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Nuraghe
Ruju
Interno
camera secondaria
Come
sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi,
delle strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la
loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita gradualmente da
altri ruoli, come quello di magazzini o residenze reali. Pochissimi
cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra questi
è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli studi di
Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della
funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono
periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi
due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato
“fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno del
nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro
scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di
Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di
Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un
accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro”
(G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011).
L’evento
in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio
d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così
particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che
animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso
il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della cupola
costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta
l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala,
oppure la base della camera (Is Paras di Isili).
Tecnicismo
del fenomeno della luce dai fori apicali (sezione)
In
quest’ultimo nuraghe da noi visitato, un nuraghe complesso a due camere
sovrapposte, il Ruju di Torralba, l’evento si è materializzato
puntualmente, secondo quanto da noi ipotizzato. Il corridoio di ingresso
della camera secondaria (frazionato dal raggiungimento della scala
elicoidale ascendente) del Nuraghe Ruju è orientato al passaggio del sole
all’alba del solstizio d’inverno. Un dato che andrà confermato
empiricamente al prossimo solstizio.
Visuale
dall’esterno
Visuale
interno camera
Ciò
che è innegabile, a nostro parere, è che il fenomeno che qui si verifica
è assolutamente voluto. Fu nelle intenzioni degli antichi costruttori di
non chiudere immediatamente l’ultimo corso anulare della volta con la
pietra apicale ma sviluppare
un prolungamento definito tecnicamente
lanterna
(un
lucernaio) per superare lo spessore del terrazzo e raggiungere il suo
piano di calpestio onde poter chiudere l’apertura. Questa condizione,
assolutamente singolare, ha come unica finalità quella di poter rimuovere
liberamente la pietra apicale dal terrazzo per consentire il verificarsi
dell’evento solare. L’eccezionale stato di conservazione dell’ultima
parte della cupola e dell’intera sala (avente altezza di 4,88 m e una
base circolare di 3,45 metri di diametro), nonché lo scrupoloso
tecnicismo dell’illuminazione della nicchia centrale, è la prova della
volontarietà e della predittività dell’evento, oltre ad attestarsi
come il caso maggiormente preciso, tra tutti quelli finora conosciuti.
Il
fenomeno della luce dal foro apicale (Làcanas
– anno x numero 57, IV 2012, Pag. 20) come mostrano le foto, è
straordinario. Il raggio solare procede lentamente verso il basso, man
mano che il sole prosegue il suo cammino apparente nel cielo, per poi
andare ad illuminare l’architrave della nicchia, creando
inaspettatamente la precisa forma di una bipenne. Pochi minuti dopo, alle 10:45 solari, quando il sole si
trova ad un azimut di 121° e ad un’altezza (angolazione) di 63°, il
raggio supera l’architrave e taglia esattamente a metà la nicchia
illuminandone l’interno. Avendo preso le misure della nicchia (base
inferiore 66 cm, al vertice 40 cm, h 1,39 m, profondità 1,62 m,
sopraelevata dal piano di calpestio di 95 cm) ci siamo resi conto che le
dimensioni sono sufficienti affinché una persona adulta ci possa stare
comodamente seduta. Dopo qualche minuto l’evento si esaurisce, poiché
il raggio prosegue il suo cammino spostandosi lateralmente rispetto alla
nicchia. Il nuraghe Ruju è
ubicato a 40° 29’ 48”N – 8°
48’46”E , a questa latitudine il passaggio del sole al momento
cruciale del solstizio d’estate in meridiano si contrassegna intorno ai
74°. Il perché gli antichi
costruttori abbiano voluto anticipare l’evento di qualche ora e in virtù
di questo edificare lo stesso
monumento per espletare questa condizione non ci è dato sapere, ma quello
che sorprende è che in questo preciso punto di sosta, ove avviene
l’evento dal foro apicale ( ai 121° e a una altezza di 63°) si
identifica con la direzione dell’alba del solstizio d’inverno
La
nicchia centrale illuminata
La Bipenne sull’architrave della nicchia
lLEvento
da un’altra angolazione
Le
ipotesi su come potesse venir sfruttato tale evento ovviamente sono
molteplici . Si ipotizza che una figura sacerdotale o un capo alloggiasse
in tale spazio. La visione sarebbe stata sicuramente sbalorditiva, e
avrebbe recato diverso prestigio agli individui capaci di creare e
controllare un simile fenomeno, oltre a dargli la conoscenza della misura
dell’anno e del progressivo decadere della stagione estiva, da questa
data in poi, infatti, si accorcia sempre di più la durata delle ore
solari. In virtù della
paternità di questa scoperta se ci è permesso una nostra personalissima
interpretazione, non possiamo esimerci innanzitutto dall’ enfatizzare la
grandi capacità e le conoscenze architettoniche
dei nostri padri, capaci di saper “ ammaestrare” con il linguaggio
della pietra e della luce, un evento “sbalorditivo”, generando uno
scenario simbolico, raffigurativo, del sacrificio del Toro-Sole.
