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MORTE E CULTO IN SARDEGNA

Tutte le immagini sono di proprietà esclusiva di Andrea Piani,che ne detiene pertanto i diritti

Mentre nel resto d’Italia i morti vengono seppelliti in semplici fosse comuni, in Sardegna, già dal 4.000 a.C. compare un complesso ed articolato culto dei morti. Le prime sepolture dell’Isola furono le domus de janas

(di tipo 'a portello')

 

tombe di tipo ipogeico presenti a volte in forma semplice, a volte invece in complessi "palazzi" funerari; seguite più tardi dalle tombe dei giganti

 veri e propri monumenti megalitici, la cui realizzazione si sviluppò seguendo varie tipologie stilistiche; ma andiamo con ordine.

 

3.730 – 1.500 a.C. Le domus de janas, compaiono per la prima volta durante la cosiddetta cultura di Bonuighinu, tra il 3.730 e il 3.300 a.C., in pieno periodo prenuragico e la loro realizzazione prosegue per quasi 2000 anni, concludendosi durante la prima fase nuragica: la cultura di Bonnanaro durante l'età del bronzo antico (1800-1500 a.C.).

Esse rappresentano l’esempio di arte funeraria più antico dell'Isola.


Il loro nome in dialetto significa probabilmente "casa delle streghe", anche se in alcune zone dell’isola vengono tradotte anche come "casa delle fate" ("domus de fadas") o anche "casa delle vergini" (in sardo "domos de ajanas").

Al di là di questi contrasti linguistici, si tratta di grotticelle artificiali scavate sotto terra o nella roccia tenera e si presentano con tre tipi di ingresso: uno a corridoio, in cui il terreno scende gradatamente, talvolta anche con dei gradini verso i piani del sottosuolo in cui è scavata la tomba; uno a pozzetto, in cui l'ingresso avviene dall'alto e da un piccolo vestibolo si accede alla tomba vera e propria; e uno a portello, scavata a balza rocciosa in cui l'ingresso è praticamente orizzontale. Generalmente si presentano isolate, ma talvolta anche in piccoli gruppi o in vaste necropoli.

Ne sono state documentate sia di tipo semplice, monocellulare, di pianta rotonda o quadrata, sia di tipi più complessi con più ambienti collegati da corridoi (la tomba del Capo, nella necropoli di Sant'Andrea Priu, si articola in ben 18 ambienti, un vero e proprio palazzo) che si sviluppano in piano dietro l'apertura di finestrelle rettangolari su balze rocciose verticali. I diversi ambienti sono variamente disposti intorno a una camera centrale; i tetti tendono a riprodurre quelli di capanne o di case (la domus de janas, così come la tomba etrusca, riproduce l'abitazione dei vivi); le pareti sono spesso dipinte, di rosso o di giallo, scolpite o decorate con false porte, pilastri, protomi taurine, spirali, colonne e nicchie.


Da un punto di vista stilistico si possono distinguere per due caratteristiche le domus de janas realizzate in epoca prenuragica da quelle realizzate invece in epoca nuragica.

La prima è che la pianta resta conclusa in un'unica celletta di forma rotonda, per lo più con soffitto concavo o rettangolare ed ellittico-ovale. Alcune di esse mostrano una banchina perimetrale, che include una fossa intorno alla quale si girava per non calpestare i defunti.


La seconda caratteristica consiste nell'architettura, ormai orientata verso il nuovo tipo tombale, prettamente nuragico: la tomba dei giganti. La facciata delle domus de janas più recenti presenta infatti, scolpita nella roccia, una stele ricurva sopra la porticina d'ingresso ai cui lati, talvolta, si rilevano sedili, e nelle cui vicinanze sono stati ritrovati betilini di pietra a coronamento decorativo.

Alcune di queste tombe possono essere considerate tra le realizzazioni più imponenti dell'architettura funeraria mediterranea, tra gli esempi più significativi vanno citate le necropoli di Sant'Andrea Priu di Bonorva (provincia di Sassari) e di Montessu di Villaperucciu (provincia di Cagliari).


Finora ne sono state contate ben 1100, di cui 480 nella provincia di Sassari, 456 in quella di Nuoro e solamente 164 in quella di Cagliari. In epoca più recente sono state rovinate dall'utilizzo che ne fu fatto durante la seconda guerra mondiale, come ricovero di bestiame o per vero e proprio rifugio popolare.

