra le sue diverse interpretazioni del Baphomet, considerato “emblema
delle tradizioni segrete dell’Ordine templare”, oltre quella di “tintura
di Luna” da βαφευς tintore e μης o meglio μην luna,
sulla base di una lettura alchemica della figura (Le dimore filosofali
vol. I, pag. 164 e pag 165 nota 1 - Mediterranee, Roma 1973).
Al
contrario, vi è chi ritiene falsa quest’ultima etimologia e preferisce
riportarla all’arabo abufinamat – bufihamat cioè “padre della
comprensione”, termine adoperato dai Sufi per indicare il
raggiungimento di uno stato di coscienza particolare.
Guenon in
Études sur la Franc-massonerie, rifacendosi a quanto scrive von
Hammer in Mémoire sulla possibile derivazione di Baphomet dalla
parola araba bahumid con significato di “vitello”, forma
sotto la quale viene adorata la divinità da alcune sette gnostiche
siro-palestinesi e in particolare dai Drusi, nega l’esistenza di un tale
termine arabo, e lo corregge in bahimah, parola che designa
l’insieme degli animali, o meglio ancora nell’equivalente ebreo behemoth,
plurale di behemah, che Jean Reyor nel suo commento a Études
sur l’ésoterisme chrétien di Guenon traduce come “designazione
collettiva dei grandi quadrupedi”.
Questa
etimologia è particolarmente interessante in quanto proprio nell’ambito
della setta degli Ofiti, setta gnostica alla quale von Hammer e Mignard
fanno risalire l’eresia dei Templari, è presente un angelo di nome
Behemoth, il quale nel “diagramma ofitico” descritto da Origene nel
Contra Celsum VI 25 (trad. A. Colonna, UTET Torino 1971 ) è posto al di
sotto dei dieci cerchi raffiguranti probabilmente l’insieme della creazione,
in opposizione a Leviathan, il drago o serpente, che è dagli Ofiti
considerato l’anima mundi, il cui nome è scritto intorno alla
raffigurazione dei cerchi. Questo farebbe del Behemoth ofitico una
sorta di “materia prima” che sostiene e da cui si origina la creazione.
Un’origine persiana del nome dell’idolo
viene data da Blochet (Études sur le gnosticisme musulman, in
“Rivista di studi orientali”, agosto 1908), il quale fa derivare il nome
bahumid dal persiano, collegandolo al termine iranico vohu-mita,
ove vohu significa buono e mita misurato,
quindi “ben misurato”, considerandolo quindi un angelo mazdeo
assimilato al Cristo dalle sette gnostiche di derivazione iranica,
il cui nome bahumid, per lo scambio frequente tra h e f, è divenuto
Baphomet.
Non possiamo
sorvolare su di un’ulteriore etimologia, questa volta dal celtico,
prospettata da Malvani (Le origini celtiche dell’Ordine del Tempio,
in “Revue d’histoire celtique” n° 6), secondo cui, essendo la genesi
dell’Ordine del Tempio nella regione anticamente celtica del nordovest
francese e fiammingo, è possibile la genesi della parola dal termine
anglosassone hoff n mat , “che vuol dire ‘il sapiente opaco’,
opaco e dunque morto, ormai entrato nei Regni dell’Al di là”.
Il “sapiente
morto” viene connesso da Malvani alla tradizione celtica e germanica delle
“teste mozze”, i crani dei cadaveri dei guerrieri e degli sciamani che
venivano inchiodati all’ingresso delle abitazioni e ai quali veniva
attribuita da questi popoli una totale conoscenza del passato e del futuro,
esempio per tutti la testa di Mimir che Odhinn consulta nelle saghe norrene,
e che nel caso dei Templari, ciò che Malvani non aggiunge, sarebbe in
rapporto con l’esposizione nei loro Capitoli di raffigurazioni della sola
testa del Cristo derivata dal lino della Sacra Sindone secondo le ricerche
della Frale (I Templari e la Sindone di Torino, il Mulino Bologna
2009).