È
interessante notare che i nuraghi nell’arco della loro edificazione
registrano manufatti e cultura materiale propensa all’aniconico. Questo
è confermato anche dal singolare riutilizzo come materiale da costruzione
(per nuraghi e tombe dei giganti) delle enigmatiche statue menhir iconografiche
del periodo eneolitico insulare del terzo millennio avanti Cristo.
Nuraghe Bidd'è Pedra
Il
menhir all’interno della camera di un Nuraghe
Ingresso
camera
Frammenti
menhir nelle mura
Non
sarà difficile inquadrare l’archetipo del nuraghe come il più
grandioso “Monolito” architettonico
realizzato dall’uomo, espressamente destinato alle conoscenze
astronomiche e alle funzioni
sacre e in cui si potevano manifestare divinità iconografiche, tuttavia in forma immateriale; un simbolismo segreto, celato
all’interno del monumento, custode e dispensatore.
Il
nuraghe è il tempio del Bronzo Medio.
Un
evento simile accade anche nel Pantheon (tempio di tutti gli dei) di Roma,
dove tale evento, da sempre sotto gli occhi di tutti, è stato messo in
relazione ad una spettacolarizzazione del fenomeno, sfruttato per
illuminare l’imperatore in una particolare cerimonia in una data
precisa, per dimostrare maggiormente il suo potere divino (Il Fatto
Storico, 23-08-2011 “Il Pantheon era una meridiana romana?”).
Lo
stesso Giovanni Lilliu nel 1998, nell’interrogarsi riguardo ai nuraghi
monotorre così scriveva : “ la
loro forma monumentale e il volume troncoconico
quasi simbolico delle torri che si elevano come un altare e alla loro
ubicazione spesso in luoghi dominanti e attrattivi come quelli delle
chiese e di santuari montani” . Afferrata
questa preziosa intuizione abbiamo incluso anche un altro difficile quesito
; sul perché vi sia una netta inferiorità dei vuoti strutturali rispetto
alla massa muraria costituente il monumento e per quale motivo avere delle
camere intenzionalmente lasciate in uno stato di semioscurità. Queste
condizioni indirizzarono la nostra principale linea guida di ricerca,
unitamente alla comprensione delle planimetrie
di progetto e le soluzioni tecniche del pensiero architettonico dei
nuraghi monotorre. La risposta soddisfacente dai risultati palesati
dal Fenomeno della luce dei fori apicali , della Luce del Toro e di
altri eventi e studi (che non tratteremo in questa sede) confermerebbero
la destinazione dei nuraghi a templi
del sole, che effettivamente controllano eventi astronomici sensibili,
come l’alba del solstizio d’inverno, l’alba del solstizio d’estate
ed il suo zenit, oltre alla luna
e altri astri di particolare visibilità.
In
sintesi il fenomeno della Luce del Toro si identifica nei nuraghi che
presentano la porta d’ingresso orientata in un range che va dai 122° ai
145° nella fase del solstizio d’inverno.