 

Domus de janas di tipo a pozzetto, con accesso dall'alto, dalla necropoli di Pranu Mutteddu a Goni (prov. CA) . 
 

1.800 – 900 a.C. La tomba dei giganti vera e propria nasce e si sviluppa nel Bronzo Antico (1800-1500 a.C.), insieme ai Nuraghi rappresenta perciò la principale opera megalitica dell'epoca nuragica. La costruzione delle tombe dei giganti fu realizzata seguendo due stili principali, più un terzo finale: la tomba dei giganti dolmenica-ortostatica, quella nuragica o "con facciata a filari" e, in pochi esemplari quella "con fregio a dentelli".


Lo stile di costruzione dolmenico-ortostatico è il più antico e si caratterizza per l'esedra concava (schema che sembra simbolizzare la testa del toro, divinizzato dalle popolazioni preistoriche), definita da lastroni infitti verticalmente che vanno crescendo in elevazione dalle estremità delle ali al centro dove domina, con valore architettonico e significato simbolico, l'alta stele monolitica o bilitica (che a volte raggiunge anche i 3 metri di altezza), con uno o due listelli trasversali, talvolta con incavi (finestrelle finte) al lato della porticina ricavata al piede della stessa stele. A contorno dell'esedra, in alcune tombe sono ancora visibili i sedili utilizzati dai parenti dei defunti o probabilmente facenti parte del rito dell'incubazione.

 

Secondo tale rito, sui sedili avrebbe dormito chi desiderava comunicare con lo spirito dei defunti ed ispirarsi ad essi attraverso i sogni (da ciò il termine incubazione, derivante dal latino incùbo: mi sdraio, dormo); si può dedurre che i morti inumati nelle tombe dei giganti erano considerati eroi della tribù, divinizzati dalla fantasia popolare.

Durante il bronzo medio, contemporaneamente alla costruzione delle tombe dolmenico-ortostatiche, fa la sua apparizione la seconda tipologia stilistica di tomba dei giganti, a struttura propiamente "nuragica". Permane la sagoma a corpo rettangolare absidato con esedra; sparisce però il tumulo, così che la struttura litica diventa, per così dire solare e offre alla vista e all'attenzione spirituale le belle linee scandite a filari nei fianchi rettilinei e nella dolce curva dell'abside.

Nell'esedra non c'è più la stele, rimane perciò la prospettiva del muro concavo ordinato a file di pietra. Il portello, finemente architravato, è aperto nel muro, e dà accesso all'impressionante vano tombale.

 Esedra e stele centrale della tomba dei giganti di S'ena e sedra e stele centrale della tomba dei giganti di S'ena e Thomes a Dorgali (prov. NU). Thomes a Dorgali (prov. NU). Il tipo di tomba dei giganti dolmenico ortostatico .

Questo è il vano tombale della tomba di S'ena e thomes


Il tipo nuragico perdura, nel centro-sud dell'isola per tutto il bronzo recente e finale (1200-900 a.C.), mentre il tipo dolmenico-ortostatico del centro-nord viene gradatamente sostituito con un terzo tipo di tomba dei giganti che si caratterizza per la raffinata lavorazione a scalpello della struttura muraria e la precisa collocazione in opera delle singole membrature architettoniche, dove si alternano ortostati e filari, e per la presenza costante, al centro dell'esedra, di una o due pietre sagomate e fregiate con una partitura di quattro dentelli separati da tre incavi.
Nei dintorni delle tombe sono stati rinvenuti i resti di offerte ai defunti: ceramiche, gioielli di importazione (probabilmente egizia), vasi in terracotta, ecc. Vanno invece considerati parte integrante delle tombe i bètili posti nelle vicinanze, spesso aventi forma fallica o con mammelle, a simboleggiare la presenza della divinità maschile e femminile. Tali bètili venivano posti ai lati della tomba, oppure al suo ingresso, a simboleggiare la divinità che custodisce i defunti e accoglie i vivi che vi si recano per qualche rito. Proprio per tali riti furono creati dei focolari, ancora visibili nei pressi di molte tombe dei giganti.

 

I defunti inumati nelle tombe venivano probabilmente scarnificati attraverso un rito simile a quello degli indiani pellerossa americani. Il corpo veniva lasciato in una zona particolarmente elevata (qualcuno ipotizza sul terrazzo dei nuraghi) e lasciato lì alcuni giorni alla mercè degli agenti atmosferici ma soprattutto dei rapaci (grifoni, avvoltoi, corvi e necrofili in genere) di cui l’Isola ancora oggi è ricca.

Durante l'età nuragica l'acqua, a causa della sua scarsità nell'isola, viene divinizzata, dando luogo al cosiddetto culto dell'acqua che porta i nuragici alla realizzazione di due tipologie di monumenti sacri: la fonte sacra e il pozzo sacro o tempio a pozzo.


In questi monumenti veniva praticato il culto dell'acqua, associato spesso a riti magici come il "giudizio dell'acqua". Presso la chiesa rurale di Santa Lucia a Bonorva, sgorgano dal suolo trachitico numerose polle di acqua termominerale, effervescente. Nei tempi antichi queste polle erano racchiuse entro un circolo di pietre, conformato a cavea, su cui sedeva la folla in qualità di testimone collettivo della cerimonia. Al giudizio di Dio veniva sottoposto il sospetto di delitto della proprietà privata. Dopo il suo giuramento, gli addetti al rituale immergevano la testa nell'acqua calda e frizzante. Se l'indiziato non riusciva a sopportare il terribile effetto, diventava cieco per aver spergiurato, e ne risultava così la colpevolezza; se invece lo superava e anzi ci vedeva più chiaro, voleva dire che non aveva giurato il falso ed era innocente.

Le fonti sacre, in molti casi precedono cronologicamente i pozzi sacri. Ne conosciamo circa una decina, quasi tutte nelle zone montane meno povere d'acqua. La differenza principale sta nel fatto che le fonti sono prive di scalinata sotterranea, in quanto la vena sta a fior di suolo.


La struttura del pozzo sacro era particolarmente semplice: da un atrio al livello del suolo si raggiungeva, tramite una scalinata la camera sotterranea al cui centro si apriva il pozzo sacro. L'esempio meglio conservato di questo tipo di monumento è il pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino (OR).

Il Pozzo di Santa Cristina


In questi monumenti, i nuragici si affidavano soprattutto al Dio Toro, lo spirito sotterraneo che risiedeva nelle fonti e nei pozzi. In diversi templi sono state rinvenute infatti teste taurine scolpite, oltre a materiali in bronzo e terracotta che figurano proprio un toro. Non tutti gli edifici di culto sono però collegati all'acqua o al Dio Toro, stando a significare che la religione nuragica era politeista, con una determinata gerarchia delle divinità, a cui capo stava sicuramente il Dio Toro.

ANDREA PIANI

Ricercatore indipendente andrea.piani@sanpaoloimi.com

Bibliografia:


"Sardegna" - le guide di Archeo - De Agostini Rizzoli periodici.

"Sardegna nuragica" - G. Lilliu - De Agostini.

"I segreti dell'archeologia" – DeAgostini

"La Sardegna" - A.Caocci - Mursia.

 

Approfondimento: la Tomba dei Giganti di S'Ena e Thomes

In agro di Dorgali, un piccolo centro situato nella costa orientale del centro Sardegna, in provincia di Nuoro, si trova la tomba dei giganti di S’ena e Thomes. Ci troviamo nell’entroterra orientale dell’isola, territorio difficile caratterizzato da profonde gole e natura incontaminata, dove trovarono rifugio i sardi "ribelli" qui confinati dalle legioni romane (che circoscrissero con stazioni militari l’intera zona denominandola "Barbaria", oggi "Barbagia"), durante la definitiva occupazione dell’Isola nel 38 a. C. sotto l’Imperatore Augusto.

Il territorio che offrì riparo ai sardi liberi, fu lo stesso che, millenni addietro fu popolato da una civiltà più forte, coraggiosa e capace di difendere la propria terra: la civiltà nuragica, madre di incredibili meraviglie architettoniche quali i Nuraghi, le tombe dei giganti e i pozzi sacri.

fig.1

In questa trattazione parleremo proprio di una tomba dei giganti, un nome affascinante che ricollega questi bellissimi monumenti funerari alla leggenda secondo cui furono realizzati da una civiltà di giganti, esseri sovraumani in grado di ergere le pesantissime pietre a memoria dei propri defunti. Prima di parlare nello specifico della Tomba di S’Ena e Thomes, ricordiamo qualche nozione relativa al culto delle tombe dei giganti.

 

Secondo la datazione al carbonio, le tombe dei giganti furono edificate a partire dal 1800-1500 a.C., anche se alcuni studiosi le considerano molto più antiche, affermando che la tecnica di datazione del c14 è ormai superata ed inaffidabile nella datazione di strutture litiche. Aldilà delle leggende sui giganti, sappiamo che esse furono costruite dai sardi nuragici, e che furono probabilmente destinate ad importanti personaggi della vita sociale. In esse fu anche praticato il culto dell’incubazione, ossia un particolare rito per il quale, nei sedili antistanti la tomba, dormiva per una notte chi necessitava di un consiglio da parte dell’importante personaggio o del semplice defunto contenuto nella tomba. Va precisato inoltre che le tombe dei giganti accoglievano generalmente più di un defunto.

fig.2

Dal punto di vista strutturale, le tombe furono realizzate interamente in pietra, senza l’utilizzo di alcun tipo di malta, così come i nuraghi. La loro forma caratteristica ricorda le corna di bue: un’abside costituita dalla camera sepolcrale e due bracci litici che vanno a formare un semicerchio che prende il nome di esedra. I due bracci sono congiunti all’abside nel centro della costruzione, attraverso un’imponente stele forata da un piccolo portello che, in alcune tombe, viste le ridottissime dimensioni era perlopiù simbolico.

A questo stile di tomba dei giganti, se ne aggiunse un altro più tardo, lo stile "a filari" o "nuragico" (di cui, la tomba di Is concias a Quartucciu è l’esemplare meglio conservato) che, a differenza del precedente e più antico stile dolmenico-ortostatico, non presenta più la stele, ma un portello architravato. A questo stile se ne aggiunse una piccola variante, in ridottissimi esemplari, quello a "fregio a dentelli". Infine da ricordare la presenza, nei dintorni delle tombe dei cosiddetti "betili", dei piccoli menhir aventi forma fallica ed in alcuni casi con mammelle a simboleggiare la presenza della divinità maschile o femminile.

 

Una delle tombe meglio conservate nell’Isola è la tomba dei giganti di S’ena e Thomes (la sorgente di "thomes") di Dorgali.

Fu realizzata, secondo una datazione scaturita dallo studio degli oggetti ritrovati all’interno del vano tombale, tra il 1.600 e il 1.100 a.C.; in granito utilizzando i massi già presenti nel luogo; ha una lunghezza di ben 16,20 metri, di cui 11 di camera sepolcrale, l’altezza del vano tombale è di ca. 1,50 m. L’esedra è ampia ben 10 metri ed è costituita da massi infissi nel terreno a semicerchio fino a raggiungere il centro di questa forma geometrica, dominato dalla imponente stele. Anch’essa è realizzata in granito, ha un’altezza di ben 3,65 metri (probabilmente la più alta in Sardegna), una larghezza di 2,10, uno spessore di 0,40 m. per un peso complessivo di ben 7 tonnellate!!! Una volta a conoscenza dei "numeri" relativi a questo imponente monumento si può ben capire il motivo dell’attribuzione di queste meraviglie ad una stirpe di giganti. In alcune tombe dei giganti della Barbagia, la stele centrale è costituita da due pietre sovrapposte, in questa tomba invece, la perfezione è raggiunta mediante l’utilizzo di un unico blocco di granito, lavorato e forato nella parte più bassa da un portello le cui dimensioni sono di 0,48 m. di larghezza e 0,50 m. di altezza, a suggellare il passaggio dal mondo dei vivi a quello misterioso dei morti.