I
DUE COFANETTI
Il lavoro
sia di von Hammer che di Mignard verte sull’esame delle immagini presenti su
due cofanetti di pietra, il primo, come riferisce Mignard, trovato nel 1789
in Francia, nei pressi di Essarois (Coté d’Or, Borgogna) ed il secondo in
Italia, a Volterra, cofanetti le cui immagini sono interpretate dai due
autori a sostegno della loro tesi sull’empietà, l’idolatria e le aberrazioni
sessuali dei Templari, essendo il von Hammer tra i primi promotori della
tesi di un “complotto” contro lo Stato e la Chiesa che risalendo agli
gnostici proto cristiani giunse fino ai Catari, ai Templari e alla
Massoneria.
Descriviamo
brevemente questi due cofanetti, i quali a detta dei due autori dovevano
servire per custodire la testa barbuta dell’idolo attribuito ai Templari:
quello di Essarois è in calcare e misura secondo la descrizione di von
Hammer cm. 23 di lunghezza per cm. 17 di larghezza e cm. 11 di altezza,
mentre lo spessore del coperchio è di cm. 6, quello di Volterra è di una
pietra più fine e misura cm. 25 di lunghezza per 12,5 di larghezza e
altrettanti di altezza, ed è mancante di coperchio; ambedue al tempo dei
lavori di Hammer e di Mignard, come riferisce quest’ultimo sia in ,
appartenevano al museo privato del Duca di Blacas.
Queste
piccole arche di pietra presentano tutti i lati decorati con sculture
raffiguranti strani rituali che gli autori collegano a pratiche gnostiche e
che il Duca di Blacas fece a suo tempo litografare per mettere il materiale
a disposizione degli studiosi, come precisa von Hammer nella dedica del suo
libro al Duca (FIG. 3, 4, 5, 6 per il cofanetto di Volterra
e FIG. 7 e 8 per quello di Essarois).
Perché
questi due cofanetti di calcare sono detti “templari”? semplicemente per il
fatto che ambedue sono stati scoperti nei pressi di importanti Precettorie
templari.
Per quanto
concerne quello di Essarois, questo paese (attualmente di soli 93 abitanti)
si trova a pochi chilometri da Voulaines, ora nota come
Voulaines-les-Templiers, ove i Templari si installarono nel 1163 facendone
dal 1175 la residenza del Priore della regione della Borgogna; il cofanetto
venne ritrovato nel corso di scavi nel 1789 a circa due chilometri da
Essarois, in una località nota nella zona come la Cave e
appartenente al conte di Chastenay, fu in seguito acquistato presso un
mercante di antichità di Digione e infine comprato dal duca di Blacas. Il
luogo di ritrovamento era quindi lontano dalla sede del Priorato templare e
solo la fervida immaginazione ed i preconcetti di von Hammer e di Mignard
potevano farne a tutti i costi un oggetto templare.
Sul secondo
cofanetto le notizie sono più scarse e lo stesso Mignard accenna brevemente
nella Suite de la monographie soltanto alla sua provenienza: esso
venne trovato a Volterra, ove non è certa la presenza di una sede templare,
che si trovava invece a Montelopio in Val d’Era, ma anche in questo caso
nessuna prova lega il luogo del ritrovamento con l’Ordine.
Il coperchio
del cofanetto di Essarois porta incisa la figura del Baphomet la quale ha
ispirato la statua che si trova (o meglio si trovava, essendo ora in pezzi)
nel giardino di Villa Vigodarzere-Valmarana a Saonara e che i due autori
considerano l’idolo adorato dai Templari, del quale si riferisce in alcune
delle confessioni rese (in genere sotto tortura) nel corso del processo.