Il tecnicismo del fenomeno della luce del toro è operato
dall’allineamento del sole con il finestrino di scarico
dell’architrave del nuraghe, Il quale a sua volta genera, all’interno,
un fascio luminoso che percorre tutto il corridoio e la stessa sala.
L’espressione massima, l’apice, di questo fenomeno è
l’impatto della luce sulla parete o addirittura dentro la nicchia
centrale, che visivamente realizza la forma taurina, nitida ed
inconfutabile, oppure che si definisce semplicemente, come altri casi
osservati, con una fisionomia stilizzata.
-
Tecnicismo del fenomeno della luce del toro
Evento
della Luce del Toro al nuraghe S.Barbara di Villanova Truschedu
Nuraghe
Arrubiu Orroli, un particolare del paramento esterno
Evento
nuraghe Zuras
Evento
nuraghe Caddaris
In
questo excursus, sono state oggetto del nostro studio anche le Torri
aggiunte, dette “finestrate” dei nuraghi complessi, ribattezzate nel
nostro caso come “le Stanze del Sole”. Questa
particolare tipologia di torre, rispetto al nuraghe originario, è
caratterizzata principalmente dal fatto di essere provvista di “
finestrelle” disposte a raggiera intorno alla camera ( in un numero che
non supera generalmente le dieci aperture, raramente dodici ) per la
maggiore realizzate ad una certa quota dal piano di calpestio. Le
finestrelle attraversano tutto lo spessore murario, sovente in modo
strombato verso la camera, esternamente invece la finestrella si
riduce ad una stretta fessura o di poco
più larga. Seppure sia
accertato che queste torri siano costruite per addossamento oppure
allacciate attraverso cinte murarie alla torre principale (per questo
motivo ritenute più recenti della stessa) il tutto palesa la progressiva
evoluzione della civiltà nuragica, la sua continuità cultuale, ma
soprattutto quella architettonica. Perché Le torri nuragiche dotate di
finestrelle, in ogni caso, inglobano tutta l’arte delle antiche
maestranze Sarde, caratterizzate dall’uso della camera voltata ad ogiva
e da tutti i criteri tipici dell’edilizia nuragica.
Le
torri Finestrate, si può affermare con sicurezza, sono strettamente
subordinate alla torre originaria e presenti solo in questo contesto, vale
a dire che questa tipica torre non potrà mai essere osservata in modo
isolato, inoltre questa si distingue per non possedere la scala elicoidale
(intesa a partire dal corridoio), mentre in alcuni casi invece è presente
quella sviluppata ad una certa altezza nella camera. Ne consegue che non
sono mai visibili le classiche nicchie di camera che caratterizzano le
torri principali, salvo alcuni casi (nuraghe Arrubiu di Orroli),
tantomeno sarà presente la nicchia d’andito, disposta
immediatamente dopo l’ingresso.
La
stanza de sole nuraghe S.Barbara
Alba Equinozio
Alba Solstizio d’inverno
Le
torri secondarie (con finestrelle
e non), per motivi a noi sconosciuti non hanno mai superato, per
dimensioni e soluzioni tecnico/architettoniche le torri arcaiche.
Ugualmente, non esiste esempio di complesso nuragico che racchiuda la
realizzazione con due torri “principali” gemelle con le stesse
caratteristiche, delineando in un certo senso una vera e propria involuzione
edilizia (eccezion fatta per il Duos Nuraghe di Borore ). Per questo
motivo e per le condizioni sopraelencate sono da ritenere anche il
marcatore più evidente della cesura esistente tra il periodo della
costruzione dei monotorre a sviluppo verticale (a più camere sovrapposte
e dotati di scala elicoidale ) e quello delle torri “finestrate” unite
da cinte murarie. Le torri con finestrelle, dalla tipica planimetria
caratterizzante il loro “spirito architettonico”, si diffondono in
modo omogeneo nel territorio aumentando di molto l’impianto di quelli
che diventeranno poi dei nuraghi complessi. Addizionando
appunto alla torre principale altre torri secondarie, tramite il semplice
addossamento, oppure con la connessione attraverso
le cortine murarie. Di conseguenza le torri secondarie si
distribuiscono in riferimento alla torre principale, in modo frontale,
laterale, circolare, oppure con altri impianti. Identificati per il numero
di torri componenti, i nuraghi complessi sono stati pertanto classificati
per tipologie: bilobato, trilobato, quadrilobato, pentalobato e così via.
