|
TEMATICHE: Due passi nell'Italia nascosta Simbologia e Cultura Orientale UTILITY: Ricerca veloce titoli per argomento SERVIZI:
|
IL PAPAVERO E LA “DONNA” (di Gianluca Toro) Nella tradizione popolare alpina, l’uomo ha sempre utilizzato le piante e i loro derivati come alimento, medicina, sostanza tossica, nell’artigianato, come elemento decorativo, ecc.. Un secondo aspetto, parimenti importante, è quello astratto, simbolico e magico, specchio di un mondo mentale che nasce dall’esperienza diretta della natura. In base al nome tradizionale con cui determinate piante sono state identificate, nome che caratterizza la cultura da cui proviene, è possibile ricostruire, anche solo in parte, i percorsi mentali che lo hanno generato. E’ ciò che si tenterà di fare nel presente articolo nel caso del papavero selvatico, o rosolaccio. Relativamente alle Valli Valdesi, i riferimenti consultati citano il papavero selvatico (Papaver rhoeas) e il papavero coltivato, o papavero sonnifero (Papaver somniferum), da cui si ricava l’oppio, dall’effetto narcotico. Il papavero sonnifero deriva dalla coltivazione, e quindi addomesticamento, da parte dell’uomo, di una specie selvatica, il papavero setigero (Papaver setigerum). Generalmente, l’addomesticamento di una pianta implica un uso materiale che ne giustifica la coltivazione (Nencini 2004, pag. 57). T.G. Pons, nella Vita montanara e folklore nelle Valli Valdesi. I (1979; pag. 24), riporta che il papavero selvatico è noto come donna, “donna”, mentre nella Vita montanara e tradizioni popolari alpine (Valli Valdesi). II (pag. 234), sempre per il papavero selvatico, troviamo il termine donna, al plurale, e l’informazione che L’infusione dei petali […] è usata come emolliente, sudorifico e calmante, nelle tossi e bronchiti. I semi sono considerati come narcotici, analogamente al succo della pianta che possiede anche delle proprietà narcotiche. A Perrero, per purgare il sangue, le donne preparavano un’infusione con i petali di questa specie seccati al sole, secondo la dose di sette scodelle per due o tre giorni. Questo prodotto era utile anche per la pressione (Canobbio & Telmon 2007; pag. 194-197). Nel Dizionario del dialetto occitano della Val Germanasca (1997; pag. 102), donno corrisponde al papavero selvatico, mentre donno doumétio, “donna domestica”, al papavero sonnifero. Il significato di “donna”, attribuito al papavero selvatico, si ritrova, con alcune varianti, in altre località quali Aisone (dono, madono), Argentera (madono, bela dona), Chiomonte (madonna, madonne, fiore della madonna), Entracque (dona), Monte Rosso Grana (cara madonno), Novalesa (signora), Oncino (madone rosse), Perrero (donno, al plurale), Piasco (madonne), Sampeyre (donno) e Villar Pellice (madone) (Canobbio & Telmon 2007; pag. 194-197). L’idea di donna potrebbe riferirsi all’uso medicinale che proprio le donne facevano della pianta. Infatti, nella tradizione popolare alpina in generale, la donna era considerata la depositaria per eccellenza della conoscenza degli effetti delle piante. Attenta osservatrice della natura, la donna esperta di piante esercitava un’arte basata su conoscenze e usi empirici, consolidati attraverso la tradizione e l‘esperienza, a cui spesso non era estraneo l’aspetto magico e rituale. Proprio questa conoscenza empirica fece sì che fossero scoperte, o riscoperte, in modo accidentale o consapevole, le proprietà delle piante. Il riferimento alla donna potrebbe anche essere collegato al simbolismo della fertilità e del ciclo di morte/rigenerazione, rimandando eventualmente a pratiche di antichi culti agrari. Nel mondo classico, i numerosi semi del papavero sonnifero richiamavano l’idea di fertilità (Nencini 2004; pag. 117). Inoltre, il papavero sonnifero era associato, insieme alle