Per la
precisione ricordiamo che nessun idolo del genere è stato mai trovato nelle
Precettorie o nelle grancie templari e l’unico episodio che può essere
correlato alla esistenza di un “bafometto” avvenne nel corso dell’inchiesta
di Filippo il Bello (quindi “a caldo”, quando non sarebbe stato possibile
far scomparire testimonianze pericolose), quando Guillaume Pidoye,
tesoriere del Tempio di Parigi, parlò di un “idolo” conservato nel tesoro
ed una pronta perquisizione della polizia portò al ritrovamento di un
reliquiario femminile d’argento recante la scritta in caratteri latini “58”
(probabilmente un numero di inventario e non come alcuni vogliono la
testimonianza della esistenza di 58 teste simili, visto anche che delle
altre 57 non si è trovata traccia).
Questi
cofanetti, i quali presentano analogie con altri cofanetti, crateri o idoli
conservati al Gabinetto di Vienna e presentati da von Hammer nel
Mysterium Baphometis revelatum, sono da lui stesso come da Mignard
considerati opera di scultori ed incisori europei del XIII sec., come
confermano le stesse iscrizioni, le quali non sono state fatte da un
incisore arabo, padrone della lingua, ma da persona scarsamente competente
nella lingua, come si comprende dagli errori di ortografia e dalla cattiva
incisione di alcune lettere arabe, nonché dal fatto che vengano trasferite
in lettere arabe parole latine (cantate) e greche (Mete).
Questi lavori sarebbero stati eseguiti
secondo von Hammer in epoca medievale e ciò confermerebbe il suo pensiero
circa la sussistenza di eresie gnostiche proto cristiane ancora in pieno
Medioevo.
L’ossessione
di Mignard per l’attribuzione ai Templari dei cofanetti lo porta a
concludere (Suite de la Monographie) che le due iscrizioni lunghe
siano ambedue di otto parole, calcolando come tali anche le lettere isolate,
per esaltare il numero otto sacro all’Ogdoade degli gnostici e quindi dei
Templari!
La prima
traduzione che esamineremo, in quanto è la più complessa, è quella del
cofanetto di Essarois (FIG. 1): esso reca
inciso sul coperchio un inno che costituisce una deformazione diabolica del
Cantate Domino ortodosso. L’iscrizione si svolge sui quattro lati
della figura senza una precisa indicazione del suo inizio: esaminiamo ora la
traduzione riga per riga secondo von Hammer.
L’inno
inizia probabilmente dalla linea superiore:
Jah
la la Sidna (sarebbe casomai corretto Jahla Sidna):
O Dio nostro Signore; la presenza della parola Jahla
come nome del dio viene connessa da von Hammer con la deposizione del
templare Raimond Rubei, il quale disse che “il suo superiore baciando
l’idolo dipinto (depicta figura Baffometi) disse: ‘Yalla’, parola
saracena”: costui ha usato lo stesso nome con cui inizia questa
iscrizione, quindi, afferma von Hammer, il cofanetto è templare.
Prosegue con
la riga a destra della figura:
Houvè Mete Zonar feseba (o sebaa) B
Mounkir teaala Tiz
Houvè Mete: Lui, Mete (o Mate) (qui troviamo uno
degli errori fatto dall’incisore e rilevato da von Hammer, che man mano
sottolineeremo ad uso degli specialisti: il punto sulla Z della parola
successiva è posto per errore sul te di Mete).
Zonar: la cintura, la quale sec. Von Hammer è la cintura “dei
brahmani e dei magi adoperata come simbolo dei differenti gradi di
iniziazione, simbolo sacro dei Parsi, il che dimostra l’origine persiana di
certe sette gnostiche”; la cintura viene da lui messa in rapporto con
la “cordicella” che secondo gli inquisitori i Templari portavano intorno
alla vita e dalla quale non dovevano mai separarsi. Mignard nella
Memoire riporta l’uso nella Chiesa cristiano orientale di recarsi in
chiesa portando una cintura sull’abito, uso presente anche presso i
musulmani siriani, per cui in ambedue i casi “togliere la cintura” era segno
offensivo o di punizione.
