Nei suoi
due libri The Lost Tomb of Alexander the Great e The Quest for the
Tomb of Alexander the Great Andrew Michael Chugg avanza
un’ipotesi molto affascinante, anche se per molti versi incredibile: e cioè
che i resti di san Marco conservati a Venezia, nella Basilica, siano in
realtà i resti di Alessandro Magno.
Chugg
parte dal presupposto che, dopo la sua morte avvenuta il 10 giugno 323 a. C.
a Babilonia, il corpo mummificato di Alessandro Magno sia stato trasportato
ad Alessandria d’Egitto da Tolomeo. Morendo, Alessandro non aveva lasciato
eredi (il figlio di Rossane non era ancora nato) e non aveva dato
disposizioni su chi doveva governare il suo vasto impero, per cui i suoi
generali se lo divisero e Tolomeo scelse l’Egitto. Qui eresse per Alessandro
una tomba colossale, la cui ubicazione e i cui resti non sono ancora stati
individuati (anche se il prof Chugg ritiene di aver capito dove siano).
San Marco
invece visse e morì nel I secolo d. C. e fondò la Chiesa di Alessandria.
Secondo la tradizione, il suo corpo fu mummificato e conservato nella città
egiziana, nella Chiesa di San Marco Evangelista, mentre altri sostengono che
in realtà egli fu cremato.
Secondo
alcune fonti, il corpo di Alessandro era visibile ancora nel 391 d. C., poco
prima che il paganesimo fosse dichiarato fuorilegge, ma poi non se ne seppe
più niente, e le reliquie di san Marco comparvero proprio alla fine del IV
secolo. E’ dunque possibile che qualcuno dei patriarchi della chiesa di
Alessandria vide l’opportunità di preservare il corpo del fondatore della
città dai cristiani più fanatici, fornendo al tempo stesso la cristianità di
una potente reliquia che incoraggiasse la devozione. Fu così che comparve il
corpo di san Marco e sparì quello di Alessandro. E non sarebbe questa la
prima volta che delle reliquie vengono create ad arte per favorire gli scopi
di qualche istituzione o governo.
Poi
nell’828 due mercanti veneziani, Buono di Malamocco e Rustico di Torcello
arrivarono ad Alessandria e visitarono la Chiesa di San Marco. In quel
periodo il clero alessandrino era preoccupato per la salvezza delle loro
reliquie più sacre, soprattutto il corpo dell’Evangelista, a causa dei
governatori islamici della città. Così i mercanti persuasero (o forse
corruppero) i guardiani della chiesa a fargli portare via il corpo. I resti
del santo (ovvero i resti di Alessandro Magno, secondo Chugg) furono messi
in una grossa cesta, ma le spezie che lo ricoprivano erano così profumate
che avrebbero potuto destare i sospetti delle autorità portuali, così i due
veneziani misero nella cesta dei pezzi di maiale: quando gli ispettori del
porto le videro pare siano fuggiti urlando “Kanzir! Kanzir!” (maiale).
Finora,
l’unica ispezione sul corpo del santo è stata eseguita nel 1811, ma si è
trattato di un’ispezione molto superficiale, tenendo conto anche degli
scarsi mezzi di allora. Una nuova ispezione potrebbe finalmente far luce
sulla vera appartenenza dei resti conservati ora nella Basilica. Secondo
Chugg, anche una semplice TAC potrebbe bastare, in quanto Alessandro riportò
diverse ferite (ad esempio una al petto ed una ad una coscia), per cui la
presenza/assenza di queste ferite sulle ossa potrebbe fornire dati decisivi.
Nel caso in cui le ossa fossero in uno stato tale da non permettere una TAC,
si potrebbe passare ad analisi più approfondite, tipo l’analisi del DNA o il
Carbonio-14.
C’è
tuttavia un altro elemento che potrebbe stabilire una connessione tra il
corpo nella Basilica e Alessandro Magno. All’interno della Basilica è stato
ritrovato un grosso blocco di pietra che si trovava precedentemente accanto
alla tomba di san Marco, nella cripta. Sul blocco è scolpito quello che ha
tutta l’apparenza di essere uno scudo macedone, poiché reca il tipico motivo
del cosiddetto “sole macedone” con otto raggi, che era il simbolo della
famiglia di Filippo II, il padre di Alessandro. Lo scudo ha dimensioni molto
prossime a quelle che dovevano avere gli scudi utilizzati nella falange
macedone.
Sotto lo
scudo è visibile una coppia di schinieri, mentre sul lato sinistro del
blocco vi sono delle incisioni che rappresentano una fascia appesa ad un
chiodo ed una spada appesa alla fascia. La spada sembrerebbe essere del tipo
che i greci chiamavano “kopis”. Un motivo straordinariamente simile a quello
del blocco della Basilica (cioè il sole macedone, gli schinieri e la spada
appesa alla fascia), è disegnato sul murale di una tomba risalente al II
secolo a. C. ritrovata ad Edessa, vicino Pella, la città natale di
Alessandro. Inoltre, il motivo della spada appesa alla fascia si ritrova in
numerose tombe del periodo ellenistico.
Da alcune
analisi svolte sul blocco, risulterebbe che esso è costituito da pietra di
Aurisina, un tipo di pietra estratta a nord-ovest di Trieste. Tuttavia,
Chugg ha individuato due località egiziane (una nel Sinai, l’altra ad Abu
Roash, non lontano dal Cairo) da cui si estrae una pietra molto simile a
quella di Aurisina. E’ dunque necessario compiere nuove analisi sul blocco,
in modo da poter stabilire con certezza la sua provenienza.
Se la
roccia di cui è composto risultasse provenire dall’Egitto,ciò
significherebbe che i due mercanti veneziani l’hanno trovata nella Chiesa di
San Marco Evangelista ad Alessandria e l’hanno portata via insieme ai resti
del santo, ritenendo forse che essa fosse in qualche modo connessa con il
suo culto. Tuttavia, se anche dovesse risultare che il blocco è costituito
da pietra di Aurisina, si potrebbe ipotizzare che i due mercanti abbiano
fatto riprodurre su un blocco di pietra locale un disegno che avevano visto
all’interno della chiesa.
Com’era
prevedibile, le ipotesi di Chugg sono state accolte dal mondo accademico e
non, con un certo scetticismo, se non con ilarità (si è parlato di “fanta-
archeologia”), soprattutto perché le prove da lui addotte sono piuttosto
circostanziali, cioè non vi è nulla di certo e decisivo (inoltre Chugg non è
uno storico). E’ per questo che egli chiede che vengano eseguite delle nuove
analisi sui resti conservati nella Basilica. Nel caso in cui le ossa fossero
davvero di san Marco, queste analisi permetterebbero anche di poter
finalmente catalogare i resti in modo scientifico, in modo da poter
conservare i dati per i posteri (anche nel caso in cui i resti dovessero
disgraziatamente andare perduti).
Se invece
si scoprisse che quelli in realtà sono i resti di Alessandro Magno, si
consentirebbe finalmente alla verità di trionfare, mettendo fine ad un
inganno durato quasi 1200 anni e restituendo all’umanità il corpo di uno
dei più grandi condottieri della storia.
Bibliografia: