LE
PIETRE DEI GIGANTI:
GLI
ORIENTAMENTI ASTRONOMICI DEI MEGALITI DI MONTALBANO ELICONA (ME)
di Ignazio Burgio.
Le misteriose formazioni
rocciose che si presentano in tutta la loro imponenza nei pressi del paese di
Montalbano Elicona, in provincia di Messina, sono state interpretate da alcuni
come semplice opera della natura, da altri come opera degli uomini neolitici di
Sicilia in tempi molto antichi. Così le suggestive sagome della Vergine in
preghiera, del volto maschile e dell'Aquila vengono considerate ora come
bizzarri scherzi della natura, ora come l'opera di una misteriosa civiltà che
lasciò altri esempi simili non solo in Italia ma in tutto il mondo. Curiosamente
però i megaliti più notevoli di questa "Stonehenge italiana", come definita da
qualcuno, presentano precisi orientamenti agli equinozi ed ai solstizi...
Quando alcuni anni fa vennero scoperti i
megaliti dell'Argimusco, una località poco distante da Montalbano Elicona, in
provincia di Messina, il mondo degli studiosi si divise tra coloro che
assegnavano un'origine assolutamente naturale e casuale alla forma e alla
disposizione delle formazioni rocciose, e coloro che invece li riconducevano, in
tutto o in parte, all'azione dell'uomo del neolitico. Il luogo venne equiparato
alle grandi strutture megalitiche dell'Europa settentrionale, come Stonehenge,
Carnac, Skara Brae, ecc. mentre vi fu anche chi ne attribuì l'origine al mitico
popolo dei Giganti, uomini di alta statura menzionati in molte fonti antiche.
Vedendoli tuttavia sotto il punto di vista semplicemente della struttura e dei
fenomeni astronomici, non si può fare a meno di riconoscere che i megaliti dell'Argimusco
celino funzioni analoghe a quelle dei grandi calendari di pietra del nord
Europa, e dunque una storia antichissima e sconosciuta.
Il luogo innanzitutto è inserito in un vero
e proprio “spazio sacro” che va ben al di là del principale raggruppamento di
pietre. Sorge su di un altopiano a 1200 m. sul livello del mare, le cui
coordinate esatte sono 37° 59' N, 15° 2' E. Esattamente a sud – al centro di due
basse colline – si staglia la parte sommitale del cratere dell'Etna. In
direzione degli altri tre punti cardinali, altrettante cime montuose o collinari
sembrano “inquadrare” a bella posta l'orientamento del sito.
Sotto il punto di vista strettamente geologico, i massi si dimostrano essere dei
conglomerati calcarei, facilmente sottoposti quindi, per la poca durezza della
pietra, sia all'erosione degli agenti atmosferici (di cui è certamente
innegabile l'azione nel corso dei millenni passati), come anche in teoria al
lavoro dell'uomo. Alcune hanno forme caratteristiche ed estremamente suggestive.
Nel gruppo megalitico principale, dalla pianta circolare, si notano in primo
luogo due menhir, uno più slanciato e snello, alto una ventina di metri, ed uno
più basso e massiccio, di poco più di dieci metri. Comunemente essi vengono
designati come “simboli sessuali maschile e femminile”. Poco più avanti spostati
sulla destra (in direzione di nord-est) si innalzano tre grandi massicci di
pietra, alti una trentina di metri e anche più. Le pareti di due di questi, uno
di fronte all'altro, presentano un profilo di tipo antropomorfo, uno maschile, e
l'altro, nettamente più distinguibile, femminile, con le mani giunte in atto di
preghiera (e perciò comunemente denominata l'Orante). Un altro megalite dalla
forma ben distinta e caratteristica è infine costituito da un gruppo di pietre
sovrapposte (dalla natura o dall'azione dell'uomo antico ?) dalla sagoma di
aquila o comunque di un rapace, con le ali semi-spiegate e il capo rivolto verso
sud.
In tutte le parti del mondo si ritrovano
volti antropomorfi di grandi dimensioni che hanno tutta l'aria di non essere
stati creati dalla natura, bensì dall'opera di popoli sconosciuti in tempi molto
antichi, con metodi e scopi ancora a noi oscuri. In Sicilia stessa nei pressi di
Petralìa, in provincia di Palermo, si possono vedere altre figure, antropomorfe
e zoomorfe, presenti sulle pareti di un canalone e studiate dalla ricercatrice
di origine russa Emilia Sakharova. Lo stato di forte erosione ad opera degli
agenti atmosferici nel corso del tempo se testimoniano da un lato la lontana
antichità di queste sculture – risalenti forse a diecimila anni fa – ne rendono
problematica l'inequivocabile identificazione come opera dell'uomo e non della
natura.