Questa
“cordicella”, che compare tra le accuse di idolatria mosse ai Cavalieri nel
corso del processo (si veda Barber Processo ai Templari pag. 311,
ECIG Genova 1998) è in realtà la “piccola cintura di cuoio da allacciare
sopra la camicia” (Molle Statuti cap. 138, in I Templari,
la Regola e gli Statuti dell’Ordine, ECIG 1994) che faceva parte
dell’abbigliamento del Templare e che si doveva portare anche di notte
durante il sonno (Statuti cap. 680).
sebaa B: sette (oppure i sette) e B
(che sarebbe per von Hammer iniziale di Barbelo o di Baphomet).
Mounkir: rinnega (von Hammer precisa che la parola “significa
un uomo le cui opinioni e la cui condotta sono contrarie a quelle degli
ortodossi”).
teaala: sia esaltato (ma rileva von Hammer che se ci fosse un punto
sopra l’ultima lettera sarebbe da leggersi “il Totipotente”).
tiz:
deretano (scrive von Hammer: “è la parola volgare che si usa in
Siria e in Egitto, corrispondente al greco πρώκτος, e chiunque abbia
viaggiato in Siria e in Egitto deve conoscere l’imprecazione ‘eiri fi
tizek’”, corrispondente al nostro mandare “a quel paese” una persona).
La
riga sotto la figura è parola latina scritta in lettere arabe:
cantate.
Esaminiamo
infine la riga a sinistra della figura:
N
neslna kia tanker fiana nach B tiz
N
neslna kia: la nostra fu (la N è trasposta rispetto alla parola
kia per cui va letta kiane neslna - von Hammer
riferisce un’iscrizione analoga presente in un idolo del Gabinetto delle
Antichità di Vienna: “la nostra stirpe fu io e i sette”, con
riferimento all’Ogdoade gnostica).
Tanker: tu rinnega.
Fiana: ed io (anche qui ci sarebbe una trasposizione di lettere,
perché fiana doveva essere dopo neslna e quindi si
dovrebbe leggere l’origine mia e nostra (dei sette).
Nach:
germinante, che fa nascere; è noto che il fiorire
e il fecondare come una delle proprietà del Baphomet sono tra le accuse
mosse ai Templari, per cui von Hammer riconosce in questa parola una delle
chiavi per l’attribuzione ai Templari del cofanetto.
B
Tiz: B(aphomet) deretano: per Mignard le lettere invece vanno lette
come TE M, lettere maiuscole che costituiscono per questo autore
una trasposizione delle lettere del nome Mete come all’inizio della frase
per N neslna kia.
Quindi
potremmo riunire queste parole (cosa che von Hammer non fa) traducendo il
tutto:
O
Dio nostro Signore! cantate lui, Mete, con la cintura dei Sette (Eoni
o Primi Angeli) e rinnegate (l’ortodossia)
esaltando il deretano (cioè mediante pratiche omosessuali).
L’origine mia e nostra (cioè dei Sette) è nel
germinare, tu rinnega (l’ortodossia) per il deretano del
Baphomet (oppure supponendo un “esaltando” come nella prima parte:
esaltando il Baphomet con il deretano).
La
traduzione di Mignard riportata nella Memoires si basa invece su di
una arbitraria mescolanza delle due frasi presenti sui lati lunghi del
cofanetto di Essarois con quelle dei lati brevi per cui il testo arabo
risulta essere nella sua interpretazione:
Jah
la la Sidna! Cantate! Houve Mete nach teaala kiane neslna fiana sebaa.
Tanker mounkir tiz zonar
Riportiamo
la traduzione in francese di Mignard: O notre Dieu Seigneur! Chantez!
que ‘lui l’esprit – la sagesse’ qui fait germer soit glorifié! Notre origine
fut et moi avec sept. Reniant en etant contraire a l’orthodoxie le plaisir
t’environne.
Il che in
italiano sarebbe: Cantate ‘lui lo Spirito-lei la Saggezza’
(in quanto Mignard sottolinea il carattere androgino della figura)
che fa germinare, sia glorificato! La nostra origine fui io con i sette.
Rinnegando ed essendo contro l’ortodossia il deretano ti
circonda (!?).
Lasciamo da
parte i commenti.