spighe di grano, a figure femminili, tra cui Demetra e Afrodite (Nencini 2004; pag. 41, 94-95, 98-99, 109). Demetra era la dea del grano e dell’agricoltura, legata al ciclo della vita e della morte. Dal nome romano della dea, Cerere, deriva “cereale”, termine attribuito nell’antichità a grano, orzo e al papavero sonnifero (Nencini 2004; pag. 71). Scrive Lucio Anneo Cornuto (I secolo d.C.), nel Theologiae grecae compendium (28): […] Le offrono [a Demetra] anche teste di papavero a ragione; infatti la loro rotondità rappresenta la forma della terra […] le parti interne rassomigliano a luoghi cavernosi e sotterranei, inoltre producono innumerevoli semi come la terra. Se in questo caso la descrizione rimanda alla fertilità del mondo vegetale, nel caso di Afrodite, dea dell’amore, il riferimento è alla fertilità della donna. Per quanto riguarda il ciclo di morte/rigenerazione, il mistero della vegetazione “esige la morte del seme per garantire al seme stesso una nuova nascita” (Eliade 1979; pag. 53). In pratica, si stabilisce un parallelismo tra il mondo vegetale e quello umano. Nel mondo vegetale, quando la pianta giunge a maturazione, muore, lasciando cadere a terra i semi che germoglieranno in una nuova pianta. Nel mondo umano, lo stato narcotico - inteso come morte temporanea - causato dalla pianta (morte vegetale), è seguito da una discesa nell’Altro mondo (semi interrati) e da un risveglio (rinascita della pianta). L’idea di donna rimanda ad un’altra pianta, la belladonna (Atropa belladonna). Si pensa che il nome “belladonna” derivi dal fatto che fosse utilizzata dalle donne italiane rinascimentali per dilatare le pupille e intensificare la bellezza del volto. Probabilmente, l’origine è più antica e richiamerebbe l’idea di “donna” come “signora” e “padrona”. Per esempio, in Romania, colui che raccoglie la belladonna deve seguire un rituale specifico, chiamandola “Grande Signora”, “Buona Signora”, “Signora della Foresta”, “Imperatrice” o “Imperatrice delle Erbe”. Si tratterebbe, in definitiva, di una pianta legata alla figura della Signora delle foreste e del mondo vegetale in generale, e ad un gruppo di esseri magici femminili in relazione con pratiche curative e divinatorie. Si potrebbe dire che nella belladonna si manifesti uno spirito femminile della natura, che permette di entrare in contatto con forze ed energie archetipiche (Piomelli & Pollio 1994; pag. 269-271). Similmente, nel caso del papavero, l’idea di donna potrebbe riferirsi a uno spirito vegetale. Ingerire la pianta equivarrebbe ad assimilarne, attraverso i principi attivi, l’essenza, lo spirito appunto, responsabile dell’effetto curativo. Ma non solo, l’effetto narcotico poteva permettere di entrare in contatto con una realtà alternativa, quella del sogno. Nel passato, miseria, malattie, morte, insicurezze, frustrazioni, solitudine fisica e psicologica potevano essere situazioni pesanti da sostenere e tali da originare fantasie e ossessioni. Nasceva così un desiderio di consolazione, di evasione dalla realtà e di rivincita attraverso la compensazione del sogno, in cui si riacquistava speranza. In sostanza, il riferimento alla donna potrebbe rimandare a una importante funzione proprio della donna nella tradizione popolare delle Valli Valdesi, come depositaria della conoscenza degli effetti delle piante in generale, e del papavero selvatico o coltivato in particolare. Ma soprattutto si può ipotizzare che siano esistiti in passato culti agrari volti a favorire la fertilità dei campi, culti in cui la nostra pianta aveva un certo ruolo simbolico. Riferimenti bibliografici:
Sezioni correlate in questo sito:
(Autore:Gianluca Toro. Vedi Avvertenze/Disclaimer. Il testo non può essere riprodotto senza autorizzazione) www.duepassinelmistero.com Ottobre 2009 |