In un piccolo villaggio
borgognone una basilica testimonia il lavoro dei "costruttori di
cattedrali".
Basilica di Sainte Marie
Madaleine a Vézelay (foto: F. Ferzini)
Vézelay è un piccolo villaggio
borgognone dalle stradine in salita che con severità e tenerezza conducono
alla basilica di Sainte Marie-Madeleine, la cui mole domina il punto
più alto, nell'attesa immobile e serena della "venuta dei cieli". Dal
piazzale la basilica gioca coll'immutato orizzonte, aperto sul susseguirsi
delle colline del Morvan e sul fondo della Valée de la Cure,
da cui Girard de Rossillon stabilii nell' 860 circa, la comunità monacale
che porterà alla fondazione della basilica di Vézelay. L'armonia basilicale
con la natura circostante mi offre l'esempio sintonico tra realizzazione
divina e costruzione dell'uomo, osmoticità che portano all'opera finita. Un
negozio vicino, il Magasin du Pelerin, mi rammenta che il monastero è
uno dei quattro punti di partenza delle strade per Compostela: la
Via Lemocivensis.
La storia non avrebbe conservato
il ricordo di questo monastero se, all'inizio del XI secolo, non fosse sorto
un culto straordinario a Maria Maddalena, attorno alle sue preziose reliquie
conservate a Saint-Maximin - La Sainte-Baume
e qui a Vézelay. Una moltitudine di pellegrini
accorrono per venerare colei la quale "così tanto piacque a Dio, il suo amor
puro..."; gli scultori si prodigarono a riempire di forme e segni della più
grande tradizione, simbolica spesso occultata e offuscata dalla magnificenza
del timpano del nartece e dalle storie narrate nel corteo di capitelli nelle
navate. Le tracce più intime le scopro nel senso simbolico della porta nel
nartece e nel luminoso deambulatorio ricco di segni lapidari e di luce.
Superato il portale d'entrata, da
quella facciata, la cui struttura originale del 1150, è stata variata con
un'aggiunta di un frontone gotico nel 1250, si accede al nartece sulla cui
parete ovest, un secondo portale è campeggiato da un maestoso timpano in cui
la figura del Cristo, si muove nella sua forma ieratica e allargando le
braccia afferma: "Io sono la porta!". Dalla penombra del nartece si apre un
cammino luminoso, ritmato da colonne che conducono la pacatezza luminosa
all'intensità sfavillante del coro. Ciò che può apparire separazione è in
realtà di sorprendente continuità.
Vista
dal nartece (foto: F. Ferzini)
I costruttori conferirono alla
pietra l'idea della continuità progressiva dal peso oscuro alla leggerezza
totale della luce.
Ecco il particolare senso di
"passare" dalle tenebre dell'ovest alla luce del sole nascente, trionfo
definitivo del Cristo sulla morte. Non a caso il nartece era definito nel
XII secolo, "Galilea", proprio perchè il Cristo dicendo a Maria Maddalena
"Io vi precederò in Galilea" precisa che la Galilea è il "Luogo del
passaggio", la "Porta stretta" che conduce alla resurrezione. "Luogo di
passaggio" era pure in aramaico, il luogo in cui Giovanni battezzava e nel
quale designò Cristo come Agnello di Dio; chi varca la soglia del nartece
della Maddalena è accolto da una chiarificazione dell'occhio e dell'anima.
La contrapposizione al regno
della morte è quello dell'est, là ove il coro diviene deambulatorio nel
continuo spaziale che dal colonnato delle navate s'innesta, morbido ed
armonico nelle graziose cappelle disposte a raggiera, in un inseme di
universale geometria.
Navata della chiesa (foto: F.
Ferzini)
Ordine, misura e bellezza, sono
le regole compositive da imitazione dell'opera di Dio, il costruttore
medievale, affascinato dalla bellezza universale vuole edificare
"l'anticamera del cielo", come Salomone costruisce secondo totale
sottomissione alle norme fissate dal cosmo il quale "...narra la gloria di
Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento" (Salmo 18,2).
Vista
dai costoloni del deambulatorio (foto: F. Ferzini)
E' qui, nel deambulatorio, che lo
scalpellino ha impresso il suo marchio compagnonico, una misteriosa
pentalfa, stella dal segreto del numero d'oro, marchi personali e
soprattutto foglie lobate scolpite in pieno fusto colonnare, antico simbolo
corporativo il cui segreto è addirittura radicato nei più profondi arcani
d'origine celtica: la Confédération Eduenne dei Centonaris.
Tutti segni comunque a definire il senso profondo dell'esser costruttori di
cattedrali, percepibile tuttavia in ogni plastica romanico-gotica, nei
costoloni, nelle modanature e nei rapporti di passaggio tra basamento, fusto
e capitello e in ogni luogo ove il rapporto chiaroscurale sia evidente.
Rapporto non solo atto a dichiarare il valore volumetrico dei corpi, ma
soprattutto la simbologia tradizionale di "vita dell'uomo", l'ambivalenza di
"materia lavorata" la pietra e l'anima umana.
cliccare per ingrandire
Marche di scalpellini:
1) pentalfa
2) marca
fogliata
3) marca
semplice
4) marca trifogliata (
foto Frans Ferzini)
Non a caso, quegli scalpellini
che hanno "firmato" le colonne del coro, sono ancora quelli di oggi che
presso i Compagnons du Devoir de Liberté, hanno l'appellativo di
Loup dal momento che il lupo è animale apollineo, figlio di tenebra e
come luce esce dall'ombra divorandola, crea brani di luminosa speranza
contrapposta agli oscuri pozzi della coscienza.
(Autore:Frans Ferzini
www.ferzinifrans.com )