Anche queste torri finestrate, a loro volta in alcuni casi, subiranno una
parziale cesura o
mascheramento
dettato dalla fase in cui si realizzavano i poderosi rifasci nell’intero
paramento esterno del complesso, con incremento notevole
sia della superficie di base del complesso che della superficie dello
stesso Terrazzo. E bene sottolineare che
In
diversi nuraghi Polilobati dove sono presenti i robusti antemurali (Su
Nuraxi di Barumini), che operano puramente con lo scopo di delimitare lo
stesso complesso, si riproponevano
ancora e di
numero le classiche torri perimetrali finestrate, realizzando infine dei
veri e propri complessi architettonici di alto prestigio monumentale.
Resta
di fatto che le torri finestrate sono anch’esse edifici da noi
identificati come possessori di una precisa
funzionalità, quella di controllare plurimi eventi astronomici.
Coscienti
che i misteri dei nuraghi, ormai bistrattati
da secoli da innumerevoli
ipotesi formulate da studiosi ufficiali e outsiders, non potranno mai
essere pienamente svelati; resta per ora come soluzione quella di indagare
il nuraghe nella sua planimetria e architettura, su quella pietra
sapientemente posata da mani antiche, che ancora oggi paradossalmente
racconta ad occhi che sanno osservare. Quello che
Il gruppo G.R.S. propone non sono nient’altro che palesi
testimonianze fotografiche a prova del più scettico “San Tommaso” e
null’altro vogliamo dare da queste ricerche, se non una flebile
possibilità di riflessione.
Alla
“luce” di questi avvenimenti, sempre più numerosi e non casuali, è
palese come sia arrivato il momento di abbandonare la visione
unidirezionale del nuraghe fortezza o dimora del capo, in voga ormai da
quasi un secolo e di gettare nel dimenticatoio quella di abitazione, luogo
di riposo o magazzino, per iniziare a considerare l’ipotesi che tali
strutture fossero dei templi dedicati al culto solare, cosa che accomuna
quasi tutte le civiltà megalitiche e ciclopiche, e che i costruttori di
tali edifici avessero delle avanzate conoscenze in campo astronomico.
Approfondimento
bipenne
La
Labrys o ascia bipenne è
un arma simbolo, dai forti significati distruttivi e riparatori,
mediatrice dell’uomo con il divino.
Di questo simbolo antichissimo si trova testimonianza in tutto il
Mediterraneo, nel Medioriente, in Africa e in Nord Europa e soprattutto
anche in Sardegna. L’ascia
bipenne è facilmente associata come arma tipica dei guerrieri
indoeuropei, grazie agli scavi archeologici diffusi in questi siti sono
stati ritrovati reperti esemplari appartenenti sia alle culture Celtiche e
Vichinghe, alla Grecia Classica, e alla civiltà Nuragica; esempi di ascia
bipenne, databili attorno al 1500 a.C. sono stati rinvenuti in Spagna, in
Danimarca e a Creta, in Sardegna (Santa Vittoria di Serri e altri siti) e
anche in Etruria. Questa arma di grande potere simbolico è stata
attribuita a diverse divinità guerriere maschili o femminili. Secondo
alcuni studiosi rappresenterebbe il sole, il tuono, la forza dell'elemento
celeste e la regalità, nelle culture
Minoica e Cretese si pensa rappresenti rapporti strettamente legati al
culto taurino come simbolo della potenza generatrice della natura, l'ascia
dunque sarebbe utilizzata come strumento rituale per sacrificare gli
stessi tori nei riti di tauromachia.
Palazzo
di Malia(Creta), e chiesa di San Giovanni Battista di Tramatza (Or)
rappresentazione della bipenne
Nella
Grecia Classica e nella cultura Celtica rappresentava anche la grande dea
Madre, la più antica di tutte le divinità cretesi, simbolo della Terra,
della fertilità e del potere femminile, creatrice universale. Per i Celti
in particolare era il simbolo di Rosmerta
“La Grande Dispensatrice” e dea della fertilità, che veniva sempre
rappresentata con un'ascia bipenne al collo o in mano.