A Montalbano Elicona se non può esservi dubbio che i gruppi di pietre più
grandi, a giudicare dalla loro mole, siano certamente opera della natura, molti
indizi fanno pensare che i menhir, la disposizione di alcune pietre più piccole,
e le curiose sagome dell'Orante e dell'Aquila siano al contrario di origine
umana.
Se ci si dota di bussola si scopre che tanto il megalite a forma di rapace
quanto il menhir più alto sono allineati esattamente lungo l'asse est-ovest. Ciò
significa che ponendosi con le spalle rivolte al megalite cosiddetto “fallico” e
guardando l'Aquila si può vedere sorgere il sole esattamente dietro quest'ultima
nei giorni degli equinozi (di Primavera e di Autunno). Analogamente ponendosi
con le spalle di fronte al rapace e guardando il menhir si può vedere tramontare
il sole esattamente ad ovest sempre nei medesimi giorni. Tra i due elementi si
trova inoltre una curiosa pietra bassa a forma di sella, più vicina al menhir
che all'Aquila, anch'essa perfettamente in linea, che “dovrebbe” (si usa il
condizionale poiché per il momento è solo frutto di calcoli, e non di
osservazioni dirette) rappresentare il punto di arrivo dell'ombra del menhir al
tramonto sempre nelle medesime date equinoziali.
Questa sorta di “pietra-testimone”, al
centro del gruppo circolare di menhir e megaliti con “i volti”, potrebbe
rappresentare un punto di osservazione privilegiato dal quale rilevare altri
fenomeni astronomici significativi. In direzione sud-ovest ad esempio un masso
nei pressi della coppia di menhir potrebbe trovarsi lì in maniera non casuale
per segnalare il tramonto nel solstizio invernale, mentre dalla parte opposta il
sole sorge nel solstizio d'estate tra i due profili della dea in preghiera e
quello maschile, forse un'antichissima testimonianza di un culto celeste legato
alla fertilità. E' necessario comunque effettuare altri rilevamenti ed
osservazioni, anche allo scopo di capire se vi siano altre pietre orientate ad
altri fenomeni astronomici significativi, come le fasi lunari, o le posizioni di
alcune stelle particolari nella volta celeste.
A questo proposito si può riportare una curiosa osservazione che potrebbe aprire
la via ad altre ricerche. Nella carta celeste delle nostre costellazioni
tradizionali la raffigurazione femminile della Vergine ha immediatamente alla
sua sinistra il gruppo maschile di Boote (il mitologico custode dei buoi Arcade,
figlio di Zeus e della ninfa Callisto) mentre alla sua destra c'è un volatile.
Quest'ultimo tuttavia non è l'Aquila bensì il Corvo. Alla sinistra di Boote vi è
inoltre la costellazione filiforme del Serpente.
Riportando tutto ciò ai megaliti di
Montalbano, potremmo trovarci insomma di fronte ad una classica situazione
presente nelle tradizioni archeo astronomiche dei popoli antichi, ovvero la
rappresentazione sulla terra di costellazioni o gruppi di stelle di
significativa importanza per quelle genti. L'esempio più noto è ovviamente
rappresentato dal sito egizio di Giza, ove secondo le ricerche di Robert Bauval
le tre piramidi principali rappresentano le tre stelle della cintura di Orione e
la statua felina della Sfinge la corrispondente costellazione del Leone. Ma meno
nota è anche l'interpretazione che lo studioso tedesco Michael Rappenglueck ha
dato una decina di anni fa di una delle più enigmatiche raffigurazioni dell'uomo
preistorico nella Grotta di Lascaux in Francia. “Un essere maschile con testa di
uccello e fallo eretto è visto di profilo. La sua mano destra sembra appoggiarsi
su un bastone, che però non è connesso con la mano. Il pomo del bastone è
intagliato a sua volta in forma di un uccello, forse una colomba. Sulla sinistra
dell'uomo-uccello un grosso bisonte moribondo è trafitto da frecce, mentre un
rinoceronte lanoso (oggi estinto) e un cavallo completano la scena...” (G.
