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                      Lo studio dell’archeologia altomedievale

                                                                  di Enrico Pantalone

A dispetto di un’ampia e conosciuta descrizione su testi del livello economico e quindi di conseguenza artigianale, nell’alto medioevo v’è per contro una scarsa conoscenza dell’utilizzo dei mezzi tecnici di produzione del manufatto ed ovviamente anche degli utensili e delle macchine che concorrevano a crearlo.
Gli scavi archeologici non hanno portato nulla di nuovo alla conoscenza del grande pubblico, di fatto, a parte tesori scoperti nelle chiese o in ciò che ne resta, forni per il pane o officine per costruire terracotta (vasi e piatti) nulla è stato ritrovato, tratto comune questo a buona parte del medioevo almeno fino all’anno 1000 e l’archeologia sembra non avere radici in questi limiti temporali, sembra essere un oggetto del tutto sconosciuto e scevro dalla crescita civile e sociale.
Non dimentichiamo che molto di quello che sappiamo sulle usanze sociali nell’epoca buia (che così non è) lo dobbiamo a valenti archeologi che soprattutto a nord dell’Europa continentale hanno scoperto diversi siti contenenti numerosi oggetti che possono aiutare moltissimo la conoscenza relativa per esempio alle grandi invasioni barbariche.

Essendo notevolmente più giovane rispetto ad altre civiltà, lo studio dell’archeologia bizantina, per esempio, rimane alquanto nebulosa, o meglio relativamente poco studiata nonostante i manufatti siano d’eccezionale valore storico ed artistico come ben sappiamo tutti, valutando anche da profani le ceramiche ritrovate.
Perché dunque questo rifiuto nello studiare una realtà che dovrebbe invece appassionare maggiormente in quanto collegata alla storia ed alla vita quotidiana indubbiamente più conosciuta tra tutti noi rispetto a quelle più antiche ?
Uno dei riscontri negativi riguardo all'attualizzazione degli studi sembra essere la mancanza d’interesse delle università anglo-sassoni che da sempre rappresentano il punto iniziale per qualsivoglia ricerca: tendenzialmente si è portati a realizzare che l’archeologia bizantina sia una specie di punto morto tra la civiltà occidentale e quella araba o islamica, e che quindi studiando una o l’altra automaticamente si venga a conoscenza anche delle fonti di Costantinopoli.

Al contrario, se studiamo i siti occidentali e prendiamo ad esempio una delle numerose carte pubblicate che riguardano la zona settentrionale che si affaccia sulla Manica, constateremo numerosi ritrovamenti d’armi, come la francesca e l’angone, i quali ci permettono di decifrare il flusso delle popolazioni franche, le uniche ad usarle normalmente, ma questo lo dobbiamo ai solerti amici franco-tedeschi che si sono adoperati molto nella ricerca.
La francesca è un’ascia da lancio, l’angone è un giavellotto a punta piramidale ed esse risultano consuete durante l’espansione dei Franchi tra il V ed il VI secolo AD verso quelle terre pianeggianti, ma sembra essere l’unica nota lieta o d’interesse specifico, infatti la mancanza di ritrovamenti nei siti in cui si potesse evincere la tecnica per la lavorazione di oggetti metallici come armi o infissi e di vetreria, risulta quanto meno strano, eppure si hanno ben poche notizie in merito, nonostante gli sforzi compiuti, quindi possiamo definire questo un periodo senz’altro oscuro dal punto di vista archeologico.
Ovviamente possono essere molte le motivazioni; sicuramente l’implosione della società ha contribuito a comprimere le abitazioni ed il loro uso lavorativo o forse la successiva sovrapposizione di un abitato o l’abbandono precipitoso del luogo possono essere altri validi motivi.

Abbiamo qualche notizia in più se ci spingiamo ai margini del mondo conosciuto in Africa, cioè ai margini del Sahara; infatti una caratteristica spesso dimenticata, anche dal punto di vista archeologico, è la posizione di diverse fortificazioni militari e piccole cittadelle nel pieno del deserto meridionale libico, confinante con quello egiziano ed indirizzato, commercialmente parlando, verso l’interno del continente africano ed in special modo verso il territorio sudanese che ne era fin dall’antichità il terminale più logico.
Normalmente questi ridotti sono posizionati in prossimità d’oasi, come ad esempio quella di Kharga (insediamento romano di Qasr el Gueita) e nel corso dei secoli sono stati utilizzati anche da persiani e bizantini precedenti e posteriori all'arrivo delle legioni romane.
Più che di resti, si deve parlare di centri veri e propri, preservati dal tempo ed ancora in grado di dirci esattamente come poteva svolgersi il commercio tra Africa interna e Mediterraneo, quindi estremamente importante per comprendere appieno l’archeologia dal punto di vista sociale.
Con ogni probabilità questi centri erano già attivi nel corso dei millenni precedenti e i nostri solerti militari hanno plasmato e reso ancora più funzionale l’accesso alla via carovaniera per il sud in maniera che fosse più semplice entrare in contatto con mercati così lontani.
Una fortezza come quella di Kharga al tempo dei romani poteva essere ben definita ai confini del mondo conosciuto, in effetti, sembrava essere certamente un ridotto forse più in là di qualsiasi attesa, forse d’un nemico che non si sarebbe mai fatto vedere (… mi perdoni il buon Buzzati….).

Alcuni studiosi propendono per una specie di limes sulla falsariga di quelli situati nell’Europa centro-orientale (Reno e Danubio), come effettiva barriera contro un possibile attacco da parte di nemici organizzati meridionali chiamati anche qui, generalmente, barbari.
Personalmente, propendo per una soluzione meno onerosa, ritengo che coloro che costruirono questi insediamenti avessero una visione intelligente del territorio e non potendo avventurarsi oltre quei limiti, per evidenti motivi, decisero di conseguenza che le roccaforti dovevano rimanere punti fissi per un’eventuale difesa grazie ad una grande riserva d’acqua visto che sorgevano all’interno di oasi, nello stesso tempo facili da evacuare in caso di necessità estrema.
Teniamo conto che Qasr el-Gueita si trova non lontano dal Tropico del Cancro ad occidente della Bassa Nubia Egiziana e molto lontana dalle vie normali di comunicazione solitamente utilizzate da tutti gli eserciti che transitavano in quel territorio.

L'archeologia medievale rimane dunque, in generale, un ottimo campo di sperimentazione ed è un peccato che tanti di coloro che si dedicano a quest’attività inflazionando la ricerca antica (etrusca, greca, e romana) senza peraltro portare nulla di nuovo, non si dedichino più profondamente ad un periodo che può dare molte più soddisfazioni proprio perché ancora inesplorato compiutamente.

Del resto l’età medievale è quella che si tende a studiare meno probabilmente perché non lascia molto scialo nella ricerca personale, dato che tutto sommato le costruzioni e l’arte già parlano abbastanza visivamente.
Un punto è anche dato dal fatto che l’archeologia bizantina, per esempio, non si può tranquillamente studiare in un punto ben preciso del territorio, tanto vasto fu l’impero e nemmeno si può dire fosse formata da una tipologia unica di costruzioni: la società era talmente eterogenea che ritrovare un oggetto d'origine araba o persiana potrebbe voler dire ritrovare già anche un oggetto bizantino…..

(Autore:Enrico Pantalone)

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                                                                          aprile 2008