In età romana, ma anche precedentemente, la labrys era lo strumento
rituale usato nel sacrificio del toro e di altri animali offerti alle
divinità. Anche in massoneria l’ascia bipenne infissa nella pietra
cubica assume un significato simbolico particolare, il cercare di
penetrare il vero significato delle cose.
Da
una canzone popolare raccolta da Francesco Enna in Sos
cantos de foghile, si racconta
una storia dalle antiche origini, trasmessa oralmente (in versi) per non
perderne la memoria. Nella canzone
di Maria Giusta come interpreta la Dolores Turchi riemerge con evidenza il
culto delle acque praticato da sacerdotesse munite dell’ascia bipenne a
scongiurare i drammi e le tragedie della calamità e in primis della
siccità.
(1
)Chiesa si Sant’Andrea apostolo a Villanova Truschedu: bipenne e altri
simboli scolpiti sui lati delle finestre. ( 2) San Pietro Ponte a Quartu
S.E. Archetti pensili con teste di toro scolpiti. (3) Chiesa di S. Andrea
(Quartu) loggiato sorretto da travi in legno in forma taurina. (4 ) Chiesa
di San Pietro di Bulzi, Testa taurina scolpita sui pilastrini degli
archetti. ( 5 ) Santuario di San Bachisio, Bolotana. Tre teste di toro
scolpite sul cordone dell’architrave della porta d’ingresso. ( 6 )
Chiesa di San Francesco, Oristano. Toro scolpito.
A
Nuoro è ancora vivo il ricordo di donne che durante periodi persistenti
di siccità, radunavano gruppi di bambini che muniti de “sas
ruchittas”
stecche di canne verdi incrociate e sostenute da un bastone di ferula
nella forma ricordante la sacra bipenne, andavano in una sorta di
processione al fiume per fare cessare questa avversità.
Una
estrapolazione del disegno di Elio Moncelsi ( Dolers Turchi Maschere, miti
e feste della Sardegna )
Santa
vittoria di Serri
Al
santuario nuragico S. Vittoria di Serri siamo di fronte all’autenticità
della testimonianza di fede della religiosità “Nuragica” e dei riti
svolti dagli antichi sardi. Il sito comprende sia un pozzo sacro, un
nuraghe, un recinto delle feste e numerose altre costruzioni, oltre
all’omonima chiesetta di Santa Vittoria. I ritrovamenti dei ricchi
depositi votivi attorno al tempio a pozzo e nelle numerosissime capanne
cultuali hanno restituito un tesoro inestimabile composto da spade,
pugnali, lance, contenitori di bronzo, oltre ai classici bronzetti
offerenti, madri con figlio in grembo, sacerdotesse, oranti, arcieri,
capotribù con bastone di comando, inoltre ancora rappresentazioni
miniaturistiche di contenitori in bronzo per derrate, carri, figurine di
colombe, tori, cervi, capre volpi, protomi animali di navicelle nuragiche,
aghi crinali in bronzo, pugnali ad elsa gammata, bracciali, anelli,
ceramiche e tanto altro ancora, segno incontrastabile di secoli di
frequentazione di questa area sacra. Tra i reperti ritrovati vennero alla
luce sculture zoomorfe
assolutamente rilevanti, due protomi taurine in calcare, dimostrazioni
dell’arte scultorea a tutto tondo provenienti dal tempio a pozzo, da
riferirsi a quella divinità
–toro
adorata sin dall’età neolitica.