La scritta
presente nel cofanetto di Volterra si trova su uno dei due
lati lunghi (FIG. 4) e consta di due linee che von Hammer
traduce:
prima linea (von Hammer la riporta direttamente in francese senza
dare la lettura in arabo):
la
nostra origine.
fuoco (o parte della parola Zonar e in tal caso da
tradurre con cintura).
che
fa nascere (anche qui le lettere arabe sono trasposte).
Mete
(anche qui trasposte in te me).
seconda linea:
Neslna : sette furono.
Mounker o Mounkeri : che rinnegano
(se si aggiunge la lettera ya successiva, che von Hammer traduce in
francese con reniant).
ya B
(per von Hammer ya potrebbe anche esser parte della parola “che
germina” della linea superiore o della parola precedente Mounker
e B starebbe per Baphomet, oppure ancora ritiene si possa leggere
il tutto insieme come Tiz : deretano).
Quindi:
Il Mete che fa germinare ha la nostra origine nel
fuoco (o nella cintura) – i sette furono (coloro)
che rinnegano per il deretano.
Von Hammer
riporta l’iscrizione su di un bassorilievo appartenente al Gabinetto delle
Antichità di Vienna molto simile a quelle ora tradotte per comprovare la
comune origine del cofanetto francese con quelli orientali:
Sia
esaltato il Mete che genera, la nostra stirpe fummo io e i sette, tu
rinnegando fai ritorno all’ano (il testo dato da von Hammer è in
latino: Exaltetur Mete germinans, stirps nostra et ego septem fuere,
tu renegans reditus proktos fis).
UNA
TRADUZIONE ALTERNATIVA DEL COFANETTO DI ESSAROIS
Riteniamo
sia il caso a questo punto di presentare l’analisi e la traduzione
dell’iscrizione di Essarois secondo il nostro coautore Alberto De Luca, del
quale riportiamo anche alcune considerazioni.
Una sommaria
lettura delle iscrizioni presenti sui lati della misteriosa figura, permette
di concludere che le frasi composte da parole arabe, presenti lungo i suoi
lati lunghi, tradiscono alcune alterazioni nella loro struttura ortografica
e soprattutto rivelano una scarsa coerenza grammaticale, dovuta
probabilmente ad una carente padronanza della lingua araba. A questo si
accompagna pure una difettosa conoscenza della religione araba, che si
palesa in special modo nell’iscrizione sopra la testa della figura. L’uso
della frase “O Signore Iddio”, infatti, non è assolutamente arabo, ma
piuttosto cristiano: nella tradizione musulmana il nome di Dio (Allâh) non è
mai accompagnato dal sostantivo “Signore” e meno che meno gli viene
associato un esortativo enfatico come “yalla”.
L’arabo è
stato quindi deliberatamente usato per velare il testo ed il suo
significato.
Ne derivano
quindi ulteriori considerazioni: chi ha potuto scrivere tutto ciò, cosa
significano in sé queste iscrizioni e soprattutto come leggerle?
L’autore
potrebbe essere stato una persona che ha vissuto in Medio Oriente oppure che
ha intrattenuto rapporti commerciali o culturali con persone provenienti da
questa zona. In mancanza, però, di una datazione certa del reperto, su cui è
incisa l’immagine, non è possibile nemmeno essere sicuri in merito alla sua
provenienza, tanto che la supposizione precedente in merito all’autore deve
essere ascritta alla mera probabilità.
Il
significato delle iscrizioni è il risultato della loro traduzione (che
vedremo tra poco) e della loro contestualizzazione. A questo proposito, va
detto che se la traduzione, ancorché non semplice, può essere effettuata,
l’incertezza che circonda la datazione ed il luogo di creazione potrebbe
pregiudicarne la contestualizzazione, addirittura fino ad infirmarne una
corretta comprensione. Fin tanto che non si sarà riusciti a risolvere i
problemi annessi alla datazione ed alla localizzazione dell’oggetto,
rimangono come possibili (ma non probabili) le opzioni gnostiche e la loro
ricezione in ambito templare.