 

L'ingresso al monumento, è caratterizzato da una piccola anticamera formata da due pietre ravvicinate con lo scopo di mantenere la medesima larghezza del portello d'ingresso. La camera si allarga poi fino a raggiungere i due metri e mezzo, per una lunghezza di 11 metri. Essa è formata da una serie di pietre infisse verticalmente sul terreno e sormontate da 4 grosse lastre litiche, due delle quali si trovavano ancora in sito al momento del restauro del '77, mentre altre due giacevano al lato della tomba. Il terreno interno della camera funeraria presenta qualche segno di lavorazione che ha fatto pensare ad una possibile antica pavimentazione.

fig.3

- ALCUNE CONSIDERAZIONI PERSONALI -

Visitando la tomba dei giganti di S’Ena e Thomes si avverte un profondo senso di rispetto verso un monumento di pietra che ci parla attraverso la sua misteriosa imponenza ed arcaica perfezione. Una tomba perfetta nella sua architettura, imponente ma allo stesso tempo elegante nelle sue forme e nei suoi colori.

Un monumento che mi piace definire con una frase presa in licenza dal coraggioso archeologo G. Hancock: "una sinfonia di pietra"; una corposa sinfonia creata da un maestro un po’ particolare, un maestro che, restando nella similitudine, a parere degli archeologi sardi non conosce le sette note! Si, perché il popolo nuragico era costituito da semplici tribù, rette da re, o meglio re-pastori (da G. Lilliu); la cui principale attività era la pastorizia e che non furono mai abbastanza progrediti da dotarsi di una qualsiasi forma di scrittura.

 

Un popolo difficile, cattivo, restio alla presenza straniera e chiuso verso l’interno della sua Isola. Questo popolo aveva un solo pregio: sapeva mettere una pietra sull’altra! Al punto da creare, nel giro di poco più di 1.500 anni, la modesta cifra di 8.000 nuraghi e circa 200 tombe dei giganti più una cifra imprecisata di pozzi sacri.

 

E’ incredibile che per tutti questi anni si è andati avanti nella convinzione che i nuragici fossero veramente quel popolo semplice e modesto che fu descritto dal Lilliu, il quale rispetto per l’incredibile scoperta del nuraghe di Barumini (patrimonio dell’Unesco). Tanti studiosi, più o meno accreditati dalla archeologia ufficiale, hanno dimostrato che il patrimonio archeologico sardo nasconde in sé tracce di una civiltà incredibilmente progredita, o forse, come già ipotizzato per la civiltà egizia o per i popoli precolombiani delle due americhe, il retaggio di una civiltà antichissima, vissuta almeno 12.000 anni fa.

Il grado di conoscenze del popolo nuragico (se a lui sono attribuibili tali meraviglie) è nascosto ad esempio nella costruzione del monumento più rappresentativo: il nuraghe. E’ stato appurato, nei nuraghi in cui le condizioni attuali permettono questo tipo di verifiche, che essi sono orientati secondo principi astronomici, e le loro mura seguono sulla terra, linee tracciate nel cielo, permettendo di assistere ancora oggi a quei fenomeni come i solstizi o gli equinozi che per le genti del tempo dovevano essere il mistero più affascinante della propria esistenza. Stesso discorso vale per i pozzi sacri, come il più rappresentativo, il pozzo di S. Cristina a Paulilatino (OR), orientato e dedicato alla luna; nel quale sono stati misurati dei campi magnetici fuori dal normale.

Le stesse emanazioni di energia sono state riscontrate nelle tombe dei giganti del nord Sardegna.

 

Tutto ciò mi porta ad un'unica conclusione: la civiltà sarda non era preistorica quanto si vuol far credere, ma bensì una civiltà avanzata, capace non solo di costruire meraviglie architettoniche, ma di orientarle a fenomeni celesti che, per i popoli del tempo doveva essere già difficilissimo misurare. Non saremo di fronte alla perduta civiltà di Atlantide, come sostiene invece Sergio Frau, ma sicuramente abbiamo le prove di un’altra civiltà "troppo" avanzata per essere vissuta quattromila anni fa!

Note:

fig. 1 – ricostruzione ideale di tomba dei giganti – elaborata da Salvatore Mulliri

fig. 2 – stele centrale della tomba dei giganti di S’Ena e Thomes – foto di Andrea Piani

fig. 3 – veduta del vano tombale attraverso il portello anteriore della stele di S’Ena e Thomes – foto di Andrea Piani

Ricerca gentilmente inviata da Andrea Piani – ricercatore indipendente

 

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                                                           2003

 

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