In
quasi tutto il sito , nelle capanne del recinto delle feste, nel tempio
ipetrale, nella torre con finestrelle, nel recinto dei fonditori, e in
altre, ancora persiste allo stato stratigrafico i resti di pasti
sacrificali composti da bovini, suini, ovini, cervi, e le immancabili
valve di molluschi (Cardium
o
Mythilis)
. In particolare portiamo all’attenzione la “Capanna della Bipenne”
all’interno della quale è stato ritrovato, ai piedi dell’altare, un
pilastrino che si inseriva in una basetta con una dentellatura superiore
in pietra calcarea ed una grande ascia
bipenne in bronzo lunga 27
cm (Inspiegabilmente non
visibile in nessun museo). Lo
stesso Taramelli la definì la “Sacra Bipenne Betilica” ad uso di
sacrifici rituali di animali, confermato dallo stesso recinto delle feste
e altre parti dell’area sacra che ne mantenevano le tracce.
Capanna
della bipenne
Anche
nella capanna delle Bipenne, presso la base dell’altare, sono stati
rinvenuti resti di abbondanti pasti, ma quello veramente sorprendente e
che il Taramelli operò un saggio di scavo sotto il pavimento lastricato
in calcare, e portò mise alla luce una sottostante pavimentazione sempre
realizzata in lastre di calcare. Lo strato di terriccio tra i due
pavimenti conteneva oltre ai resti di pasto anche (sicuramente offerte
votive) manufatti nuragici, ceramiche, frammenti di pugnale, anelli,
statuette bronzee e anche un modellino di bipenne
immanicato. Alla luce di questo ultimo reperto lo stesso Taramelli ne
testimonia la persistenza del culto della bipenne nelle due fasi edilizie
della capanna. Questo modo frettoloso di identificare “due fasi
edilizie” appare poco convincente ed è prova invece di una persistenza
del culto con le medesime modalità, testimonianza della prosecuzione dei
riti religiosi senza che vi sia stata alcuna cesura “etnica”. In
questi ambienti dediti al culto gli occupanti non ripulivano
intenzionalmente il luogo e anzi, sovrapponevano a più strati le offerte
sacrificali di pasto o di oggetti in ceramica e bronzo lasciando il tutto
in uno stato di conservazione volontario ( La luce del Toro PTM Mogoro
2011 capitolo VII). Questa condizione di fatto è riscontrabile in molti
siti dove si è operato uno scavo stratigrafico vuoi che essi siamo templi
a pozzo, capanne “cultuali”, e gli stessi Nuraghes.
1)Arbus
località Riu D’Ome e S’Orcu Bipenne miniaturistica in piombo IX –
VIII a. C. (2) Reperto dell’alta Marmilla
Il
complesso nuragico di Antigori è un insediamento costituito da diverse
torri, rocce naturali e cortine rettilinee a circondare un colle che si
innalza a dominare visivamente circa venti chilometri di spiaggia, da
Cagliari sino a Punta Zavorra. La stessa collina va a consumarsi verso il
mare non prima dell’attuale stabilimento petrolifero di Sarroch.
Di
tutto questo complesso prendiamo in esame il vano A che presenta una
pianta quadrangolare (3.20 /2.20 m) nonostante gli scavi clandestini
abbiano in parte rovinato le sequenze stratigrafiche della parte centrale,
sono stati conseguiti comunque scavi stratigrafici dei depositi che
residuavano lungo le pareti orientale e occidentale. Di questo vano
permane il dubbio che fosse coperto a volta ogivale anche se risulta molto
più probabile una copertura a frasche come le classiche capanne. La
ceramica nuragica in associazione a quella Micenea (alcuni frammenti sono
stati datati con certezza al Miceneo IIIb e al IIIc ) è stata ritrovata
nei diversi strati recenti e antichi e in quest’ultimo e altri è stata
rinvenuta solo ceramica nuragica. Questo conferma il sito prettamente di
matrice nuragica, che tuttavia mostra una certa consuetudine con contatti
diretti con Micenei in loco oppure di plausibile diretta importazione
nuragica. Una curiosità allo strato 2 è il ritrovamento di una
quarantina di pesi da “rete” di forma cilindrica con base piatta
rinvenuti disposti
in strati sovrapposti e con costante andamento
a semicerchio, i quali fanno pensare per la loro giacitura a una rete
da pesca arrotolata a deteriorarsi in
situ
(questo secondo l’interpretazione dell’archeologa R. Assorgia). Questa
lettura lascia alquanto perplessi nel giustificare una disposizione
regolare di pesi cilindrici (in
piombo o litici non è stato chiarito ) di una rete da pesca,
non fosse peraltro che l’abbandono di tale rete in un vano così esiguo,
troppo evidente e ingombrante, avrebbe ingenerato il buon senso del
recupero di tali pesi o molto
più semplicemente la rimozione (pulizia). Le disposizioni regolari di
questi oggetti cilindrici son più da ascrivere a dei gesti cultuali,
visto anche lo stato di rinvenimento e la loro particolare disposizione in
strati sovrapposti, la quale sarebbe sicuramente stata sconvolta dalle
successive frequentazioni antropiche di poco successive.