Come leggere
le iscrizioni? C’è sicuramente un senso da rispettare nella loro lettura e
questo non può essere piegato inopinatamente alle esigenze del “traduttore”.
Cosa che invece sembra sia accaduta con il Mignard. Guardando, quindi, la
figura, sono possibili quattro “direzioni di lettura”: senso orario, senso
anti-orario, senso secondo il segno della Croce fatto all’orientale dal
punto di vista di chi guarda la figura oppure lo stesso senso ma considerato
dalla parte della figura.
La più
interessante possibilità è forse l’ultima: segno della Croce assunto dal
punto di vista della figura; secondo questo senso di lettura possiamo
tradurre:
O
Signore Iddio (sopra), Lui il Mete dalla cintura dei 7 eoni,
Colui che non si comporta conformemente, (ne - aggiunto da noi)
sia esaltato il deretano (ns. destra), cantate
(sotto), la nostra origine rinnego, fecondando il deretano
(ns. sinistra).
Oppure altra
traduzione possibile: O Signore Iddio (sopra), o
Lui che è il Mete dalla cintura dei 7 eoni, sia esaltato il deretano di
Colui, che non si comporta in maniera ortodossa (ns. destra),
cantate (sotto), fecondando il deretano rinnego la
mia (propria) origine (ns. sinistra).
Alcune
spiegazioni sono necessarie: mounkir è participio presente ed
indica “chi non si comporta correttamente”, quindi in senso lato
“normalmente”, adducendo quindi una diversità; fiane va collegato a
tanker e non a neslna come fa von Hammer.
La “nostra
origine” starebbe per la normale origine umana, derivante dall’unione
di maschio con femmina, considerata cosa turpe dalle sette gnostiche ad
impronta manichea, in quanto conduce alla perpetuazione dell’uomo in questo
mondo terreno, creato dagli Eoni delle tenebre avversari del mondo della
luce, per cui “rinnegando” questa generazione, “fecondo il
deretano”, il che indica chiaramente la dispersione del seme e
l’omosessualità.
Le possibili
asserzioni che ci sentiamo di fare: il testo è stato scritto, in ogni caso,
da chi aveva una certa conoscenza dell’alfabeto arabo (diretta o riflessa)
anche se non della sua grammatica; non è propriamente musulmano ovvero non
appartiene ad una corrente musulmana proprio a causa dell’utilizzo di quella
forma sita sopra la testa della figura; il contenuto delle iscrizioni è
volutamente blasfemo e certamente omosessuale: se la setta si fosse limitata
a rinnegare l’unione sessuale regolare avrebbe scelto la castità, come i
Càtari, e non necessariamente l’uso del deretano.
In tutta
l’iscrizione, ovviamente, non vi sono assolutamente elementi per affermare
che queste iscrizioni siano “templari”.
CONCLUSIONI
Certo non è
facile in un breve articolo trarre conclusioni su di un argomento così
complesso, nel quale si dovrebbe anche trattare, ad esempio, della effettiva
presenza o meno di un idolo chiamato Baphomet presso i Templari, visto che
al momento le ricerche consentono di sostenere che la “testa” o “idolo” di
cui si parla nelle deposizioni (ricordiamo ancora una volta, estorte con la
tortura nel gran maggioranza dei casi) siano in realtà o il volto del Cristo
della Sacra Sindone, più volte ripiegata in modo da mettere in mostra solo
tale parte, oppure, e ciò è certo in molti casi, reliquiari fatti a forma di
busto o sola testa del Santo (si ricordi ad esempio la particolare devozione
dei Templari per San Giovanni Battista, decollato da Erode).
