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L’elezione
di Ambrogio a vescovo della città di Milano nel 373 va nettamente
in controtendenza:intanto è giovane, visto che nacque a Treviri nel
339; in secondo luogo non fa parte del clero né è un
passionario cristiano: la sua attività è al servizio dell’Impero
come governatore provinciale e come tale egli si presenta al momento
dell’elezione per la poltrona lasciata libera dalla morte di Ausenzio,
peraltro filo ariano.
Forse fu proprio questo il motivo che lo portò
inaspettatamente a trionfare nell’elezione: egli non era né filo
cattolico né filo ariano ovviamente, ma come governatore
provinciale intervenne per mantenere la calma cittadina e mettere pace tra
gli animi, lo fece a suo modo con un lungo discorso alla folla accorsa per
seguire gli eventi ed in aria di tumulto.
Le sue parole, parole dure ma necessarie,
fecero presa sulla gente e qui successe il fatto che era indubbiamente
inaspettato.Il popolo lo volle a capo della diocesi ed il grido
“Ambrogio Vescovo” risuonò in breve in città: Milano aveva scelto il
suo pastore, lui che nemmeno era nativo della città ma germanico, nemmeno
era battezzato, cosa fatta successivamente nel giro di otto giorni
in modo che potesse essere consacrato dopo che egli, non senza titubanza,
accettò la nomina.
Nel
De Officiis, uno dei suoi scritti, egli così s’esprime su
sé stesso e sulla sua nomina:
“Tolto
ai tribunali ed alle insegne della magistratura e divenuto vescovo, ho
cominciato ad insegnare ciò che neanche io avevo imparato. Cosicché a me
è successo d'insegnare prima di imparare. Quindi mi è stato necessario
imparare ed allo stesso tempo insegnare”.
Egli portò tutta la sua esperienza di
governatore romano all’interno della chiesa.Fermo era come civile, fermo
rimase come pastore, tant’è che era solito portare lo staffile con sé….
Il suo comportamento superò ben presto i
limiti della diocesi milanese e prese ad essere considerato dai regnanti;
infatti, egli fu un innovatore nella riorganizzazione delle
strutture sociali, artistiche (ricordiamo l’introduzione del canto
ambrosiano, alternanza di melodie, inni e salmi), nell’opera di
fiaccatura dell’arianesimo, ma mai trascendendo, e nella lotta contro
Simmaco.
Egli
si permise di riprendere anche l’Imperatore Teodosio per
aver ordinato l’eccidio di settemila persone nella città di Tessalonica
e di far sì che egli chiedesse perdono pubblicamente per quest’atto
scellerato non contro la Chiesa o contro Dio ma contro l’umanità; ma
una volta che Teodosio chiese perdono umiliandosi come nessun Imperatore
Romano aveva fatto prima d’allora, egli non solo lo perdonò, ma lo
chiamò il Grande (nome con cui più tardi passò alla storia) perché
solo un grande Imperatore poteva fare ciò che fece Teodosio.
Qui si vide l’uomo di legge oltre che
l’uomo ecclesiastico, perché Ambrogio era ancora mentalmente un
funzionario imperiale prestato alla Chiesa: egli non fu un “uomo di
fede” come si soleva dire, non era trascendentale o spirituale ma fu un
funzionario Cattolico ligio al proprio mandato come lo era stato quando
aveva lavorato per la magistratura.
Per
questo fu rispettato da tutti: non ebbe correnti favorevoli o sfavorevoli,
il rispetto lo guadagnò lavorando giornalmente alla crescita della sua
città e lavorando con essa, egli non era milanese ma divenne il
simbolo perpetuo della città e la città si consacrò altrettanto in
maniera perpetua a lui diventando
Ambrosiana,
che poi divenne il fulcro centrale dell'ideologia relativa alla cristianità
occidentale.
Ambrogio
considerava il mandato imperiale di Costantino il Grande come una carta
costituzionale per il popolo: una renovatio imperii temperata dal
Vangelo che fungeva da garanzia contro l'eventuale arroganza del principe.
Per lui questa è la vera differenza tra
l'Imperatore Romano ed un re barbaro: Costantino governa su uomini liberi
grazie al suo mandato, l'altro su una società di schiavi.
Nel
388 Ambrogio fornì gran prova della sua abilità politica e
diplomatica scrivendo una lettera a Teodosio dove gli chiedeva di recedere
dalla sua posizione volta d’obbligare i fedeli cristiani di Callinico
alla ricostruzione della sinagoga nella propria città, incendiata dagli
stessi in un eccesso di zelo.
La missiva dimostrava quanto in lui v'era
ancora l'esperto forense romano che mai venne meno anche durante tutto il
suo mandato ecclesiastico.
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Vediamo
più da vicino alcuni passi della lettera capolavoro:
"Come non è da Imperatore il
negare ad alcuno la libertà della parola, così non è da Vescovo il
tacere ciò che uno sente. Nulla rende più popolari e simpatici voi
Imperatori, quando il rispetto della libertà, anche a riguardo di
coloro che a voi sono specialmente soggetti, quali i soldati. C'è,
infatti, questa differenza tra i buoni ed i cattivi Sovrani, che i
buoni amano la libertà, i cattivi il servilismo".
Nella
sua diplomazia ed eloquenza Ambrogio dimostra d'essere quel grande esperto
di diritto e retore forense romano, egli in pratica volle dimostrare a
Teodosio che nulla sarebbe stato più errato che costringere i cristiani a
ricostruire la sinagoga distrutta; il danno era fatto, soggiogarsi non
avrebbe avuto senso né avrebbe portato benefici d'ordine morale e
politico.
In lui l'anima politica, del Console
ligure-emiliano, avrebbe sempre avuto un posto rilevante nel modo d'agire
e di pensare durante tutto il suo mandato come vescovo.
Ambrogio
si dette da fare anche nel 378 per riscattare parte della
popolazione resa schiava dalle tribù barbariche che, valicando le Alpi
Giulie avevano invaso l'Italia orientale e dovevano esser molte
centinaia, stando ai racconti.
Egli non perse tempo: vendette tutto ciò che
d'arredo sacro aveva nelle chiese e ricavò una sostanziale somma di
denaro che servì appunto per il riscatto.
Egli, accusato dagli Ariani d'aver
spogliato un tempio di Dio rispose nel "De Officis",
affermando che i vasi sacri erano destinati al Corpo di Cristo: e corpo e
sangue di Cristo erano anche tutti i fedeli da riscattare dallo
schiavismo, una politica sociale oltre che religiosa.
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Ambrogio fu
un Vescovo diverso sicuramente; costruì la sua impostazione religiosa
lontano da Roma e da quel centro di potere, eppure riuscì ad ottenere
per la Diocesi Milanese tutto ciò che molti Vescovi in altre parti
dell’ecumene non ebbero mai, compresa una liturgia differente,
chiamata appunto Rito Ambrosiano.
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Ambrogio
coniugò il pragmatismo del funzionario romano con la spiritualità
intensa che manifestò in molti campi, Arte compresa, cosa non
banale all’epoca, anticipando di molto i suo coetanei sui problemi
cittadini della vita quotidiana e sicuramente fu anche grazie a lui
che la fenomenale imprenditoria milanese prese la strada che nel corso
dei secoli l'ha sempre contraddistinta come protagonista nel progresso
socio-economico sul territorio italico.
(Enrico Pantalone) |
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