Nel
saggio di scavo lungo la parete Est del vano A, oltre a restituire
frammenti ceramici Nuragici e
Micenei è stata portato alla luce la straordinaria doppia Ascia Bipenne miniaturistica votiva in piombo con foro
impervio per infissione sul manico h 2,5 / 3 cm largh. 5 cm. Recenti
indagini (non chiarite) hanno appurato che tale reperto proviene dalla
grotta sepolcrale “O”.
Risalenti
all'età del bronzo, anche in Sardegna, l’ascia bipenne (uno dei simboli
più belli e caratteristici da
osservare) è presente sia come reperti che come potente simbolo cultuale.
Secondo alcuni archeologi quella forma era per l'uomo nuragico la
rappresentazione delle corna del toro, oppure della falce lunare,
associando il binomio "toro-sole" e "vacca-luna".
E’
ormai noto che i punti cardini del sole e della stessa luna non hanno
subito sostanziali variazioni in relazione al fenomeno della precessione
degli equinozi, poiché la differenza misurata è di 40’ primi. Di
conseguenza la posizione del sole alla sua levata e al suo tramonto è
sostanzialmente quella che osservavano gli antichi Sardi dell’età del
bronzo. Una persona dedita ad osservare l’astro del sole in uno stesso
luogo nell’arco di un anno, munita di semplici mezzi, come dei paletti,
poteva raggiungere lo scopo di
avere un quadro generale del moto apparente del sole, fattore che in quel
periodo sicuramente manifestava un livello di conoscenza elevato.
La
figura della bipenne dunque, per nostra interpretazione, si
può inserire in uno schema o in un simbolo che rappresenti la levata e il
tramonto del sole nei periodi principali dell'anno come solstizi ed
equinozi. In modo elementare gli antichi potevano raffigurare, inciso come
un simbolo appunto, una formula riassuntiva, un “progetto di
realizzazione generica”, che racchiudeva in sé gli elementi basilari
per la realizzazione dell’opera, stilizzata con la forma della croce di
Sant’Andrea ovvero come la
Bipenne.
Lo
schema dei tre assi dimostra come in modo empirico si potevano rilevare
gli orientamenti del sole nei momenti più importanti durante il
trascorrere dell'anno. Nello schema si osserva la disposizione dei tre
assi seguendo una logica semplice ma efficace, in primis si inserisce un
palo per terra in direzione di un solstizio, in un secondo tempo il
secondo palo segue la linea dell'altra alba del solstizio, cosi a formare
in quella determinata posizione un intersecarsi delle due ombre.
Di
conseguenza il terzo palo posto al centro dell'incrocio rileverà gli
equinozi. In questo modo la figura che si crea è quella di una bipenne,
infatti quando il sole sorge a 58°, l’alba del solstizio d'estate, la
luce solare che colpisce l’asticciola di legno crea un ombra che va in
direzione dei 238° dove avviene il tramonto al solstizio invernale. E di
conseguenza l'ombra creata dall'asse posizionata verso i 122°, l’alba
del solstizio invernale, darà la direzione opposta cioè 302°, tramonto
del solstizio d'estate.
(Autore:
G.R.S. -Gruppo
Ricerche Sardegna)
Sezioni
correlate in questo sito:
www.duepassinelmistero.com
Avvertenze/Disclaimer
Settembre 2012 |
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