Probabilmente si faceva uso anche di piccoli reliquiari in forma umana
intera, stando alla deposizione di Cecco di Nicola di Lanciano (in Bramato
Storia dell’Ordine dei Templari in Italia vol. II pagg. 40 ss.,
Atanòr Roma 1994), in cui il Templare, inviato da Roma alla Precettoria di
Torremaggiore in Puglia, viene costretto a rinnegare il Crocefisso e ad
adorare “un idolo che gli sembrò di metallo, la cui forma era quella di
un bambino in piedi e la cui grandezza era quasi di un cubito” (“ydolum
quod sibi videtur erat de metallo, cuius forma erat ad similitudinem unius
pueri erecti stanti et statura ipsius ydoli erat quasi cubitalis”) ,
atto che, dice il Precettore, non gli era stato fatto fare il giorno del suo
ingresso nell’Ordine a Roma “luogo in cui non era possibile mostrare né
dire tali cose” (“in loco ubi non potuerunt tibi ostendere nec
dicere ista”).
Ritorniamo
al Baphomet di von Hammer e di Mignard: come si è detto nessuna prova esiste
di una diretta connessione con l’Ordine del Tempio se non una prossimità tra
il luogo dei ritrovamenti e le Precettorie più vicine, né in tutta la storia
dell’Ordine vi sono tracce certe di questi usi eretici, tantomeno nei
documenti ufficiali quali la Regola e gli Statuti.
La presunta
Regola templare trovata nel 1877 da Mertzdorff ad Amburgo, in cui
tra l’altro si stabilisce, all’art. 19, come eseguire procedimenti
alchemici, è ovviamente un falso (l’originale del manoscritto ritrovato
scomparve misteriosamente, per cui rimane solo la pubblicazione a stampa di
Mertzdorff), e fortunatamente non fu conosciuta da von Hammer né da Mignard,
i quali l’avrebbero usata per consolidare le loro accuse ai Templari.
Altrettanto dicasi di altre presunte Regole templari, quale quella
attribuita ad un Gran Maestro Roncelin de Fos, mai stato Gran Maestro ma
solo Precettore di Provenza e poi di Inghilterra.
La
traduzione del testo del coperchio di Essarois sembra incentrare tutta la
venerazione del Mete sull’utilizzo diremo non corretto del deretano:
un’affermazione del genere potrebbe trovare riscontro in sette gnostiche
affini, ad esempio, a quella dei Barbelognostici, dei quali è noto (almeno
per quanto ci è giunto su di loro per mezzo dei loro avversari più feroci,
gli autori cristiani del II e III secolo) l’uso di pratiche sessuali
indiscriminate, sia secondo che contro natura, ma non in quella degli Ofiti,
alla quale von Hammer cerca di ascrivere i Templari. Origene, che pure
dimostra di conoscerli bene possedendo “materiale riservato” proveniente
dalla setta, di tutto li accusa fuorchè di pratiche sessuali.
La cattiva
ortografia araba in cui sono scritti i due testi e la scorretta grammatica
adoperata, nonché l’uso di titoli inappropriati quali il “Signore Dio”, come
sopra si è detto, farebbero pensare ad un falso di epoca molto lontana da
quella dei Templari, i quali, ed in particolare quanti avevano vissuto in
Palestina tanto a lungo da potersi essere legati ad eresie gnostiche siriane
o ancor di più a sette musulmane, certamente avevano una buona conoscenza
sia della grafia che dell’uso dei termini (altrimenti difficilmente
avrebbero potuto traviarsi leggendo testi islamici, i quali a quel tempo non
erano certo stampati in traduzione francese…).
Quindi
riteniamo ci siano più prove contro che a favore di un’appartenenza di
questi cofanetti ai Templari, anche se rimane sempre aperta la possibilità
che un piccolo gruppo di deviati in seno all’Ordine celebrassero cerimonie
segrete al di fuori delle Precettorie.
Che l’Ordine
templare in quanto tale sia stato un centro di eresia e di degenerazione
crediamo vi siano tutte le evidenze per negarlo, non solo per gli atti di
eroismo compiuti dai suoi Cavalieri ma anche per la semplicità dei loro
costumi di vita quale è attestata nei documenti autentici dell’Ordine:
pertanto va secondo il nostro parere rifiutata ogni credibilità alle tesi di
von Hammer e di Mignard e di quanti, ancora oggi, ne utilizzano gli scritti
per ingigantire i falsi miti che oscurano la pura realtà dei Cavalieri del
Tempio.