Magli, 2006). Riportando indietro il cielo tramite il computer all'epoca di
origine delle raffigurazioni (15.000 a. C.), Rappenglueck si rese conto che le
singole immagini erano delle vere e proprie costellazioni di una remota età
nella quale la stella polare non era la nostra Polaris dell'Orsa Minore, ma –
per effetto della precessione degli equinozi - la stella Delta della
costellazione del Cigno. Attorno ad essa, la figura umana, il bisonte, il
rinoceronte ed il cavallo si sovrapponevano a gruppi di stelle che
identificavano le diverse stagioni dell'anno.
Nel caso dei megaliti dell'Argimusco,
l'Aquila, la donna in preghiera, il profilo maschile di fronte ad essa ed il
menhir più alto potrebbero raffigurare analoghe costellazioni del cielo di
quella remota antichità, presumibilmente all'alba di un solstizio d'estate,
l'unico evento astronomico significativo in occasione del quale si presentano
sopra l'orizzonte tutte e quattro le costellazioni del Corvo-Aquila, della
Vergine-Orante, dell'uomo-Boote e del Serpente-menhir (il tramonto infatti
coinvolgerebbe altri gruppi di stelle dalla parte opposta del cielo, mentre
l'alba all'equinozio ne nasconderebbe qualcuna come il Corvo). Sulla base del
programma astronomico “Stellarium” questa configurazione si presenterebbe solo
intorno al 10.000 a. C. , epoca nella quale appunto il sole sorgeva al solstizio
d'estate, in direzione nord-est in corrispondenza della costellazione della
Vergine. In tale occasione la costellazione del Corvo era esattamente ad Est,
per metà al disopra dell'orizzonte, proprio dietro al megalite dell'Aquila,
mentre a sinistra-ovest della Vergine-Orante apparivano le costellazioni di
Boote e del Serpente.
E' una interpretazione questa che tuttavia – ad essere sinceri – pone più di un
problema. Se può essere anche vero che in età molto antica gli uomini
raggruppavano già le stelle in costellazioni, come parrebbe dimostrare
l'interpretazione della Grotta di Lascaux, è tuttavia poco probabile che le
genti del neolitico vedessero in cielo le medesime nostre costellazioni, che
risalgono per quel che ne sappiamo al periodo delle grandi civiltà mediorientali
(III millennio a. C.). In secondo luogo la data proposta è molto più antica
rispetto all'inizio delle prime costruzioni megalitiche che allo stato attuale
dell'archeologia risalgono a non prima del VII millennio a. C. (megaliti
sommersi di Atlit-Yam e cerchi di pietre di Nabta-Playa nel deserto egiziano).
Ciò anche se recentemente l'archeologia ufficiale ha ancor più retrodatato
l'inizio delle costruzioni di siti e monumenti religiosi, dopo la scoperta a
Gobekli Tepe, in Turchia, di resti di edifici in pietra risalenti proprio al
10.000-9.500 a. C.
La datazione dei megaliti di Montalbano
Elicona si presenta d'altra parte non poco difficoltosa: nessuna fonte antica ne
fa cenno, ed allo stato attuale non è stato riportato alla luce dal sottosuolo
del sito alcun reperto (anche perchè, ad essere sinceri, non è stato fatto
ancora alcuno scavo ufficiale, né alcun serio studio). Nelle vicinanze esistono
i resti di “dolmen” di pietra appartenenti ad una necropoli (che di per sé
potrebbe essere anche molto successiva ai megaliti) purtroppo quasi
completamente smantellata dai pastori nei secoli scorsi allo scopo di trarne
materiale da costruzione. I “cubburi”, infine, caratteristiche costruzioni in
pietra del luogo, affini per stile all'architettura nuragica ed ai “Sesi” di
Pantelleria, appartengono ad un'epoca sicuramente molto più recente, anche se
ancora non ben definita per la solita mancanza di seri studi archeologici.
Ammesso tuttavia che i megaliti di Montalbano Elicona abbiano un'età tanto
antica, sembra ancora più probabile che la funzione di questa “Stonehenge di
Sicilia” com'è stata definita da qualcuno, fosse esclusivamente religiosa,
legata ai culti astronomici solari e stagionali di morte e rinascita della
natura e della vita stessa, come poi perduranti anche in età storica e nella
successiva religione cristiana, fino ai nostri giorni.
Bibliografia: